Ehilà :)
Allora, voi ora leggerete questa storia
(sempre che io riesca a scriverla tutta) e vi renderete conto che la
trama è un'idea trita e ritrita. Tuttavia, qualcuno mi ha insegnato
che la difficoltà più grande non è proporre qualcosa di nuovo, ma
rendere nuovo qualcosa di vecchio. Ed è proprio questa la sfida che
mi propongo!
Quindi vi lascio a questo prologo,
sperando di ricevere un buon riscontro in commenti!
Happy lettura!
Sconosciuta
How
America was born
-Capitolo
Uno-
Il
taxi si fermò all'indirizzo che la ragazza aveva richiesto.
Il
palazzo era esattamente come sua madre lo aveva descritto.
Chissà
se anche all'interno non era cambiato nulla... e soprattutto, chissà
se loro erano ancora lì.
Non
le andava a genio l'idea di dover fare le veci dei suoi, ma ancora
meno le sarebbe piaciuto scoprire di aver fatto quel viaggio infinito
per nulla.
L'ascensore
era tanto grande che avrebbero potuto tranquillamente alloggiarvi una
decina di persone. Sbuffando, si chiese che cosa se ne facessero di
un ascensore così grande. Dubitava davvero che in un posto di lusso
come quello vivessero famiglie numerose. La ricchezza è figlia
unica, questo aveva imparato.
Dove
viveva lei, oltretutto, gli ascensori erano l'unica cosa di cui ci
fosse bisogno. Un cavallo, piuttosto. Il bel puledro che sarebbe
arrivato al ranch tre giorni dopo.
E
lei, ovviamente, sarebbe stata ad un oceano di distanza.
Sapeva
quanto tutta quella storia fosse difficile per sua madre e non le
pesava troppo essere andata a New York al posto suo, ma dannazione,
aveva aspettato dieci anni... le sarebbero davvero costati così
tanto tre giorni in più?
L'ascensore
si fermò e lei si sistemò velocemente la camicia a quadri,
controllando nello specchio di avere un aspetto quantomeno
guardabile.
Come
sempre, i corti capelli rossi erano in un disordine a cui oramai si
era rassegnata e i grandi occhi azzurri le donavano quell'espressione
costantemente stupita che odiava con tutto il cuore. I jeans chiari
le fasciavano perfettamente le gambe, andando a terminare in quegli
scarponcini macchiati da un fango diventato indelebile che da anni
sua madre cercava di convincerla a buttare. Il girocollo di pelle
scura, infine, faceva risaltare in modo quasi imbarazzante il pallore
della sua carnagione.
Sì,
tutto sommato era a posto.
Con
il suo miglior sorriso di circostanza, si apprestò a suonare il
campanello di quell'appartamento che puzzava di lusso lontano un
miglio.
Dopo
qualche istante, una voce femminile piuttosto scocciata rispose al
suo richiamo dall'interno della casa.
“Non
rilasceremo altre interviste. Né oggi né mai. Quindi può
cortesemente dire al suo capo di infilarsi microfono e telecamera
su...”
“Mamma!”
La riprese una voce maschile più giovane e profonda.
Benissimo,
almeno c'era qualcuno.
“Signori,
chiedo scusa, non sono una giornalista.”
“Certo,
e io ho vent'anni e faccio l'avvocato.”
“Mamma,
vuoi aprire quella porta?”
Un
attimo dopo, la giovane sentì una chiave girare nella serratura e
sulla soglia apparve una donna che doveva aver fatto conoscenza con
gli ottant'anni ormai parecchio tempo prima. Ciononostante, indossava
un meraviglioso ed elegantissimo abito di foggia indiana e i capelli,
rosso fuoco, erano acconciati alla perfezione.
“Martha
Rodgers?” Non fece in tempo a terminare di pronunciare il nome, che
dovette sporgersi in avanti a sostenere l'anziana signora la quale,
impallidita di colpo, stava per crollare in avanti.
“Alexis...”
Mormorò, gli occhi terrorizzati fissi sul suo viso, la stessa
espressione di chi ha visto un fantasma.
“Ehm...
no.” Delicatamente, la ragazza la sospinse di nuovo in piedi. “Si
sente bene?”
La
donna annuì, sempre senza smettere di guardarla.
“Mi
scusi se insisto... ma a questo punto deduco che lei sia davvero
Martha Rodgers.”
Una
nuova conferma da parte della sua momentaneamente poco loquace
interlocutrice.
“Oh,
bene! Richard Castle vive ancora qui?”
Finalmente,
Martha parve dare un minimo segno di recupero.
“Sì,
lui è... posso sapere con chi sto parlando?”
La
ragazza sorrise: quella donna le faceva uno strano effetto. Le
sembrava di vedere una versione molto, molto più anziana di se
stessa.
“Mi
chiamo America, signora Rodgers... e mia madre mi ha detto di
consegnare questo a lei e al signor Castle.”
Con
una mano inanellata e tremante, Martha afferrò il foglio ripiegato
che la giovane le porgeva.
Dopo
aver inforcato un paio di vistosi occhiali che portava al collo,
distese il pezzo di carta e prese a leggere.
Durante
il tempo che le servì per comprendere il contenuto di quelle poche
righe, la sua espressione mutò almeno una decina di volte.
Fu
solo dopo qualche minuto che tornò ad alzare sulla ragazza gli
azzurrissimi occhi lucidi.
“Non
sono morti, quindi...”
“No,
non lo sono. Loro...”
“Mamma,
chi è?”
Asciugandosi
una lacrima con il dorso della mano, Martha sorrise e si decise ad
aprire completamente la porta.
“Tua
nipote, Richard...”
Continua...
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