e con le mani amore x le mani ti prenderò
e senza dire parole nel mio cuore ti porterò...
(F. De Gregori)
Harry osservava rapito le mani del pozionista. Lavoravano
incessantemente e con meticolosità alla preparazione di un composto:
tagliavano, sbucciavano, spremevano, lasciavano scivolare mollemente polveri e
granelli nel recipiente, mescolavano a diverse velocità. Erano unte e sporche.
Qualche volta Harry aveva visto Severus massaggiarsele con la crema: alcune
pozioni potevano rovinare la pelle, Severus gli aveva proibito assolutamente di
toccarle. Tornò a concentrarsi sul lavoro del suo tutore: era incredibile come
le dita sapessero sempre quanto materiale dosare, i polsi quanta forza
esercitare: quelle mani sapevano come tenere i mestoli, quali recipienti
scegliere, come maneggiare ogni tipo di materiale. Al banco dei preparati per
pozioni il professor Piton non aveva rivali. Harry seguì il profilo di quelle
mani lungo le braccia, fino alle spalle per poi fermarsi sul volto dell’uomo:
era sempre molto concentrato, lo sguardo fisso sul contenuto del recipiente.
Harry si chiedeva a volte se respirasse: i movimenti erano ridotti al minimo,
come a non voler sprecare energie inutili. I capelli talvolta gli scivolavano
davanti al viso ma nemmeno quelli si prendeva il disturbo di spostare.
Il bambino aveva ottenuto di
assistere al lavoro del suo tutore. Doveva rimanere però in silenzio,
appollaiato sull’alto sgabello e a distanza di sicurezza dal tavolo. Se aveva
domande avrebbe potuto formularle solo al termine della seduta. E se in un
primo momento Harry di domande ne avrebbe fatte a cascata tanto era rimasto
meravigliato da tutto quello che passava sotto ai suoi occhi e che finiva
inevitabilmente dentro un calderone a cuocere a fuoco lento, sbuffando ogni
tanto fumate a colori, alla fine aveva desistito perché non voleva perdersi un
attimo di tutta quell’insolita attività . Quindi memorizzava le domande che
poi, una volta giunta la sera e l’ora della lettura del dopo cena avrebbe
posto. Che il professor Piton lo avesse ammesso nel laboratorio era per Harry
un fatto straordinario. Quando viveva dai Dursley gli era assolutamente vietato
mettere piede nei quartieri privati di zio Vernon: box auto e rimessa degli
attrezzi da pesca. Invece il suo nuovo tutore gli aveva dato il permesso di
guardarlo lavorare in quella stanza piena di cose strane chiuse dentro vasi e
vasetti. Un bel passo avanti per il piccolo Potter, che solo da sei mesi era
entrato prepotentemente, benché non di sua volontà, nella vita di Severus
Piton. Mentre guardava con crescente curiosità delle cose tonde che potevano
essere occhi di qualche strano animale si sentì improvvisamente interpellare: -
Potter invece che startene lì impalato come un gufo impagliato potresti darmi
una mano. – Gli aveva chiesto di aiutarlo? Il bambino sbarrò gli occhi per la
sorpresa. Toccare quelle cose?
- Potter non mi pare che
dall’ultimo controllo medico il tuo udito fosse diminuito. –
- Oh sì signore, certo signore. –
Per l’emozione quasi cadde dallo sgabello.
- Senza ucciderti possibilmente.
–
Il bambino posò i piedi a terra e
si avvicinò all’uomo.
-Cosa devo fare? – Guardava il
professore da sotto in su. Il professore era sempre tanto serio. Aveva sempre
gli occhi imbronciati, con quella pieghetta fra le sopracciglia che lo rendeva
ancora più torvo. Harry non sempre ne
capiva il motivo, a lui sembrava di non aver fatto niente di male e niente di
sbagliato, però poi pensava che il signor Piton era sempre così, a qualsiasi
ora del giorno, forse era così anche quando dormiva, quindi non poteva essere
sempre colpa sua. Qualcosa doveva turbarlo. Forse i suoi studenti: lo sentiva
spesso borbottare quando correggeva gli elaborati. Aveva capito che quelli che
chiamava Tassorosso e Grifondoro erano i peggiori. Venne riscosso dai suoi
pensieri dal rumore sordo di qualcosa che si stava avvicinando al tavolo.
