Respiro piano, quasi avessi paura che il leggero soffio del mio fiato
potesse distruggere il silenzio nel quale ho cercato di
isolarmi.
Rimango con gli occhi chiusi, mentre sento le mani dei preparatori
lavorare sul mio viso; non ho bisogno di guardarli per immaginarmi gli
sguardi concentrati sul loro lavoro, alternati a fugaci occhiate
compiaciute nell’osservare i risultati ottenuti grazie ai
loro prodotti all’avanguardia.
È strano sentirli lavorare in completo silenzio, senza i
loro racconti sull’ultimo evento mondano di Capitol City, ma
non sarei riuscita a sopportare una nuova seduta del genere, troppo
simile a quelle che ho dovuto subire dopo essermi offerta volontaria ai
settantaquattresimi Hunger Games. Ad essere sincera, non ero poi
così sicura di volerli al mio matrimonio, ma Flavius, Venia
e Octavia hanno talmente insistito, supplicandomi di accettare il loro
aiuto, che non ho saputo oppormi. Soprattutto dopo tutte le loro
rassicurazioni che avrebbero assecondato ogni mio desiderio senza
battere ciglio.
Inspiro profondamente, cercando di scacciare quel senso
d’ansia che provo all’idea che tra poco
sarò la moglie di Peeta.
Una scarica di adrenalina mi percorre la schiena, per poi irrorarsi in
tutto il corpo, arrivando fino allo stomaco dove si trasforma nel dolce
torpore che ho ricominciato a provare, nelle notti in cui Peeta mi
stringe tra le sue braccia.
Il fugace momento di benessere sparisce troppo in fretta, lasciandomi
in compagnia del senso d’inadeguatezza che serpeggia dentro
di me, insieme ai miei sensi di colpa verso Peeta.
Mi sono aggrappata a lui per non soccombere, proprio come otto anni fa
ho fatto con quel dente di leone, quando lui mi lanciò il
pane.
In questi anni è stato lui il mio dente di leone, il simbolo
della speranza della vita che vuole e deve continuare. Lui, che
nonostante i flashback della sua mente depistata durante la rivolta
contro Capitol, mi è sempre stato accanto; che ha sempre
fatto di tutto per me, ancora prima che ritornassimo nel nostro
distretto; ha accettato che fingessi di amarlo, quando lui mi amava
veramente e ha saputo aspettare che io stessa facessi chiarezza nel mio
cuore, prima di chiedermi di sposarlo.
Ed io ho accettato. Spinta, oltre che dall’amore
che ora posso dire di provare verso di lui, dalla paura di perderlo
nuovamente. Mi sento egoista per questo, ma dopo aver passato una vita
a rifiutare con tutte le mie forze l’idea del matrimonio, non
mi
è facile affrontare un simile passo, soprattutto con un
ragazzo come Peeta, al quale devo tutto, ma che sento di non poter
ricambiare appieno. E questa paura sposta i miei pensieri
sull’argomento più spinoso e difficile da
affrontare: la possibilità di dargli dei
figli.
Con un gesto istintivo, poso la mano sulla vestaglia,
all’altezza del mio ventre piatto e vuoto, domandandomi per
quanto tempo rimarrà tale.
So bene che Peeta desidererebbe una famiglia numerosa, con almeno due o
più figli, ma che per amore mio sarebbe anche disposto a
rinunciarvi, pur di non farmi soffrire. Eppure, questa consapevolezza
mi stringe il cuore, come posso chiedergli un sacrificio
simile?
Il sospiro che esce incontrollato dalle mie labbra non passa
inosservato a mia madre.
“Tesoro, ho quasi finito” mi rassicura, mentre
sento le sue mani delicate intrecciare i miei capelli, fermandoli in
un’intricata acconciatura con diverse
forcine.
Continuando a tenere gli occhi chiusi, cerco di distrarmi dalle mie
paure e mi concentro sul lavoro delle sue mani, finché lei
non m’incoraggia ad aprirli.
Dopo un primo momento di esitazione, seguo il suo consiglio. Intreccio
il mio sguardo al suo, attraverso il riflesso dello specchio. I suoi
occhi sono pieni di orgoglio, ma non hanno la gioia che dovrebbero
avere quelli di una madre che vede la figlia prepararsi per andare
all’altare.
Inconsciamente distolgo lo sguardo dallo specchio, per cercare un altro
paio di occhi azzurri e il respiro mi si blocca in gola, quando la
realtà mi colpisce: Prim non c’è
più.
