Alfred Ashford
Naive
Blond King
Il
fuoco scarlatto di una candela si muoveva sinuoso
nell’oscurità di una camera da letto.
Caldo, intenso e rassicurante, illuminava una porzione della mensola di
mogano sulla quale poggiava, delineandone i contorni e le lucide
rigature che un tempo segnavano gli anni e la potenza di
quell’albero maestoso.
Il rosso della mochette risplendeva sotto quel leggero bagliore, ma
nonostante quel colore così intenso, esso era cupo, lugubre,
triste…
I mobili preziosi, il baldacchino ingombrante ricoperto di lenzuola di
seta, il carillon dalla struttura antica su cui era incastrata la
statuina d’oro di una formica dalla testa
rossa…era come se fossero smorti. Nonostante la loro
magnificenza.
Come se la follia avesse condannato la loro bellezza.
Il bagliore tenue di quella luce opaca era riflesso in un grande
specchio, il quale era incorniciato da un complesso intreccio
irregolare, che richiamava un’arte barocca e fastosa.
Quel vetro era il silenzioso e distante osservatore di quella stanza,
sulla cui superficie erano riflesse altre candele celate nelle tenebre.
Attraverso quel riflesso oscuro, esse si mostravano timidamente, come
piccoli e pulsanti bagliori che volevano nascondere il buio di quella
stanza.
Il maestoso specchio si divertiva ad andarle a scovare una ad una.
Esse erano sparse ovunque, senza un preciso criterio logico. Sbucavano
come scrutando quell’ambiente a loro volta, spaventate,
mentre il calore del fuoco consumava la loro superficie.
Molte candele erano sulla scrivania. Contornavano un intero lato,
impreziosendo il candeliere su cui erano adagiate.
Altre erano poste a terra, e delineavano adesso, per la prima volta, i
piedi di una figura seduta che si rifletteva assieme a loro nello
specchio.
Luce e ombra reggevano quel gioco di oscurità, donando
tenebra e chiarore a loro piacimento, pulsando come fossero vivi in
quella stanza.
Colui che continuava ossessivamente a riflettersi in quello specchio ed
osservare quel mondo attraverso di esso, strinse i pugni
impercettibilmente.
Le gambe affusolate, avvolte dai pantaloni bianchissimi, si mossero,
cominciando a tremare nervosamente.
Un atteggiamento nevrotico, visibilmente compiuto senza consapevolezza,
mentre i suoi occhi pallidi continuavano a rispecchiarsi nella sua
immagine, non guardando tuttavia se stesso.
Era come se quegli occhi non guardassero affatto. Era invece come se
fosse l’immagine dello specchio a guardare l’uomo
che si rifletteva.
Quasi come se la persona riflessa nello specchio fosse quella che stava
scrutando quella stanza.
Il suo viso, di una bellezza raffinata e delicata, sembrava quella
marmorea di una divinità greca. I lineamenti marcati eppure
dolci, venivano spezzati da uno sguardo di ghiaccio, oramai spento. Una
bellezza così radiosa da sembrare artificiale.
Egli portò una mano fra i biondissimi capelli, lasciandoli
scivolare in avanti fino a coprire tutta la fronte. Quei capelli
morbidi, sottili, delineavano ora quel viso delicato.
Spostò la frangia di lato, premendo sulla fronte in modo che
rimanesse in ordine, come l'aveva posizionata.
Poi,
l’immagine riflessa nello specchio sorrise.
Lei gli sorrideva. Lei era tornata. Lei, era venuta di nuovo, per Lui.
Era tornata a casa, nella sua stanza, puntuale come sempre. E gli
sorrideva. Gli sorrideva mostrandogli quel suo viso soave, incantevole,
regale. Quegli occhi pallidi e intriganti che conosceva, dotati della
fierezza che la contraddistinguevano.
L’uomo allargò le labbra, contagiato da quella
bellezza, estasiato da quella visione agognata che gli mancava fino
alla follia, mentre i suoi occhi si commuovevano.
