A volte dimentico
«Fu un miracolo se
riuscì a rimanere in silenzio, a non farsi scoprire.
A quel punto era finita, e lui si rese conto di ciò che era
diventato.»
Twilight, Capitolo 15: I Cullen
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Personaggi: Carlisle Cullen, Esme Platt
Cullen
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Note: Ci fu un giorno in cui
Carlisle Cullen imparò a non urlare. Anni dopo questo gli avrebbe
salvato la vita.
Difficoltà scelta:
La
trasformazione
Beta Reader: Nessuno, non ho fatto in
tempo. Eventualmente sarebbe stata Kukiness.
Nota che il fuoco si sta
spegnendo.
Dovrebbe
alzarsi ed aggiungere, magari, un paio dei ceppi rugosi che stanno
nella catasta lì accanto; poi, con le molle, dovrebbe dare
un po’ di respiro alla brace perché qualche fiamma
scaturisca ancora.
Ma
non disturberà sua moglie.
Nota
che davanti a quella luce rossastra la pelle di Esme sembra viva.
La
notte sulla penisola Olimpica è ancora alta.
* * *
Il bambino sedeva sul banco di
legno, le gambette penzoloni, le manine nascoste sotto la mantella di
lana grezza. La luce delle torce non arrivava a illuminargli davvero il
visetto smunto; creava solo attorno a lui ombre fredde e tremolanti che
si allungavano distorte alle sue spalle, sul pavimento grigio della
navata centrale.
Non
c’era nessuno.
La
piccola chiesa era vuota, a quell’ora: c’erano solo
lui e suo padre che, come ogni giorno, provava davanti agli scranni
vuoti - salvo che per quell’unico, piccolo spettatore - il
sermone per la funzione della mattina dopo.
-
Vegliate perché non sapete né il giorno
né l’ora in cui il Fuoco di Dio verrà a
purificarvi! Meglio bruciare su questa terra nel vostro corpo mortale
che perdere la vostra anima nel fuoco eterno, torturati da Satana e dai
suoi servitori. Vegliate, fratelli miei, vegliate!
Il
bambino si fece ancora più piccolo stringendosi nelle
spalle, il collo sottile ritirato dentro il bavero. Si
arrotolò, quasi, su stesso, una palla di lana grezza come
quelle che i ragazzini usavano per giocare. Erano fatte con gli avanzi
dei mantelli e imbottite di paglia, e se le mamme le cucivano bene
resistevano ad un bel po’ di calci.
In
casa sua non si poteva giocare con la palla.
I bambini diventano rumorosi
quando giocano con la palla e tutto quel chiasso non piaceva al suo
papà; non si confaceva alla loro casa, diceva il Reverendo,
la casa di un Pastore di Dio consacrata allo studio delle Scritture,
alla preghiera ed al servizio dei poveri. Così diceva suo
padre.
Nonostante
questo, Madam Evangeline aveva cucito un gioco per lui, una volta. Non
una palla. Era una cosa di tessuto scuro con quattro arti, un testone
rotondo e piccole orecchie anch’esse rotonde; era tenuto
assieme con punti grossi ma regolari, precisi e, sempre con dei punti
grossi, Madam aveva ricamato una bocca sdentata e due occhi a croce.
Glielo aveva dato il giorno del suo compleanno.
“Si chiama Boo. Secondo me ha paura del buio”,
aveva detto il bambino afferrandolo. E da quella notte lo aveva tenuto
nel letto con sé.
Sotto la mantellina di lana
grezza, il piccolo stringeva Boo e tremava pensando ai Demoni
dell’Inferno. Lui non sarebbe mai stato cattivo,
pensò. Non c’era ragione che papà si
arrabbiasse tanto, perché lui sarebbe sempre stato buono e i
demoni non lo avrebbero mai portato via per bruciarlo nelle fiamme
dell’Inferno. Perché si arrabbiava tanto?
-
Reverendo?
