L’emblema
del gelo
Il corpo del Padre
degli Dei, colui che governava su Asgard
dall’alto della sua magnifica grandezza, giaceva a terra in
stato comatoso, gli
occhi chiusi, il volto solo ad una prima occhiata rilassato. Chiunque
lo avesse
visto in quel momento, lo avrebbe creduto immerso nel suo sonno
periodico, il
sonno che lo aiutava a ridare forza al suo potere… nessuno
avrebbe pensato che
Loki, uno dei principi ereditari, era in parte causa di ciò
che era successo. Nessuno
lo avrebbe visto allontanarsi a grandi passi dopo aver chiamato le
guardie – la
camminata nervosa di chi è spaventato e vuole mettere
più distanza possibile
tra sé e ciò che ha appena visto –
né si sarebbe curato di consolarlo, di
rassicurarlo sul fatto che suo padre non aveva nulla di grave, e si
sarebbe
rimesso presto: a nessuno importava nulla del Dio degli Inganni, per
quanto si fosse
trattato di un membro della famiglia reale. C’erano cose che
non cambiavano
durante gli anni, e la diffidenza degli Asgardiani nei confronti di chi
era
così diverso da loro (figuriamoci
uno
Jotun) era tra quelle.
L’eco
delle sue grida ancora gli risuonava nelle orecchie,
mascherava il rumore dell’ incedere per i corridoi, ma non
riusciva a camuffare
quello dei pensieri, che lo assordavano come se duemila trombe
impazzite
stessero suonando tutte assieme nella sua mente. Aveva finalmente
ottenuto la
verità che desiderava, che gli spettava, ma tutto
ciò che gli restava era una
confusione enorme, più grande di quella che aveva provato
nell’essere toccato
da un gigante a Jotunheim e vedere il proprio braccio diventare blu,
come il
ghiaccio.
Più
del ghiaccio stesso.
Continuò
a camminare, senza meta, come se il solo fermarsi lo
avesse potuto condannare a rivivere la stessa scena infinite volte, un
capriccio
del Fato che, a quanto pareva, non aveva intenzione di rendere la sua
vita più
semplice… fortunatamente, in giro non sembrava esserci
nessuno: la notizia che
Odino era caduto nel suo sonno senza preavviso doveva aver allertato
tutta la
corte e gran parte del corpo delle guardie.
Fermò il flusso impazzito dei pensieri solo dopo essere
entrato
nella sua stanza, con la porta chiusa alle spalle a sigillare il
segreto che
gli rendeva il cuore pesante. Quanto ci sarebbe voluto, prima di
riuscire ad
accettare la situazione per quella che era?
Odino, il Padre Universale, non era il suo vero padre. Frigga, la
donna che aveva chiamato madre per lunghi anni, che lo aveva cullato e
allattato quando era solo un neonato, non era sua madre: il loro unico
figlio
era Thor, e così sarebbe sempre stato, per quanto il Padre
continuasse a
giurare di amare Loki come un figlio suo…
Tutte bugie? Non lo sapeva, non riusciva a capirlo. Era ironico
che proprio il Dio degli Inganni non fosse capace di distinguere tra le
bugie e
la realtà, dopo aver vissuto una menzogna durata per troppo
tempo.
Si prese il viso tra le mani, chiudendo gli occhi, come a volersi
isolare in una realtà in cui tutto era rimasto al tempo
della sua infanzia.
Era
sempre stato
diverso dagli altri bambini, diverso anche da Thor, col quale aveva
condiviso
giochi e risate, bisticci ma anche momenti di complicità,
come quando
sgattaiolavano senza farsi scoprire nella sala dei trofei del Padre per
giocare
coi cimeli riportati dalle battaglie, o quando facevano disperare le
bambinaie
e la
Madre
andandosi a nascondere nella foresta che circondava il palazzo e ne
costituiva
una parte dei giardini. Thor era forte e pieno di energia –
che con
l’adolescenza sarebbe diventata spavalderia imprudente
– Loki era calmo,
studioso e stranamente versato nella magia per essere un Asgardiano, ma
il
fratello non ci aveva fatto caso: per lui, ogni incantesimo era un
piccolo
miracolo, e vederlo trasformare una foglia in un sasso e viceversa
soltanto
toccandola costituiva un motivo di meraviglia e orgoglio. Nella sua
ingenuità
pura, non aveva mai sospettato che quella diversità avrebbe
potuto
rappresentare un pericolo.
