Prologo
Disclaimer: Nulla mi
appartiene. Once Upon A Time appartiene a ABC mentre Peter Pan e tutto ciò che
è collegato a esso appartiene a J.M.Barrie.
No one knows how you fell
No one there you'd like to see
The day was dark and full of pain
Odiava gli ascensori. Odiava il silenzio e la sensazione
d’essere sempre osservata. Ogni volta che entrava in uno di quegli aggeggi
aveva l’impressione che l’attenzione generale fosse indirizzata su di lei:
neanche gli fosse cresciuta un'altra testa!
Odiava vedersi sempre in prima pagina, odiava tutti i rumor
sul suo conto.
Odiava i bisbigli che la circondavano ed odiava le occhiate
che le erano rivolte.
Odiava essere passata da “ragazza prodigio” a “ragazza
miracolo”.
Odiava essere additata ogni volta che usciva per strada.
Odiava dover mantenere quel sorriso falso ventiquattro ore
su ventiquattro, mentre dentro di lei stava urlando.
Odiava dover essere forte per amore di suo padre mentre
tutto ciò che desiderava era sfogarsi, almeno per una volta.
Odiava se stessa per non essere riuscita a ricominciare, a
lasciarsi il passato alle spalle.
Ma soprattutto odiava il fatto che nulla fosse cambiato
mentre invece era cambiato tutto.
Per fortuna suo padre aveva avuto la brillante idea
d’inserire un ascensore privato nella loro nuova casa. Beh, più che casa
sembrava un quartier generale con tutti quei laboratori.
Quando le porte si aprirono Katherine si ritrovò a faccia
con la novità più irritante: Abigail Stewart, la nuova compagna di suo padre.
<< Katherine >>
<< Abigail >>
Adorava metterla in soggezione. Quella donna faceva di tutto
pur di accapparrarsi il suo favore: dal coprirla con suo padre al farle trovare
il pranzo nel suo ufficio.
C’era un solo piccolissimo dettaglio che non sopportava:
cercava di sostituire sua madre.
E se c’era una cosa che Katherine non aveva mai sopportato
era un presenza femminile estranea nella sua vita. Si era sempre rifiutata di
avere un medico donna, una parrucchiera donna, una cuoca donna, una donna delle
pulizie ed altre donne intorno. Semplicemente riteneva che quei ruoli dovessero
venire ricoperti da una persona soltanto: sua madre.
Non l’aveva mai conosciuta e sapeva che molto probabilmente
l’aveva abbandonata davanti alla casa di suo padre per non doversi occupare di
lei eppure non poteva fare a meno di voler bene a quella donna senza volto.
Aveva provato ad odiarla, con tutte le sue forze, ma non
c’era mai riuscita.
Immaginava il suo sorriso, a quanto dovesse essere stato
dolce, e i suoi occhi, diversi dai suoi. Immaginava come sarebbe stato averla
nella sua vita, avere qualcuno con cui confidarsi, che sarebbe stato sempre
presente e che l’avrebbe rassicurata che non era pazza. Che era davvero stata a
Neverland e che tutto era reale. Che Killian era reale.
Infondo era stato il suo fermaglio a farla addormentare.
E guarda caso, l’ultima conversazione che aveva avuto con
suo padre era stata appunto su di lei.
Londra, nove anni fa
La casa era piena di scatoloni. Ancora non riusciva a
credere che stavano per trasferirsi. Di nuovo.
Ormai abitavano a Londra da anni, sei per la precisione.
Passare dalla soleggiata Malibù alla piovigginosa capitale londinese era stato
un trauma.
Suo padre aveva ritenuto fosse la scelta più saggia.
All’epoca non era più una bambina e presto sarebbe diventata il bersaglio
preferito dei giornalisti. Aveva sperato di evitarle tale tortura portandola
all’estero.