La
voce rauca di Evangeline rimbombò nel vuoto della piccola
chiesa.
-
Non dovete interrompermi quando provo il sermone, Madam. A meno che
Londra non stia bruciando, e anche il quel caso la Parola viene prima
di tutto. Come devo dirvelo?
-
Vi chiedo scusa, Padre. Beneditemi perché ho peccato.
È pronta la cena e Carlisle sarà affamato. E qua
dentro fa troppo freddo per un bambino così piccolo.
A
Carlisle non piaceva quando suo padre stringeva le labbra in quel modo.
Un attimo dopo cominciava anche a sbattere gli occhi, ad aprirli e
chiuderli in fretta, ancora più in fretta di quel pupazzo di
legno che usciva dalla scatola, quello che aveva visto una volta dal
falegname che costruiva le bare per i parrocchiani. Era buffo - il
pupazzo, non suo padre. Suo padre non era mai buffo. Di solito dopo che
aveva fatto così con le labbra e con gli occhi - a volte lo
faceva con un occhio solo - stava zitto per un po’ e non
rispondeva se lui gli rivolgeva la parola. Poi all’improvviso si
metteva ad urlare qualcosa, ancora più forte di quando
pronunciava il sermone, e finiva sempre che lo mandava a dormire
senza cena.
Meno
male che c’era Boo.
-
Il piccolo imparerà che il nostro corpo è vile e
traditore e non è opportuno farsene dominare, Evangeline.
Indulgere ai piaceri del corpo condurrà alla rovina, lo
sapete bene. Perciò questa sera faremo penitenza tutti
insieme: vi prego di regalare la nostra cena ai poveri,
c’è il vecchio Hoghsmith sul sagrato da questa
mattina che attende per nostro tramite un segno della Misericordia
Divina. Ringraziate con me Nostro Signore per questa santa ispirazione.
Erano
state le labbra di Evangeline a stringersi forte e a diventare bianche,
questa volta.
Nella
sala da pranzo, umida come tutto il resto della casa parrocchiale,
c’era un tavolo apparecchiato. Sulla tovaglia di lino una
brocca e tre piatti di coccio, come ogni sera. In quello di
papà e di Madam, una fetta di pane nero. Il terzo piatto,
invece, era colmo dello stufato di Evangeline, che era la cosa
più buona che Carlie avesse mai assaggiato. Era caldo e
andava giù bene, senza tentennare e senza vergogna, caldo
come gli abbracci nei quali Madam lo stringeva quando erano soli - con
papà si doveva restare sempre composti. Madam forse non era
una persona abbastanza composta e il bambino aveva il dubbio di fare
una cosa sbagliata, ma quando restavano in casa solo loro due le si
raggomitolava in braccio e si lasciava accarezzare i capelli.
Evangeline dondolava piano e qualche volta cantava, e quella era una
cosa ancora più buona dello stufato.
-
Madama Evangeline, a dispetto del vostro nome non sembrate avere
compreso appieno lo spirito con il quale umilmente governo questa casa
e le anime dei nostri parrocchiani. Vi avevo detto di regalare la
nostra cena ai poveri.
-
L’ho fatto, Reverendo. Oltre a Hoghsmith c’era la
povera Mary e anche…
-
Non avete dato tutto. Non avete dato col cuore.
-
Ma Reverendo…
-
Presto, prendete il piatto di mio figlio e portatelo qui fuori. Sono
certo che qualcuno ancora aspetta il manifestarsi della
Bontà Infinita di Dio.
Aveva cominciato a piovere.
Il bambino lo sapeva, non
perché riuscisse a vedere cosa accadeva fuori attraverso
l’unica finestra, già chiusa per la notte. Glielo
diceva il plic
lento e ritmico di una goccia che, violato il tetto, andava a riempire
una leggera irregolarità del pavimento in un angolo della
sala da pranzo. Quell’anno le offerte dei parrocchiani non
erano state sufficienti a consentire la riparazione del tetto.
