kishiyuki
Titolo:
A friend of mine said...
Sottotitolo(?): //
Rating:
Giallino. (?)
Genere: Angst, triste, generale.
Avvertimenti: Spoiler!, OOC, What if...?, Tematiche
delicate, Character death
Note:
Scusate se non traspiro gioia e amore, ma non sono dell'umore giusto.
Di recente -due giorni fa, per capirci-, una ragazza che conoscevo si
è suicidata, gettandosi dal settimo piano di un palazzo. Era
amica di mia cugina, e sebbene non la conoscessi così bene,
l'avrei definita una persona meravigliosa, simpatica, di quelle che ti
mettono allegria, voglia di fare, insomma. Ripeto: non era parte
importante della mia vita, ma è una cosa che comunque mi ha
uccisa un po' dentro. Ci sono rimasta un po' "spaesata",
voglio dire, non me l'aspettavo proprio. Questa è una shot
un po' ispirata alla sua storia. Non è una dedica o cosa, mi
sono semplicemente sentita ispirata per scriverla, ecco. D: Un'altra
cosa: nella shot, capisco che il finale può sembrarvi un po'
frettoloso, un po' tirato a caso, come se il mio obiettivo fosse solo e
unicamente quello di uccidere il personaggio. Non è
così -oddio, in parte sì-, l'ho fatto
semplicemente per esprimere anche il mio, di sgomento, nel sapere che
una persona allegrotta come questa ragazza si fosse suicidata. O
qualcosa del genere.
Anche perché di recente ho letto una fanfiction un po'
vecchiotta di Roby, dove Afuro affermava appunto che "Dopo una
delusione amorosa, è d'obbligo tagliarsi i capelli", e
quindi ho pensato subito alla Kidokawa, che in Go! è
allenata da Terumi. È stato tutto molto strambo,
effettivamente. Non saprei :'
Scusate se non modifico il carattere con il mio amato Courier, o con il
Bookman Old Style, ma non mi sento in vena. Non mi sento in vena di
fare nulla, scusate.
Sono consapevole che fa cagare. Quindi scusate. Ecco. (?)
- Caty
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« Un mio amico una volta mi aveva detto che quando
subisci una delusione d'amore, devi tagliarti i capelli. »
« Pfft, che cazzata. Non sei capace di farti un amico
intelligente, tu. » e spense la sigaretta buttandola a terra
e calpestandola « E poi cosa c'entra questo? »
« Non stavamo parlando di nulla, e mi è venuto in
mente. » Kishibe scrollò le spalle, sbuffando e
incamminandosi mettendo le mani in tasca « Anche se con te
non si noterebbe, li hai già corti. »
« Semplicemente, non farei mai una cazzata così
grande. Io non faccio mai stupidate, perché non mi si
addice. »
« Ma tagliarsi i capelli non è una stupidata.
» disse Taiga, appoggiandosi ad un palo mentre lo guardava
accendere un'altra sigaretta « Invece, fumare è
una stupidata. E tu fumi tantissimo. »
« Io decido di fumare nel pieno delle mie facoltà
mentali. Non è qualcosa che sono spinto a fare
perché ne ho voglia, ma perché... » e
poi niente. Il motivo rimase sospeso in aria, ma non perché
Yukimura non lo trovasse, semplicemente perché avevano
affrontato quel discorso già un milione di volte,
probabilmente, e nessuno ne era mai uscito vincitore.
Quindi, alla fine non gli importava, se Kishibe lo accettasse per
questo suo aspetto o meno. Non gli importava nemmeno di Kishibe,
onestamente. Non si era mai interessato così tanto
all'altro, lui aveva sempre preferito stare da solo, ma da quando era
stato selezionato per la nazionale giovanile giapponese e si era
trasferito a Tokio -da quasi tre anni, a pensarci bene-, Kishibe gli
era sempre stato appiccicato. Non era raro che venisse a trovarlo agli
allenamenti, lo riaccompagnasse a casa, cose che occasionalmente
potevano far piacere, ma che ripetutamente forse diventavano pesanti da
sopportare. Quel comportamento non lo irritava, ma in alcuni casi
poteva essere di impedimento al tranquillo scorrere delle sue giornate
libere, che già erano rare.
« Tu pensi che io dovrei tagliarmi i capelli, Yuki?
»
A
friend of mine said...
Yukimura entrò nell'appartamento sbattendo la porta e
bestemmiando. Non amava bestemmiare, ma c'erano momenti inspiegabili in
cui ne sentiva un irrefrenabile bisogno. Diede uno sguardo all'orologio
in cucina, scoprendo che segnava le due passate. Rabbrividì
all'idea di doversi svegliare alle otto, il giorno seguente.