La mia sorellina non mi farà da damigella, non mi
starà vicina col suo sorriso gioioso che ha sempre colorato
il grigio di questo distretto. Primrose è morta tre anni fa,
e ancora non riesco ad accettarlo; non riesco ancora a credere che quel
maledetto giorno, nonostante i suoi appena tredici anni, lei fosse in
prima linea a salvare altri bambini, che avevano come unica colpa
quella di essere nati A Capitol City, invece che in un qualsiasi altro
distretto.
Prim, che da quando è morto mio padre, è stata la
mia unica, vera ragione di rimanere viva e lottare. Lei, che
inconsapevolmente, continuava a far vivere il ricordo di
un’altra ragazza alla quale era stata tolta la vita troppo
presto.
Non ho mai parlato a Prim di Rue, tutto quello che lei sapeva su
quella bambina dalla pelle scura era grazie agli spezzoni che Capitol
City aveva mandato nei distretti durante i settantaquattresimi Hunger
Games.
Lei, per paura di farmi soffrire non ha mai chiesto, nemmeno quando
veniva svegliata in piena notte dalle mie grida, dopo un incubo
particolarmente spaventoso. Ed io non ho mai avuto il coraggio di
raccontarle quanto fossero simili, e quanto rivedessi in lei la mia
piccola alleata nell’arena.
Mia madre sembra intuire i miei pensieri, quasi fossero eco dei suoi, e
mi abbraccia forte, premendo le sue labbra contro la mia
tempia.
Persa nel mio dolore, noto appena lo staff di preparatori che esce
dalla stanza in silenzio, per non disturbare il nostro momento madre e
figlia.
Rimaniamo abbracciate per diverso tempo, ma quando sento le sue braccia
allontanarsi, mi sembra che sia stato troppo breve.
Mia madre si dirige verso l’armadio e ne tira fuori una
custodia scura. Lentamente e con le mani tremanti, apro la cerniera e
la stoffa della gonna inizia a fuoriuscire dalla confezione.
In pochi minuti la custodia è lasciata sulla sedia e mia
madre appoggia con cura l’abito sul mio letto.
Osservo il vestito in un misto tra ammirazione e commozione e non
è difficile indovinare di chi sia stata la mano che lo ha
creato. Tutto di quest’abito parla di Cinna, dalla sua
semplicità ed eleganza all’attenzione per i
dettagli che ogni centimetro di stoffa sembra voler mostrare. Cerco di
ricacciare indietro le lacrime al ricordo del mio amico, prima ancora
che stilista.
Dopo tutto quello che è accaduto, non avrei mai immaginato
di poter indossare una sua creazione per le mie nozze, ma lui
è riuscito a sorprendermi ancora una
volta.
Sfioro appena la seta candida della gonna, quasi con soggezione, e le
mie labbra tremanti si stendono in un sorriso di gratitudine verso
Cinna.
Ancora fatico a credere che il capo che ho davanti sia stato creato
insieme a quelli per il servizio fotografico.
Ma il mio stilista aveva sempre puntato il suo sguardo più
lontano degli altri; quest’abito non era per le telecamere di
Capitol City o per lo spettacolo da dare ai suoi abitanti annoiati,
quest’abito era destinato a me, per quella cerimonia della
Tostatura, puramente intima e famigliare, che sarebbe seguita ai
festeggiamenti pubblici.
Eppure, io avevo ignorato la sua esistenza fino a poche settimane fa,
quando chiesi a mia madre di tornare nel distretto 12 per la festa di
fidanzamento con Peeta; me lo mostrò per la prima volta,
raccontandomi che quello era il regalo di Cinna per me, il suo modo di
augurarmi di essere felice e che era stato lui stesso a chiederle di
non mostrarmelo, almeno fino a quando il mio matrimonio non fosse
voluto solo dal Presidente Snow per placare il tumulto dei
distretti.
Poi, l’Edizione della Memoria aveva preso il sopravvento e
l’abito era rimasto nascosto nella sua custodia nera, nella
camera di mia madre.
Con molta attenzione, indosso l’abito bianco e volto le
spalle a mia madre, per permetterle di allacciarmi il bustino. Sono
sempre più emozionata, e faccio fatica a rimanere ferma,
mentre lei finisce di chiudere i vari ganci sul retro del
corpetto; poi, finalmente mi porta verso la specchiera, dove posso
ammirare per la prima volta la mia immagine per
intero.
Rimango incantata nel vedere che riflette esattamente la mia figura,
forse più curata del solito, ma nella quale non faccio
fatica a riconoscermi.
È incredibile come in questo momento non sia la Ragazza di
Fuoco, il primo volontario del distretto 12 per gli Hunger
Games, e nemmeno la Ghiandaia Imitatrice, simbolo di speranza e
ribellione. Sono semplicemente una sposa, solo Katniss Everdeen, una
ragazza finalmente pronta a sposare il giovane che
ama.