Ma dopo tutto quel tempo aveva incominciato a sentire la
mancanza della sua terra natia e quindi eccoli lì ad impacchettare tutto per
poi partire verso la Grande Mela.
<< Che cosa manca? >> chiese Katherine a suo
padre a colazione.
<< Il mio laboratorio e… la mansarda >> le
rispose, l’ultima parte con voce titubante
<< Perfetto tu ti occupi del laboratorio ed io della
mansarda >>
<< Non penso sia una buona idea >> la contraddì
<< E perché? >>
Lui respirò a fondo prima di risponderle << Alcuni
degli oggetti, ecco, appartenevano a… tua madre >>.
Katherine chiuse gli occhi cercando di scacciare l’ondata di
dolore che minacciava di travolgerla ogni volta che veniva menzionata la donna
che l’aveva data alla luce. Dopo vent’anni non riusciva ancora ad accettare che
l’avesse abbandonata. Era come se una parte di lei fosse convinta che da
qualche parte anche sua madre si sentisse sola e sperduta come lei.
<< Parlami di lei >>
<< Katherine… >> incominciò suo padre ma lo
interruppe << Ti prego >>.
<< Era una donna fantastica. Le assomigli molto, sai.
Stesso colore di capelli, stessi lineamenti, stesso portamento. Avete anche la
stessa espressione fiera. L’unica differenza sono gli occhi, quelli li hai
presi da me.
<< Rivedo molto di lei in te. Avete la stessa bontà
d’animo, la stessa gentilezza e la stessa comprensione verso gli altri.
Purtroppo hai preso anche la sua testardaggine >>
<< Da che pulpito arrivano certe frasi >>
scherzò lei.
<< Molto divertente. Vuoi che ti parli di lei sì o no?
>>
Katherine fece segno di cucirsi le labbra.
<< Bene. Aveva un modo di rapportarsi con gli altri
molto…particolare. Le piaceva avere il controllo su tutto, come qualcuno di mia
conoscenza –questa frase gli procurò una linguaccia da parte della figlia-, ed
odiava mostrarsi debole. All’apparenza era una donna forte ma in realtà era un
uccellino in gabbia. Proprio come te. Delle volte ho paura di rivedere la sua
sofferenza riflessa nei tuoi occhi >>.
New York City, presente
<< Se stai cercando tuo padre è nel suo laboratorio
>> disse Abigail, capendo il motivo della sua visita.
<< Ti ringrazio >>
Aveva incominciato a dirigersi verso le scale che portavano al
laboratorio di suo padre quando fu fermata sui suoi passi dalla voce della sua
“futura matrigna”.
<< Katherine, io… >>
<< Abigail, non devi preoccuparti di me. Tu rendi mio
padre felice. E se lui è felice, anch’io sono felice >> le rispose prima
di lasciarsela alle spalle.
Era vero, non sopportava l’idea della sua presenza costante
nella sua vita me non era così egoista da negare a suo padre la felicità che
gli era mancata per vent’anni, o forse più.
Lui si era dedicato completamente a lei. Certo, non era un
padre modello ma aveva sempre cercato di fare il massimo.
Quando gli era stata affidata era poco più che maggiorenne.
Fino a quel momento la sua vita era incentrata esclusivamente sullo studio,
spinto dalla voglia di rendere fiero quel colosso di suo padre, e
all’improvviso si ritrovava con una neonata tra capo e collo.
Poi, con la morte dei suoi genitori, anche il peso
dell’azienda era caduto sulle sue spalle e lui si era lasciato andare, passando
il suo tempo tra alcol e donne.
Solo quando la possibilità di perdere Katherine gli era
stata sbattuta davanti agli occhi aveva deciso di darsi una regolata. Per amore
di sua figlia.
Ma questo non cambiava il fatto che dovesse occuparsi di una
bambina piccola e di una compagnia da milioni di dollari nello stesso tempo.
Cercava di esserci il più possibile ma tra riunioni,
progetti da presentare, concorrenza con altre società, viaggi internazionali ed
eventi mondani il tempo era poco.