Dopotutto non era nemmeno colpa sua, ma della parlantina irrefrenabile
di Kishibe, che quando trovava un argomento dove sentiva di poter
parlare ed espandere le proprie idee, era impossibile da frenare. E
Hyouga non aveva né la forza, né la voglia di
farlo. Non era nemmeno male, sentirlo parlare. Il più delle
volte lo faceva per dare aria alla bocca, o perché odiava il
silenzio, o per coprire l'odore della sigaretta quasi perennemente
accesa, tra le dieci di sera e la mezzanotte, tra le dita di Yukimura.
Sapeva che non avrebbe dovuto fumare, lui dopotutto era un calciatore e
rovinare i propri polmoni per un capriccio personale non era di certo
una gran bella idea. Ma c'erano periodi in cui fumava molto, e periodi
in cui non fumava. Kishibe lo sapeva, e per questo non lo obbligava a
nulla.
Non era più certo del rapporto tra loro due. A volte pensava
che fosse una specie di amicizia a senso unico, considerando che Taiga
era il solo ad impegnarsi per sostenerla, mentre altre credeva che
fosse qualcosa nettamente superiore ad un'amicizia. Non si era mai
arrovellato abbastanza da trovare una risposta, comunque, e non se ne
interessava.
Voleva farsi una doccia, ma non avrebbe avuto abbastanza tempo per
dormire. E in ogni caso, domani avrebbe sudato nuovamente agli
allenamenti.
Si sarebbe anche messo il pigiama, o perlomeno svestito, ma poi
pensò che l'indomani avrebbe anche dovuto toglierlo
nuovamente. Quindi decise di non cambiarsi, e nemmeno farsi la doccia.
Tentò di applicare lo stesso ragionamento al fatto che,
anche andando a dormire, il giorno dopo si sarebbe svegliato. Poi
decise che davvero non valeva la pena sprecare tempo pensando a
concetti di quel genere, e si abbandonò nel proprio letto
sfatto, prendendo sonno dopo pochi minuti.
* *
*
Lo vide posare le forbici. Scosse energicamente la testa, mentre Afuro
sospirava e andava a cercare una scopa per pulire il pavimento dai
ciuffetti viola che giacevano, inermi e recisi, a terra. Kishibe si
fissò per un altro attimo allo specchio. Non era
tanto male, in fondo.
Erano passate due settimane dal giorno in cui Kishibe aveva citato il
suo allenatore, quella sera, in compagnia di Yukimura. Solo dopo due
settimane era riuscito ad invitare Terumi a casa sua per farsi dare una
generosa sputatina ai capelli.
« Sembri un po' Shirou. » disse d'un tratto il
biondo, poggiandogli le mani sulle spalle « Oh, scusa. Non
l'ho nemmeno fatto apposta. »
« Be'... » cominciò Kishibe, passandosi
una mano sul collo e sfiorando le mani dell'allenatore, cominciando a
percepire il freddo dovuto alla mancanza di tutti i capelli che solo
poche ore prima gli ricadevano intorno al collo e sulle spalle
« Un pochino, forse. » effettivamente, una certa
somiglianza c'era. Il ciuffo centrale della frangia si era accorciato
notevolmente, fino a diventare quasi inesistente. I capelli che gli
scendevano sulla schiena non c'erano più, e ora i ciuffetti
più lunghi gli ricoprivano a malapena la nuca. Per il resto
non era cambiato di molto, sebbene la differenza tra prima e dopo fosse
decisamente radicale.
« Bene! » si alzò in piedi, ridendo
« Yukimura ha quasi finito gli allenamenti con la nazionale,
quindi mi devo affrettare! Grazie ancora! » gridò,
mentre si infilava velocemente un paio di scarpe da ginnastica e una
giacca a vento, correndo fuori.
Terumi rimase un po' a fissare la porta chiusa, prima di aprire uno dei
cassetti del bagno per mettere via il pettine, e trovare svariate
lamette.
E non erano da rasoio,
no.
* *
*
« Che diavolo hai fatto ai capelli adesso? »
« Li ho tagliati, ovvio! Non ti ricordi che ne abbiamo
parlato due settimane fa? »
« Ah sì, certo. » anche se ovviamente
Yukimura non aveva memorizzato una sola delle innumerevoli parole che
Kishibe aveva detto solo la sera prima, figurarsi addirittura durante
un lasso di tempo lungo due settimane. Impossibile, inconcepibile.
Incredibile. Non poteva esistere un essere vivente capace di
memorizzare le cazzate in formato di flusso infinito di Kishibe Taiga,
no, era semplicemente e naturalmente inesistente.
« Ma allora, mi stai ascoltando? »
« Cosa? In realtà no. » Kishibe
sbuffò, infastidito dalla sua risposta.
« Stavo dicendo che se oggi non sei troppo stanco potremmo
andare a pranzare al parco, no? Voglio proprio sentire com'è
il freddo sul collo! Non ho mai avuto i capelli corti, io, sai.
»
« Capito. »
« Dunque? »
« Dunque cosa? »
« Oh, andiamo! » Taiga gli diede uno schiaffo sulla
nuca, ridendo.
