WHEN YOU TAUGHT ME HOW TO DANCE
When
you taught me how to dance
Years ago with misty eyes
Every step and silent glance
Every move a sweet surprise.
Someone must have taught you well
To beguile and to entrance
For that night you cast your spell
And you taught me how to dance.
Il cortile della Tana era immerso nel silenzio della notte
d’estate. Ginny era seduta alla sua scrivania, e fissava sconsolata il pezzo di
pergamena disteso davanti a sé. Aveva consumato un’intera boccetta di
inchiostro, perso quasi due ore del suo tempo – limitatissimo, al momento,
visti i preparativi che sua madre aveva previsto per il matrimonio di Bill e
Fleur – e non aveva scritto niente di nemmeno lontanamente sensato, o adatto ad
esprimere quello che provava davvero nel profondo del suo cuore.
Si appoggiò allo schienale della sedia, con un sospiro, e
guardò di nuovo l’unica parola che era sopravvissuta alle mille cancellature
sulla pergamena: Harry. Beh, non
faceva una piega, in effetti: in quei giorni, l’unica cosa a cui riusciva a
pensare era lui. Non pensava ad altro da un mese a quella parte, da quando
tutti loro se n’erano andati da Hogwarts. Da quando lui aveva deciso di porre
fine alla loro storia, dopo il funerale di Silente.
Se l’era aspettato, ovviamente, da uno come lui: così
generoso, così protettivo, così altruista. Non l’avrebbe amato così tanto, se
non fosse stato com’era.
Fissò l’orologio appeso alla parete della sua stanza. La
lancetta dei secondi sorpassò lentamente il 12, e il 31 luglio diventò il 1 Agosto.
Il compleanno di Harry era passato, e non si poteva dire che fosse stato un
giorno privo di sorprese. Tanto per cominciare, la visita inattesa di
Scrimgeour, che si era presentato con il signor Weasley proprio mentre tutti si
accingevano a consumare la cena in onore del diciassettesimo compleanno di
Harry, l’unica forma di festeggiamento che lui aveva accettato, vista la
precarietà della situazione e l’imminenza del matrimonio di Bill e Fleur, che
cadeva il giorno successivo. Il Ministro si era presentato alla Tana per
consegnare a Harry, Ron e Hermione tre oggetti che Silente aveva voluto
lasciare loro: un Boccino per Harry, un libro per Hermione, e uno strano
oggetto di cui non ricordava assolutamente il nome per Ron. Ginny non aveva
avuto dubbi che Scrimgeour avrebbe perso la pazienza con Harry, e che
quest’ultimo invece sarebbe rimasto calmo e impassibile di fronte alle
provocazioni. Non era più lo stesso, era evidente, e il fatto che fosse
diventato maggiorenne c’entrava ben poco. Aveva l’impressione che si fosse
avviato lungo una strada per cui lei non avrebbe potuto seguirlo
Il pensiero che Ron e Hermione sarebbero stati al suo fianco
la tranquillizzava, ma non c’era modo di toglierle quell’angoscia dal cuore. La
notte in cui i membri dell’Ordine erano andati a prelevare Harry a Privet
Drive, decidendo di rompere l’incantesimo di protezione che rendeva impossibile
a Voldemort toccarlo prima del suo diciassettesimo compleanno, finché fosse
rimasto in casa dei suoi zii, per
portarlo in salvo alla Tana, aveva quasi creduto di morire non vedendolo
arrivare. Malocchio era morto, raggiunto da un’Avada Kedavra lanciato da un
Mangiamorte in agguato: in qualche modo, l’Oscuro Signore era venuto a sapere
del loro piano di portare in salvo Harry prima del 31 luglio e aveva tentato di
eliminarlo. Quella notte, forse per la prima volta, si era resa conto di quanto
le cose si fossero fatte più serie, e più pericolose, che in passato: e
guardando gli occhi stanchi e tristi di Harry, quella notte, aveva capito che
lui lo sapeva già da molto tempo. Aveva compreso fino in fondo la sua decisione
di lasciarla, per non esporla ai pericoli che essere la sua ragazza poteva
comportare.
Si alzò in piedi, e camminò nervosamente per la stanza. Fra
le cose che avrebbe voluto
comunicargli c’era anche quella gratitudine, così grande da
non poter essere espressa a parole. Ripensando a quello che era successo quella
mattina, in quella stessa stanza, si sentì arrossire fino alla radice dei
capelli.