Per questo aveva deciso di inviare Katherine in un collegio
privato a Parigi. Non voleva sbarazzarsi di lei, anzi, voleva darle la
possibilità di una vita più felice, senza stress.
Infondo aveva solo sette anni.
Eppure nonostante la distanza, il poco tempo a disposizione
e la mancanza di uno nella vita dell’altro il rapporto tra padre e figlia non
si era mai indebolito.
Katherine amava suo padre e metteva la sua felicità dopo
quella di lui.
Col tempo era diventato sempre più difficile cercare di
rimanere al passo con lui ma lei cercava di fare del suo meglio.
Sentiva addosso il peso di dover camminare sulle sue orme,
di avere una vita già scritta ma stringeva i denti e andava avanti. Per lui.
Per questo abituarsi a quella nuova vita le sembrava
impossibile. Dopo aver rigato dritto per tutta una vita si era ritrovata
improvvisamente a rompere tutte le regole in una volta. Ed ora si sentiva
soffocare.
<< Non ti sembra di passare troppo tempo rinchiuso qui
dentro? >> fu la prima cosa che Katherine disse una volta messo piede
nella stanza. Suo padre era intento ad osservare degli schermi con almeno una decina
di tazze di caffè intorno a lui.
<< Deduco che tu non sia neanche andato a letto. Ti ci
vorrebbe una bella dormita. E già che ci siamo anche una lunga doccia
rilassante >> disse sedendosi sul tavolo davanti a lui nella speranza di
ottenere la sua attenzione.
<< Sì, sì. Hai ragione >>
<< Che bello essere presi in così tanta considerazione
dal proprio genitore >>
<< Oh. Ciao tesoro! >> disse suo padre una volta
accortasi della sua presenza
<< Come non detto >>
<< Scusami tesoro ma Richard mi ha inviato dei dati su
cui è insicuro da controllare. È una cosa talmente strana >>
Richard era il migliore amico di suo padre. Era cresciuti
insieme fin dall’asilo e nessuno era rimasto sorpreso dalla collaborazione tra
i due.
Mentre suo padre era un genio dell’informatica Richard non
aveva rivali nel campo della fisica e della chimica.
E nessuno era rimasto sorpreso quando entrambi avevano avuto
dei figli in giovane età.
Richard Black era un donnaiolo fin dai tempi del liceo. Già
a diciassette anni era stato con tutte le ragazze che frequentavano la sua
scuola.
Quindi un figlio non era per niente una sorpresa. Ciò che
aveva sorpreso era il fatto che fosse riuscito ad arrivare a vent’anni senza
mettere incinta nessuna.
Thomas Reed invece era sempre stato un bambino prodigio.
Sempre educato e composto tutti si aspettavano che mettesse su famiglia appena
finito il college. Quando si era diffusa la notizia dell’arrivo di Katherine in
casa Reed la sorpresa più grande era l’assenza di sua madre.
Entrambi provenivano da famiglie umili eppure rientravano
tra i venti uomini più importanti e spesso le riviste si divertivano a dire che
il loro successo era stato decretato dal destino.
Richard portava il nome di uno dei re inglesi più conosciuti
mentre Thomas quello di una delle figure più importanti per la letteratura
inglese. E come Thomas Becket anche lui non aveva esitato a prendere una
direzione diversa rispetto a quella del padre. Se quest’ultimo era stato un
pilastro della letteratura moderna, Thomas aveva intrapreso la via della tecnologia.
Katherine si sporse da dietro alla sua spalla per osservare
i dati sugli schermi.
<< Da qualche giorno Richard ha incominciato a
rilevare queste onde in una zona del Maine, vicino alla cittadina di
Storybrooke per la precisione. L’unico problema è che non si sono mai viste ed
ogni volta che cerco di analizzare i dati la mia strumentalizzazione impazzisce
>>
<< Lo sapevo >> Katherine mormorò.
