IL GIORNO PIU’
BELLO
E vissero
tutti felici e contenti
Nella grande sala del tempio i
monaci stavano intonando il loro mantra da ormai cinque ore filate, quando nell’aria risuonò
un’allegra musichetta giovanile, del tutto inadatta al luogo. L’atmosfera
magica che si era creata durante la recitazione del mantra si
incrinò e si spezzò in un’infinità di frammenti di voci non coordinate che
quasi subito si spensero, sostituiti dagli sguardi corrucciati che i monaci si
scambiavano l’un l’altro. Godo Kisaragi, che aveva
diretto il canto, scrutò severo tutti i suoi
sottoposti finché la musichetta non terminò. Allora trasse un profondo sospiro
e ordinò che gli altri si prendessero cinque minuti di pausa, prima di
ricominciare con le preghiere.
Ritiratosi nella sua sagrestia, l’Imperatore scagliò lontano
la tiara che indossava.
“Accidenti!” sbottò fra sé, “ma guarda
se mi devono chiamare proprio quando dimentico il telefono acceso!”
Detto questo estrasse il suo cellulare Wutai
no com dalla tasca della veste, dove campeggiava la
scritta ‘una chiamata persa’,
deciso a farla pagare al suo disturbatore. Tutti i suoi propositi di punizione
svanirono quando si accorse che si trattava del numero di Pong.
Si affrettò a ricomporre il numero ed attese con il cuore in gola che
dall’altra parte qualcuno rispondesse.
“Pronto?” chiese la voce del comandante dei Samurai della Morte in missione.
“Pong, dannazione, dimmi che avete
trovato Yuffie o vi farò spalare guano di chocobo per
il resto della vostra vita!”
“Ah, Eccellentissimo Illuminato Signore
della Terra, Padre della Virtù, Figlio di Da-Chao, Ineffabilissimo…”
“Dacci un taglio e rispondimi!” di solito Godo lasciava che i suoi servitori lo adulassero, ma in quel
momento non aveva tempo da perdere.
“Sì, o Illustrissimo… ehm… Sì, Maestà…” seguì una breve
pausa, durante la quale si sentirono distintamente le
voci dei tre samurai discutere piano, in modo che le loro parole non fossero
comprensibili e poi, “Bene, Maestà… Le annuncio che abbiamo trovato vostra
figlia?”
“E cosa aspettavi a dirmelo, baka??” sbottò
l’Imperatore, che in realtà non stava più in sé dalla gioia. “Allora, quando
tornerete in patria in modo che venga celebrato il
matrimonio?”
“Ehm…” fu l’unica risposta, seguita da un bisbiglio
imbarazzato, al quale Godo non poté fare altro che
accigliarsi.
“Pong…” riprese dopo un attimo,
cercando di mantenere la calma. “C’è qualcos’altro che dovrei sapere…?”
“No, Illustrissima Maestà!” fu la pronta risposta. “Vedrà
che entro una settimana al massimo saremo a Wutai…”
“E mia figlia si sposerà, vero?”
“…”
“VERO??”
“Sì, Sublime Eroe degli Dei, si
sposerà.”
Godo sorrise gongolando: finalmente le cose cominciavano a
girare nel verso giusto. Le due famiglie di cui Suzuki
Honda era il rampollo si sarebbero imparentate a lui,
sanando il deficit cronico delle finanze wutai e
finalmente lui avrebbe potuto coronare i suoi due più grandi sogni: sistemare
la figlia con un bravo ragazzo ricco e avere abbastanza soldi da restaurare la
statua ciclopica di Da-Chao, aggiungendo il proprio
busto sorridente a quello degli altri dei…
“Bene,” ricominciò infine,
staccandosi dalle proprie fantasie, a parlare al telefono, “quando si celebrerà
il matrimonio saprò dimostrare a te ed ai tuoi colleghi la mia generosità.”
“Grazie, o Sublime,” fu la risposta
di Pong, subito seguita dal segnale che poneva
termine alla comunicazione. Nuovamente giulivo, Godo tornò
dai suoi monaci.
La piazza antistante al tempio di Wutai
era gremita di gente: non solo c’era l’intera popolazione della capitale, ma
anche molte persone provenienti dagli altri continenti si erano presentate per
l’occasione. Dall’alto, sulla montagna, l’imperturbabile statua di Da-Chao guardava in basso con i suoi occhi enigmatici, e
l’osservatore attento avrebbe creduto di scorgere sul volto di pietra
un’espressione di intenso sollievo, come se la
divinità fosse appena uscita da una terribile e faticosissima avventura.
