Il
gioco
Dondoli i piedi lenta, gli occhi sono stanchi e le mani scarne
giacciono sul bracciolo abbandonate. Il vento si agita
nell’aria ma tu rimani impassibile; questo non sembra nemmeno
accarezzare la tua pelle.
La sedia oscilla calma e tu osservi il Sole imbrunire tra tetti
rossicci, tetti color del sangue, tetti colorati di guerra: della tua guerra.
E’ passato un altro giorno, pensi, mentre ti cali pacata
l’armatura. I pezzi metallici cigolano rumorosamente al
contatto col suolo. Sospiri, ora sei a casa. Eppure senti che qualcosa
un va, percepisci una vibrazione profonda, acuta, che risuona nelle
orecchie: capisci che niente sembra funzionare.
Aguzzi lo sguardo per trovare un qualsiasi intruso, un qualsiasi
fastidio, una qualsiasi incoerenza… Questa ricerca non porta
a nulla: il problema sei tu. Questa è la convinzione che
affligge lento e crudele il gioco.
L’armatura si è intaccata nella tua pelle ormai,
pochi sono i pezzi atterrati muti sul suolo. Non puoi toglierla,
farebbe troppo male. Potresti scorticarti, potresti sanguinare,
potresti perfino morire se decidessi di toglierti
quell’armatura. Capisci, come sempre, e ti lasci dondolare
sempre più sconfitta sulla sedia: l’armatura si
è calcificata, come uno scheletro, l’armatura fa parte di
te.
Il gioco è cominciato da molto tempo, questo lo sai. Getti
lo scudo dall’altra parte del giardino, quello in cui sei
solita trastullarti ogni sera, e lo lasci giacere sull’erba
umida colma di rugiada. Nessuna spada, nessuna lancia: possiedi
semplicemente uno scudo.
E’ un gioco a senso unico, un ruolo incarnato da millenni: difenditi.
Non c’è peggior guerra di quella che affronti, non
c’è peggior cosa da sopportare. Preferiamo essere
visibili o essere invisibili? Preferiamo essere spada o scudo? Tu lo
sai, forse? Quello in cui crediamo veramente è semplicemente
la proiezione di ciò che facciamo. E tu, cosa fai? Credi
nella follia e anche nel silenzio, forse. Non credi in nulla, forse.
Non vuoi proprio svegliarti, o forse non puoi? Preferisci rinchiuderti
e non uscire, buttarti da un palazzo di cinquanta piani, affondare
sempre più giù per poi accartocciarti su te
stessa.
Questo è il gioco, non ci sono regole.
Non vince chi è il più forte, ma chi è
il più crudele. E tu, cara mia, hai perso. Apatica e senza
forze, scruti il crepuscolo inoltrare nel buio, tenebre che ti
avvolgono sicure e tu ti lasci trasportare… Lentamente.
Questo gioco ha un nome che già conoscete, si chiama
realtà: realtà che si è incrostata
sulla cute, realtà diventata la tua persona.
Perché sei entrata a far parte di questo gioco? Ti
mangeranno, lo sai benissimo. Ma il punto è questo, non
siamo noi a deciderlo, veniamo semplicemente catapultati qui.
Non provi nemmeno a fuggire, non ti è concesso di farlo.
Ridi in preda all’isteria e poi piangi, spargi lacrime di
sangue. Digrigni i denti, non senti dolore, ridi e piangi in
contemporanea: lo spettacolo più inquietante che tu abbia
mai potuto mettere in scena. Diventerai bugiarda, forse, diventerai
egocentrica, forse, diventerai coloro che ti danno la caccia, forse,
coloro che lanciano le spade. Ridi ancora, sempre più forte,
facendo echeggiare le risate nel vento. E’ così
che funziona il gioco: diventi pazza.
Rassegnati, non
c’è modo di uscire: una volta dentro non
c’è possibilità di tornare indietro.
|