Sapeva che qualcosa stava cambiando. E che non era
impazzita. Ed ora aveva quelle onde sconosciute come prova.
<< Cosa? >> le domandò
<< Nulla, tranquillo. Quindi che si fa?”
<< Tu non farai nulla. Probabilmente Richard ed io
andremo sul luogo per approfondire le ricerche >>
Se è ciò che
penso io non troverete nulla penso Katherine.
<< Ma papà… >>
<< Niente ma, principessa. Questa questione non ti
riguarda >> disse suo padre alzandosi dalla sedia.
<< Invece sì. Posso andarci io. Tu e Richard lavorate
meglio quando siete circondati da tutti i vostri aggeggi... che non sono
trasportabili >>
<< Non se ne parla nemmeno >> ribatté lui
<< Ma… >>
<< Non accetto discussioni su questo argomento. Hai
dorm… sei rimasta in coma per otto anni >>
A Katherine non sfuggì la correzione. Lei diceva sempre di
aver dormito perché sapeva di non essere entrata in coma. E lo sapeva anche suo
padre. Non era a conoscenza di come facesse ma lo sapeva. Per questo continuava
a correggersi.
<< Appunto! È ora che io faccia qualcosa. E poi un
cambiamento d’aria mi farà bene >>
<< Non ti è bastato il cambiamento di look? >>
Lei scosse la testa muovendo così i suoi nuovi ricci biondi.
Un mese dopo essersi svegliata aveva deciso di cambiare
immagine.
Da liscia era diventata riccia e da mora bionda. Aveva
buttato tutti i vestiti da giovane donna in carriera, ossia camicie, polo e
gonne, e li aveva sostituiti con jeans, felpe e magliette.
L’unica cosa che non era cambiata era la sua passione per le
scarpe.
Quando suo padre la aveva vista per la prima volta lei aveva
liquidato il tutto con un Vita Nuova, Look Nuovo.
La verità era che non sopportava la sua immagine riflessa
nello specchio. Non riusciva più a riconoscersi.
Per questo aveva deciso di cambiare esteriormente, così come
era cambiata all’interno.
Era troppo difficile guardarsi e ricordare tutte le volte
che Killian le accarezzava i capelli.
Forse era a causa sua se si era fatta bionda invece che
rossa o altro. Il suo capitano le aveva sempre detto di quanto le bionde non
fossero il suo tipo (però una biondina quasi non li aveva fatti lasciare. No,
ci era riuscita). Quindi forse inconsciamente aveva deciso di metterlo alla
prova, se avrebbe potuto amarla anche se bionda.
Suo padre si limitò a sbuffare prima di alzare le mane in
segno di sconfitta.
Katherine era già pronta a saltare per la gioia quando il
suo entusiasmo fu smorzato da una semplice frase di suo padre: << Ha
chiamato Alex >>
<< Lo sapevo che doveva esserci sotto qualcosa
>>
Tom fece finta di non sentirla e riprese: << Dovresti
richiamarlo. Non merita il comportamento che tu stai tenendo nei suoi confronti
>>
<< Lo so ma… >>
<< Quel ragazzo ti ha aspettato per otto anni, lo sai?
>>
Katherine abbassò lo sguardo a terra. Sì, lo sapeva. E
sapeva che erano stati otto anni gettati al vento perché ormai lei non era più
la stessa.
La faceva sentire in colpa pensare a ciò che lui aveva passato
e ciò che lei gli avrebbe inflitto.
Alexander era il figlio di Richard e già alla loro nascita i
loro genitori aveva pianificato il loro matrimonio. Erano cresciuti insieme e
quindi per loro era stato normale scambiarsi il primo bacio e quando avevano
deciso di mettersi insieme sembrava l’inizio di un finale da sogno.
Non si era presa gioco di lui, questo no. Era davvero stata
convinta di amarlo.
