Chapter 2:
now.
Adesso, dunque, è tutto cambiato. Vivo con quella mia zia
che mi accolse come fossi sua figlia, e sono rimasta qui fino ad oggi.
Una giornata come le altre. Sono passati due anni, e il caldo sembra
sempre più afoso. Mi chiedo come sarà tra altri
due anni. Intanto è mattina, una caldissima mattina che
opprime tutto ciò che mi è intorno, e sembra
quasi volermi fare fuori. Magari lo facesse. Mi alzo svogliatamente dal
letto, e mi dirigo allo specchio che c'è in camera. Addosso
ad esso ci sono diverse foto con le mie migliori amiche, dove loro
sorridono e io invece ho il broncio, perché odio fare le
foto e poi perché non ho nulla di cui sorridere,
già sono brutta, poi non sono neanche fotogenica! Ci saranno
si e no solo dieci foto, che hanno stampato e sono venute ad attaccare
loro sul mio specchio. Ma non voglio certo toglierle, tanto, vedermi in
quelle foto, o vedermi allo specchio, è sempre lo stesso
scempio. Quando finalmente ci arrivo d'avanti, vedo il mio viso.
Deturpato dal mascara nero pesante che metto sempre, anche quando non
esco, e noto come si sia deformato il colore quando ieri sera ho
pianto, e tutte le gocce di lacrime, hanno portato via il colore dagli
occhi e lo hanno spostato sulle mie guance. Questo succede
più o meno tutte le sere che esco con i miei amici e bevo.
Non sono certo più lo stinco di santo che ero un tempo,
voglio dire, le cose sono cambiate, ma non poi così
cambiate, perché tanto non ho la possibilità di
essere più strana di come già sono. Esco
velocemente dalla stanza, e mi reco in bagno. Ieri sera ho vomitato
l'anima lì dentro, dicendo a mia zia, quella povera vittima,
che avevo mangiato pesante, due hamburger e tre pacchi di patatine. Una
scusa che non avrebbe retto, perché puzzavo di alcol da
svenire, ma uno che ha bevuto non sa elaborare scuse migliori. Ma
è pure vero che era notte fonda, e lei era ancora mezza
addormentata, perciò forse non avrà neanche
capito che le ho detto. Velocemente prendo la mia roba e la metto in
lavatrice, mettendola a lavare, così il puzzo non si
sentirà più. Mi lavo la faccia, i denti, ma resto
in pigiama, tanto non devo andare da nessuna parte. Esco dopo un po' e
mi reco al piano di sotto, in cucina, per fare colazione. Mia zia
è seduta a guardare i cartoni animati in tv e a bere del
tè.
"Buongiorno zia… Dormito bene?"
"Si, tesoro. Tu?"
"Più o meno…"
"Come mai? Perché ieri hai vomitato??"
"Te l'ho detto già… Ho mangiato
troppo…"
"Non mi convinci… Non mangi quasi mai!"
"Si, lo so, ma i miei amici mi hanno costretta, dicono che sono
deperita e mi hanno fatto mangiare due hamburger con tanto di tre chili
di maionese…"
"Ahahah beh, hanno più che ragione, non credi? Se non lo
fanno loro, mi pare che sarò io a metterti all'ingrasso!"
"Sono vegetariana tanto, non riuscirai mai a farmi ingrassare con delle
verdure!"
"Oh beh… Si può rimediare… Ah, e devo
dirti una cosa urgente…"
"Spara!" Lei è propensa a dirmi tutto, ma suona il
campanello, e lei scatta alla porta per aprire. È una donna
che qualche volta ho visto nel portone, ha i capelli biondi ed
è magrolina, avrà si e no una sessantina d'anni,
è piena di rughe e trema tutta. Avete presente la vecchia
che fuma come un turco dei Futurama? Beh, questa signora le assomiglia,
solo che non fuma, credo. Mi avvicino alla porta per capire che
è successo, e la sento parlare.
"Buongiorno signora Matilde. Mi dica, qual è il problema?"
