Autore:
_wayward.
Titolo:
The city never sleeps at night ~
Fandom:
Originale »
Sovrannaturale.
Rating:
Arancione.
Genere:
One-shot.
Personaggi/Pairing:
Carter/Josh, Stanley, Hollie, Mag.
Parole:
~2502.
Avvertimenti:
slash,
#zombiepocalypse.
Disclaimer:
Mine ©.
Note:
1) Il titolo è una strofa rubata da “It's time” degli Imagine Dragons.
2) Originariamente scritta per zombiepocalypse, tranne per il fatto che ho superato il limite massimo di parole, damnit.
3) Il Raid Antizanzare. Avete presente che dietro c'é scritto “pericolosamente infiammabile”? Ecco, nemmeno io ci credevo, poi ho provato e è una figata fa una fiammata pazzasca credetemi: è decisamente pericolosamente infiammabile. #nonprovateciacasa
4) Quì sul pinguino livejournal.
Introduzione:
In tutta la sua vita, Carter aveva dovuto ricredersi a proposito di
un
sacco
di cose.
Dell'impossibilità
di un'apocalisse zombie, tanto per cominciare. O, per esempio, delle
labbra di Josh che accarezzano le sue appena prima di uccidere
l'ennesimo morto vivente che tenta di mangiarli.
~
The city never sleeps at night
In
tutta la sua vita, Carter aveva dovuto ricredersi a proposito di un
sacco di cose.
Carter,
diciannove anni di ricci castani che gli cadono sugli occhi quando
cammina, non aveva mai ritenuto possibile il divorzio dei suoi
genitori, tanto per iniziare. Invece suo padre si era risposato con
Katrhina, polacca, già madre dell'atletico e biondissimo
Simon e
loro erano stati costretti a diventare fratelli –
fratellastri,
come preferiva sottolineare Simon, ormai nient'altro che un
mucchietto di ossa e carne, sepolto sotto un cumulo di terra fresca.
Mai,
nemmeno per un istante, aveva creduto di poter convincere Victoria ad
uscire con lui, eppure era successo e lei lo aveva quasi baciato
sotto i portici della sua villetta – prima che la sua testa
venisse
letteralmente staccata dal resto del corpo, e che corpo!,
dal
cadavere putrefatto del suo vicino di casa.
Non
aveva mai nemmeno immaginato un futuro in cui lui si perdeva l'uscita
del terzo capitolo della saga di Dragon Age ma
ormai, quasi un
anno da quando tutto quel casino era iniziato, Carter poteva mettersi
il cuore in pace in proposito; il videogioco non sarebbe mai uscito
perché – e questa era la cosa più
grossa su cui aveva dovuto
ricredersi – probabilmente anche la casa di produzione era
infestata da fottutissimi zombie.
***
I
primi tempi, Carter non aveva veramente realizzato quello che stava
per succedere, non che le morti in strane circostanze o i tentativi
di cannibalismo fossero soliti nella cittadina di provincia in cui
viveva; semplicemente, in un mondo in cui ognuno vede soltanto
ciò
che vuole vedere, ecco, grazie tante, l'inizio di un'apocalisse
zombie non era proprio uno dei suoi piani più quotati per il
fine
settimana.
Quando
i morti avevano iniziato ad essere sempre meno morti, Carter e
praticamente l'intera popolazione mondiale avevano dovuto fare i
conti con la realtà dei fatti.
Tutto
sommato, era stato figo, per le prime due settimane: il Decreto di
Sicurezza teneva gli ospedali e i cimiteri sotto controllo, nessuno
era in pericolo più del solito e Carter ed il suo migliore
amico
Stanley trascorrevano le notti a sperare in uno stato di allerta che
avrebbe fatto chiudere il supermercato in cui entrambi lavoravano.
Poi
il tutto era precipitato velocemente quando i soldati che erano
incaricati di delimitare le zone infestate erano stati infettati a
loro volta e, be'... aveva iniziato ad essere un po' meno figo quando
Carter aveva trovato sua madre morta in una pozza di sangue mentre il
suo nuovo compagno si cibava del suo cadavere.
Lui
aveva vomitato e poi gli aveva piantato un coltello da cucina nel
cervello.
***
Un'altra
cosa a cui Carter non aveva mai creduto erano le avvertenze sul retro
delle sostanze, come da etichetta, pericolosamente infiammabili.
Eppure,
arrivato di corsa a casa di Stan, non aveva potuto fare altro che
afferrare il Raid Antizanzare e puntarlo contro il
fornello
acceso, sperando vivamente di sbagliarsi.
