Un Funerale
Un cielo grigio avvolgeva
la scena con mesto pudore; un sole, freddo, cercava svogliatamente di penetrare
quel mantello di nuvole che scorrevano in una rivisitazione celeste di una
marcia funebre.
Freddo, sulla pelle e
nell'anima.
Un barlume di calore: lacrime
che gli affollavano gli occhi, facendoli bruciare.
E ne sentiva un altro di
calore, più diffuso, al livello del petto; abbassò lo sguardo come non sapesse
di cosa si trattava. Era la sua ragazza, riversa su di lui, che sembrava stesse
cercando di piangerli direttamente nel cuore, come se ce ne fosse bisogno.
All'inizio provò un moto
di affetto ed empatia verso di lei, che gli scavò lentamente un sorriso sulla
bocca.
Ma poi, bruscamente, mutò
parere: che ragione aveva lei di piangere! Non era suo padre quello chiuso in
una cassa qualche metro davanti a lui!
Un moto di disprezzo e
disgusto si fece strada nelle sue viscere, tanto che pensò anche di
scrollarsela di dosso malamente, ma poi si trattenne, non sapendo nemmeno per
quale motivo.
E tutt'intorno iniziarono
a germogliare motivi di fastidio: la cantilena inutile del prete, i piagnistei fasulli
della gente intorno e l'ululato del vento su un'erba immotivatamente verde.
Sollevò lentamente lo
sguardo a cercare quello di sua madre, ma lo trovò immerso in un fazzoletto di
pezza, a soffocarvi le lacrime.
Lei forse era l'unica che
potesse capire... L'unica a cui suo padre mancherà quanto mancherà a lui...
Però il dubbio si insinuò
anche in quell'immagine... non poteva fare a meno di notare le somiglianze tra
il suo pianto a dirotto e quello degli impostori che le sedevano accanto...
E mentre pensava ciò, come
sangue da una ferita, ritornarono su ricordi di suo padre, felici e non, e ad
ogni visione il dolore cresceva sempre di più. Così, dopo aver sbattuto forte
le palpebre per scacciarle, decise di distrarsi guardandosi intorno... non che
un cimitero offrisse molti elementi di distrazione da quei pensieri...
Ma poi notò qualcosa di
strano, un individuo sconosciuto, appostato dietro un albero, che fissava
proprio lui.
Rimasero lì, a scambiarsi
quello sguardo per minuti. Quello non faceva niente, a malapena si poteva dire
che sbattesse le palpebre, ma quegli occhi non riusciva a decifrarli, non
capiva perché lo stesse osservando così scrupolosamente. Inoltre non indossava
vestiti eleganti, neri, che si addicessero ad un funerale, era vestito in un
modo completamente anonimo, con pantaloni anonimi e felpa anonima, ma la sua
figura, che spuntava per metà da dietro quel tronco, iniziava ad essere
inquietante.
Poi, di nuovo d'un tratto,
anche lui diventò fastidioso: quale mancanza di rispetto è fare il guardone al
funerale di un estraneo!?
Questa volta, il moto di
rabbia doveva sfogarlo, così si congedò delicatamente dalla sua ragazza e si
mise a camminare a passo deciso verso l'uomo, e anche questa volta egli non
fece nulla.
Alla fine gli giunse ad un
palmo dal naso, erano alti uguali quindi ora i loro occhi si allineavano
perfettamente.
«Cosa stai facendo
qui?»
«Partecipo»
«Perché? Io non ti
conosco e nessuno ti ha invitato»
«Perché adoro i
funerali... mi fanno sentire vivo... Non è la stessa cosa per te?»
«Certo che no!»
fece indignato, digrignando i denti.
«E allora perché partecipi?»
«Forse non lo sai,
ma quello è mio padre!»
«E allora? La
domanda è ancora valida»
Trattenne il pugno
per miracolo, mentre un'altra lacrima gli scivolò lentamente per il viso.
«Perché piangi?»
«Perché era mio
padre, gli volevo bene!» rispose, non riuscendo a credere come qualcuno non lo
capisse.
«No, qui non si
tratta di tuo padre... che si creda che alla morte si cessi definitivamente di
esistere o che si approdi ad una vita ultraterrena e migliore, comunque vada
egli ha smesso di soffrire... quindi non è per lui che piangi»
«Ma cosa sei, una
specie di strizzacervelli!?» chiese, esasperato.
«Ma se non piangi
per lui - proseguì, ignorandolo - per chi allora? Io lo so: per te stesso...
Perché sei stato privato di qualcosa, della sua vista, delle cose che facevi
con lui e delle parole che vi scambiavate. Puro egoismo. Sei come un bambino, quando
la mamma dice che è ora di dormire, ma tu vuoi continuare a giocare, e allora
ti lamenti, piangi, e credi che tutto e tutti siano contro di te, con una
presunzione ed un egocentrismo tipici dell'infanzia. Quando un bambino si
comporta così, bisogna mostragli accondiscendenza?
Guarda quelle
persone - disse indicando il capannello in lutto - sono venute qui per te, non
per loro stesse. A loro dovresti portare rispetto, perché condividono il tuo
dolore, si fanno carico di un fardello che non è il loro, e tutto per colpa del
tuo egoismo»
Dopo aver seguito
il dito dell'uomo fino alla schiera da cui era uscito poco prima, aveva riletto
i loro volti alla luce di queste ultime parole, e un senso di colpa gli
attanagliò lo stomaco: non aveva il diritto di odiarle e disprezzarle, quando
loro avevano aderito spontaneamente a quel dolore inventato da lui senza un
motivo ragionevole.
«Stolti - continuò
- hanno compassione di te, non si accorgono che stanno facendo il gioco di un
bambino capriccioso...»
«Attento a come
parli di loro! Sono le persone che mi sono più care, quindi...» urlò voltandosi
verso quello, ma quando ricercò i suoi occhi, quelli erano spariti.
Si guardò intorno
esterrefatto, ma non trovò nessuno.
Intanto, la folla
che circondava la bara di suo padre, che era stata sepolta, si stava diradando
mentre il prete chiudeva il suo bel libro.
Venne
immediatamente raggiunto dalla sua ragazza che lo strinse nuovamente, e quel
bellissimo calore lo avvolse e pervase tutto, asciugandogli le lacrime e
riempiendogli il cuore.
«Come va?» gli
chiese dolcemente, con la delicatezza di una farfalla che si posa su un fiore.
«Bene» le sorrise,
trattenendo quel "mi sento vivo" che stava per sfuggirgli a
tradimento.
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