L’uomo aveva fatto una magia, aveva chiamato una piccola pedana e la piccola
pedana era arrivata. Faceva spesso così il suo tutore quando gli occorreva
qualcosa. Diceva “Accio”, almeno gli sembrava che quella fosse la parola
magica. Harry pensava che era una cosa
davvero forte, perché potevi prendere tutto quello che ti serviva senza quasi
muovere un dito: davvero comodo! Se avesse potuto fare lo stesso quando stava
dai Dursley si sarebbe risparmiato un sacco di fatica.
- Allora, questi sono semi di
magnolia maxima Li devi aprire a metà, così, togliere l’interno con molta
delicatezza e metterlo in questa ciotola. Le bucce invece le metti in
quest’altra. Hai le mani piccole, dovresti fare meno fatica di me. Stai attento
a non romperli, perché rotti non servono a nulla. Non ho nessuna intenzione di
andare a Diagon Alley almeno fino al prossimo novilunio per procurarmene degli
altri. Tra l’altro rilasciano un odore sgradevole che ti si appiccica alle
mani. –
Harry sulla pedana arrivava
comodamente al tavolo da lavoro: adesso era dalla parte opposta a quella del
pozionista. Severus da quella posizione poteva tener d’occhio il bambino
alzando semplicemente lo sguardo. Harry si sentiva importante: sapeva che le
pozioni che il professore preparava erano preziose e usate per tantissime
cose. Durante le loro chiacchierate
serali, che adesso si erano fatte più intense rispetto ai primi giorni nella
sua nuova casa, il mago gli aveva parlato del suo lavoro e ad Harry dispiaceva
da morire non poterne far parola con i compagni. A parte Ron ovviamente, ma Ron
era come lui, un piccolo mago, e i suoi fratelli più grandi andavano a scuola
lì al castello, proprio dal professor Piton. Però non sembravano esserne
particolarmente entusiasti. Harry lo capiva: non era certo un simpaticone il
professore. Però era bravo. Non gli faceva mancare niente. E’ vero, non gli
faceva carezze e nemmeno gli dava il bacio della buona notte ma tanto c’era abituato:
quelle erano cose che facevano i genitori. Lui era il suo tutore. Che adesso
gli faceva anche preparare i semi di magnolia.
Tutte cose che nella vita precedente nemmeno si sarebbe mai sognato.
Il bambino apriva i semi e ne
divideva involucro e anima. Era talmente concentrato che non sembrava nemmeno
respirare. Proprio come il suo maestro. Forse per preparare le pozioni bisognava
proprio fare così. Severus lo osservava con frequenza: non era un lavoro
pericoloso, solo noioso. Però il piccolo sembrava procedere bene. Era sorpreso
positivamente da Potter, doveva ammetterlo. Faceva ancora molta fatica a
relazionarsi con lui ma le cose erano migliorate rispetto ai primi giorni di
convivenza. Harry era curioso, faceva un sacco di domande e per ora era sempre
riuscito a dargli una risposta. Almeno finché non fossero arrivate domande più
difficili, che lo avrebbero coinvolto troppo personalmente. Poteva dire ora che
vivere col bambino era diventato tollerabile.
- Signore… ne ho rotto uno… -
- Uno è perdonabile. –
- Mamma mia che puzza… -
- Ti avevo avvisato. Vieni qui. –
Harry scese dalla pedana e
raggiunse Piton che nel frattempo si era avviato al lavello per sciacquarsi a
sua volta le mani. Harry vide che erano molto arrossate, quasi come se le
avesse scottate. Il pozionista attese che anche Harry lavasse le proprie poi
gliele frizionò con una spugna molto porosa. Nessuno si era mai preso cura di
lui, quel gesto fece ad Harry uno strano effetto. Fissò Severus.
- Perché mi guardi così? Non
dirmi che ti sto facendo male. –
- No signore… la spugna mi fa un
po’ il solletico. –
- E’ profumata. Annusati le dita
adesso. –
Era vero, l’odoraccio era
sparito. Al suo posto sentiva un buon profumo, sembrava quasi il profumo di un
giardino. D’istinto prese una mano al suo
tutore.
- Cosa fai Potter?! –
- Le fanno male le mani signore?
Sono tutte rosse, perché non usa la spugna anche lei? –
Se per Harry era una novità che
qualcuno si prendesse cura di lui, per Severus era una novità che qualcuno che
non fosse Silente si preoccupasse per lui. Rimase per un attimo stordito dalla
gentilezza del piccolo, e forse ancor di più dal tocco fra le loro mani.