Aveva
funzionato, grazie a qualche divinità che ancora non era
stata
trasformata in un mostro mangia uomini, e la fiammata aveva colpito
in pieno lo zombie che stava cercando di sedurre il suo migliore
amico – una ragazza caratterizzata dalla pessima cura del
proprio
corpo, a giudicare dal colore verdognolo della sua pelle.
Usciti
di corsa in giardino, con il Raid ancora stretto
fra le mani,
non era bastato che uno sguardo prima di agguantare le chiavi della
vecchia Ford Pinto di Stan e iniziare la fuga.
Avevano
depredato il supermercato, ignorando il cadavere del loro datore di
lavoro nemmeno troppo nascosto nel magazzino, caricato tutto quanto
potevano trasportare sulla macchina e fatto il pieno di benzina.
Solo
qualche ora dopo, su una superstrada deserta, circondati dalla terrea
luce del tramonto, si erano resi conto di non avere ancora scelto una
meta.
***
Un
mese dopo, la vita di Carter era diventata la replica mal girata di
una puntata tipo di Supernatural – i due fratelli che girano
per
l'America a bordo di una macchina degli anni '60 e liberano il mondo
da qualsiasi creatura soprannaturale sulla loro strada.
Peccato
che di creatura ce ne fosse solo una specie e che fossero loro, gli
zombie, a cercare di liberare il mondo dall'umanità.
Lui
e Stan si guardavano le spalle a vicenda, sperando di non essere mai
troppo stanchi e di non addormentarsi nei turni di guardia che
avevano fissato ed avevano imparato a scherzare sul mondo che li
circondava così come, prima, avevano scherzato giocando a
Zombieville perché, davvero, il solo
pensiero che tutto
quello fosse reale era troppo grande per entrambi.
Non
avevano avuto il coraggio di rubare armi da fuoco al negozio deserto
che avevano incontrato nella seconda cittadina attraversata,
però, e
il Raid, unito alle scatole di fiammiferi e
accendini, era
ancora la loro arma più efficace.
***
Quando
aveva incontrato Josh per la prima volta, Carter aveva tentato di
ucciderlo con una fiammata – non molto romantico, in effetti.
Poi
lui aveva imprecato ad alta voce, nascondendosi dietro ad una pentola
appoggiata sul fornello della cucina della casa in cui lui e Stan si
erano accampati per la notte e Carter aveva abbassato la bomboletta,
incapace di parlare.
Un
golden retriever era accorso dal salotto, seguito da uno Stan
pressapoco terrorizzato.
Solo
dopo una manciata di minuti trascorsi nel silenzio della
realizzazione, Carter aveva lasciato cadere il Raid
ed era
scoppiato a ridere.
Josh,
che era il diminutivo di Joshua, aveva ventisei anni ed era una delle
matricole assegnate alla protezione degli ospedali – il suo
si
chiamava Dickens' Emergency Hospital, gli aveva
raccontato
quella stessa sera, con la testa di Mag, il suo cane anti-droga,
appoggiata sopra le ginocchia.
Aveva
visto i suoi compagni cadere sotto il numero sproporzionato di zombie
e, molto poco coraggiosamente, era scappato. Alla fine del racconto,
aveva abbassato lo sguardo e Carter aveva intuito il suo rimpianto ma
non aveva potuto agire in proposito perché uno zombie si era
appena
trascinato fino alla porta d'ingresso e pensò che fosse
meglio
cercare di salvarsi la pelle piuttosto che confortare un soldato
ferito nell'orgoglio.
***
A
differenza di lui e Stan, Josh aveva uno scopo – totalmente
utopistico ed irrealizzabile, ma pur sempre uno scopo.
Aveva
iniziato ad esplorare le città in cui si fermava per i
rifornimenti
in cerca di sopravvissuti.
Nobile,
veramente, se non fosse che finiva puntualmente in una lotta alla
sopravvivenza fra lui e gli zombie e, be', Mag che, essendo un cane,
non poteva far altro che seguire il suo padrone.
Carter
non aveva intenzione di diventare carne da macello né, tanto
meno,
di essere un eroe quindi sì, aveva deliberatamente mandato i
piani
di Josh per salvare il mondo dall'epidemia a quel paese.
Stan
era stato in silenzio per tutta la durata della discussione,
lasciandosi scappare un unico sospiro quando Josh era uscito
sbattendo la porta della stazione di servizio eletta a rifugio per la
notte.
«Sai
come finisce nei film quando i protagonisti hanno la brillante idea
di separarsi» gli aveva detto, prima di uscire anche lui a
fumarsi
una sigaretta.
