L'amore
fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue,
inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue.
WILLIAM SHAKESPEARE,
Le
allegre comari di Windsor
Era un palazzo come tutti gli altri.
Alto cinque piani, scandito da finestre a ghigliottina, dall'aria
vecchia e trascurata, ma
solida. La pioggia colpiva la facciata, lasciando ampie chiazze qua e
là, e sembrava lavare via il rosso sbiadito dei mattoncini
che
rivestivano l'edificio. Un tempo doveva essere stata la dimora di una
famiglia
appartenente alla buona società, come suggerivano alcuni
dettagli: la ringhiera in ferro battuto della scala decorata da curve e
ghirigori, gli spigoli dei gradini di pietra elegantemente stondati, la
forma elaborata della maniglia del portone, le raffinate lampade in
vetro e ferro appese ai lati dell'ingresso, ormai sporche, malconce e
arrugginite.
Il n. 85 di Charles Street¹ non aveva proprio niente di
speciale.
Eppure, quell'uomo era lì, sul marciapiedi opposto, a
fissarlo
da un pezzo, con un'espressione stranissima: era come se stesse
osservando qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, come
se avesse davanti un cataclisma naturale che ti toglie il fiato per la
bellezza e la paura contemporaneamente. I suoi occhi sgranati, di un
azzurro intenso e limpido, erano carichi di gioia e di aspettativa, ma
le labbra serrate in una linea dritta e dura rivelavano un doloroso
tormento interiore. Qualunque cosa vedesse in quella vecchia palazzina,
simile a mille altre del West Village, doveva essere molto importante
per lui.
Se ne stava fermo sotto la pioggia, privo di ombrello e incurante degli
abiti e dei capelli che si infradiciavano. Aveva un aspetto piuttosto
trasandato: indossava dei jeans, una camicia di flanella, scarponi
logori e una giacca di pelle che sembrava averne passate parecchie. In
spalla portava una vecchia borsa di tela verde punteggiata da gocce di
pioggia. I pochi passanti che percorrevano quel tratto di strada gli
gettavano occhiate rapide, a volte curiose, a volte indifferenti, a
volte vagamente preoccupate. Chi gli passava davanti e poteva guardarlo
in viso si accorgeva che in realtà era ancora un ragazzo:
probabilmente non aveva più di venticinque anni. Ma lui non
notava nulla. Sembrava consapevole soltanto dell'edificio che aveva
davanti.
All'improvviso si mosse. Molto lentamente, attraversò la
strada,
senza preoccuparsi di controllare che non ci fossero auto in
arrivo, raggiunse l'altro marciapiedi e, dopo aver esitato
ancora
per qualche secondo, salì i gradini con passo incerto. Il
portone era solo accostato e l'uomo aveva già teso una mano
tremante verso la maniglia, quando la porta fu spalancata di colpo
dall'interno. Qualcuno fece per uscire, ma trovandosi di fronte un
ostacolo si bloccò con un lieve sussulto. Era una
giovane
donna, bionda, minuta, con indosso una tuta da ginnastica e un
impermeabile grigio scuro; dal collo pendevano delle cuffiette.
«Oh!» esclamò, sorpresa alla vista
dell'uomo.
Lui la fissò altrettanto stupito. Sembrava che stesse
guardando
un dinosauro o qualcosa del genere. «Mi scusi»
mormorò,
facendosi da parte.
La ragazza varcò il portone rivolgendogli un sorriso educato
che
lo sconosciuto non notò affatto. La sua aria smarrita la
incuriosì. «Cerca qualcuno?»
indagò con tono
gentile.
Il giovane esitò un poco, infine rispose, focalizzando
finalmente l'attenzione sulla sua interlocutrice.
«Veramente...
io... sì. Sto cercando...». Tacque all'improvviso
e alla
ragazza parve che volesse pronunciare un nome senza riuscirci.
Inarcò le sopracciglia, mentre lui deglutiva nervosamente.
«... la signora Fray» aggiunse.
«Ah, Jocelyn?» esclamò la biondina,
sorridendo. «Certo,
abita qui. Quinto piano. Niente ascensore, purtroppo».
Lui rimase impassibile. Si limitò ad annuire.
«Grazie».
«Di nulla».
La ragazza scese i gradini, poi voltò la testa per
lanciargli
un'ultima occhiata curiosa, prima di infilarsi le cuffiette nelle
orecchie, tirarsi sulla testa il cappuccio dell'impermeabile e iniziare
a correre a ritmo sostenuto.
L'uomo entrò, chiudendosi la porta alle spalle, e
iniziò
a salire lentamente le scale buie, strette e con il tipico odore degli
ambienti chiusi. Gli sudavano i palmi delle mani, aveva la sensazione
che le gambe lo reggessero a malapena e che il cuore potesse
scoppiargli nel petto da un momento all'altro, tanto batteva veloce.