- Le mie mani sono a posto
Potter, grazie! – Gli aveva risposto un po’ bruscamente, ma lo aveva fatto
senza intenzione questa volta, come fosse un riflesso incondizionato. Sapeva di
essere burbero con Harry, era una strategia e un mezzo di autodifesa. Sapeva
anche che Poppy lo bacchettava proprio per questo. Ma lui riteneva di avere già
fatto un enorme sforzo ad accogliere il piccolo in casa.
- Torniamo al lavoro. – Si tolse
così dall’imbarazzo crescente che quella situazione gli stava provocando. Il
lavoro terminò senza ulteriori incidenti. Severus si complimentò col bambino.
- Ottimo lavoro Potter. – Per
risposta lui corse via contento a prepararsi per la cena.
– E non correre, che al bagno ci
arrivi lo stesso! – fiato sprecato. Gli era così insolito veder qualcuno
correre in quella casa. Ma si trovò a pensare che alla fine non era poi tanto
terribile.
Due giorni dopo Harry era a letto
con quasi 40 di febbre. Non erano stati i semi, era stata l’epidemia che aveva
decimato la sua classe: anche Ron subiva la stessa sorte. Severus non aveva mai
dovuto badare ad un bambino malato. Quando succedeva ai suoi alunni lui se ne
accorgeva solo vedendo i posti vuoti o dalla richiesta di particolari pozioni
curative proveniente dall’infermeria. Avrebbe dovuto capire che Harry non stava
bene ed evitare di mandarlo a scuola già dal mattino. Invece se lo ritrovò
febbricitante alle 4, quando davanti alla tazza di tè e ai biscotti si accorse
che qualcosa non andava: Potter aveva gli occhi lucidi, lamentava un mal di
testa e, cosa che non era mai successa dal suo arrivo, rifiutò la merenda.
Risultato: una gola in fiamme e una fronte talmente calda da poterci scaldare
del grog. Preso un po’ alla sprovvista decise di fare una breve incursione via
camino a casa Weasley: quando Percy vide la faccia del professore spuntare fra
le fiamme per poco non si strozzò col succo di zucca che stava bevendo.
- Vorrei parlare con sua madre
signor Weasley. –
- Gliela… gliela chiamo subito. –
Molly raggiunse l’ospite dopo
qualche minuto e lo informò sulla situazione. Aveva fuori uso anche i gemelli
per lo stesso motivo oltre che Ron, era normale routine, i suoli rimedi
consistevano in tanto riposo, in un regolare cambio d’aria delle stanze, in una
buona minestra e nell’unguento di Nedong*.
- Usi quello? –
- Certo, lo prepari tu! A cosa
pensavi servisse? –
- So benissimo a cosa serve, ma
credevo gli propinassi dello sciroppo, o qualcosa del genere. –
- Devi spalmargli l’unguento. E’
più efficace, agisce direttamente sull’infiammazione ed Harry se non sbaglio ha
già un apparato respiratorio provato… -
- So benissimo anche questo. –
- E allora perché sei venuto fin
qui se sai tutto? – Uhhhh quella donna era peggio di un incanto snervante.
- Volevo un confronto… non ho
certo la tua esperienza con bambini malati. –
- Per la barba di Merlino tu ti
stai confrontando con me? Per il bene di Harry? –
- Il mio è semplice scrupolo, non
mettermi in bocca cose che non ho pronunciato!-
- Oh sì certo, mi perdoni
professore per aver messo in dubbio la sua fama di mangiabambini…. –
- Di certo è quella che mi si
addice meglio. –
- Non lo sarà ancora per molto. –
- Cosa vorresti dire, che mi sto
rammollendo solo perché ho un bambino che tra l’altro nemmeno volevo che mi
gira per casa? –
- Esattamente quello. –
- Potter non farà altro che
confermare e acuire il mio “talento naturale”. –
- Ci risentiamo fra qualche mese
professore…. –
- Quante volte? –
- Quante volte cosa? –
- Quante volte devo mettergli
l’unguento! –
- Due volte al giorno. Spalmare
fino al completo assorbimento… sono indicazioni del pozionista. –
- Molto divertente signora
Weasley . – Sparì fra le fiamme e non vide il ghigno di soddisfazione che Molly
aveva dipinto sulla faccia.