Evangeline
fece di nuovo quelle labbra strette e si alzò lentamente,
mentre la goccia faceva plic
e le pieghe della gonna frusciavano sfregando contro il bordo della
tavola.
Allungò
le mani sul piatto davanti al bambino, che le seguiva con lo sguardo
mentre - sempre molto lentamente - si posavano sul bordo, ai due lati.
Si fermavano un attimo. Sollevavano. Tiravano via. Molto lentamente.
-
Papà!
Il
bambino spalancò gli occhi, li spalancò tanto che
cominciarono a lacrimare, poi li riabbassò sul piatto che
però non c’era più. Strinse le spalle e
strinse Boo sotto la tavola e, mentre tornava a farsi piccolo come la
pallina di stracci, chinò leggermente la testa sotto una
carezza tiepida e leggera. La mano di Evangeline tremava e la sua voce
suonò un po’ strana, fatta anch’essa
piccola e attorcigliata su se stessa eppure calda, come
l’odore dello stufato ancora sospeso nell’aria.
-
Sei un bravo bambino, Carlie. Non hai fatto niente di male, tu. Il
papà…
-
Sparecchiate pure la cena e poi raccogliete le vostre cose. Non abbiamo
più bisogno dei vostri servizi, siete libera di andarvene
stasera stessa. Avrete la paga della settimana da cui
detrarrò, come di consueto, la spesa per la candela e il
carbone. Buonasera, Evangeline.
Più tardi, come
ogni sera, il Reverendo sedette davanti al camino con il breviario in
mano e ben presto si addormentò. Russava con la bocca aperta
e un rivolo di saliva colava da un lato, luccicando impetosamente per
il riverbero delle fiamme.
Il bambino pensava che qualcuno lo avrebbe messo a letto, ma
aspettò invano. Allora si alzò in piedi e si
asciugò un paio di lacrime che proprio non era riuscito a
trattenere negli occhi.
Boo era sotto al tavolo; era
rimasto lì dimenticato da tutti, perfino da lui. Nemmeno
Evangeline si era accorta del pupazzo quando aveva sistemato le sedie e
spazzato per terra, forse perché aveva fatto tutto molto in
fretta, alla fine, facendo quei rumori strani con il naso. Quando
Carlie le aveva preso la gonna le era uscito un verso più
alto dalla gola, come quando si ha il singhiozzo.
-
Dio lo stramaledica. Un giorno pagherà per tutto questo -
aveva bisbigliato la donna prima di chiudersi il portoncino di legno
alle spalle.
Carlie
aveva avuto tantissima paura: quando una persona diceva quelle cose, a
volte dopo la bruciavano in piazza. Non voleva che bruciassero
Evangeline. Si toccò la guancia dove stava ancora il caldo
della pelle di lei e anche un po’ di umido del bacio e della
sua faccia bagnata.
Il
Reverendo dormiva.
Il
bambino tornò da Boo nascosto sotto il tavolo, sulla sua
seggiola, quella con il cuscino che Madam gli metteva sempre sotto al
sedere per farlo mangiava più comodo.
-
Sei stato cattivo, Boo. Molto cattivo.
Con
il piccolo braccio rigido si girò verso il camino e
lasciò cadere il pupazzo fra le fiamme; quello fece fumo,
all’inizio, perché il panno non brucia bene. Ma
poi il calore raggiunse la paglia dell’imbottitura e ci fu
una bella fiammata, che illuminò più intensamente
di una luce rossastra la faccia del Reverendo addormentato e il
breviario aperto tra le sue mani. Poche scintille si alzarono, forse
per via della paglia.
Boo
fu avvolto da una fiamma verdina, poi il colore cambiò e
tornò normale. Alla fine la sua forma si dissolse in braci e
scomparve nel fuoco.
Il
bambino si morse le guance e rimase immobile. Il sapore del sangue fra
i denti era ferroso, freddo. Gli diede un breve istante di nausea, ma
lui fu forte.