Continuò a salire fino in cima e, giunto sull'ultimo
pianerottolo, si trovò davati un'unica porta chiusa. Si
avvicinò barcollando. Dall'interno proveniva il tipico
vociare
della televisione. Sembrava che qualcuno stesse guardando un cartone
animato. La targhetta era bianca, ma sollevò comunque il
braccio, sentendolo pesantissimo, e bussò. Poi rimase in
attesa,
ascoltando il battito martellante del suo cuore nelle orecchie.
Udì un rumore di passi leggeri e veloci e una voce
di
donna.
«Clarissa!»
La riconobbe all'istante e si sentì morire. Era lei.
Jocelyn. Fu preso dallo spasmodico desiderio che quella porta si
aprisse.
All'interno, qualcuno stava armeggiando goffamente con la maniglia,
come se avesse difficoltà. Poi ci fu uno scatto e la porta
si
schiuse appena, lasciando uscire una lama di luce che tagliò
il
buio del pianerottolo e ferì gli occhi dell'uomo. Finalmente
la
porta si spalancò con un cigolìo. All'inizio
credette che non ci fosse nessuno. Poi abbassò lo sguardo e
incontrò quello attento di una bambina. Era minuta,
così
piccola che arrivava a malapena alla maniglia a cui era aggrappata, con
due ricche treccine rosse alte sulla testa e gli occhi verdi dal taglio
leggermente allungato. Guardò il suo viso, piccolo e un po'
spigoloso, e inspiegabilmente fu come se qualcuno gli avesse tirato un
pugno nello stomaco. Era mezza nascosta dietro la porta, forse un
po' intimidita, ma fissava il nuovo arrivato con aria curiosa.
«Sei uno sconosciuto?» domandò, la
vocetta sicura e squillante.
Lui aprì la bocca per rispondere, ma gli uscì
soltanto un suono indistinto. «Ehm...»
In quel momento una giovane donna sbucò precipitosamente nel
corridoio da una porta sulla destra.
«Clarissa!» sbottò, con il tono
spazientito di chi
sta
pronunciando una frase che ha già ripetuto mille volte.
«Quante volte ti ho detto che non devi aprire la porta se
non...»
Quando scorse l'uomo sulla soglia, si fermò come se avesse
sbattuto contro un muro e spalancò i grandi occhi blu. Le
sue
mani e la vecchia salopette di jeans che indossava erano coperte di
chiazze di pittura di vari colori e aveva perfino una lieve striscia
bianca sulla guancia sinistra. I lunghi capelli rossi e ricci erano
raccolti in uno chignon disordinato. Non si mosse, nè disse
una
parola. Fissava l'uomo con un'espressione di autentico shock in viso.
Anche lui taceva, mentre i suoi occhi schizzavano come impazziti da un
punto all'altro del viso della ragazza, avidi di ogni dettaglio.
Forse spaventata dalla reazione della madre, la bambina
indietreggiò, la raggiunse e si aggrappò alla sua
mano
quasi nascondendosi dietro di lei. La donna sembrò non
accorgersene nemmeno.
«Pensavo che fossi morto» esalò
all'improvviso con un filo di voce.
Nel sentirla parlare, lui sorrise in modo strano, quasi disperato, come
un condannato a morte al quale giunge un'inaspettata salvezza. Come se
gioia e dolore lottassero furiosamente dentro di lui senza che l'una
riuscisse ad avere la meglio sull'altro.
«Lo ero» mormorò.
«Allora non sei uno sconosciuto» esclamò
la bambina,
rompendo il silenzio. Continuava a sbirciare verso di lui da dietro la
madre con l'aria di chi si aspetta una spiegazione da un momento
all'altro.
Soltanto allora gli altri due sembrarono ricordarsi di lei. Lui
abbassò lentamente lo sguardo, osservandola con espressione
indecifrabile, mentre Jocelyn si riscosse, si girò e la
prese in
braccio.
«Andiamo di là, tesoro»
disse, a voce bassa.
Lanciò un'occhiata all'uomo, ancora impalato sulla soglia,
distogliendo subito lo sguardo. «Aspettami in cucina, per
favore».
Percorse velocemente il corridoio, stringendosi la bambina al petto. La
piccola non staccò gli occhi dall'uomo neanche per un
secondo,
osservandolo oltre la spalla di sua madre, finchè non
scomparvero varcando la porta da cui era arrivata Jocelyn. E anche
dopo, lui continuò a sentirsi addosso quello sguardo e la
sensazione di qualcosa che lo colpiva allo stomaco. Chiuse la porta e
si addentrò nell'appartamento, un po' esitante. Ai lati del
corridoio stretto e buio si aprivano due porte: quella di sinistra dava
su una piccola cucina, quella di destra su un salottino. Lì
era
entrata la ragazza. Si fermò sulla soglia e
guardò
dentro, con discrezione, ma senza riuscire a resistere a quell'impulso.