Pessima donna… e aveva pure
generato…più di una volta come se non bastasse. Severus aveva avuto il piacere
di conoscere il peggio della famiglia Weasley durante le riunioni dell’Ordine
alla Tana e già sentiva crescere l’acidità di stomaco al pensiero dell’arrivo dei gemelli ad Hogwarts. Perché diavolo
non si era rivolto a Poppy…già perché? Gli era venuto spontaneo interpellare la
Weasley. Spontaneo, sì, era la parola esatta per descrivere il suo insolito
comportamento. Insolito, perché di spontaneo Piton non aveva e non faceva più
nulla da un sacco di tempo. Non voleva credere che fosse un segno di cedimento
e tornò a concentrarsi sul problema urgente: la febbre.
Trovò l’unguento nella sua
fornitissima dispensa e si avviò verso la camera del bambino. Lo sentiva
tossire violentemente e pensò che se andava avanti così gli sarebbero esplosi i
polmoni. Quando lo vide non poté non provare pena: i colpi di tosse non gli
davano pace, gli squassavano davvero il petto e non respirava bene. Sentì
urgente il bisogno di alleviare il tormento: non sopportava di vedere il
bambino in quello stato.
- Potter adesso ti spalmo un
balsamo che ti farà stare meglio. Mettiti bene sulla schiena. – Gli sollevò
maglia e canottiera scoprendo la pelle bianchissima. Intinse indice medio e
anulare nel vasetto: le mani del pozionista iniziarono a spalmare l’unguento
sul petto del bambino. Harry le osservava: facevano movimenti circolari sulla
sua pelle e sentiva il fresco dell’unguento, che aveva un odore molto forte cui
non riusciva a dare un nome. Al fresco seguì una sensazione di calore: l’odore
adesso gli ricordava le arance. Ma quello che gli faceva più bene era quel
massaggio, il contatto di quelle mani che aveva guardato così tante volte e che
adesso lo accarezzavano. Era una sensazione così strana e piacevole. Avrebbe
voluto che non finisse più. Come durante la preparazione delle pozioni il
professore era concentrato su ciò che faceva. Harry chiuse gli occhi immaginando
che ad accarezzarlo fosse suo papà, anche se non si ricordava nemmeno che
faccia avesse…Finito sul davanti Severus fece sedere il bambino e ripeté
l’operazione sul dorso. Il massaggio diede quasi subito i suoi effetti: Harry
si addormentò appena tornò ad appoggiare la testa al cuscino. Non aveva
spiaccicato parola in quell’ultimo quarto d’ora, cosa strana perché il giovane
Potter si era rivelato essere un chiacchierone, a dispetto dei primi giorni di
silenzio. Quelli erano stati giorni di studio del nuovo ambiente e del suo
inquilino: da quasi subito gli era tornato il dono della parola. E alla fine
Severus aveva iniziato a farci l’abitudine.
Piton non lo sentì più tossire
per qualche tempo. Aveva già predisposto tutto per l’indomani: avrebbe lasciato
il piccolo con un elfo fino all’ora della merenda. Ah, e avrebbe avvisato, ma
solo per correttezza, madama Chips: non voleva che si dicesse che
sottovalutasse l’infermità di Potter. Però lo avrebbe curato a modo suo: non
aveva intenzione di sorbirsi le prediche in modalità “psicologa gabbana” da
parte della bellicosa medimaga. Prima di coricarsi tornò da Harry con
l’unguento. Ma questa volta non riuscì ad estraniarsi: si sentiva osservato.
Mentre procedeva con il massaggio il piccolo lo fissava, avido di attenzioni e
di intimità. Harry sembrava cibarsi di quel contatto, come a voler placare una
sete perenne. Severus era un uomo intelligente, non dovette faticare a capire
il perché. Ma sebbene la sua anima più scura e riservata gli suggerisse di interrompere quella sorta
di incanto si ritrovò vittima a sua volta dello stesso sortilegio: due
solitudini si erano incontrate in una carezza.
Durante la notte la tosse tornò,
in compagnia della febbre. Severus si alzò più volte: alla terza decise che
avrebbe dormito sulla poltrona accanto al letto del bambino. Iniziava a
preoccuparsi: non era medico e quella tosse insistente, così tenace a dispetto
di tutto quello che stava somministrando lo impensieriva.