Non
avrebbe pianto mai più.
Non
avrebbe urlato.
* * *
Lo sa bene che Esme non sta dormendo e non è stanca.
Perciò potrebbe alzarsi per ravvivare il fuoco; lo amano
entrambi. In ognuna delle loro case esiste almeno un camino e il fuoco
viene acceso spesso, e non solo in inverno.
Ma
Carlisle non si muoverà.
Alla
fine lascerà che le fiamme a poco a poco si spengano, e
quelle dopo poco lo fanno. Dolcemente. Resta solo la brace rossa e
pulsante come un cuore nel buio.
Con
una mano solleva il lenzuolo scivolato dalla spalla candida di sua
moglie e la copre, anche se lei non ha freddo.
La
pelle di lei gli restituisce ancora il dolce palpitare del fuoco.
-
Che cosa ti hanno raccontato le fiamme, stavolta?
-
Niente, non lo ricordo più. Ma non era nulla di importante, dolcezza mia.*
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ANGOLO DI J.
*Nella mia
testa, Carlisle pronunciava queste parole in italiano. Dopotutto ha
vissuto qualche centinaio di anni a Volterra, no?
** Questa storia è stata scritta in fretta, furia e
disperazione, dopo varie oscillazioni tra idee diverse, per il contest Uno
sguardo al passato, indetto dalla cara pinzy81
sul forum di EFP. Ci tenevo da morire a consegnare e allora alla fine
mi sono buttata al grido di vadacomevada,
ma mi è andata bene: alla giudiCIA è piaciuta.
Questo Carlisle bambino si è classificato primo, yep! Ho preso
ZERO punti per la difficoltà, giustamente, perché
l'ho presa proprio MOLTO alla lontana, ma la storia voleva essere
scritta così e io le ho dato retta.
Ho vinto anche il premio "Pronto
per la stampa" per la migliore impaginazione :P, cosa che
per un'editrice dilettante è una bella soddisfazione! Miss
Aniasolary <3 ha realizzato entrambi i banner per
conto della giudiCIA. Ecco qui il mio premio: <3
*** Nei libri si dice che Carlisle resistette senza urlare fino a
quando la trasformazione non fu completata. Mi sono sempre chiesta dove
uno potrebbe trovare la forza necessaria.
Era un sacco di tempo che non pubblicavo niente su EFP. Scrivo sempre,
scrivo quasi tutti i giorni ma sono per lo più cose per Parole nel Cassetto
e un progetto un po' voluminoso che sto portando avanti.
Molti di voi
mi hanno contattato per sapere che fine ha fatto "Invictus". L'ho
cancellata perché non mi stava dando molte soddisfazioni
rispetto all'impegno che ci mettevo e perché sto utilizzando
quel materiale per un altro lavoro. Però quando è
uscito Breaking Dawn, a novembre, una mia amica ( <3 Quori a te
che ti sei riconosciuta <3 ) mi ha scritto che, anche
se in quella storia Bella moriva, le sarebbe piaciuto poterla ritrovare
in ogni momento e soprattutto ritrovare un mondo nel quale Jake
è innamorato di Bella e di Bella sola. Quindi boh, sto
pensando di rimetterla online anche se dovrò lasciarla
incompiuta. Se avete pareri idee consigli riflessioni fatemi sapere.
Ho letto due
tre belle storie questa settimana in cui si dice che chi pubblica a
Capodanno pubblica tutto l'anno... quindi eccomi, vediamo se funziona,
magari mi porta bene anche per il lavoro più grosso che sto
portando avanti.
Grazie per
avere letto fino a qui, storia e sproloqui personali. Tante belle cose,
storie, parole, ispirazione e bacetti per tutto il 2013!
Con affetto
J
P.S. Tenete
d'occhio il sito di Parole
nel Cassetto e anche il forum.
Ci siamo prese un po'
di vacanza in questi giorni, ma stiamo per arrivare
con una valangata di proposte per il nuovo anno!
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