F U T U R E
Classe
III-C, ultimo banco della fila che costeggiava la
finestra.
Un
cliché niente male, considerando quanto fosse
paradossalmente atipica la persona
che vi sedeva.
«Hai
deciso a che scuola andare, Saru?»
Saruhiko
sollevò lentamente lo sguardo: davanti a lui,
invadente come sempre, c’era Misaki Yata, suo unico amico da
quando poteva serbare memoria; sedeva al contrario
sulla sua sedia, voltato verso di lui, mentre giocherellava con le
bacchette
tra le mani.
Era
l’ora di pranzo e, dato che sul tetto della scuola
faceva troppo freddo, ormai, avevano preso
l’abitudine di adattarsi a mangiare in classe, insieme agli
altri
compagni. La fine dell’anno era alle porte e, per la prima
volta da aprile,
Misaki gli rivolgeva quella domanda, così,
all’improvviso.
Per
un attimo, si chiese per quale motivo gli fosse venuto
in mente proprio in quel momento.
«Non
ho intenzione di proseguire gli studi» disse
semplicemente, prendendo a mangiare con tranquillità. Il
rosso, al contrario,
accolse quella risposta con la sua caratteristica esagerazione:
sgranò gli
occhi, sconvolto.
«EEEH?!
Scherzi?!» esclamò infatti, poggiando le mani sul
banco e balzando letteralmente in piedi. Inutile dire che i pochi che
erano
rimasti in classe caddero in un imbarazzante silenzio, troppo presi a
lanciare
loro occhiate strane, come sempre. Aveva la strana impressione che i
loro
compagni di classe li considerassero ancora peggio di quanto lui
facesse con
loro, con quella sottospecie di massa senza cervello.
Idioti.
Saruhiko
sospirò. «Sono serissimo. Non mi pareva di
essere famoso per il mio senso dell’umorismo».
Misaki mugugnò qualcosa in
risposta, come faceva sempre quando non sapeva bene come replicare
senza, però,
dargliela vinta.
«Ma
perché, scusa? Voglio dire, sei… Mh, ecco,
sei…»
«Intelligente?»
concluse la frase per lui.
«Non
proprio» mugugnò l’altro, in fretta
– perché non
poteva certo fargli un complimento, nossignore. «Ma sveglio
sì! Cioè, se non
fosse stato per te, io--».
«Saresti
bocciato ripetutamente per tutti gli anni delle
medie?»
«NON
SONO COSI’ STUPIDO» si scaldò subito il
più basso,
quasi rovesciando il banco dalla rabbia. Saruhiko gli gettò
un’occhiata
scettica. «V-Va bene, forse non sarò
un
genio, ma neanche così cretino!»
«Sono
sconvolto dalla notizia».
«TI
AMMAZZO» ringhiò, rosso in faccia.
Saruhiko
accennò un sorriso fugace, per poi tornare alla
sua solita espressione neutra. Misaki gli diede immediatamente le
spalle,
incrociando le braccia e borbottando per conto suo per almeno cinque
minuti.
Fushimi, per tutta risposta, poggiò il volto sul palmo della
mano e lasciò che
il suo sguardo si perdesse al di fuori della vetrata. Era una stupida e
banale
mattina di inizio inverno, uguale a tante altre che erano passate,
uguale ad
altre che ancora sarebbero giunte in futuro.
Eppure…
Quello era, in effetti, uno degli ultimi giorni
che passava nella stessa classe con il piccoletto che adesso si
ostinava a
tenergli il broncio. Di certo
sarebbero
rimasti insieme, ma non
così. Non a scuola.
Quel
pensiero lo colpì con una violenza tale che, per un
attimo, si sentì confuso. Non aveva mai considerato la
possibilità che quei
giorni potessero finire e, adesso, era ad un passo dalla loro
conclusione.
Fu
solo per una frazione di secondo, ma il futuro lo
terrorizzò.
«…
Non capisco davvero, Saruhiko» riprese
all’improvviso
Misaki, ancora ostinato abbastanza da dargli le spalle. Il moro lo
guardò con
la coda dell’occhio, schioccando la lingua, finalmente libero
dai suoi
pensieri.
Se
gli avesse detto la vera motivazione per cui non
intendeva proseguire gli studi, quello si sarebbe montato la testa,
sicuramente. E non era neanche sicuro che avrebbe potuto capirlo.
«Non
mi va e basta. La scuola è una rottura» rispose.
“Tu
mi lasceresti indietro” pensò, scocciato, tornando
a
guardare il monotono paesaggio che li circondava.
«Quindi…
Che cosa farai?» chiese, esitante. «Entrerai
nell’Homra anche tu?» Si era voltato. Lo stava
guardando, pieno di speranza,
con quegli occhi dorati così vivi, espressivi, animati da un
vero e proprio
fuoco di gioia. Un ardore che raramente aveva visto nei suoi occhi,
nonostante
fossero sempre così accesi.
Già,
l’Homra. A dir la verità l’idea non gli
andava molto
a genio, ma pareva che per Misaki quella storia fosse divenuta una vera
e
propria ossessione.
Era
iniziato tutto per una coincidenza, per una stupida
bottiglia lanciata per aria. Da quando avevano incontrato quei tizi
– che
sembravano una gang di teppisti, a dirla tutta – per puro
caso, sembrava che
qualcosa, in lui, fosse cambiato. Inizialmente, non aveva prestato loro
troppa
attenzione; ne avevano parlato qualche volta e Saruhiko aveva notato
come, al
solito, Misaki facesse finta che non gli importasse di quella storia,
che
quelli erano solo
palloni gonfiati,
che sicuramente non avevano proprio un bel niente da offrire.