- Potter se ti fa male da qualche
parte devi dirmelo. – Harry però sembrava inebetito, la temperatura era salita
di nuovo a livelli preoccupanti e il pozionista iniziò a ponderare seriamente
di portarlo in infermeria. Ma appena accennò ad alzarsi il piccolo lo pregò di
restare.
- Resti qui? – E gli cercò la
mano.Ancora quel lieve contatto che fece trasalire l'uomo.
- Mi fa male la gola. Tantissimo.
– Ed effettivamente aveva la bocca tremendamente impastata. –Mi fai la magia? –
- Quale magia Potter? – Severus
non aveva sottratto la mano e Harry allora se l’era portata sul cuore.
- Ah,quella magia… non è magia
Potter e comunque ti ho messo l’unguento poco tempo fa, non posso ripetere
adesso l’applicazione. – L’uomo notò che la sua voce si era intenerita: diede
la colpa a quella situazione così avulsa dalla sua natura, non aveva mai
assistito prima d’ora un bambino ammalato, aveva invece assistito la madre
quando veniva maltrattata da Tobias. Ricacciò in fondo alla mente il ricordo
pungente e guardò la mano appoggiata sul petto bambino. Contatto fisico, il bambino
ne aveva bisogno. Quindi, dopo aver mentalmente maledetto Silente, rimase in
quella posizione e per il resto della notte Potter non tossì più.
Quando la mattina lasciò le sue
stanze per raggiungere l’aula di pozioni si raccomandò almeno una decina di volte
che l’elfo di servizio non lasciasse mai solo Harry e che lo chiamasse se la
temperatura si fosse ancora alzata sopra i 39 gradi. L’elfo lo rassicurò. Ma
non ci fu verso di restare sull’attenti durante le prime due ore di lezione
perché il pensiero andava continuamente al
bambino: lo disturbava sapere di non essere lì ad occuparsene. Nella
pausa tra la terza e la quarta lezione si decise a scendere nel sotterraneo.
Trovò Harry addormentato con l’elfo che lo vegliava, come da accordi. Si sentì
un po’ stupido ma anche più tranquillo. Senza usare la bacchetta, col vecchio e
consolidato sistema della mano sulla fronte si assicurò della temperatura e fu
lieto di percepire che si era sicuramente abbassata. Ma scoprì anche che il
piccolo era tremendamente sudato.
- Ha dormito tutto il tempo? –
- Sì signore ma il signor Potter
era parecchio agitato signore. –
- E’ zuppo, per forza che la
febbre è scesa. Procurami un pigiama pulito. – Si ritrovò così a cambiare Harry
facendo attenzione a non svegliarlo. Gli sembrava di maneggiare del preparato
per esplosioni: cautela e delicatezza. Lo asciugò, gli mise biancheria e
pigiama puliti. Facendolo lievitare leggermente cambiò anche le lenzuola sotto
lo sguardo dell’elfo che in tanti anni di servizio non aveva mai visto il suo
padrone prendersi cura così di qualcuno.
- Il signor Potter parlava nel
sonno signore. Chiamava la mamma, signore.–
Bene, il colpo di grazia era
alfine giunto. Severus si incupì ancora di più. Tutti i bambini hanno bisogno
di una madre. Tutti i bambini hanno diritto alla presenza e alle cure di una
madre. Lui era un estraneo per Harry ma non era stato estraneo alla morte di
Lily. Al vecchio e consolidato dolore se ne aggiunse uno nuovo: l’arrivo di
Harry nella sua vita non aveva fatto altro che nutrire il suo rimorso e la
lancinante sensazione di impotenza di fronte a ciò che era accaduto e che
nessuno avrebbe mai più cambiato.
Per quel giorno prese i pasti
nelle proprie stanze lasciando vuoto il suo posto in Sala Grande, cosa che fu
notata ovviamente dal Preside. Si assentò anche dalla riunione settimanale dei
capo casa. A questo punto Albus non poté non fare un giro nei sotterranei.
- Entra Albus. – Il preside varcò
la soglia e trovò Severus in poltrona, davanti al camino. Non stava
apparentemente facendo nulla.
- C’è qualche motivo particolare
Severus perché tu abbia disertato i tuoi colleghi tutto il giorno? –
Il pozionista continuava a
fissare il fuoco.