Jocelyn aveva messo la bambina a sedere sul pavimento, davanti a un
basso tavolino ricoperto di fogli, matite e pastelli. La televisione
era accesa e trasmetteva un cartone animato.
«Stai qui, Clary, va bene? Continua a disegnare»
stava
bisbigliando Jocelyn, accarezzando i capelli della figlia.
«Io sono
di là, se hai bisogno di me arrivo subito. Però
non
muoverti se non è necessario, okay? Me lo
prometti?»
L'uomo vide la testolina rossa annuire. «Sì,
mamma».
«Brava, piccola».
Jocelyn si alzò.
«Mamma?»
«Sì, amore?»
«Chi è quello?»
La donna dava le spalle alla porta e lui non poteva vederne il viso, ma
l'amarezza della sua voce gli disse tutto.
«Nessuno» rispose. Poi
prese il telecomando per alzare un po' il volume della televisione.
Altro pugno nello stomaco. Il giovane si voltò bruscamente ed entrò nella cucina,
aspettando. Provò a deglutire per mandare via il groppo che
sentiva in gola, ma con scarsi risultati. C'era solo una finestra
stretta che affacciava sul muro del palazzo accanto e nell'insieme
tutto l'ambiente appariva piuttosto povero. Più si guardava
intorno, più il groppo peggiorava. E più gli
veniva
voglia di prendersela con sè stesso. Un rumore di passi lo
spinse a girarsi. Jocelyn entrò, accostando subito la porta
alle
sue spalle. Si fronteggiarono in silenzio per qualche istante. Lei lo
osservava con un miscuglio di paura e felicità, ma il suo
atteggiamento era rigido, sulla difensiva, come se si aspettasse un
attacco.
«Lucian» proruppe, con voce bassa e tesa. Sembrava
in lotta con sè stessa. «Che ci fai qui?»
Lui esitò prima di rispondere. «Io... volevo
vederti» mormorò. Le sue parole suonarono come una
confessione.
Jocelyn era evidentemente confusa. «Dopo tutto questo
tempo... come hai fatto a trovarmi?»
Lucian fece un passo avanti e quasi tese inconsciamente le braccia per
toccarla. «Ti ho trovata soltanto oggi pomeriggio. Passavo
per caso
in Broome Street e ho visto un paesaggio... in una galleria... l'ho
riconosciuto subito». Deglutì nervosamente.
«E c'era il
tuo nome. Ti ho trovata sull'elenco telefonico e... e sono venuto. Ma
ti cerco da anni, Jocelyn. Anni».
Quelle ultime parole e il carico di dolore e desiderio che le
accompagnava sembrarono colpire Jocelyn: la sottile maschera di
controllo che si era sforzata di mantenere fino ad allora si ruppe a
poco a poco, liberando un profluvio di sentimenti. Gioia. Paura.
Nostalgia. Senso di perdita. Impazienza. Desiderio. Fece un passo
avanti, poi un altro, e un attimo dopo si ritrovò stretta a
lui,
tra le sue braccia. Lasciò sfuggire un singhiozzo mentre
abbandonava la testa sulla sua spalla forte. Per molto tempo nessuno
dei due pronunciò una parola. Non ce n'era alcun bisogno.
Lucian
accarezzò le spalle strette della ragazza, così
piccole
sotto le sue mani, e premette il viso sui suoi capelli soffici,
aspirandone il profumo, un profumo che sapeva di ricordi felici e
lontani. Di casa. Finalmente.
Note.
1. L'indirizzo si trova nel West Village, il quartiere dove abitano
Jocelyn e Clary quando arriva Luke. Non compare nei romanzi,
è
un'informazione inventata da me.
Spazio autrice.
Ciao a tutti! Prima parte di questa breve fanfiction incentrata, come
avrete già capito, su Luke e Jocelyn e il momento in cui lui
la
ritrova. Per la verità questa coppia non è la mia
preferita, ma all'improvviso ho avvertito l'impulso di buttare
giù questa storia che "galleggiava" nella mia testa e...
l'ho
seguito. Spero di aver fatto bene. La seconda e ultima parte
sarà pubblicata tra pochi giorni.
Il titolo di questa prima
parte deriva dalla citazione all'inizio del capitolo. È una
sorta di gioco di parole basato sul concetto "in amore vince chi
fugge": l'amore insegue le persone che scappano, mentre scappa esso
stesso da coloro che lo inseguono. Mi sembra molto appropriata per Luke
e Jocelyn e la loro vicenda: dopotutto, lui l'ha inseguita per tutta la
vita mentre lei continuava a sfuggirgli. Ora si sono finalmente
ritrovati dopo anni di separazione, ma, come sappiamo, Jocelyn
continuerà a scappare dall'amore che Luke prova per lei
ancora
per un bel po', mentre lui continuerà a starle dietro. A
presto!