Lentamente,
però, prima che Saruhiko potesse rendersene
conto, quella curiosità era divampata come un fuoco che
viene alimentato dal
vento: sempre più spesso, Misaki insisteva con il passare da
lì, voleva
sbirciare – “Secondo te come sarà
dentro?”, “Ma è davvero un
bar… ?” – e, senza
accorgersene neanche, avevano cominciato a conoscere i membri di quella
strana
banda di perditempo.
Forse
un po’ meglio dei loro compagni di classe, ma
niente di speciale.
Così,
invece della solita sala giochi, del marciapiede, di
uno dei loro appartamenti, avevano cominciato a rifugiarsi
lì e, in Misaki,
l’idea di entrare a far parte di quella che sembrava a tutti
gli effetti
un’assurda famiglia allargata, si era fatta sempre
più probabile. Saruhiko,
ormai, passava i pomeriggi seduto al suo fianco, senza avere il minimo
interesse a proferir parola – perché non
c’era il suo amico a costringerlo a
parlare; adesso aveva altra gente, con cui avere a che fare.
Quello
che lì sembrava il vero capo,
Kusanagi – che era, a tutti gli effetti, un barista
– li
aveva avvertiti che, per entrare ufficialmente a far parte di quel
gruppo,
avrebbero dovuto almeno concludere l’anno scolastico.
“Il re non si prende
responsabilità sui mocciosi”, aveva detto.
Già,
il re. Suoh Mikoto, in tutta la sua fama – Saruhiko
non l’aveva mai visto usare il suo potere ma tutti,
all’interno di quello
strano bar, sembravano provare un rispetto quasi riverenziale nei suoi
confronti. E lui, più di tutti, sembrava aver interessato
Misaki che, non
appena entrava nel locale, chiedeva dove fosse Mikoto-san.
Non
poteva permettergli di andare là da solo –
l’avrebbe
perso sicuramente, in quel modo. Quindi al diavolo gli studi, la
scuola, la sua
decantata intelligenza che, in quei momenti, non gli serviva a nulla.
«Mh»
si limitò a dire, senza avere il coraggio di
guardarlo negli occhi.
Perché,
si chiese, lui non gli bastava più?
«Lo
sapevo!» esclamò felice Misaki, balzando in piedi,
in
una sorta di strampalata esultanza. Saruhiko sospirò, mentre
il resto della
classe tornava a guardarli con una certa diffidenza. Difficilmente gli altri si
avvicinavano a lui e, dal
secondo anno, avevano cominciato ad evitare anche Misaki – ma
lui non sembrava
risentirne particolarmente: in primis, aveva grossi problemi a
dialogare con le
ragazze; per il resto, riusciva ad andare d’accordo
più o meno con tutti,
quando lui non era nei paraggi.
Forse,
per tutto quel tempo che era stato costretto a
rimanere al suo fianco, Misaki aveva cominciato a soffrire la mancanza
degli
altri… ?
«Non
vedo l’ora» Aggiunse il rosso, entusiasta,
stringendo il pugno e tendendolo verso di lui. Il suo sorriso era
così
splendente e fiducioso che, per un attimo, Saruhiko temette di poterne
essere
accecato: Misaki brillava di luce propria. Misaki era luce.
«Sarà un nuovo inizio, per noi, eh?».
Saruhiko
ricambiò debolmente, senza troppa convinzione,
quella sorta di saluto amichevole. Sembrava che stessero quasi
suggellando un
patto, quello di rimanere insieme. Almeno, quella era l’unica
cosa di cui
poteva essere certo.
Sorrise
appena. «Sicuro».
«Fushimi».
La voce del tenente Awashima era sempre il
metodo peggiore per risvegliarlo sul lavoro.
Il
ragazzo mormorò qualcosa a bassa voce, scocciato,
sistemandosi gli occhiali sul naso e sollevando lo sguardo verso
l’unica donna
degli Scepter 4. «Non dovresti star ultimando i rapporti
sull’attività degli
Strain individuati negli ultimi due mesi?».
«Dovrei»
replicò riluttante Saruhiko, sbadigliando. Lo
sguardo appannato dal sonno tornò ad incrociare la schermata
luminosa del computer,
piena di scritte che, al momento, faticava a mettere a fuoco.
«Fallo,
allora» lo rimproverò sbrigativa la donna,
allontanandosi dalla sua scrivania.
Il
moro schioccò la lingua, chiaramente in disappunto,
cercando di riprendersi da quella dormita fuori programma. Odiava gli
straordinari per un motivo, dopotutto.
«Stai
studiando per il diploma, Fushimi?» Ci mancavano
solo i sottoposti ficcanaso…
«Non
ne ho bisogno, lo prenderò» mugugnò,
tornando a
scrivere velocemente sulla tastiera.
In
fondo, lui, era un tipo sveglio.
--------------
Cosa
dire al riguardo se non... Boh? L'ho scritta di getto, quindi suppongo
non sia granché-- Insomma, spero piaccia, almeno a qualcuno.
*cries.
Finalmente ho scritto qualcosa dal punto di vista di Saruhiko. E'
abbastanza ilare il fatto che ci abbia messo così
tanto...
Vabbè. LOL. Hope you like iiiit~
|