Sorrido di questa nuova consapevolezza, mentre mia madre si asciuga
alcune lacrime di commozione.
“Tesoro, sei bellissima” dice, sistemandomi il
retro della gonna, in modo che non si sgualcisca prima del
tempo.
“Dolcezza, sei uno schianto!”
La voce di Haymitch ci fa sussultare entrambe.
“Avrei potuto essere nuda!” cerco di protestare per
la sua irruzione nella stanza, ma le mie scarse capacità
recitative non mi rendono affatto credibile.
“In quel caso, sarebbe stato un bene che non sia salito il
tuo futuro marito, altrimenti chissà per ancora quanto tempo
avremmo dovuto aspettare prima di vedervi ricomparire in salotto
…”.
“Haymitch!” esclamo, sconvolta da quelle allusioni
pronunciate davanti a mia madre, come se lei non sapesse che negli
ultimi tre anni è stato il petto di Peeta a farmi da
cuscino.
“Non ti nascondo, dolcezza, che sarebbe stato divertente
accompagnarti in reggicalze e guepiere davanti a tutti, ma non penso
proprio che Peeta sarebbe così generoso da condividere una
simile visione con gli altri ospiti!” esclama
divertito.
Le mie guance si fanno ancora più scarlatte di quanto
già non fossero, all’idea di indossare una simile
mise al posto del mio rassicurante abito.
“Peeta è già arrivato?” cerco
di cambiare discorso, sorprendendomi della nuova agitazione che sto
iniziando a provare.
“Sono arrivati tutti, dolcezza. – mi apostrofa il
mio vecchio mentore – Tornando a quel santo ragazzo che ha
deciso di prenderti in moglie
…”.
Scocco un’occhiataccia ad Haymitch, ma lui continua come se
niente fosse:
“Penso che se t’intratterrai ancora un
po’ in questa stanza, potrebbe salire lui stesso e
trascinarti giù di forza, almeno questi erano i suoi piani
cinque minuti fa. Devo ammettere che, in effetti, è
parecchio agitato; ha già consumato tutto il parquet della
sala, a furia di misurarla in lungo e in largo!”.
“In questo caso, sarà meglio che vada a
rassicurarlo” si offre mia madre, lasciando la stanza, ma non
prima di essersi accertata che io stia veramente
bene.
Rimango in silenzio per qualche secondo, cercando di calmare il mio
cuore che batte impazzito. Haymitch mi fissa in silenzio, ed io non
posso fare a meno di ripensare alle sue parole.
Sono arrivati tutti. Quella frase continua a risuonarmi nelle orecchie
come una grande bugia: non è vero che in salotto sono
presenti tutte le persone a noi più care. La stanza al piano
di sotto potrà anche essere affollata, ma il silenzio degli
assenti è per me assordante. La mancanza di una voce spicca
tra le altre: quella di Gale, uno dei pochi assenti ancora in vita. Il
nostro ultimo incontro risale all’esecuzione del Presidente
Snow.
Non ho più avuto il coraggio di guardarlo in volto,
senza rivolgergli una muta accusa di colpevolezza; come se la morte di
mia sorella fosse esclusivamente colpa sua e di quelle sue maledette
bombe.
Tagliare ogni contatto con lui è stata la cosa
più difficile. Forse, un tempo, ero stata veramente
innamorata di lui e di quel fuoco che gli bruciava l’anima,
lo stesso fuoco che ardeva in me prima della fine della rivolta. Forse,
le cose sarebbero potute andare diversamente se solo il nome di Prim
non fosse stato estratto durante la mietitura. Ma il Destino ha scelto
per noi: ha voluto che ci separassimo e noi non ci siamo mai veramente
opposti, troppo presi dal nostro odio personale, invece di cercare di
rimanere insieme.
Non l’ho invitato al matrimonio, come non ho avuto il
coraggio di invitare la sua famiglia, ma non avrei potuto fare
diversamente. Sarebbe stato troppo doloroso, per
tutti.
“Dolcezza, sei pronta?”
La voce di Haymitch mi riporta alla
realtà.
Annuisco, appoggiandomi al braccio del mio mentore e inizio a
incamminarmi verso il piano di sotto, dove Peeta mi sta aspettando.
Note dell'autrice: Un
primo grazie va a Fanny_Rimes che si è gentilmente prestata
a betarmi la storia e ha sopportato tutte le mie paranoie dovute ad un
calo di autostima, per questa storia che ha rischiato di rimanere una
bozza incompiuta in una delle tante cartelle sul mio pc. Gli altri
ringraziamenti vanno a tutti coloro che sono riusciti a leggere fino a
questo punto, mi piacerebbe sapere la vostra opinione su questa piccola
one-shot.