Non era riuscita a trovare nulla di adatto da regalare a
Harry per il suo compleanno. Cosa si regala a qualcuno per fargli capire che è
la persona più importante della tua vita, perché si ricordi di te mentre sarà
lontano, nel dubbio atroce di non rivederlo mai più? L’aveva chiamato nella sua
stanza, dopo che tutti gli altri gli avevano consegnato i loro regali, e
trovarselo davanti era stato come precipitare in un vortice di sensazioni
troppo forti per essere represse. Aveva pensato a quella frase, pronunciata da
lui in tono distratto mentre apparecchiavano la tavola per la cena la sera
precedente. Lei gli stava dicendo che aveva notato come sua madre, che non
condivideva la decisione del trio di lasciare la scuola per partire alla
ricerca degli Horcruxes, in quei giorni stesse tentando di renderli occupati con compiti che li tenevano divisi
tutto il giorno, nella speranza che l’impossibilità di vedersi e di confabulare – lei stessa l’aveva sentita
usare quel termine, una volta o due – li dissuadesse dall’intraprendere
un’impresa che le sembrava assurda. Era evidente che non aveva capito nulla di
quei tre: non erano più bambini, ormai. Non avrebbero sentito ragioni,
soprattutto perché era stata precisa volontà di Silente che loro tre trovassero
e distruggessero quegli aggeggi maledetti.
Quando ne aveva parlato con Harry, lui aveva detto,
riferendosi alla signora Weasley, qualcosa tipo: E cosa pensa che succederà, allora? Crede forse che qualcun altro possa uccidere
Voldemort mentre lei ci tiene qui a fare vol-au-vents?
Ginny era convinta che avesse parlato senza pensare, come se
si fosse trovato davanti Ron o Hermione. Aveva realizzato troppo tardi che lei
non era né l’uno né l’altro, e che non conosceva tutta la verità, perché lui
non gliel’aveva raccontata, a differenza di quanto – evidentemente – aveva
fatto con loro due.
Si era sentita impallidire, e dalla faccia di lui aveva
capito che il suo sconcerto doveva essere palese. Non gli aveva creduto quando,
alla sua domanda: Allora è vero? E’
quello che cercherete di fare? Aveva risposto di no, che aveva soltanto
scherzato.
Quando quel mattino l’aveva guardato, in piedi davanti a lei
in quella stessa stanza, era stata assalita da un’angoscia molto più profonda
del solito. Era riuscita a pensare soltanto: Se ne andrà. Se ne andrà, forse per sempre, e io voglio che si ricordi
di me… perché io non potrò mai dimenticarlo.
E spinta da quel pensiero, l’unica cosa che era stata in
grado di fare era pronunciare qualche frase senza senso a proposito di Veela
che lui avrebbe potuto incontrare lungo il cammino, prima di fare un passo
verso di lui e di baciarlo come se da quel gesto dipendesse la sua vita. Beh,
in un certo senso era così. L’aveva baciato come mai prima di allora, ed era stato
un sollievo sentire che le rispondeva con altrettanta passione. Un sollievo e
una pena insieme, perché non aveva potuto fare a meno di pensare a come le cose
avrebbero potuto essere meravigliose, fra loro, se fossero stati due persone
qualsiasi… se lui fosse stato un
ragazzo qualunque.
Quando Ron aveva spalancato la porta, interrompendoli
bruscamente, aveva visto dipingersi sulla faccia di Harry un’espressione che
diceva con chiarezza quanto volentieri avrebbe preso a calci il suo migliore
amico. Quanto a lei, non era stata capace di trattenere le lacrime, quella volta…
e lei non piangeva mai. Mai davanti a
qualcuno, in ogni caso. Aveva voltato le spalle a Harry, per non fargli vedere
quanto stava male, e lui era uscito senza sapere che altro aggiungere.
Non sarebbe riuscita a dormire, quella notte. Stava
considerando l’idea di scendere in cucina a prendere un bicchiere d’acqua,
quando udì un leggero colpo alla porta. Trasalì, spaventata, e gridò: “Chi è?”
con voce stridula.
“Shhh, Ginny” disse una voce soffocata, al dilà del legno.
Una piccola pausa. “Sono io. Harry.”
Ginny lottò per non farsi prendere dal panico, ma non fu
facile mantenere la calma. Si diresse a passi rigidi verso la porta, e girò la
maniglia… o meglio, tentò di girarla, ma non ci riuscì. Sembrava pietrificata.
“Ma che cosa…” cominciò a dire, stupita.
“L’ho bloccata io, con la magia” disse Harry, sottovoce.
Ginny appoggiò l’orecchio al legno, e chiuse gli occhi.
“Perché?” chiese. “Adesso che sei diventato maggiorenne ti
diverti ad usare la magia nei modi più strani?”
Lo sentì produrre un suono buffo, una specie di risata
camuffata. Sorrise anche lei.