"Buongiorno… C'è una chiazza sul soffitto del
bagno, che non so da dove venga… Se può dire a
suo marito di venire a dare un'occhiata…"
"Signora cara, mio marito è il proprietario del palazzo, non
un tubista. Vedrò di chiamare qualcuno che venga a
controllare che c'è di rotto"
"Grazie, arrivederci"
"Arrivederci" La signora se ne va sbuffando e piuttosto
delusa. Mio zio è il proprietario del palazzo, infatti. L'ha
fatto costruire lui qualche tempo fa, quando era giovanissimo, e ha
fittato a delle persone ognuna delle case. Questa signora viene
parecchie volte ultimamente, credo che la sua demenza sia parte della
vecchiaia. Dopotutto non è poi così vecchia, ma
io dico gli anni che dimostra, non quelli che ha.
"Che c'è zia?"
"La signora Matilde… Poveretta è vecchia, il
marito è morto sei anni fa, da allora non sa come mandare
avanti qualsiasi guasto… Si rivolge sempre a John, ma non si
rende conto che infondo è solo il proprietario del palazzo,
non è un riparatore universale…"
"Ma quanti anni ha?"
"Mi pare settantanove, o qualcosa giù di
lì…"
"A me sembrava più giovane"
"E certo, non conosci ottantenni, ci credo che non ti sembra poi
così vecchia"
"Si… Forse è come dici… Comunque che
mi dovevi dire?"
"Vuoi la colazione?"
"Non questa cosa!! L'altra!"
"Si, si dopo ne parliamo, ora mangia che devi ingrassare un po', se no
m diventi uno stecchino!!" Lei gira attorno alla questione. Deve
trattarsi di qualcosa di orribile, oppure qualcosa che odio
profondamente. Me lo sento dentro. Tutte le volte che lei mi dice che
deve dirmi qualcosa di importante, e poi sorvola sulla questione,
è una cosa brutta. Mi prende per il polso e mi tira in
cucina, nella sala da pranzo. È una piccola stanzetta,
dopotutto la cucina non è enorme, è abbastanza
normale. Appena entri dalla porta di ingresso ti trovi un grande atrio,
a sinistra c'è il salottino, dove c'è un divano a
semicerchio e una tv, con un tavolino di vetro, sopra ad un bel
tappetino persiano. A destra c'è la cucina, con un tavolo
per quattro tondo al centro della stanza, l'angolo cottura è
proprio dietro, e sopra di esso è attaccato al muro una
specie di fila di mobili per viveri e piatti e accanto alla cucina, tra
essa e il muro, c'è il frigorifero. Invece, a sinistra della
cucina, proprio accanto al lavandino, c'è un muretto, con
una base di marmo, dove sono posti barattoli disposti in ordine delle
iniziali di ciò che contengono, e quindi di grandezza anche,
perché mia zia è molto attenta ai particolari.
Oltre il muretto c'è un altro pezzo di stanza, dove
c'è un armadietto con detersivi, spugne, spazzole, pezze,
scope, secchi, buste per l'immondizia e buste per la spesa, e dopo
c'è la finestra, che emana una luce incredibile. La finestra
è come una porta, e appena la apri, puoi uscire fuori, e
godere di un ampio panorama sulla zona di periferia, poco distante
dalla zona industriale, ma comunque, non troppo inquinata,
perché le fabbriche sono molto lontane da qui. Il terrazzo
è una specie di orto botanico: ci saranno almeno sette
specie di piante, e almeno quattro di verdure e roba simile. Infatti,
proprio al centro del terrazzo c'è questo enorme giardino,
che continua fino alla stanza successiva, ovvero quella del soggiorno,
quello grande però, e intorno a questa aiuola, gira un
marciapiede di mattoni rossastri. Essendo molto ampio, comunque sono
presenti due panchine su ogni lato, delle panchine di pietra
impossibili da spostare perché sono pesantissime, almeno per
me, ma sono di granito, perciò per lo zio non sono difficili
da spostare. A ridosso della scale c'è una porta, e da
lì si entra nel soggiorno gigante, una specie di salone da
feste, mentre al piano sopra c'è la mia camera, quella degli
ospiti e tre bagni. La camera dei miei zii invece, e a sinistra della
scala a chiocciola che porta di sopra, e quindi di fronte al soggiorno.