Erano
Hogun, Volstagg e Fandrall, assieme a Sif, a fare i
sostenuti.
Forse
per invidia, forse per la cattiveria misteriosa dei bambini,
non erano mai stati amichevoli nei suoi confronti: Hogun si limitava a
fingere
che non esistesse, Volstagg era più impegnato a giocare e
mangiare che ad
inventare dispetti, ma Sif e Fandrall sembravano provare uno strano
piacere nel
maltrattarlo, escludendolo dai loro giochi o, semplicemente, non
facendolo
sentire parte del gruppetto perché diverso
da loro. in qualche modo avevano intuito la verità senza
conoscerla, rifletté
amareggiato il giovane. Nonostante Thor lo avesse sempre difeso e
avesse
cercato di rimediare alle loro cattiverie, un seme di vendetta si era
impiantato nel suo cuore, e germogliando aveva dato vita ad azioni che
dovevano
rappresentare una punizione per chi cercava continuamente di
schiacciarlo:
quando, da adolescente, aveva tagliato ciocca per ciocca i bei riccioli
biondi
di Sif, non aveva provato il minimo dispiacere. Né gli
dispiaceva ora che era
adulto, e che la vedeva ogni giorno correre per Asgard con le armi in
mano e la
coda di cavallo nera che le sfiorava la schiena.
Se
non possono amarti,
allora dovranno temerti.
Eppure, qualcosa doveva essere andato storto, perché il
disprezzo
negli occhi di quelli che erano stati per qualche tempo i loro compagni
di scorribande
non era mai calato, né col timore era subentrato il
rispetto. Ancora se ne
stupiva? Non si erano mai fidati di lui, e non si sarebbero fidati mai,
finché
avessero vissuto. Anche se fosse diventato re. Il timore non era
sinonimo di
rispetto. Odino poteva pensarla come preferiva: gli Asgardiani non
avrebbero
mai voluto un gigante di ghiaccio come erede al trono.
Si alzò in piedi di scatto e prese a passeggiare per la
stanza,
irrequieto.
Il dubbio era un
tarlo piccolo, ma potente. Una creatura che
entrava attraverso le orecchie, camuffata da frase pronunciata a mezza
bocca,
diceria, malalingua, e da lì si faceva strada nel cervello,
andando a rodere,
strato dopo strato, ogni consapevolezza, ogni barlume di sicurezza
raccolto
durante gli anni. E, piano piano, quando non trovava più
barriere a fermare la
sua azione, prendeva il controllo dell’ospite, contaminando
ogni suo pensiero,
spingendolo a mettere in pericolo la propria sanità mentale
nel tentativo di
cercare qualcosa.
Cosa sperava di trovare, tornando nella sala del Tesseract? Quale
tarlo della follia, della disperazione lo aveva spinto a toccarlo?
Le sue dita si erano poggiate sulla superficie del cubo cosmico,
esitanti: le aveva viste cambiare il loro colore in blu, ma questa
volta lo
spettacolo non lo aveva colto impreparato come su Jotunheim.
Né aveva provato
spavento a vedere i suoi occhi, riflessi dalla superficie bluastra,
diventare
rossi come due braci scappate dal caminetto. Una maschera luminosa gli
rivolgeva un sorriso rassegnato, di chi ormai è pronto a
tutto e sa di doversi
arrendere a ciò che vede… il principe di Asgard,
uno Jotun dal volto segnato da
una lacrima.
Era
stato lui stesso a scegliere di interrompere quell’inganno:
da
ogni sogno, prima o poi, ci si deve svegliare. E per quanto brutta
potesse
essere la realtà, l’avrebbe dovuta affrontare. Ma
mai si sarebbe aspettato che
l’inganno sarebbe venuto da chi, diversamente da lui, non era
riconosciuto come
ingannatore.