Un assoluto sollievo si poteva leggere anche sui volti di Ping, Pang e Pong,
finalmente rassettati e vestiti con la loro uniforme ufficiale da Samurai della
Morte: dopo le prime ore di furia indomabile, l’Imperatore Godo
aveva ritrattato le maledizioni, le condanne a morte e quelle alla gogna
perpetua che aveva pronunciato verso di loro ed aveva con malcelata ira
accettato di nuovo in famiglia Yuffie. Senza contare che si era trattenuto
dallo scatenare Leviathan contro Vincent, il che
faceva capire quanto quel giorno Godo fosse di buon
umore.
Pong ancora non credeva che la
missione fosse terminata con un successo. Se non fosse stato per quel capellone
con gli occhi rossi di sarebbe preso anche una
promozione, probabilmente, ma era felice anche solo di aver scampato le molte
punizioni dovute al fatto di aver riportato Yuffie a casa non solo con un
fidanzato, ma addirittura incinta.
Chi invece non sembrava affatto felice era
la ragazza dal vestito verde che singhiozzava nelle prime file. Teneva
sottobraccio un giovane ufficiale della WRO il quale,
invece di preoccuparsi degli sguardi che gli uomini vicini lanciavano al
generoso seno della sua accompagnatrice si limitava a guardarsi attorno
nervoso.
“Ti prego, Shelke, calmati,” le diceva ogni tanto. “Non siamo ad un funerale!”
“Ma… ma… ma lui è…” balbettava
allora lei.
“Sì, è Vincent Valentine, l’eroe
della WRO, che sta per sposarsi con l’erede al trono di Wutai.
Non mi sembra nulla di così tragico!”
Dopo quelle parole, inevitabilmente, la ragazza scoppiava a
piangere, calmandosi solo dopo un numero imprecisato di amorevoli
pacche sulle spalle.
“Ma perché è dovuta venire anche lei?” esclamò sottovoce
proprio Vincent Valentine dopo che l’ennesimo scoppio
di lacrime della sua ex-collega molto emotiva l’ebbe distratto dal suo continuo
andirivieni sotto al palco centrale. Subito Reeve lo afferrò al braccio
metallico, costringendolo a fermarsi.
“Perché non potevo lasciare a casa
proprio lei, dopo aver invitato mezza WRO… E si può sapere per quale motivo ti
sei messo questo dannato affare? Ed il mantello
sbrindellato? Potevi cambiarlo vista l’occasione, no?”
A quelle parole Vincent abbassò lo
sguardo sul proprio vestiario, che era esattamente identico a quello che
indossava di solito, Cerberus compresa. “Cos’ha che
non va questo vestito?”
Reeve scosse la testa, rassegnato.
“Non fa niente…” disse, poi si voltò verso sua moglie che correva a perdifiato
verso di lui.
“Chole, tesoro, che succede?”
Chole frenò il chocobo
che kuettì eccitato e scese con un unico, fluido
movimento.
“Le orazioni alla statua di Da-Chao
sono terminate,” comunicò la donna, ansimando. “Presto
lei sarà qui!”
“Meno male,” commentò Vincent, stringendo convulsamente il calcio della pistola,
come faceva sempre quando era nervoso. “Almeno questa gigantesca carnevalata[1]
finirà presto.”
Reeve e Chole
lo fissarono con un sorriso comprensivo. “Ma la vuoi
smettere di agitarti?” gli chiese il suo testimone. “Guarda che se continui così ti partirà un colpo dalla pistola…”
A quelle parole Vincent lo guardò
di sottecchi. “Vogliamo parlare del tuo di matrimonio? Di quando mi hai pregato
di mandare tutto a monte due ore prima che arrivasse Chole?”
“Ehm…” fece Reeve, evasivo, “forse
hai ragione.”
“Kuééé…” fece il chocobo, con aria inquietantemente soddisfatta.
“Eh?” chiese Vincent, perplesso.
“Choco, cosa c’è?” chiese Chole al pennuto.
“Avevo un grosso peso, poco fa,”
tradusse quest’ultimo a beneficio esclusivo della sua
padrona, “ma ora mi sento meglio…”
Subito lo sguardo della donna scese al tappeto intessuto di
pietre preziose ed un violento rossore le invase il volto.
“Che succede, amore?” chiese il
marito, preoccupato, ma Vincent aveva già intuito la
terribile verità. “No,” la supplicò, “non dirmi che è
successo come al vostro matrimonio…”
Chole si girò verso di lui con
aria colpevole, ma la macchia verdognola e dal pungente odore di erba gishal che risaltava sul
tappeto rosso era più eloquente di mille parole.
