Lentamente, Delicatamente.
L’album delle fotografie era
aperto sulle sue ginocchia incrociate sul suo letto.
Accarezzava quelle
fotografie, istantanee della sua vita, come se fossero fragili soffi di
ghiaccio.
Gli occhi avevano smesso di
piangere da pochi minuti, ma erano ancora gonfi e rossi.
Dolore. Il
suo più caro amico – un fratello, un simbolo della sua vita – non sarebbe più
tornato indietro.
Senso di Colpa.
Suo figlio – il suo figlio del futuro, ciò che quel
bambino paffuto che dormiva nella stanza attigua sarebbe diventato da li a 20
anni - era tornato alla vita, invece.
Il suo uomo – era ridicolo come riuscisse
ancora a chiamarlo così - Era ancora
vivo. Ed era da lei. Nella sua casa.
La foto su cui scorrevano le
sue dita sottili la ritraeva sorridente, più giovane di almeno 8 anni, sulla
spiaggia dell’isola di Muten, un braccio di Goku gettato sulla sua spalla, l’altro sulla spalla di Chichi, che teneva in braccio Gohan.
Quella foto era stata
scattata da Yamcha. In un angolo, si intravedeva la
pelata di Crillin, che era arrivato un istante dopo
lo scatto. La donna sorrise tristemente al ricordo della corsa, inutile, del
suo amico. AL ricordo di quella giornata di sole e di risate… che mai più
sarebbero state le stesse.
Goku. Il salvatore del mondo. Il Tontolone
con la tuta arancio che sorrideva sempre e che donava sicurezza a chi lo
circondava. Il guerriero Saiyan più forte dell’Universo.
Il rivale di Vegeta. Non uno dei tanti, ma il rivale per eccellenza.
Scoprendosi a pensare ancora al Saiyan Bulma chiuse l’album con un moto di stizza.
Sospirò, lo sguardo perso alla notte che calava, là, fuori dalla finestra, sulla
città. Si appoggiò alla testiera del letto, sentendo l’impellente bisogno di
una sigaretta.
Si alzò e depose l’album, con
cura, come se fosse una reliquia, in un cassetto del comodino.
Poi prese il pacchetto di
sigarette, ne estrasse una, l’accese ed aprì la
finestra, appoggiandosi al davanzale, gli occhi che vagavano nel cielo, il cui
colore stava piano piano diventando più scuro.
Vegeta…
Il bastardo che l’aveva
lasciata, incinta di pochi mesi, per diventare Super Saiyan.
Per abbattere i suoi limiti, per superare la sua stessa, grande forza.
Che l’aveva abbandonata per dimenticarsi di lei e del loro bambino. Come
se, frapponendo anni luce tra la
Terra e la sua navicella, potesse cancellare tutto.
Probabilmente inizialmente c’era
in parte riuscito. La soddisfazione di aver raggiunto l’ambito stadio di Super Saiyan l’aveva accecato completamente.
Ma poi, e su questo Bulma ne
era sicura com’era sicura del suo genio, il ricordo di lei aveva bussato alla
mente del Saiyan. Lei era indimenticabile. Così come lo era Vegeta.
La sera prima l’aveva
sentito. Fuori dalla sua finestra chiusa, nel bel
mezzo della notte, mentre lei era nel suo letto vuoto.
Aveva fatto finta di dormire,
non gli aveva aperto.
Anche se il cuore le
esplodeva nel petto, anche se sentiva gli occhi di Vegeta fissi sul suo corpo
avvolto dalle lenzuola, lei aveva vinto la tentazione di correre alla finestra,
spalancarla e farlo entrare nel suo letto.
Mi hai già abbandonata una volta…aveva pensato Non
ti permetterò di farlo un’altra volta. Se domani morirai non ritornerai più da
me. Non ti darò l’occasione di farmi soffrire di nuovo.
Bulma poteva giurare di aver
sentito Vegeta bisbigliare qualcosa, al di la del
vetro. Forse il suo nome, forse qualcos’altro. Forse questa parte se l’era solo
sognata.
Poi non aveva più sentito i
suoi occhi su di lei. Ed allora aveva aperto gli occhi, e visto che alla
finestra non c’era nessuno.
Poi aveva pensato ad un’altra
cosa. Probabilmente Vegeta non voleva
entrare. Altrimenti la finestra l’avrebbe fatta saltare lui stesso, senza farsi
tanti scrupoli.
Forse voleva solo guardarla,
salutarla, prima di una sfida che poteva costargli la vita.
Bulma scosse la testa,
scuotendo la sigaretta fuori dalla finestra.
La porta che si apriva alle
sue spalle la fece trasalire. Solo una persona era così maleducata (e irruenta passionale,
imprevedibile, impareggiabile) da
non bussare mai.
La sorpresa le fece cadere la
sigaretta di mano. Precipitò dal davanzale e atterrò in giardino.
Ma questo non aveva
importanza.
Davanti a lei, dall’altro
lato della camera, sulla soglia della porta, c’era Vegeta.
I pantaloni neri della tuta,
una semplice canotta dello stesso colore. I capelli
ribelli. Un graffio sullo zigomo destro. Vegeta che la guardava con un’intensità
tale che Bulma si sentiva quasi mancare.
Lui coprì la poca distanza tra
loro due in una frazione di secondo. Le fu davanti così velocemente che Bulma
non se ne accorse nemmeno.
Avvicinò il suo viso a quello
della donna. Ma lei voltò la testa velocemente di lato.
“NO.” Disse, guardando la
parete.
Vegeta sembrò sorpreso.
Poi, lentamente, delicatamente, prese il mento di Bulma
tra le dita della sua mano e lo voltò verso di sé.
“Non ci provare nemmeno
Vegeta.” Disse lei, cercando di far sembrare la sua voce ferma. “IO non
dimentico.”
Il Saiyan
la stupì. Prese la sua mano e lentamente, delicatamente,
indietreggiò sino al bordo del letto, portando Bulma di fronte a sé. Si sedette sul
materasso, sempre tenendo gli occhi sempre su di lei, sui suoi color del cielo.
E poi rimase a guardarla,
sempre tenendo la sua mano.
Bulma si sciolse. Un piccolo
sorriso si fece strada sul suo viso. L’imprevedibile
Vegeta. Quello che solo lei conosceva… e che solo lei capiva ed apprezzava.
Non avrebbe mai pensato ad
una cosa del genere. Ecco il suo modo di chiedere perdono.
Prese la sua testa tra le
mani e posò le sue labbra su di lui. Lentamente, Delicatamente.