Carter
lo sapeva, eccome se lo sapeva, da tutte quelle volte che ne aveva
riso di fronte ad un film horror.
Da
solo nella stanza, con il buio intorno ed il vuoto sotto la pelle,
Carter si era concesso un pianto silenzioso fino a quando una voce
nella sua testa non lo aveva rassicurato.
Almeno,
aveva pensato con una smorfia sul viso che non avrebbe mai potuto
passare per una risata, Josh non aveva detto: «torno
subito».
***
E
infatti era tornato, pieno di sangue che aveva assicurato non essere
suo, con un fagotto stretto al petto ed una promessa sulla lingua.
«La
madre è morta» aveva detto, posando l'involucro di
coperte sul
pavimento. «Lei si chiama Hollie.»
E,
davvero, Carter aveva voluto prenderlo a pugni e urlargli quanto era
stato stupido e avventato e tutta una serie di insulti che non si
sarebbe dimenticato facilmente quando la bambina aveva scostato le
coperte, aveva iniziato a piangere e tutto quello che Carter aveva
potuto fare era stato stingere spasmodicamente la spalla di Josh e
osservare Stan iniziare a cantare una sorta di stonata ninnananna.
***
Hollie
aveva quasi otto anni ma non parlava – tranne quando Mag le
si
avvicinava e strofinava il suo muso contro il suo naso –
così era
facile dimenticarsi della sua presenza e riprendere la vita
normalmente, sempre che normale la si potesse
definire.
Avevano
continuato a scappare, ora in cinque, e per un po' la discussione fra
Carter e Josh era stata lasciata in disparte.
Un
giorno, Hollie aveva rischiato di morire quando uno zombie si era
nascosto in macchina e lei, tornata indietro a cercare le caramelle,
non l'aveva visto agguantarla da dietro la schiena.
Aveva
urlato i loro nomi, Josh era saltato addosso alla creatura e l'aveva
atterrata e, quando questa stava per rialzarsi, Carter non aveva
esitato nel raccogliere la pistola caduta nella lotta ed a sparargli.
La
mattina dopo, lasciando Stan insieme a Hollie, lui e Josh erano
partiti ad esplorare la cittadina.
Avevano
bruciato un paio di edifici infestati ed ucciso almeno una ventina di
zombie ma, di tracce umane, nemmeno l'ombra.
«Forse
avevi ragione tu» aveva detto la sera Josh, appoggiato contro
il
finestrino della Pinto per osservare meglio i campi deserti intorno a
loro.
Carter
si era limitato a lanciare uno sguardo a Stan, Hollie e Mag,
addormentati sui sedili posteriori e poi aveva appoggiato la testa
sulla spalla di Josh.
Si
era addormentato così e, per un istante, era stato convinto
di
sentire la sua mano accarezzargli i capelli.
***
Mesi
dopo, il loro gruppo di avventurieri si era allargato da cinque a
dodici.
Ora
erano quattro le macchine che attraversavano gli USA alla ricerca
–
non poi così inutile – di sopravvissuti, lasciando
una scia di
morti viventi non più così viventi alle loro
spalle.
L'unico
difetto era che, effettivamente, gli zombie non morivano con un
semplice colpo di pistola in fronte ma cadevano soltanto a terra,
rallentati per un certo periodo.
Il
metodo migliore, pensava Carter ridendo, sarebbe rimasto il Raid.
Leslie
aveva cinquantatré anni e gli occhi dello stesso colore di
sua
madre; Carter non la guardava mai ed evitava di rimanere da solo con
lei nella stessa stanza ma apprezzava che si prendesse cura di Hollie
ed i suoi hamburger al burro di arachidi.
George
e i suoi figli erano i più alti del gruppo – ed
anche i più forti
fisicamente – eppure continuavano a guardare Carter qualora
ci
fosse una decisione da prendere perché, a quanto pareva, era
stato
nei boy-scout, sapeva come accendere un fuoco e come orientarsi nei
boschi e, cosa ben più importante, Josh, che era ancora
l'unico in
grado di usare una pistola, aveva la tendenza a dare particolare peso
alle sue parole.
***
Lui
e Josh avevano fatto sesso.
La
prima volta che era capitato, quando ancora erano loro due soli a
perlustrare le zone intorno all'accampamento, Josh lo aveva spinto
contro la porta chiusa di una libreria pulita da qualsiasi tipo di
creatura soprannaturale e lo aveva baciato come nessuno, mai, lo
aveva baciato prima.