“Kuuéé…” kuettì
di nuovo il chocobo.
“Per le corna di Ifrit!” esclamò Reeve, “di
nuovo!”
Mentre Vincent stava contando fino
a mille per evitare di trasformare Choco nel più grande pollo arrosto che si fosse mai visto a Wutai, il suo testimone prese in mano la situazione.
“D’accordo, niente panico,” disse
con autorevolezza. “Chole, accompagna il tuo chocobo alle stalle reali. Barret,
Cid, datemi una mano a pulire qui!”
I due proruppero in una serie irripetibile
di imprecazioni, al punto da costringere alcune nobildonne di Wutai ad allontanarsi scandalizzate, ma non si mossero dai
loro posti. Cloud stava per proporsi come volontario,
ma un solo sguardo di Tifa, che sembrava voler dire “prova a sporcare il
vestito che ti ho lavato ieri e conoscerai il vero significato della parola ‘astinenza’, tesoro”, lo immobilizzò. Alla fine fu Red XIII, di malavoglia, ad avanzare. “Non voglio nemmeno
pensare a come farò ad aiutarti, Reeve,” disse arcigno, “ma il lavoro sporco qualcuno dovrà pur
farlo…”
“Grazie, Reddy,”
rispose il presidente della WRO, guadagnandosi uno sguardo infuriato dal felino-non-felino, per poi portare lo sguardo sugli altri
invitati che conosceva. “Voialtri, per favore, cercate di sistemare questo
casino…”
L’uomo dall’aria trasandata e con i lunghi capelli rossi
strabuzzò gli occhi. “Noi? E che dovremmo fare?”
Reeve, che nonostante l’uniforme tirata in lucido non aveva esitato ad
inginocchiarsi sul tappeto per pulire, scrollò le spalle. “Che ne so? Siete voi i Turks,
inventatevi qualcosa!”
“Non si preoccupi signore!” esclamò una giovane ragazza
bionda in uniforme da Turk, mettendosi in una strana
posa. “Noi, i Turks, non esiteremmo a sacrificare la
nostra vita e la nostra dignità per lei!”
“Oh, Levy[2],”
commentò il rosso posandosi una mano sulla fronte, ma qualcuno accanto a lui lo
fissava con un sogghigno.
“So già come fare,” aggiunse quest’ultimo, un robusto uomo calvo con gli occhiali scuri,
“vero Reno?”
A quelle parole il Turk rosso lo
guardò, visibilmente inquieto.
“Seicentouno, seicentodue,”
continuò Vincent, imperterrito.
Pochi minuti dopo, sembrava che non fosse mai accaduto nulla
al prezioso tappeto rosso tempestato di gioielli. Solo un osservatore attento
si sarebbe accorto che la macchia scura che era rimasta dopo
l’intervento di Reeve e Red
XIII era coperta da un folto strato di capelli rossi, che si confondevano con
le fibre circostanti. Nelle ultime file, il Turk
calvo annuiva soddisfatto mentre teneva in mano un rasoio da barbiere ancora
caldo.
“Novecentoventuno, novecentoventidue,”
continuava a contare Vincent, gli occhi chiusi e la
fronte imperlata di sudore, apparentemente inconsapevole di ciò che lo
circondava.
D’un tratto il brusio nervoso che
animava il pubblico fu interrotto da un poderoso suono di gong.
“Attenzione, sudditi!” annunciò l’eunuco imperiale. “Ci
benedice con la sua santa presenza l’Illustrissimo Signore degli
Dei, il Padre della Virtù, il Prescelto di Da-Chao,
il Pescatore delle Acque del Mondo, l’Araldo dei Diecimila Petali Bianchi, il
Sommo Patrono del Pianeta, l’Ineffabile Divinità di Godo Kisaragi,
Sublime Imperatore Celeste di Wutai!”
Dopo quell’interminabile
presentazione, finalmente, Vincent riaprì gli occhi e
scrutò attento il margine della piazza. L’aria fu
invasa dal suono degli strumenti tipici wutai, che
intonavano una delicata marcia nuziale.
Poi finalmente li vide che avevano appena girato l’angolo
per entrare nella piazza.
L’Imperatore era altero come al
solito, nel suo kimono dorato, con la sua alta tiara ingioiellata e la katana al fianco, ma gli occhi di tutti si posarono su
colei che accompagnava, tenendola per un braccio.
Non sembrava una ventenne che fingeva di essere incinta.
Non sembrava una Ninja di Wutai col vizio di rubare tutti i materia
che vedeva.
