C'era una volta una
Fatina che girava il Mondo alla ricerca… Di cosa, direte voi?
Non lo
sappiamo, non lo sapeva nemmeno la Fatina stessa.
Sapeva solo
che la Regina Delle Fate l'aveva mandata in missione, e lei doveva
cercare e cercare e cercare.
La Regina
Delle Fate le aveva detto che non poteva rivelarle cosa dovesse
cercare, ma che quando l'avesse trovato, se ne sarebbe accorta da sola.
E fu
così che la Fatina cominciò a girare il mondo,
esplorando, vedendo, guardando, conoscendo, assaggiando, ridendo,
giocando e… Cercando.
Ma tutte le
volte in cui si fermava da qualche parte, la Fatina sentiva che non era
arrivata, capiva che non aveva ancora trovato quello che stava cercando.
Il
più delle volte la Fatina aiutava le persone e gli esseri
magici che incontrava sulla propria strada, facendosi così
un sacco di amici, che la salutavano sempre con le lacrime agli occhi
quando se ne doveva andare perché si erano affezionati a
lei, e dispiaceva loro vederla partire.
Anche la
Fatina se ne andava sempre via col cuore spezzato, ma voleva portare a
termine la propria missione per cui, a malincuore, sbatteva le piccole
ali e prendeva il volo, lasciando dietro di sé una scia
dorata.
Quando la
Fatina arrivò nella Città Oscura, ebbe una
bruttissima sensazione.
Quel posto
era freddo e buio: le sue ali percepivano il peso di una grande
malvagità.
Volò
alta sulle case e sulle vie, cercando di non farsi notare, percependo
che per una volta non era la benvenuta.
Questo
però servì a renderla ancora più
determinata: in un luogo dove c'erano tali tristezza e grigiore, lei
era decisa a portare un po' di sollievo.
Stanca per
il troppo volare e infreddolita per le correnti gelide che sovrastavano
la Città Oscura, la notte la Fatina si infilò nel
camino di una casa che sembrava la più diroccata e squallida
tra tutte quelle che la circondavano.
Qualcosa
però le disse di entrare lì: un fremito, una
carezza di calore percepita per caso tra le folate di vento gelido.
Si fece
coraggio e si infilò nel camino.
Uscì
in una stanza tetra, levitando ferma a mezz'aria, dove rottami di tutti
i tipi la circondavano polverosi.
Improvvisamente,
mentre si concentrava per cercare di percepire ancora quel battito di
bontà che aveva sentito prima, l'istinto le disse quale
direzione prendere in quel labirinto di sporco e umido.
Volando fra
le stanze, ad un certo punto udì un flebile "aiutami!"
provenire da un angolo.
Battendo le
ali, inquieta, con cautela si avvicinò a quel punto, e
scorse una testa di legno; la testa di legno di una marionetta.
La
marionetta sbatté gli occhi di vernice un paio di volte e
poi parlò:
- Ciao
Fatina. Non avere paura di me. Avvicinati.
La Fatina,
sempre titubante ma un po' meno intimorita, volò
più vicino a lui.
- Sono il
Ragazzo Marionetta. Il Malvagio Dittatore mi ha ridotto in mille pezzi
perché mi ribellavo alla sua tirannia. E se mi ribellavo io,
anche gli altri Cittadini lo facevano. Allora ha provato a ridurmi al
silenzio.
- Ragazzo
Marionetta, ma come fai a parlare e ad essere ancora vivo?
- Sua
Immensa Ottusità non sa che per far morire noi Ragazzi
Marionette, oltre a spezzarci, devono anche bruciare il nostro legno
nel fuoco; ma questo fortunatamente non è stato fatto,
quindi sono ancora qui.
E le
strizzò un occhio bordato di ciglia di seta nera inamidata.
- Aiutami -
ripeté.
La Fatina,
capendo che il Ragazzo Marionetta era buono, decise di fare di tutto
per dargli conforto.
Volando
più dolcemente intorno alla testa, chiese:
- Come
posso farlo?
- Sai, i
pezzi del mio corpo sono sparsi per tutta la casa. Gli sgherri del
Malvagio Dittatore li hanno sparsi un po' ovunque. Anch'essi sono
ancora vivi, e parte di me, ma se non ho qualcuno che me li porta e li
riattacca a me, non potrò più fare niente. Sarei
condannato all'immobilità eterna!
La Fatina
stava per piangere. La sorte che era toccata al Ragazzo Marionetta era
forse più terribile dell'essere bruciato: essere diviso in
mille pezzi e poter continuare a pensare, a soffrire… Doveva
essere terribile!
-
Cercherò i tuoi pezzi per la casa, te li porterò,
e li riattaccherò, così potrai tornare intero!
Un sorriso
dipinto col pennello si distese sul volto del Ragazzo Marionetta.
- Grazie,
grazie Fatina!
E fu
così che la Fatina cominciò a volare per tutta la
casa, spostando mobili, sudiciume e rifiuti vari, trovando,
lentissimamente, tutti i pezzi del Ragazzo Marionetta.
