-UN VECCHIO PALLONE BUCATO-
Guardo l'ora sul cruscotto della macchina. Sono le
zerozero:ventitrè, cioè mezzanotte e venticinque quasi.
Mamma mia quanto abbiamo fatto tardi in quel ristorante, quando ce ne
siamo andati il proprietario è venuto a salutarci in pantofole e
cuffietta con il ponpon in testa. Comunque bel ventiduesimo compleanno,
anche la nostra amica Gianna si è unita al club V.U.S, alias
'Ventiduenni Universitari Squattrinati'.
Ho bevuto troppo... il mio non si può definire bere: bicchiere
pieno di acqua frizzante e un dito di vino bianco, ma dopo una
quindicina di bicchieri non sono più tanto ragionevole. Comunque
riesco benissimo a guidare, l'euforia mi è passata e un
caffè lungo ha messo la ciliegina sulla torta della
lucidità mentale parziale.
Mi metto alla guida, rassicurando i miei due accompagnatori, o meglio,
le mie due accompagnatrici che sono in grado, anche se poco più
lontano dal parcheggio campeggia la pubblicità progresso contro
chi guida in stato di ebrezza... Non mi ricordo bene la strada, davanti
a noi la nostra guida, mio fratello, anche lui al compleanno di Gianna
come noi. Le strade buie, tra le campagne, incutono un certo timore in
me: ogni tanto un gatto, una piccola volpe o un riccio ci tagliano la
strada e rallentiamo accuratamente per evitare di danneggiare le loro
simpatiche vite. Sono abituata a guidare di notte, ma cerco sempre di
mantenere un certo controllo sulle mie emozioni, sono molto
impressionabile e un semplice gatto che spunta tra le frasche accanto
alla strada mi fa sempre sobbalzare dalla paura.
"Ma a quanto va quello scemo!", esclama Sara, la ragazza seduta accanto a me.
"Ora gli sfareggio un po', così capisce.", dico io.
Presto la strada su cui siamo si ricollega con una via che conosco molto bene.
"Chi sono questi?", mi chiede Rachele, la ragazza seduta sul sedile
posteriore, riferendosi alla musica che usciva dalle casse dello stereo.
"Sono un gruppo americano, non penso che tu li conosca. Si chiamano Fall Out Boy, ma ho solo questa canzone."
"Ah, comunque la canzone mi piace.", risponde, "L'hai presa da internet?"
"Sì, mi piacerebbe anche prendere l'intero album, ma senza adsl sarà difficile.", faccio io.
"Già, non so come fate voi. Io non vivrei senza adsl!", dice
Sara, che vive fortunatamente in un posto dove la linea veloce arriva
senza problemi. Da me, invece, niente, ancora siamo all'età dei
computer con il criceto che gira all'interno.
"Gli altri che erano al compleanno?", chiedo io.
"Devono essere molto più avanti di noi, comunque ci troviamo
tutti a casa di Gianna e poi decidiamo dove andare.", mi risponde
Rachele.
"A quest'ora?!? Ma è tardi per andare ovunque!", fa Sara, che già aveva sbadigliato almeno una decina di volte.
"Infatti, avremmo già dovuto essere al Portorico alle undici.",
dico io, riferendomi al locale in cui volevamo concludere la serata
fino a qualche ora prima, quando avevamo capito che la serata sarebbe
andata per le lunghe.
Sento che il motore sta perdendo giri ma non ne sono sicura, con la
musica accesa ho sempre problemi a capirlo, così di una rapida
occhiata all contagiri e vedo che sono sotto i millecinquecento e scalo
in quarta.
"L'hai visto anche tu Tea?", mi chiede Sara.
"Visto cosa?"
"Boh... non lo so, ma sembrava uno, in quella piazzola sterrata che abbiamo appena passato."
"Io non ho visto niente, stavo guardando il cellulare.", dice Rachele.
"E che c'era di strano?"
"Sembrava... non lo so..."