“No” rispose Harry, piano. “E’ che non posso lasciarti
aprire la porta… non posso vedere ancora il tuo viso, o non riuscirò a
partire.”
Ginny riaprì bruscamente gli occhi, e trattenne il respiro.
Quelle parole potevano avere un solo significato.
“Stai partendo… parti adesso?” mormorò. Il silenzio oltre la
porta fu eloquente.
“Perché adesso?” chiese lei, accorata. Non voleva suonare
lamentosa, ma non riusciva a controllarsi. “E il matrimonio…? E le prove … e tutta
la notte che ho passato a insegnarti a ballare?” aggiunse, stupidamente. Sua
madre l’aveva costretta a insegnare a Harry almeno i passi fondamentali, perché – aveva
detto – una festa non era una vera festa se gli invitati non ballavano.
“Ginny, io… sono venuto qui per dirti qualcosa che… che non
riesco a esprimere, non ci riuscirò mai, credo.” Harry rimase un attimo in
silenzio. “Il tuo regalo di compleanno… era quello di cui avevo più bisogno, in
questo momento. Volevo che lo sapessi. E volevo che sapessi che ieri notte eri bellissima, con quel vestito, e che di
certo domani lo sarai ancora di più, molto più di quanto potrà mai esserlo
qualsiasi Veela che potrei incontrare sulla mia strada.”
A queste parole Ginny non poté fare a meno di sorridere, anche
se le lacrime avevano già cominciato a scenderle lungo le guance.
“Non dimenticherò mai il tuo viso, e il modo in cui mi guardavi
mentre volteggiavamo alla luce delle candele, sotto le stelle, e i visi delle
persone care intorno a noi, che ci guardavano con quel misto di pena e di gioia
che hanno sempre in faccia quando parlano di noi due, Ginny… perché immagino
che sappiano quanto è stato difficile separarci. Mi dispiacerà non essere lì a
guardarti, e non poterti tenere ancora tra le braccia e ballare con te…”
“Anche a me dispiacerà, Harry” sussurrò Ginny, con passione.
Le parole le uscirono di getto, stavolta, quasi che quelle di lui avessero
rotto gli argini di un fiume in piena. “Voglio che tu capisca una cosa, e che
te la ricordi per sempre: non potrò mai scordarmi di te, qualsiasi cosa mi
succeda. Sarai sempre con me, ogni passo che farò, perché la magia più potente,
per quanto mi riguarda, l’hai già fatta tanto tempo fa… quando mi hai guardata
per la prima volta, ed è bastato questo per farmi innamorare di te.”
Non sentendolo rispondere, fu assalita dalla paura che se ne
fosse già andato. Provò a girare la maniglia, e la trovò sempre bloccata. La
strattonò più energicamente, e la sentì cedere sotto il suo tocco. Spalancò la
porta, e si precipitò nel corridoio buio, con il respiro corto per
l’agitazione.
“Harry…? Harry!” chiamò, imponendosi di non urlare per paura
di svegliare gli altri abitanti della casa. “Harry, dove…”
“Qui” sussurrò lui, e Ginny sentì le sue braccia avvolgerla,
nell’oscurità più totale. “Sono qui.”
Lo strinse a sé, nascondendo la faccia contro il suo petto.
Sentì la stoffa ruvida del mantello da viaggio che aveva già indossato,
nonostante fosse una notte molto calda.
“Non voglio lasciarti” le disse, accarezzandole i capelli.
“Non voglio lasciarti, Ginny… se potessi resterei qui con te per…”
“Sshhh…” Ginny cercò la sua bocca e gliela chiuse con un
bacio. Aveva le guance bagnate, ma non era facile capire di chi fossero le
lacrime: stavano piangendo tutti e due, protetti dal buio che impediva loro di
vedersi in faccia in quella condizione di estrema vulnerabilità in cui entrambi
detestavano mostrarsi al mondo. “Lo so. Non devi spiegarmi più niente, Harry…
non sono una bambina che devi proteggere.”
“Non ho mai pensato questo di te... so che te la caveresti benissimo, in ogni caso” replicò lui, in un
sussurro.
“Domattina mia madre darà i numeri, quando vedrà che non ci
sei.” Ginny sorrise nel buio. “Sarà meglio starle alla larga, per i prossimi
dieci anni.”
Lo sentì sorridere a sua volta, le labbra premute sulla sua
tempia.
“Chiedile scusa da parte mia” disse, piano. “Spero che
capirà. Che anche gli altri capiranno. Andarmene domani sarebbe stato troppo
difficile.”
“Ron e Hermione sanno che te ne stai andando ora?” domandò
Ginny, dopo un attimo.