« Non lo so, è che ieri non ho dormito molto bene.
»
« Di solito i discorsi che cominciano così
finiscono sempre con un "no". Quindi dimmi, hai voglia oppure no?
Guarda che ci vado anche da solo, tranquillo. »
« Domani i tuoi capelli saranno già
così lunghi da coprirti il collo e arrivarti fino al culo?
»
« Ma oggi sono più entusiasta, Yuki. »
« Kishibe, io--»
« Non fa nulla, non fa nulla. »
cantilenò, fermandosi sul marciapiede « Allora io
vado a casa e poi al parco. Ci vediamo presto? »
« Ma sì, ma sì. »
sospirò Yukimura. L'aveva scampata, per quel pomeriggio, sia
da Tenma che da Kishibe. Si prospettava il letto, una volta tornato a
casa.
« Allora ciao. » disse Kishibe, voltandosi e
attraversando la strada di corsa, dato che il rosso sarebbe scattato a
breve. Yukimura pensò che fosse triste, non poter ricevere
nemmeno la solita frustata dai capelli lunghi dell'altro. Era come se,
d'improvviso, qualcosa fosse stato reciso, oltre ai capelli.
« Sì, sì... Ciao. »
* *
*
« Pronto? »
« Yukimura? Dimmi che Kishibe è con te, ti prego.
»
« Cosa... Afuro senpai? Perché? No, è
andato via da solo dopo gli allenamenti di stamattina, voleva andare al
parco, credo... Forse no. Insomma, non lo ascoltavo molto. »
Ci fu qualche secondo di silenzio, dall'altra parte. Sentì
Afuro trasalire, e una lieve esclamazione del suo ragazzo.
Com'è che si chiamava? Non aveva mai fatto attenzione
nemmeno a quello.
« Senti Yukimura: il fatto è che non è
ancora tornato a casa e non risponde nemmeno al cellulare. E tu sai che
ore sono, vero? Le nove. Non penso che sia rimasto al parco tutto il
pomeriggio, se è andato lì davvero. »
« E io cosa c'entro con questo? »
« Sei il suo migliore amico, idiota! » la voce meno
pacata del ragazzo che era in compagnia di Terumi lo fece trasalire.
Era decisamente meno dolce, della sua, decisamente « Scompare
così, e tu te ne freghi? Ma che razza di idiota sei?!
»
« Ha diciotto anni, e tra non molto ne compie diciannove. Non
credo che sia il caso di istituire una squadra di ricerca.
Sarà andato a trovare Shindou, che ne so... »
« Yukimura. »
« Cosa? » sentì che la voce di Afuro era
diventata leggermente più dura rispetto ai suoi naturali
canoni.
« Yukimura, oggi gli ho tagliato i capelli... E quando ho
rimesso in ordine tutto quanto, lui era già uscito. Ho
aperto un cassetto per mettere via il pettine, sai cosa c'era dentro?
» silenzio. Teso, orrendo silenzio « Lamette. E
alcune erano sporche. Sai di che cosa, Yuki? - si sentì
irritato dal nomignolo, quel soprannome lo poteva usare solo Kishibe -
Sangue. Sangue scuro. Sai cosa significa, Hyouga? »
Yukimura era ammutolito. Lasciò cadere le bacchette che
teneva nella mano destra, spalancando gli occhi. Mormorò un
veloce "grazie, ciao", prima di spegnere la chiamata e comporre alla
velocità della luce il numero del suo amico.
Se solo lo avesse ricordato a memoria. E invece doveva scorrere la
rubrica, cercare la lettera "k", selezionare il suo nome, e poi
chiamarlo. Secondi sprecati. Che magari avrebbero anche potuto salvarlo.
« Rispondi. Rispondi. Razza di imbecille, rispondi.
» ma niente. Il solito "messaggio gratuito" lo informava che
il cellulare del suo amico
era spento o irraggiungibile.
Cominciò a mordicchiarsi le unghie, mentre ancora con il
cellulare premuto sull'orecchio pensava a cosa fare. Intanto i titoli
del telegiornale scorrevano sullo schermo della televisione,
inarrestabili.
I caratteri correvano veloci, bianchi, illeggibili in quel momento.
Poi, un kanji particolarmente familiare attirò la sua
attenzione. Poi un altro. Un altro. Un altro. L'ultimo. Erano cinque in
tutto, i caratteri che componevano il nome del suo amico, migliore
amico, ragazzo con il quale non aveva un rapporto ben chiaro.
Sgranò gli occhi, lasciando che il cellulare gli scivolasse
di mano e cadesse a terra, incrinando lo schermo.
Sette piani. Si era gettato dal settimo piano di un palazzo, solo
un'ora prima. Rimase lì, fermo, in piedi e con una mano tra
i capelli, chiedendosi semplicemente perché.
E intanto, il cellulare vibrava, vibrava, vibrava.
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