Fortuna che
aveva dei poteri che le permettevano di fare tutto questo senza sforzo,
altrimenti al primo braccio che avesse dovuto spostare con le sue sole
forze, sarebbe stramazzata al suolo.
Quando
trovava un pezzo, lo portava al legittimo proprietario e lo
riassemblava al suo posto.
Senza
troppe differenze con gli umani, anche il Ragazzo Marionetta aveva
però bisogno di tempo affinché le giunture gli si
rinsaldassero, e quindi la Fatina passò moltissimo tempo con
lui.
Parlavano
tanto, e ridevano.
Il Ragazzo
Marionetta all'inizio era molto affaticato, perché servivano
tante energie per guarire, ma nonostante la sofferenza aveva sempre un
sorriso e un aneddoto per la Fatina, quando questa tornava dai suoi
giri di ricognizione per la casa.
Passò
del tempo, e la Fatina e il Ragazzo Marionetta si raccontarono tante
cose: come lui fosse diventato un eroe senza volerlo, e come lei fosse
stata mandata in missione alla ricerca di qualcosa che non sapeva
nemmeno cosa fosse.
Una sera,
dopo un pisolino, il Ragazzo Marionetta si svegliò in forma.
Stava bene,
la Fatina aveva recuperato tutti i pezzi e glieli aveva riattaccati.
Tentò
timidamente di muovere un braccio, e funzionava. Una gamba, e
funzionava. La testa sul collo, e funzionava.
- FATINA!
FATINA! - chiamò il Ragazzo Marionetta a gran voce.
La Fatina
accorse, preoccupata.
- Cosa
c'è? Stai male?
-
Tutt'altro, Fatina! Sto benissimo!!!
E, con un
agile spinta, si alzò in piedi e fece una giravolta su se
stesso.
La Fatina
gli svolazzava intorno, felicissima.
- Che
bello, Ragazzo Marionetta! Sei tornato intero!
- E tutto
grazie a te, Fatina! - gli rispose l'altro, commosso.
- Sono
stata onorata di aiutarti: hai un grande cuore e meriti di essere
felice.
Il Ragazzo
Marionetta la guardò, improvvisamente triste.
- Adesso
che sono guarito, tu te ne andrai, vero?
Anche la
Fatina si sentì triste all'improvviso.
Svolazzando
mogia, rispose:
-
Sì, devo portare a termine la missione.
Con gli
occhi brillanti di smalto blu, il Ragazzo Marionetta domandò:
- E
se… E se quello che dovevi cercare l'avessi già
trovato e non te ne fossi accorta?
La Fatina
aveva gli occhi pieni di lacrime.
Allungò
un piccolo braccio la cui mano era lunga più o meno quanto
un ago di pino, e la lasciò così, sospesa a
mezz'aria.
Il Ragazzo
Marionetta allungò la sua, grande circa dieci volte quella
dell'altra, e delicatamente andò a toccare l'altra,
così piccola e lucente.
Rimasero
così, palmo grande contro palmo piccolo, per degli istanti
infiniti, guardandosi negli occhi.
- Devo
andare… - sussurrò infine la Fatina, con voce
tremante.
Interrompendo
il contatto, volò rapidamente verso il viso del Ragazzo
Marionetta e depositò un piccolo bacio sulla sua levigata
guancia di ciliegio.
Un'ambrata
lacrima di resina vi scorse sopra subito dopo.
- Addio,
Ragazzo Marionetta…
- Addio,
Fatina, mia salvatrice. Ti ricorderò sempre nei miei
sogni…
Con le ali
improvvisamente pesanti, la Fatina si voltò senza guardarsi
indietro e, per la stessa via per cui era entrata in quella casa, ne
uscì, volando verso l'orizzonte.
Ancora non
sapeva quello che stava cercando: dentro di sé, tuttavia,
sapeva viceversa con certezza cosa invece non avrebbe più
trovato: il suo piccolo cuore di Fata.
Sarebbe per
sempre rimasto lì, in quella casa, nel taschino della
camicia del Ragazzo Marionetta.
Ciao
a tutti!
Questa
storia/delirio è il risultato di un sogno di stanotte, la
sua relativa elaborazione, e la mia passione per la scrittura.
Non
ha né capo né coda, né tantomeno un
senso.
L'ho
scritta solo perché il sogno di stanotte è stato
così poetico e tenero (contrariamente a tutte le mie
produzioni oniriche, dove potrei in tutta tranquillità fare
concorrenza a Tarantino), che sentivo il bisogno impellente di metterlo
su carta (o byte) per non scordarmelo più. L'ho buttata
giù d'impulso e la pubblicherò senza troppe
riletture, per cui prendetela per quel che è.
In
quanto simil-fiaba, dovrebbe avere una morale: io non lo so se
c'è, a voi vedercela, se vi va.
Perdonate
questa mia alzata di ingegno, e commentate, se volete.
Un
abbraccio!
Cate
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