Mi siedo ad una delle sedie e zia Dora mette sul tavolo una tovaglietta
tutta colorata, e posa sopra una ciotola. Prende il pacco dei cereali e
io ne verso un po' nella ciotola, mentre lei prepara il latte. Aspetto
un po', e guardò i cartoni in tv, girando la testa verso il
salottino, e poi sento suonare alla porta.
"Ma che diavolo succede stamattina?" Mi scappa un pensiero ad alta voce
e mia zia ride. Io mi dirigo alla porta, e apro. Mi ritrovo il postino
e gli rivolgo uno sguardo acido. Quell'imbecille è la
seconda volta che viene fuori orario, adesso ha veramente scassato le
palle.
"B-buongiorno, questa è casa Deletti?"
"C'è scritto Deletti sul campanello?"
"Ah, mi scusi. Arrivederci" Dio quanto non lo sopporto! Ma è
cieco come una talpa o che gli succede? È un ragazzo della
mia età, ha l'acne e degli occhi minuscoli e neri, e ha i
capelli lisci e cortissimi e tutti appiccicati. Mi sorride imbarazzato,
e poi va via.
"Senti, la prossima volta, leggi bene l'etichetta, perché
non l'hanno messa per fare buona impressione! E poi, prima che torni di
nuovo, c'è niente per noi? L-a-m-b-r-e-t-t-i." Gli faccio lo
spelling del cognome, e lui si gira verso di me. Adesso ricordo anche
dove l'ho visto! Viene nella mia scuola, nella classe affianco alla
mia! È uno dei secchioni che vedo spesso in giro con qualche
altro secchione come lui.
"S-si… Ecco qui"
"Grazie, a domani" Prendo la lettera dalle mani e la rigiro, e poi lo
saluto, chiudendo la porta senza neanche guardarlo. Credo che sia
andato via. Mia zia continua a ridere.
"Perché lo tratti così? Poveretto!!"
"Ma povera me che gli vado sempre ad aprire, dannazione! Comunque
questa lettera è per me"
"Chi la manda?"
"Zia Kate, da Berkeley…"
"Mmm… Era di questo che dobbiamo parlare"
"Allora la apro dopo che avremo parlato."
"Va bene. Adesso vieni a sederti, il latte è pronto"
"Grazie" Poso la lettera sul marmo del muretto, e poi mi siedo. Lei mi
guarda ancora divertita e poi scoppia a ridere. "Che c'è di
così divertente?"
"Penso ancora a quel povero ragazzo! Tutte le volte gli rispondi male!"
"Ma sbaglia sempre porta! E che cacchio, c'ha gli occhi piccoli e non
legge, almeno si mettesse un paio di occhiali, no?"
"Ti guarda come se fossi un bulldog! Ahahah ha paura di te! Oppure ha
una cotta"
"Ma che cotta, è lui che c'ha il cervello bruciato! Lo
studio eccessivo uccide!" Rido io, lei sorride solo adesso.
"Si, ma è anche vero che c'è gente col cervello
bacato"
"Quelli sono recuperabili"
"Si, come no! Come quel tale, Edoardo! Ahahah ha il nome di un
intellettuale, eppure sembra avere un blocco mentale"
"Edoardo è mezzo scimunito… Secondo me quello in
casa non ha una bella situazione"
"Ma fuma?"
"Si, un pochetto. Non è come un turco, ma credo che ci
arriverà. Che sia stonato, si sa. Se è pure
drogato, non lo so"
"Va bè… Comunque quel povero ragazzo non merita
certo questi schiaffi morali da te!!" Ride a crepapelle.
"Ahah senti chi parla, la moralista!! Bella mia, tu non ne sai niente
di ragazzi al giorno d'oggi… Non siamo più
accaniti al jazz! Dai immaginati un ragazzo di oggi che va matto per il
jazz, è inaccettabile, lo prendono per uno sfigato!"
"Ma almeno è sfigato! Quelli che vanno dietro al rock li
prendono per drogati!"
"Ma non lo sono! Cioè… Non tutti! Non bisogna
fare di tutt'erba un fascio!!"
"Dai ammettilo! La maggior parte dei rocchettari è drogata"
"E va bene!! Lo ammetto, sono drogati. Ma non i fan, i cantanti.