Ma soprattutto non sembrava Yuffie.
Forse era per il fatto che Vincent non l’aveva mai vista vestita da donna, ma stentava
quasi a credere che fosse lei la persona sotto quel vistoso kimono bianco e
rosso, stretto in vita da un obi lucente ed adornato con sottili strisce di
seta su cui erano state scritte a mano le antiche benedizioni del suo popolo. Il
volto era bianco per la cipria utilizzata, ad eccezione del rossetto che
formava un piccolo cerchio rosso intenso sulle labbra e l’ombretto viola che le
decorava gli occhi, ed era incorniciato da un elaborato copricapo bianco da cui
pendevano sottili catenelle in argento e fili di perle naturali. Le decorazioni
si innalzavano lungo il fusto del copricapo,
intrecciandosi più volte fino a formare la figura di un drago serpentiforme che
si attorcigliava attorno alla testa della ragazza, il corpo argenteo tempestato
di lapislazzuli del colore del mare.
Vincent continuò a chiedersi se quella fosse veramente la sua Yuffie
finché non incontrò i suoi occhi: in quel momento estrasse la lingua, assumendo
un’espressione di buffa esasperazione che contrastava nettamente con la
solennità del suo aspetto, e l’ex-Turk dovette
faticare a trattenere un sorriso divertito: era davvero la sua Yuffie.
Quando la sposa e suo padre ebbero raggiunto il palco coperto
dove lo sposo ed il suo testimone aspettavano, la musica si interruppe
e su tutta la piazza, sull’intera città scese un silenzio di tomba. Godo, con
espressione severa ed uno sguardo di ammonimento,
lasciò andare il braccio di Yuffie e si portò dietro al piccolo altare
approntato per l’occasione. Vincent colse rapido
l’occasione per sfiorare una mano della ragazza, attirandone l’attenzione.
“Sei agitata?” chiese con un filo di voce quando ebbe
incontrato i suoi profondi occhi blu-violetti.
“Da impazzire,” rispose lei
sorridendo.
Godo si schiarì rumorosamente la
voce, in modo da distogliere i due innamorati dai loro scambi di battute.
“Figli di Da-Chao,” esordì l’Imperatore ad alta voce, in modo da essere
sentito per tutta la piazza. “Onorevoli ospiti. Siamo qui riuniti oggi, sotto
lo sguardo benevolo del nostro Padre, per un’occasione irripetibile.
In questo sacro giorno, mia figlia si consacrerà all’uomo che ama.”
Yuffie e Vincent, trepidanti,
chinarono il capo, mentre Shelke ricominciava a
singhiozzare e Tifa stringeva spasmodicamente la
spalla del fidanzato. Godo, dal canto suo, rimase in
silenzio alcuni secondi, ripensando a quante cose erano passate da quando la
sua piccola Yuffie se n’era andata di casa. Quello era l’ultimo momento in cui
avrebbe potuto opporsi alla decisione di sua figlia e costringerla a sposare un
partito migliore di uno straniero che si presentava di fronte a lui con un
abito sbrindellato e senza una dote. Ma d’altronde gli era giunta solo il giorno prima che Suzuki Honda, il ragazzo che aveva scelto come futuro genero,
aveva abbandonato la fortuna delle sue famiglie e si era dedicato ad una
campagna itinerante per sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte alla
drammatica situazione dei molboro, mandando di fatto
a monte un luminoso futuro come Samurai e Consorte Imperiale. Quindi, anche se avesse voluto interrompere il matrimonio,
non avrebbe avuto un sostituto per Vincent.
“Almeno questo tizio,
lei lo ama,” pensò, per poi scrollare le spalle. In fondo, molto tempo prima, aveva avuto anche lui vent’anni.
“Lasciate che vi dica quanto questo giorno sia importante
per me, e non solo come sovrano, ma come padre.”
Per un attimo rimase in silenzio, tanto che la coppia di
fidanzati lo guardò preoccupata, ma poi l’uomo scrollò di nuovo le spalle,
stavolta più vigorosamente, ed uno stanco sorriso gli si dipinse sulle labbra.
“Credo che abbiate già capito tutti come mi senta.”
Una lieve ed imbarazzata risata serpeggiò fra la folla a quella infrazione del protocollo, ma nessuno protestò: dopotutto
la tradizione di Wutai era stabilita dall’Imperatore,
e se lui aveva deciso di modificarla il popolo non avrebbe potuto fare altro
che accettarla.
Tornato serio, Godo sollevò una
mano ingioiellata. “Che s’avanzino gli anelli!”