“Sì… e sanno anche dove andrò, per potermi raggiungere,
domani.” Harry sospirò. “Non chiedermi di…”
“Non te lo chiederò” lo interruppe lei, in un sussurro.
“Voglio solo che tu mi prometta che dopo tornerai da me. Quando tutto sarà
finito. Che darai una possibilità a noi due, al nostro futuro, quando tutto
sarà passato.”
Nessuno dei due parlò della possibilità che le cose
andassero male, che avrebbe potuto non esserci nessun futuro da vivere insieme.
“Non potrei fare diversamente nemmeno se volessi” disse
Harry. “Ma nel caso in cui non…”
Ginny si agitò, infastidita, ma lui la trattenne con forza.
“No, ascoltami. Nel caso in cui non dovessi tornare, voglio che tu sappia che
non rimpiango niente. Niente, hai capito…? Non rimpiangerò di aver vissuto
troppo poco, perché gli ultimi sei anni sono valsi come mille di una vita
normale. Ho avuto più di quanto avrei mai immaginato, quando vivevo in un
sottoscala e tutti mi scansavano come se avessi la peste.” La sua voce tremava
leggermente. “Sono stato amato. Moltissimo. Questa è l’unica cosa che conta,
per me.”
“Molto amato” sussurrò Ginny, accarezzandogli i capelli.
“Amato da impazzire, per quanto mi riguarda.”
Harry la baciò di nuovo, e lei si sforzò di tradurre in
parole quello che sentiva di dovergli dire.
“Riuscirò a sopravvivere, se non dovessi tornare da me”
sussurrò, la bocca vicinissima alla sua. “Andrò avanti, e vivrò la mia vita,
perché è questo che fanno le ragazze degli eroi, giusto? Sperano per il meglio,
ma hanno la forza necessaria per affrontare il peggio.”
“Io non sono…” cominciò a protestare lui.
“Ma queste stesse ragazze hanno un’altra caratteristica” lo
interruppe Ginny. “Non dimenticano. Mai.”
Sospirò. “E’ a questo che serve la loro forza: ad andare avanti col sorriso
anche se il loro cuore è andato in mille pezzi.”
Harry la baciò ancora, e ancora, e Ginny perse la cognizione
del tempo. Avrebbe voluto che quei momenti non finissero mai, ma ad un tratto
lui si strappò di dosso le sue braccia, dolce ma deciso.
“Devo andare” disse, in un sussurro. “Devo andare adesso, o non lo farò mai più.”
Ginny lottò contro l’impulso di toccarlo ancora una volta.
Nel buio, indietreggiò di un passo e mise le mani dietro la schiena, come una
bambina che obbedisca a un ordine della maestra.
“A presto, Harry” mormorò, e la sua voce suonò stranamente
adulta, priva di qualsiasi esitazione. Lo stava facendo per lui, in fondo, più
che per se stessa. Non gli avrebbe dato il dolore di vederla disperarsi mentre
se ne andava. “Sono certa che te la caverai benissimo” aggiunse, ripetendo le
parole di lui, e cercando di condirle con un po’ della sua ironia che – lo
sapeva – era una delle cose che più lo divertivano in lei.
Infatti lo sentì reprimere una risata, nell’oscurità del
corridoio.
“Ti amo, Ginny” le disse, con dolcezza, la voce lontana, già simile a un eco.
Una volta rientrata nella sua stanza, si appoggiò di schiena
alla porta chiusa. Dovette imporsi di non correre alla finestra per guardarlo
partire: sarebbe stato come pugnalarsi al cuore con le sue mani. Spense la
lampada, dopo aver appallottolato e buttato nel cestino l’ormai inutile
pergamena piena di cancellature, e si sdraiò sul letto. Rimase a fissare il
soffitto per un po’, pensierosa. La
Tana era il nuovo Quartier Generale, ed era stata dotata di
un numero spropositato di incantesimi protettivi, sia da parte dell’Ordine che
da parte del Ministero, con il risultato che non era assolutamente possibile
entrare o uscire dal circondario usando la magia; Harry avrebbe dovuto
percorrere un bel po’ di strada a piedi prima di potersi Smaterializzare.
Ginny chiuse gli occhi, con un piccolo sospiro. Non faticò
ad immaginarlo mentre camminava nella notte, il mantello fluttuante intorno alle
caviglie, la sacca in spalla, i capelli spettinati che gli ricadevano sulla
fronte e quel sorriso segreto che lei, e soltanto lei, conosceva così bene.
Light
reflections in a lake
I recall what went before
As I give, I'll learn to take
And to be alone no more.
Other lights may light my way
I may even find romance
But I won't forget that night
When you taught me how to dance.