C'è una buona differenza"
"Come vuoi… Ma intanto il jazz è una musica
più orecchiabile di quella di oggi!"
"Lo sai che odio la musica! Non sto a difendere né il jazz
né il rock, né altro."
"Mmm… Non ho mai conosciuto una capra più capra
di te!" Si alza e cominciamo a giocare, buttandoci sul divano. Poi mi
alzo e le tiro un cuscino addosso, mentre lei resta stesa a guardare la
tv, e alla fine io salgo sopra a mettermi dei vestiti puliti,
perché devo scendere giù a gettare la spazzatura.
Salgo sopra e apro l'armadio nella mia camera. Un pantaloncino in denim
nero, una canotta bianca rigata e un paio di Converse basse nere.
Scendo in cucina e prendo la spazzatura da terra, mi dirigo verso la
porta ed esco, per scendere giù. Nel portone si sente un
freddo bestiale, nonostante l'estate comunque non sia passata davvero,
perché è solo il primo settembre. Fra poco
comincia di nuovo la scuola, e non mi importa una cippa di questo.
Avrei mandato tutto a farsi fottere tempo fa, ancora prima di
cominciare il primo. Ma i miei insistevano che la scuola è
importante, perciò cominciai lo scientifico, sbagliando
completamente, perché avrei potuto prendere un istituto
tecnico, e il problema finiva al quinto anno. Ma hanno insistito
così tanto, che alla fine era come se avessero dovuto andare
loro a scuola, e non io. Esco velocemente dal palazzo e mi dirigo verso
il cassonetto che si trova sull'altro lato della strada. Mentre corro,
sento una macchina arrivare, mi giro, e riconosco l'auto di mio zio.
Suona una volta e mi sorride, uscendo il braccio dal finestrino. Si
avvicina a me, rallentando ed esce fuori la testa, mentre io mi fermo.
"Denise! Che fai qui?"
"Butto la spazzatura"
"Ah, va bene. Saliamo assieme?"
"Si, due secondi, e vengo" Lui sorride, e va a parcheggiare l'auto.
Loro due sono una specie di coppia perfetta. Mia zia mora, con i
capelli lunghi, di statura media, magra con gli occhi castani, una
bella voce, un bel viso. Mio zio i capelli biondi, la carnagione
chiara, gli occhi verdi, alto e magro, e muscoloso, ma non troppo.
È solo due anni più grande della zia, solo che
purtroppo non possono avere figli. Beh, ci sono io, no? Mi muovo a
buttare la spazzatura, e torno al portone, per risalire con zio John.
Lui è americano, come mio padre. Infatti il mio cognome
è italiano solo perché i miei nonni erano
italiani emigrati in America. Mio zio arriva subito dopo e risaliamo
assieme a casa.
"Allora Dora te l'ha detto?"
"Che cosa?"
"Allora non te ne ha parlato… Adesso che saliamo ne parliamo"
"Ma perché siete così misteriosi?!" Lui sorride,
ma io sono abbastanza scocciata di tutto questo mistero. Arriviamo a
casa in ascensore, e lui apre la porta. Entriamo in casa, e la zia si
gira un po', e ci guarda, sorridendo. Poi si alza e si dirige verso di
noi, abbracciando mio zio.
"Allora?" Comincio io con tono abbastanza impaziente. La zia si stacca
da zio John e mi guarda con aria interrogativa.
"Cosa?"
"Prima mi è arrivata la lettera, adesso mi dite tutti e due
che avete da dirmi qualcosa. Mi spiegate che succede?"