Ma poi aveva aperto gli occhi e si era resa conto che il
vero amore era tutta un'altra cosa.
Sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo prima o poi ma non ne
aveva le forze. Come poteva spiegare al suo fidanzato che era innamorata
di un altro?
Parigi, nove anni fa
Quante ragazze sognavano
di passeggiare per le strade di Parigi col loro principe azzurro e Katherine
era una di loro.
Con la piccola differenza
che il suo sogno era divenuto realtà.
Passeggiare mano nella mano con Alexander la faceva sentire
la ragazza più fortunata sulla faccia della terra. Era la prova esistente che
il principe azzurro esisteva: dolce,
romantico, protettivo e comprensivo. In poche parole il ragazzo perfetto.
Sapeva che i loro genitori desideravano vederli insieme per
unire finalmente le due famiglie ma non le importava. Per la prima volta era
contenta di una decisione presa da suo padre.
Gli lasciò la mano e avanzò di qualche a passo prendendo in
mano la macchina fotografica. Sapeva che odiava essere fotografato e lei
adorava stuzzicarlo.
<< Katherine >>
l’ammonì.
<< Cheese >> e flash
<< Non cambierai mai. Ti fidi di me? >>
Lei annuì. Le chiese di chiudere gli occhi e lo sentì
chiamare un taxi. La aiutò a salire e partirono per una destinazione
sconosciuta.
<< Puoi aprire gli occhi >>
Obbedì e davanti a lei si estendeva Parigi al tramonto: una
visione da togliere il fiato. Erano in cima alla Tour
Eiffel all’ultimo piano.
Si girò alla ricerca di Alex e lo trovò poco distante da
lei, in ginocchio con una scatola in mano.
Lei portò entrambe le mani davanti alla bocca: non poteva
crederci.
<< Katherine Reed, ti amo, ti ho sempre amata e sempre
ti amerò. Vuoi sposarmi? >> le chiese aprendo la scatola rivelando un
bellissimo anello di fidanzamento.
<< Sì, sì, sì >> rispose offrendogli la mano
sinistra.
Lui la prese, le infilò l’anello al dito e la baciò mentre
intorno a loro gli altri visitatori si congratulavano.
Era perfetto.
<< Come hai potuto? >>
<< Alex? >>
<< Ti amo Katherine eppure tu ora sei insieme a
quel pirata. Non significava nulla per te? >>
<< Tu sei stato il mio primo amore ma le cose sono
cambiate. Io sono cambiata. Mi dispiace >>
Neverland, trent’anni fa
<< Cos’è tutta questa confusione? >> Wendy
chiese a Killian.
Erano appena sbarcati dopo aver attraccato nell’ennesimo
porto (e lei che pensava che non ci fossero villaggi a Neverland!) e la prima
cosa che aveva notato era stato l’andirivieni della gente.
Tutti sembravano andare di fretta ed erano carichi di cesti.
<< Si sta avvicinando la Phileia >> le spiegò
mettendole un braccio intono alle spalle
<< La che? >>
<< La festa degli innamorati >>
Si guardò intono ed in effetti si accorse della presenza di
più coppie nelle vie del solito. Non che non ci fossero ma in quel mondo non si
usava esternare in pubblico i propri sentimenti apertamente.
A meno che non si fosse un pirata.
<< E cosa si fa durante questa festa? >> gli
domandò ancora
<< Si sta con la persona amata, la si coccola ed altre
cose del genere >>
<< Non si dovrebbe farlo sempre? >> chiese
retoricamente
Killian rise e si fermò per guardarla. Le alzò il viso e lo
avvicinò al suo
<< Infatti io non mi tiro certo indietro, love
>> disse.
E la baciò. Per la prima volta la baciò davanti alla sua
ciurma, in pubblico. Lei non gli aveva mai messo pressione, sapeva che doveva
mantenere l’immagine da pirata.