La
lingua di Josh aveva accarezzato la sua bocca come se quello fosse
stato il loro ultimo bacio – il ché, aveva pensato
Carter, date le
loro prospettive di vita era anche possibile.
Era
stato ruvido, per niente comodo a causa della paura di essere
attaccati da uno zombie da un momento all'altro e, quando si era
concluso, Josh aveva sbloccato la porta ed era uscito in fretta.
La
seconda volta era stato lui a cercare le labbra di Josh, soli nella
Pinto, mentre Stan montava la guardia nella macchina di George, ed i
baci erano diventati roventi quando i loro vestiti erano scivolati
nei sedili posteriori.
Se
Stan aveva sentito qualcosa – definitivamente probabile
– non ne
aveva fatto parola.
***
Era
successo molte altre volte e Carter non aveva la minima intenzione di
chiedersi per quale motivo gli occhi di Josh fossero così
verdi da
fargli stirare le labbra ogni volta che vi si trovava vicino o del
perché le piccole lentiggini che ricoprivano i suoi bicipiti
fossero
in grado di fargli venire un'erezione che nemmeno Victoria aveva mai
saputo creare.
Aveva
abbastanza problemi con quella fottuta apocalisse zombie per
permettersi di avere una crisi di orientamento sessuale, quindi aveva
fatto tutto quello che poteva fare: continuare a fare sesso con Josh
e tentare di sopravvivere fino alla volta successiva.
Ignorando
la pericolosa stretta attorno al cuore quando si allontanavano per
qualche ora o quando gli toccava un giro di ricognizione con Stan o
quando era il turno di Josh nel montare la guardia e tutto quello a
cui lui riusciva a pensare erano le sue mani sulla propria pelle e lo
zombie che lo coglieva di sorpresa e tentava di mangiarlo mentre
Carter dormiva beatamente.
***
Un
giorno poi, in uno dei soliti giri d'esplorazione – quando
ormai
erano passati due anni ed il loro gruppo contava ventisette membri
–
Josh l'aveva guidato lungo le strade di una cittadina sconosciuta
vicino a Kansas City, in un appartamento del tutto sconosciuto con le
pareti colorate di azzurro e delle macchie di sangue rappreso sul
tavolo della cucina.
«Questa
era casa mia» aveva detto Josh mentre si appoggiava al
frigorifero
spento.
Spingersi
verso di lui per baciarlo dolcemente era stata la cosa più normale
che Carter avesse mai fatto negli ultimi anni.
***
C'erano
molte cose su cui Carter aveva dovuto ricredersi.
Non
avrebbe mai immaginato di sopravvivere ad un'apocalisse zombie, prima
di tutto, né mai avrebbe potuto pensare di riuscire a
guidare un
gruppo di sopravvissuti – che, dopo cinque anni, erano
diventati
settantotto – fino a costruire la prima città
libera.
Libera
veramente.
Non
avrebbe mai ritenuto possibile nemmeno di potersi innamorare dei baci
di Josh e dello spazio caldo lasciato dal suo corpo quando si alza
dal letto della casa in cui vivono.
Uno
spazio che Carter può davvero chiamare casa,
oltre alla Pinto
di Stan che li ha accompagnati lungo le strade d'America per tutti
questi anni.
Ci
sono ancora gli zombie, là fuori, e la parte cinica della
sua anima
gli suggerisce che un giorno le mura costruite intorno alla
città
cederanno e nessuno potrà fermare la loro avanzata ma quel
giorno,
gli risponde Josh, è ancora lontano.
Carter
vorrebbe davvero credere che c'è ancora il tempo di vivere,
prima
che qualche maledetto zombie li scelga come colazione, pranzo e cena,
perché la Pinto di Stan è ancora parcheggiata di
fronte alla loro
nuova casa, Mag abbaia in cortile e Hollie, crescendo, diventa sempre
più forte. Leslie cerca di cucinare la pizza almeno una
volta al
mese e George ed i suoi figli hanno fatto scorta di qualsiasi
bomboletta di Raid Antizanzare che abbiano trovato
lungo la
strada, quindi sì, Carter vorrebbe davvero crederci.
Mentre
Josh lo bacia e gli accarezza i capelli, però, rimane
piuttosto
sicuro che la pace che hanno conquistato non durerà a lungo,
che
l'amore non possa trionfare sopra i non-morti e che arriverà
il
momento in cui perfino l'alba di ogni nuovo giorno smetterà
di
infondergli speranza.
Ma
è pronto a ricredersi perché, anche in mezzo ad
una stramaledetta
apocalisse, Josh non smette di baciarlo e il sole continua a sorgere.
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