"Si… Ma siediti e calmati." Dice la zia, e io faccio come
dice. Mi siedo su una sedia, e loro fanno lo stesso. Mia zia si gira di
poco e prende la lettera da sopra il muretto, e la mette al centro del
tavolo. "Aprila"
"…" La guardo con aria interrogativa, e prendo la lettera
lentamente. comincio a scartare la carta e il cuore comincia a battere
a mille. Sembra che voglia esplodere in un secondo nel mio petto, e le
vene mi pulsano nella testa, divento rossa come un peperone e
improvvisamente sento un formicolio che mi porta calore ovunque ci sia
uno straccio di abito posato. Prendo un elastico tra i miei
braccialetti e lego i miei lunghi capelli, e penso. Se mi fa questo
effetto adesso che la sto aprendo, figurati quando avrò
letto. Lentamente estraggo la lettera. La carta è ruvida e
filigranata, di un giallognolo tipo quello delle lettere antiche. Zia
Kate vive in America, ed ha tipo una quarantina di anni. È
l'altra sorella di mio padre, ed è una tipa perfettina,
odiosa e maniaca di correzione ed educazione. Quando ero piccola e mia
madre andava a lavoro, ricordo che restavo a casa con lei, quando
ancora abitava in Italia, e mi vestiva con certi abiti da nobile, che
mi vergognavo d'avanti a tutti. Menomale che alle elementari
indossavamo sempre un grembiule da sopra, e perciò niente e
nessuno poteva vedere che avessi sotto. E oggi mi arriva una lettera da
lei, e sono sicura che è una cosa orribile. La leggo ad alta
voce, tanto conosco l'inglese perché sono bilingue grazie a
mio padre. Con voce tremante, man mano che leggo, le lacrime non escono
a stento, represse da una rabbia tale che vorrei strappare questo
fogliettino in mille pezzettini minuscoli, così
né la lettera né il suo brutto ricordo mi
potranno tormentare ancora.
"C-cara Denise. È da un po' che non ci scriviamo, e
perciò, prendendo io l'iniziativa, scrivo in questa
occasione. Come sai, fra pochi giorni comincia la scuola. Ma la tua
istruzione, ora che tuo padre non c'è più,
purtroppo, è anche un mio problema. Dora e John non sono dei
genitori, e perciò non comprendono l'importanza della tua
formazione. Qui abbiamo grandi università, perciò
verrai qui a studiare, e resterai finché non ti sarai
laureata. Saluti, zia Kate." Resto un po' zitta. Le lacrime e il viso
diventano infuocati, tanto che sembro un drago in procinto di esplodere
e gettare fuoco a destra e a manca. "QUELL'ARPIA!!! COME OSA DIRE CHE
DEVO ANDARE Lì PERCHÉ QUI NON SIETE IN GRADO DI
CAPIRE L'IMPORTANZA DELLA MIA FORMAZIONE CULTURALE?? MA CHI SI CREDE DI
ESSERE? LEI E QUELLA VIPERA DELLA FIGLIA!!!" Faccio uscire tutto il
fiato che ho in gola. Ormai sono di tutti i colori dell'arcobaleno, e
il mio umore è più nero della pece, e
più scuro e buio della notte. Come diavolo osa lei impormi
di andare a vivere da lei? Con quella vipera della figlia, idiota e
perfettina, mica tanto ingenua e una vigliacca che spiffera tutto alla
madre, qualsiasi cosa tu dica. Se vado a vivere lì,
finirò impiccata.
"Ehi, Denise, smettila! Stai solo rovinando la tua salute! Non
preoccuparti, riusciremo a farti restare qui"
"Si, ma zio quella è un'arpia vera e propria!!
Farà di tutto per farmi andare da lei, e io non voglio
condividere la casa con quell'essere inutile di Ramona! Quella ragazza
è piccola ma è un demonio! E poi
perché non mi avete detto nulla? Scommetto che vi aveva
chiamati già da giorni, e voi mi avvisate così?
Adesso? Avete aspettato che io fossi pronta??"
"Non te la prendere Denise… Abbiamo cercato di ragionare con
lei prima, ma è irremovibile…" Dice zio John. Io
non rispondo, allora attacca zia Dora.
"Mi dispiace Denise… Cercheremo di fare il possibile"
Detto questo, mi alzo, e con le lacrime che ormai escono a dirotto, ma
senza singhiozzi, gli dico un'ultima cosa.