Ma adesso sentiva il cuore scoppiare di gioia. Era ufficiale,
erano una coppia.
<< Ti amo, Killian >>
New York City, presente
<< Signore, c’è la signorina Watson in visita >>
li avvisò il loro maggiordomo, Robert.
Grazie al cielo pensò Katherine. Incominciò ad
avviarsi verso le scale quando la voce di suo padre la fece voltare indietro.
<< È un bravo ragazzo >>
<< Lo so >>
<< Tempismo perfetto >> disse abbracciando
Elizabeth.
<< Fammi indovinare: l’ennesimo discorso di tuo padre
sul “tuo comportamento deplorevole nei confronti di Alexander” >>
Katherine si limitò ad annuire prima di fare segno a Lizzie
di seguirla al piano di sopra. Una volta giunta nella sua vecchia camera si
sedette sul letto.
<< Vuoi parlarne? >> le chiese appoggiandole una
mano sul braccio.
Lei aveva bisogno di parlarle ma poteva fidarsi?
<< Kat, ci conosciamo da anni. Lo sai che ti voglio
bene e puoi fidarti di me >>
Elizabeth Watson era la nipote di Robert e quando era ancora
piccola Katherine era solita prendersi cura di lei. Adorava quella bambina più
piccola e per lei era come la sorellina che non aveva mai avuto.
Londra, undici anni fa
<< Katherine!
>> urlò la bambina correndole incontro.
Lei s’abbassò appena in tempo per poi essere travolta da
quel uragano con i ricci. La abbracciò e quasi non si sentì soffocare a causa
della forza usata dalla piccola.
<< La perdoni, signorina >> disse Robert
imbarazzato dal comportamento della nipotina
<< Non ti preoccupare, Robert. Mi fa piacere vederla
>> rispose al maggiordomo.
Prese la piccola per mano e la condusse alla sua camera,
dove si stava preparando per l’ennesimo evento con le ennesime persone. La
bambina andò direttamente a sedersi al centro del letto mentre Katherine andava
a finire di prepararsi.
Raccolse i suoi lunghi capelli scuri in una coda alta
lasciando cadere libere solo alcune ciocche.
Si truccò e finì il tutto con un rossetto rosso scuro che
prontamente le venne rubato da una manina.
Guardò divertita la piccola che cercava di usarlo prima di
toglierlo dalle mani e di metterglielo lei stessa.
<< Ecco fatto! >> esclamò.
Elizabeth si guardò allo specchio prima di rivolgere un
sorriso smagliante alla ragazza di fianco a lei.
<< Grazie mille! >> e l’abbracciò.
La Reed le scompigliò i capelli prima di prendere il vestito
per quella sera dall’armadio e di vestirsi. Era un abito bianco senza spalline, stretto fino in vita si allargava poi
leggermente fino al pavimento su cui poi continuava lasciando uno strascico
dietro di sé.
<< Sei bellissima Katherine >> esclamò la
bambina per poi aggiungere << Da grande voglio essere come te >>
La ragazza sorrise e disse << Da grande sarai mille
volte migliore di me >>
New York City, presente
Poi quando si era svegliata dopo otto anni la piccola che
ricordava aveva ormai la sua stessa età. Era stata una delle prime persone che
aveva visto ed era rimasta sorpresa nel constatare che l’affetto che provavano
l’una verso l’altra non verso cambiato per nulla.
New York City, otto
mesi fa
Finalmente si era decisa a lasciare la sua
camera. Non poteva rimanere rinchiusa tra quelle quattro mura per sempre.
Sapeva che non serviva a nulla, non l’avrebbe di certo riportata indietro o
riportato lui da lei.
Scese lentamente le scale, cercando di
trovare in qualche modo la cucina.
Man mano che avanzava sentiva delle voci
provenire da una stanza.
Si affacciò alla porta e vide suo padre parlare con due
persone, un uomo e una ragazza della sua età.