- Potter è ammalato. –
- Oh, mi dispiace. Hai tutto
sotto controllo? –
- Albus non so per quanto potrò
portare avanti questa farsa. -
- Pensavo fosse un discorso
chiuso. –
- Per te sicuramente lo è Albus.
Quando tu decidi una cosa il discorso è sempre chiuso. –
- Posso vederlo? –
- Accomodati. – Il sarcasmo e la
durezza nella sua voce giunsero freddamente alle orecchie di Silente che sembrò
ignorarle: l’anziano mago si rendeva conto benissimo invece dello scompiglio
che aveva causato all'animo del suo pozionista.
Scivolò silenzioso nella
cameretta: l’ultima volta che l’aveva vista era spoglia, fredda, quasi come la
stanza dell’infermeria. Sorrise nell’intravedere qualche giocattolo, dei
disegni alle pareti, e una lavagna. C’era del colore in quella stanza: il
piumone patchwork, il porta lume, lo scendiletto. E c’era una piccola libreria.
Notò, sul comodino, il barattolo in vetro viola contenente l'unguento di
Nedong. Lo prese in mano e lo aprì, lo annusò: gli era sempre piaciuto, da
bambino aveva desiderato anche mangiarselo qualche volta. Immaginò Severus alle
prese con l'unguento e gli scappò un sorriso. Pensò che Harry viveva lì da soli
sei mesi e già aveva causato significativi cambiamenti. Indugiò al lato del
letto: sprofondato nel cuscino non sembrava nemmeno un bambino ammalato. Il
pensiero che per sei anni aveva avuto per giaciglio quattro assi e un vecchio
materasso nel sottoscala fu un inevitabile. Gli fece una carezza sulla testa
poi tornò da Severus.- Non sembra stare tanto male. –
- Invece sta male Albus! – il
pozionista alzò la voce e si levò dalla poltrona. – L’influenza passerà, ma non
il resto! E tu ti ostini a lasciarlo con me! –
- Severus se avessimo il corso di
drammaturgia ti proporrei per la cattedra. –
Il mago lo guardò in cagnesco.
- Perché minimizzi tutto! Sai
cosa succederà uno di questi giorni? Che mi chiederà di sua madre e di suo
padre. E io che storia gli racconterò? Quel bambino non ha bisogno di un
pozionista, ha bisogno di un genitore! –
- Sì certo Severus, quel bambino
ha bisogno di affetto, di una casa, di qualcuno che si prenda cura di lui. E ce
l’ha. -
- Perché mi fai questo? - Severus
sentiva di non aver più munizioni. Crollò sulla poltrona.
- Perché tu hai bisogno di lui
come lui di te anche se ti ostini a voler dimostrare il contrario. Le tue non
sono più le mani di un Mangiamorte: forse col cuore ancora non ci riesci, ma
con le mani sì. -
- A fare cosa se mi è concesso di
capire. -
- Ad amare Severus. - E senza
dargli possibilità di rispondere lasciò la stanza in silenzio come era
arrivato.
Severus siguardò le mani: avevano
torturato. Avevano preparato veleni. Adulato il signore Oscuro. - Vecchio
folle, credi sia davvero facile cancellare il loro operato? - Una vocina lo
fece sussultare.
- Severus? signore ho sete. - Si
voltò e vide Harry appena dietro di lui. Era spettinato, con gli occhi
assonnati, ma il colorito era roseo.
- L'acqua nella caraffa sul
comodino è finita signore. -
- Non dovresti essere fuori dal
letto. Avanti, corri subito in camera, ci penso io all'acqua. - Seguì il
piccolo che come un fulmine tornò sotto le coperte.
- Aguamenta.- pronunciò
l'incantesimo e la caraffa fu presto piena. Ne versò subito un bicchiere al
bambino che bevve senza nemmeno prendere fiato una volta.
- Grazie signor Severus. -
- Fammi vedere la gola.- Harry
spalancò la bocca mentre Piton faceva luce con la punta della bacchetta.
- Molto bene. Le tonsille hanno
ripreso una dimensione accettabile. Domani puoi iniziare a mangiare qualcosa di
solido. E da solo.-
- Ma io mi sento ancora debole
signore. Non sono proprio guarito guarito. -
Severus sapeva che quel bisogno
di attenzioni che Potter esprimeva senza tanto pudore era sacrosanto. In quell
ultime ore lo aveva accudito, lavato, cambiato, imboccato. Per il bambino era
tutto una novità, non poteva certo biasimarlo.