"Il possibile non è sufficiente." Corro nella mia camera, e
chiudo a chiave, gettandomi sul letto per sfogarmi. Zia Kate se la
possono immaginare tutti come una tipa in tubino nero con un
giacchettino rosa, gli occhiali neri con la punta, una collana di
perle, senza trucco, o al massimo un rossetto rosso poco evidente, i
capelli raccolti in uno chignon, décolleté neri,
l'aria severa, e zitella a vita. Si, perché è
stata sposata, ma povero zio Carl, ne deve aver passate con quella
sclerata nevrotica, e perciò l'ha mollata poco dopo che
quell'arpia di Ramona ha compiuto dieci anni, e cioè cinque
anni fa. Ha fatto molto più che bene, ma tanto se davvero io
vado lì a vivere, di sicuro scapperò e mi
rifugerò in qualche posto. Intanto, immersa nelle lacrime,
mi addormento sulle lenzuola blu della mia camera, sotto la finestra,
dove è il mio letto, e dove accanto c'è un
termosifone incastrato in un'apertura nella parete. Mi risveglio di
pomeriggio, ho ancora la lettera in tasca, e saranno le cinque. Almeno
mi avrà detto il giorno? La riapro e vedo se c'è
una nota a fine pagina, e infatti, forse per le troppe lacrime o la
rabbia, la fretta, qualsiasi cosa, non ho notato un P.S. nel quale
c'è scritto che il dieci dovrò partire per
Berkeley. C'è scritto il giorno, la scuola dove
andrò, il corso e cazzate varie. La Pinole Valley High
School. Cerco su internet, dovrò almeno sapere che cosa mi
aspetta, no? Accendo il pc, apro subito una pagina di Google e cerco la
fantomatica scuola. Dicono che sia quella più economica, ma
comunque una buonissima scuola. Ci sono anche le foto di diversi corsi,
come quello di inglese, quello di musica, al quale mi ha iscritto
l'arpia- crede che siccome so suonare la chitarra, voglio frequentare
una specie di corso avanzato-, e quello di arte. Ma tanto sono corsi
vecchi, perciò le persone non saranno le stesse. Comunque
chiudo di nuovo il mio portatile e mi metto un paio di jeans e una
camicetta a quadri celeste che allaccio con un nodo sul ventre. Scendo
giù e mi rivolgo a mia zia.
"C'è scritto che andrò via il dieci" La mia voce
è atona, senza emozioni e senza un men che minimo sentimento
di dispiacere o altro. "Preparo le valige, e stasera esco, per salutare
qualcuno che è ancora qui." Lei mi guarda, si avvicina per
abbracciarmi e consolarmi, ma mi allontano.
"Mi dispiace che sia finita così. Tu mi hai tenuta qui per
due anni, mi hai accudita come una figlia, e mi dispiace doverti
lasciare, e anche essere arrabbiata con te, ma è
inevitabile. Credevo che avreste fatto di più per
non farmi andare via, ma invece avete fatto poco contro quell'arpia che
non mi ha chiamata una volta per sapere come sono stata dopo che i miei
genitori sono morti." Lei mi guarda con le lacrime agli occhi.
"Io ti capisco. Mi sento uno schifo, perché non ho saputo
fare nulla. Mi dispiace davvero tantissimo…"
"Anche a me" Mi allontano, e prendo dall'armadio accanto alla scala una
valigia, quella verde, grande e più capiente delle altre che
ci sono. La salgo sopra, e poi la zia mi rivolge un'ultima domanda.
"Vuoi una mano?"
"No, grazie" Salgo velocemente sopra e metto la valigia sul mio letto.
Comincio a prendere tutti i vestiti invernali che ho, anche se in
California non c'è bisogno di chissà che cosa
calda, proprio come qui giù in Italia. Forse questo aspetto
non cambierà e non mi mancherà. Appena finito di
mettere i vestiti invernali e anche alcuni estivi, preparo un'altra
valigetta per le mie Converse e un beauty-case con tutte le mie cose.
Intanto si fanno le sette, e mi preparo per uscire. Mi lavo i denti,
senza neanche aver pranzato, ma tanto andrò sicuramente da
qualche parte con i miei amici, perciò non c'è
bisogno di mangiare. Mio zio invece sta dormendo, perché ha
lavorato un bel po' questa settimana. Intanto io esco, e intanto chiamo
Kevin, il mio migliore amico, che mi verrà a prendere con il
motorino, per passare l'ultima serata assieme a lui e agli
altri.
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