Decisa ad annunciarsi uscì
dal suo nascondiglio e si schiarì la gola.
In un attimo si ritrovò in un abbraccio stritolatore.
<< Non hai la più pallida idea di quanto tu mi sia
mancata Katherine! >> disse la ragazza.
Lei spalancò gli occhi: quella voce l’aveva già sentita ma
nei suoi ricordi aveva un non so che di infantile
<< Elizabeth? >>
New York City, presente
Inoltre era diventata il suo punto di
riferimento, il suo porto sicuro quando voleva scappare dalle pressioni della
nuova vita.
<< Non so cosa o come ma sono sicura che in questi
otto anni hai fatto tutt’altro che dormire >> continuò Elizabeth.
Katherine la guardò curiosa non capendo dove volesse
arrivare.
<< Da quando ti sei svegliata sei completamente
diversa. Esempio banale: non hai più toccato una mela, che era il tuo frutto
preferito. Hai sempre gli occhi spenti e un sorriso sforzato, che non
dovrebbero esserci. Ed ora Alex. Normalmente per prima cosa avresti dovuto
voler vedere il tuo fidanzato. Invece lo stai evitando. Quindi deve essere
successo qualcosa >>
Dirglielo o no? Poteva rischiare di essere presa per pazza?
<< Non sono ancora pronta per parlarne. Ma quando lo sarò
sarai la prima persona a saperlo >>
Elizabeth le sorrise e prese qualcosa dalla borsa. Un
giornale. Katherine alzò gli occhi al cielo, preparandosi mentalmente a chissà
quale storia su di lei. Ormai ci aveva fatto l’abitudine.
<< Questa volta non parlano di te >> le disse
Lizze passandole il giornale.
<< Sarebbe anche ora che la smettessero >>
Rimase sorpresa nell’apprendere che in prima pagina non
c’era una sua foto ma quella di suo nonno.
Terminato l’edificio ispirato ai racconti di William
Reed, l’uomo che ha cambiato l’infanzia di milioni di bambini.
Ormai è ufficiale: tra poco i nostri bambini saranno in
grado di tuffarsi in un’esperienza magica. Finalmente avranno la possibilità di
entrare in contatto col quel mondo fatato di cui tutti sognano. Se ciò è
possibile è grazie alla famiglia Reed che si è impegnata nella costruzione di
questo paradiso per bambini.
William Reed è l’uomo che ha cambiato profondamente
l’immaginazione collettiva. Con le sue versioni di favole celebri ha ispirato
molti scrittori e cambiato radicalmente l’universo fantastico dei nostri figli.
Los Angeles, ottant’anni fa
Il tredicenne si guardò
intorno. Il luogo in cui si trovava era così diverso da casa sua. C’erano
strane carrozze senza cavalli e strani palazzi più alti che larghi.
<< Ti sei perso, giovanotto? >> disse una voce
alle sue spalle.
Il ragazzo si voltò e vide davanti a lui una signora
anziana, con un abito verde, una borsa rossa ed uno strano cappello in testa.
Annuì semplicemente.
<< Come ti chiami? >>
Il ragazzo fece vagare lo sguardo intorno a sé, in cerca di
una via di fuga o di qualcosa che potesse aiutarlo. Un cartello catturò la sua
attenzione: William Shakespeare’s Romeo & Juliet.
Tornò a rivolgersi alla donna e rispose << William
>>
<< Ed hai anche un cognome? >>
Lo sguardo del ragazzo cadde sull’enorme borsa che la
signora portava al braccio.
<< Red >>
<< Reed, vorrai dire >> lo corresse lei.
<< Sì sì, Reed. William Reed >>
Eccomi qui! Di nuovo.
Ho deciso di rimboccarmi le maniche e di scrivere una storia
a più capitoli su Hook e Katherine/Wendy.