- Certo che non sei ancora
guarito... ma non sei moribondo...-
- D'accordo signore. - rassegnato
Harry pensò che essere ammalati col signor Piton era stato bello, anche se
aveva avuto la febbre alta da non vederci, una tosse tanto forte che gli aveva
fatto venire male alla pancia e una gola così gonfia e dolorante da rifiutarsi
di deglutire.
- Severus? -
- Dimmi Harry. - Oh... l'aveva
chiamato Harry... sì era davvero felice di essersi ammalato in fin dei conti.
- Quando sono guarito posso
ancora aiutarti a pelare i semi nel laboratorio? -
Severus annuì. Le mani del pozionista rimboccarono le coperte del
bambino, poi indugiarono qualche attimo sulla sua testa, come incerte se fare o
meno una carezza. Decisero di giocare un pò con i capelli del bambino, nel
mascherato tentativo di pettinarli.
- Hai i capelli di tuo padre... e
gli occhi di tua madre... -
sapendo di aver detto anche più
di quello che avrebbe dovuto e notando lo sguardo interrogativo del piccolo si
alzò dal letto:
- Uno di questi giorni ti
racconterò di loro. - Sapeva che era giusto così. Lasciò la stanza senza
spegnere il lume, come di consueto. Nella penombra Harry seguì l'uomo
allontanarsi nelle sue lunghe vesti nere mentre i suoi pensieri di bambino
correvano a quei volti di cui non serbava ricordo.
Harry osservava le mani del
pozionista: sfogliavano un album di fotografie, quelle fotografie strane dove
le persone non sono immobili. Si era abituato adesso, non ne aveva più timore.
I polpastrelli del professore sollevavano gentilmente la carta velina che le
ricopriva: una per pagina, piene di ragazzi e ragazze. Erano le foto degli
studenti dei tempi passati, divisi per annate e per Case.
- Ecco Potter, questo era tuo
padre. – L’indice del pozionista indicò un giovane con i capelli arruffati e
gli occhiali, magro e con lo sguardo da lazzarone . Da lazzarone buono, pensò
Harry. Non come suo cugino Dudley. Il giovane teneva un braccio attorno alle
spalle di un ragazzo che il bambino giudicò bello, più alto di suo papà, con i
capelli lunghi.
- E lui chi è? -
- Si chiama Sirius Black, era il
suo migliore amico. – Ma Harry vide che Severus aveva stretto la sua mano a
pugno. E aveva uno sguardo per nulla rassicurante.
Harry si sentiva emozionato, era
la prima volta che poteva dare un volto a suo padre.
- E la mamma? Non c’è? -
- Tua madre… è qui. – L’ultima
sillaba fu appena percettibile.
Harry vide una ragazzina con i
capelli rossi e lunghi, sorrideva e teneva un libro in mano. Gli parve
bellissima, sembrava che sorridesse proprio a lui. Si sentiva strano, era
felice e triste al tempo stesso. La mamma gli mancava, gli mancava davvero e
vederla lì gli fece salire le lacrime agli occhi.
- Era bella signore… - ma l’uomo
sembrava aver perso la parola. La sua mano adesso era poggiata lievemente
sull’album e il suo sguardo era fisso, perso chissà dove.
- Sì Harry… - guardò finalmente
il bambino e si accorse che adesso piangeva, silenzioso.
- Voglio mia mamma signore… -
Severus sentì che non poteva
sopportare oltre tutta quella tensione, gli stava esplodendo il cuore, era come
se tutte le tempeste del modo si stessero scatenando dentro di lui.
- Non possiamo farla tornare. –
- Neanche con la magia? – Harry
continuava a piangere sempre con dignità.
Il piccolo sentì la mano del
pozionista sul viso: col pollice gli stava togliendo le lacrime.
- No, la magia non può far
tornare in vita le persone. Non sarebbe una cosa buona ma non pretendo che tu
lo capisca adesso. – Severus chiuse e l’album e lo rimise al suo posto, in una
teca di quella stanza piena zeppa di trofei.
- Però posso farti avere una
copia delle fotografie. –
- Grazie signor Severus. –
I due ripresero la strada dei
sotterranei senza dire più una parola. Ma la mano del pozionista cercò, trovò e
strinse quella del bambino.
*Nedong è un villaggio Tibetano.