Nel suo vagabondare
avanti e indietro per la stanza, non si era
accorto di essere di fronte alla finestra: le luci continuavano a
brillare,
Asgard proseguiva la sua giornata, la vita andava avanti, nonostante
Odino si
trovasse disteso sul suo letto, preda di un sonno naturale ma incalzato
da una
causa che nessuno conosceva, né doveva conoscere…
Aveva amato suo padre, anche la sua severità. Si era fidato
di
Thor, di sua madre, dei domestici, di tutti coloro che sembravano
gentili e
premurosi, ma che alla fine lo avevano nutrito di falsità,
negandogli il
diritto di scegliere se portare con consapevolezza il suo ruolo di
estraneo
accolto nella famiglia reale e destinato, un giorno, al regno, o
rifiutarlo e
cercarsi un’altra strada, un’alternativa. Come
potevano pretendere di porre
fine alle bugie, se loro erano i primi a crearne?
“Cosa
sono, allora?”
“Sei mio figlio.”
Senza
volerlo, i suoi occhi incrociarono quelli della sua immagine
riflessa, incisa nel cielo notturno di Asgard come un ritratto sospeso
nell’aria. Il viso era tornato chiaro, gli occhi da rossi
erano verdi, ma ciò
che si nascondeva nella sua anima fuori non si vedeva.
In fondo, aveva sempre pensato di essere diverso da chi lo
circondava, solo che la sua parte più fragile non aveva mai
voluto saperne di
accettarlo.
Increspò appena le labbra, imitato dal suo riflesso, ma non
si
trattava di un vero sorriso: era piuttosto una reazione spontanea dei
suoi
pensieri, che prendevano forma senza che se ne accorgesse.
"Eri
un bambino
innocente…."
Non era più quello di una volta, il bambino che
dipendeva dagli
altri, che cercava senza tregua un po’ di sicurezza nelle
braccia dei suoi familiari.
Aveva dimenticato ciò che era. Ricreato un nuovo
sé che, per quanto gli fosse
in qualche modo estraneo, per quanto lo spaventasse, rappresentava il
vero
volto del suo cuore.
Alzò una mano, ricordandone il colore bluastro.
Cos’altro era, se
non un emblema del gelo?
Il ghiaccio era fuori, e dentro. Blu, scuro come i giorni senza
luce di Jotunheim, blu come la luce calma (solo in apparenza) del cubo
cosmico.
Blu, senza sole. Il sole che non gli spettava.
Guardò
di fronte a sé e sorrise, stavolta con la consapevolezza di
farlo. Ma a sorridere, ora, non era Loki Odinson.
Era Loki Laufeyson.
*****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Chi
mi conosce e segue le mie storie sa che sono di una
indecisione che rasenta il patologico, per cui, dopo aver abbozzato una
fanfiction, passano dalle due settimane ai mesi prima che decida
finalmente di
pubblicarla… e così è stato anche per
questa, che avevo in mente già da un po’
–
così come l’intera raccolta – ma a cui
ho deciso di dare una forma “definitiva”
solo ora. Diciamo che anche la sessione invernale di esami non mi ha
aiutata!
Anyway, questa fiction è il risultato di una serie di idee
che ho
abbozzato per una raccolta di one-shot dedicata a pairing e personaggi
singoli
di Thor, tutte ovviamente movieverse. Il primo capitolo sarebbe dovuto
essere
una ThorJane, ma per varie ragioni ho preferito iniziare con una shot
dedicata
ad un personaggio singolo, Loki appunto. Ho già due capitoli
pronti e un terzo
in cantiere, per cui, per una volta tanto, studio permettendo, non
lascerò a
secco con aggiornamenti millenari i miei (eventuali) lettori.
Per quanto riguarda questo capitolo, spero di non essere andata
OOC e di aver trasmesso almeno una parte dell’amore che provo
per Loki,
personaggio nel quale fin troppo spesso mi riconosco e che trovo
caratterizzato
molto bene, sia nel film che nel fumetto. Le parti in corsivo tra
virgolette si
riferiscono al discorso tra lui e Odino all’interno del film.
Il titolo invece
mi frullava in testa già da un po’, sollecitato
anche da varie fanart che
trattano l’accostamento Loki/gelo.
Ringrazio
la solita pazienza degli amici che mi leggono e mi
supportano, e TsunadeShirahime per
aver betato instancabilmente il capitolo che gli ho sottoposto, e per i
vari
consigli richiesti dal caso <3
Che dire… chiudo qui questo primo papiro! Come
sempre, critiche,
consigli, pomodori in testa e reclami/recensioni sono sempre benaccetti
:)
Nat
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