Questo prologo è principalmente incentrato sulla figura
della nostra protagonista e sul suo passato. Nell’idea originale Killian doveva
venire solo nominato ma non ho saputo resistere ed ho inserito un flashback
riguardante alla prima volta in cui Wendy gli ha detto di amarlo. Farà un’altra
apparizione nel prossimo capitolo, nel quale scopriremo che cosa sta accadendo
a Storybrooke.
In questo capitolo fanno la comparsa alcuni
personaggi che
era necessario introdurre. Infatti
volevo dare più corpo al personaggio di Katherine, darle una
storia. Non volevo che fosse un personaggio "campato per aria". Per il
resto già dal prossimo capitolo verranno messi "in terzo piano"
(nel secondo ci sono i personaggi secondari di OUAT).
Per coloro a cui la comparsa del personaggio di
Alexander ha scaturito una serie di insulti verso la sottoscritta per
aver posto un problema in più alla già complicata storia
di Katherine e Killian dico questo: il suo ruolo era fondamentale
affinchè anche Katherine avesse un passato amoroso abbastanza
importante alle spalle ma la coppia principale rimane sempre la stessa:
Killian/Wendy-Katherine
Ecco come li immagino io:
Thomas Reed: Robert Downey Jr.
Abigail Stewart: Nicole Kidman (Moulin Rouge)
Richard Black: Johnny Depp
Alexander Black: Tom Hiddleston
Robert Watson: Jim Broadbent
Elizabeth Watson: Emma Watson
Donna Anziana: Maggie Smith
Inoltre (probabilmente a causa del continuo
ascolto delle sue canzoni) ogni volta che mi metto a pensare a delle
scene per la storia Taylor Swift mi appare prepotentemente nella testa
ma voi potete continuare a far finta che Katherine abbia ancora il
volto di Vanessa Hessler.
Per quanto riguarda il cambiamento fisico: mi
è sembrato un qualcosa di naturale. Quando mancano delle
certezze si ha il desiderio di cambiare, cosa che Katherine ha fatto.
Generalmente la storia sarà suddivisa in quattro parti:
La prima è composta da tre capitoli (di cui questo prologo è il primo), che servono per dare un
sostegno alla storia: non voglio che sia solo una raccolta di capitoli messi
insieme.
All'inizio di ogni capitolo riporterò dei
versi di una canzone che mi ha ispirato. Per il prologo la canzone
scelta è "By Your Side" dei Tokio Hotel: penso rispecchi lo
stato d'animo di Katherine.
Nel capitolo appaiono alcuni personaggi appartenenti al
mondo delle fiabe. Penso che siano abbastanza scontati (forse è perché so chi
sono) ma vorrei sapere cosa ne pensate voi.
Durante la stesura del capitolo mi sono accorta
che l'inserimento di spiegazioni all'interno del contesto rischiava di
appesantire/confondere la storia per questo ho usato le linee per
separare le spiegazioni dai dialoghi/dallo svolgimento della storia.
fatemi sapere se vi sono servite o meno.
Mi scuso per eventuali errori e spero che questo capitolo
sia stato all’altezza delle aspettative.
Sneak Peek dal prossimo capitolo: Begin Again
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’ultima volta in
cui era stato in una taverna come questa ed al suo fianco c’era Wendy.
Ricordava di come non riuscisse a toglierle gli occhi di
dosso tanto era bella, di quanto fosse geloso ogni qual volta un qualche uomo
cercava di avvicinarsi o la guardava oppure lei rideva a qualche battuta dei
suoi compari.
Ricordava come era rimasto in un angolo a guardarla ammaliato mentre gesticolava con
enfasi presa dal racconto.
E non poteva fare a meno di pensare a cosa avesse fatto per
meritare il suo amore.
Lui era un pirata, un bugiardo, un assassino, un uomo senza
scrupoli eppure era stato così fortunato da averla al suo fianco.
Ed ora era di nuovo in una taverna, per la prima volta senza di lei.
xxAletheia
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