Con passi felpati, Cait Sith caracollò verso il padiglione degli sposi, portando su
un cuscino decorato due piccoli anelli d’argento. Su ciascuno di essi brillava una minuscola scheggia di materia,
sufficientemente potente però da emettere un bagliore autonomo, senza il
bisogno di riflettere la luce esterna. L’una era di un vivace
colore rosso acceso, l’altra era accesa di una tenue luce bianca.
Non senza difficoltà il gatto meccanico depositò il cuscino
con le fedi sull’altare, per poi defilarsi dietro a Reeve.
Godo guardò il felino vagamente accigliato, ma lasciò
correre e si rivolse a Vincent.
“Vincent Valentine, sotto lo
sguardo ed il giudizio sovrano di Da-Chao, accetti di
prendere Yuffie Kisaragi come tua sposa, di
proteggerla, di onorarla, di amarla finché non ritornerete al Pianeta?”
“Sì,” rispose l’uomo con decisione.
Nella sua mano destra, quella sinistra della ragazza tremava.
Con un sospiro dettato dall’agitazione del momento, Godo si rivolse alla figlia.
“Yuffie Kisaragi, sotto lo sguardo
ed il giudizio sovrano di Da-Chao, accetti di
prendere Vincent Valentine come tuo sposo, di
consigliarlo, di appoggiarlo, di amarlo finché non ritornerete al Pianeta?”
“Sì,” rispose Yuffie con voce
tremante.
Godo diede in un altro sospiro, poi
annuì. “Scambiatevi gli anelli.”
Vincent, quasi intontito, prese
l’anello con la pietra rossa dal cuscino e lo infilò alla mano sinistra di
Yuffie, dopodiché, quasi in lacrime per la gioia, la ragazza prese
l’anello bianco e fece per inserirlo alla mano sinistra di Vincent, ma si fermò a causa del guanto metallico
dell’uomo. Dopo un breve momento di imbarazzo e
smarrimento, in cui l’ex-Turk, per la prima volta
nella sua vita, era troppo stordito per sapere cosa fare, l’Imperatore tossì
stringendo gli occhi in modo intimidatorio.
“Ah… s… scusami…” borbottò lo sposo, e cominciò a sciogliere
le cinghie che fissavano il guanto di metallo. Quando
finalmente fu riuscito a liberare la propria mano sinistra ed ebbe consegnato la
protezione a Reeve, il quale stentava a trattenersi
dal ridere, Yuffie riuscì, al terzo tentativo, ad infilare l’anello al dito
giusto. Si tennero per mano ancora per un attimo, sorridendo frastornati, prima
di tornare a rivolgersi all’Imperatore. Questi, suo malgrado, dovette
asciugarsi una lacrima prima di concludere.
“Nel nome di Leviathan e di Da-Chao,
vi dichiaro marito e moglie.”
I due trattennero il fiato, quasi aspettandosi che
succedesse qualche catastrofe improvvisa ad interrompere la cerimonia, ma non
accadde nulla.
“Vincent, puoi baciare mia figlia,” concluse Godo con un sospiro, modificando quell’ultima formula senza però che nessuno ci prestasse
attenzione. Vincent e Yuffie non se lo fecero
ripetere e finalmente si abbracciarono, scambiandosi un bacio appassionato e
dolce come l’ambrosia. Mentre Godo distoglieva lo
sguardo, visibilmente imbarazzato, la folla esplose in un unico grido di
giubilo, unito ai fuochi d’artificio lanciati dalla montagna di Da-Chao ed al roboante applauso che percorse la piazza.
Dal suo posto in prima fila, Tifa stava
piangendo senza freni, strattonando il braccio destro di Cloud.
“Tifa… calmati… mi fai male!” protestò quest’ultimo.
“Sposiamoci anche noi!!” disse per tutta risposta la donna.
Cloud la fissò come se avesse
appena visto un molboro vestito da moguri declamargli i versi d’amore di Shake The Espire.
“Ehm…” tentò di rispondere lui. “Veramente io… non mi sento
ancora pronto… cioè…”
Tifa non lo lasciò finire, ma lo
tempestò di pugni, ben consapevole del fatto che in tutto quel bailamme nessuno
avrebbe sentito i lamenti del suo ragazzo.
Ma neppure quel piccolo litigio
poté rovinare quel giorno, un giorno di festa per tutta Wutai.
Ma soprattutto per la sua Principessa e suo marito.
FINE
[1]: Riferimento ad una antica festa Cetra, caratterizzata da grande solennità e
costumi sgargianti.
[2]:
Contrazione piuttosto irrispettosa del nome ‘Leviathan’.