Al che vediamo che mio fratello, che ci distanziava di una ventina di
metri, si ferma in uno spiazzio sulla destra. Metto la freccia e mi
accodo a lui, vedendolo scendere di macchina.
"L'avete visto anche voi?", ci chiede, mentre abbassavo il finestrino.
"Io l'ho visto, ma loro no.", dice Sara, che iniziava ad essere nervosa.
"Ma cosa?", chiedo io.
"Uno... un signore... in quella piazzola.", fa mio fratello, tornando in macchina e facendo inversione in pochi secondi.
Io riesco ad immettermi sulla carreggiata opposta prima di lui. Sara
sta iniziando a dire che aveva paura e mi chiede di inserire le sicure
alle portiere. Cerco di tranquillizzarla meglio che posso. Alzo i fari.
Anche se era notte fonda, senza luna, i fari riescono ad illuminare una scena agghiacciante.
Un uomo, una corda. Si è impiccato al grosso albero che
costeggiava la strada. Sotto di lui, una sedia rovesciata foderata di
rosso. Un cappuccio sulla sua testa.
"Cristo santo!", grido io. Con la poca lucidità che mi rimane metto la freccia e mi accosto.
"Non scendere! Non scendere!", mi grida Sara.
"Cazzo! Oh mio Dio! Massimo sta scendendo di macchina!", mi urla Rachele dentro un orecchio.
"Massimo! Torna in macchina! Chiamiamo in carabiniere e l'ambulanza!", gli dico io, abbassando il finestrino.
"Ma può essere sempre vivo!", fa lui, che stava già attraversando la strada.
"Cazzo!", dico io, in piena crisi di panico. Afferro il cellulare di Sara e compongo il centotredici.
"Pronto intervento?", dice il carabiniere all'altro lato.
"Pronto? Sono a metà strada tra Serina e Montana, non so che via
sia, comunque c'è...", cerco di dire, con voce tremante,
"C'è un signore impiccato ad un albero!"
"Ne è sicura?", mi domanda lui.
"Certo che sì!", grido io, cercando comunque di mantenere la
calma, "Mio... mio fratello sta cercando di avvicinarsi per vedere se
è sempre vivo!"
Nel frattempo sento un urlo agghiacciante. Lascio perdere per un attimo il telefono e esco rapidamente di macchina.
"Massimo!", grido.
Lo vedo girare intorno al corpo dell'uomo. Con le lacrime agli occhi cerco di mettere a fuoco l'immagine.
"Tea, rimani lì!", mi dice.
"Tea!", mi gridano le mie amiche.
Sembra una vita quell'attimo trascorso attraversando di corsa la
strada. Nel frattempo una macchina, che veniva alla mia sinistra, si
accosta dietro alla mia.
"Cazzo!", esprimo ancora, di fronte al corpo appeso all'albero.
"E' finto... è un manichino...", mi dice mio fratello, mettendosi le mani nei capelli. Anche lui sta tremando.
"Che cazzo dici?"
"Guarda...", mi fa lui, indicando la testa, "C'è un pallone sotto il cappuccio."
Uno scherzo... era uno scherzo...
In un momento la mia crisi di panico si trasforma in una crisi
isterica. Afferro la corda, legata sapientemente al tronco dell'albero
e inizio a tirarla con tutte le mie forze, augurando a gran voce a quei
disgraziati che avevano architettato quello scherzo di merda tutti i
peggiori mali e sofferenze di questo mondo...
Nel frattempo, le mie amiche capiscono che è tutto uno scherzo,
scendono di macchina e mi raggiungono per cercare di calmarmi. Altre
macchine si erano fermate a vedere la situazione, anche loro attirate
da quel corpo attaccato ad un filo. Ulteriori disgrazie furono
indirizzate a chi ce lo aveva messo.
Si può fare uno scherzo del genere?
Evidentemente sì, perchè questo è una storia vera,
che ho vissuto io in prima persona e spero che nessuno nella vostre
città faccia mai cose del genere. E' stato terribile.
E se ci fosse stata davvero una persona, sotto a quel cappuccio, invece che un vecchio pallone da calcio bucato?
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