Il tremore ossessivo alla gamba cessò, e i suoi nervi si
distesero.
Pronto a venire in contro alla sua dama, si mise più eretto
col busto, ammaliato dalla figura che lo osservava.
Si avvicinò dunque allo specchio, volendo vedere sempre
più vicino la donna da lui tanto attesa anche quel giorno.
Prese un piccolo oggetto dorato dalla forma cilindrica, posto sulla
scrivania di fronte la specchiera. Tolse il coperchio e
roteò la base per far sì che lo stelo colorato
lì celato si mostrasse. Era di un color rosa antico molto
delicato.
Egli tornò a scrutare l’immagine di quel volto
delicato dai capelli sottili riflesso nello specchio, come se non
potesse abbandonare neanche per un istante quel contatto visivo tanto
bramato. Come se Lei potesse sparire da un istante all’altro.
Sorrise, vedendo che la Donna di fronte si avvicinava sempre di
più, mentre massaggiava col rossetto le sue splendide labbra sottili, colorandole.
La sua bocca si mosse in una smorfia. Anche lei non poteva credere di
poter essere finalmente di nuovo con lui.
Egli, estasiato dalla magnificenza della sua dama, prese del trucco per
cancellare i suoi tratti stranamente maschili quel giorno. Ma erano
gemelli, d’altronde. Era ovvio che Lei gli somigliasse.
Aiutò dunque sua sorella a divenire sempre più
bella, sempre più simile a come la ricordava, mentre
l’uomo che si rifletteva nello specchio scompariva sempre di
più….e al suo posto, sorridente e maestosa come
una regina, si mostrava quell’ombra riflessa. Quella Donna
che dal vetro regnava in quella stanza. La Dea del suo mondo.
La sovrana prevaricò sul giovane, sostituendosi
definitivamente ad egli.
Adesso Lei era tornata.
Adesso che Alexia Ashford era a casa, non era più in pena
per lei. Adesso non era più solo…
Egli strinse gli occhi, raggiante, mentre scompariva definitivamente.
Mentre invece, al suo posto, la sua Regina si sollevava dalla sedia e
faceva per girare per la sua stanza.
Ella, con i capelli lunghi, biondissimi, la frangia ammaccata di lato,
il viso truccato, il rossetto di color rosa antico, osservò
le candele che contornavano le pareti e lo specchio. La sua stanza era
buia, illuminata solo da quella fioca eppure calda luce.
Sospirò impensierita.
Si chiese quando sarebbe tornato suo fratello, Alfred Ashford.
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Il titolo che ho scelto per
questa fanfiction, "Naive Blond King", è un riferimento al
Naive King della meravigliosa e simbolica "Lullaby" cantata in Resident
Evil: Code Veronica X.
Quel Naive King che altri non è che Alfred Ashford.
Un personaggio folle, affascinante ed emblematico, che personalmente mi
ha colpita molto.
Vorrei che questa fanfiction dedicata ad Alfred Ashford fosse l'emblema
di quanto la follia stessa possa essere arte.
La storia dei due gemelli
Ashford, nella sua follia, per me è arte.
Il mio scopo era
delineare il dramma del castellano Alfred Ashford, cristallizzato in
una situazione drammatica ed ossessiva.
Ove costantemente, nel
buio e nella disperazione della solitudine, egli attende da quindici
anni l'unica persona capace di "completarlo".
Lui e Alexia hanno un
rapporto unico e speciale che, nella sua pazzia, mostra chiaramente
come due persone così unite non possano vivere l'una senza
l'altra.
Come l'aria,
l'acqua...indispensabili.
Alfred non ha ragion
d'essere, senza sua sorella Alexia.
E lei...nonostante
quindici lunghi anni, continua a vivere con lui a corte. Continua ad
essere la dama indiscussa del castello Ashford. Capofamiglia del nobile
clan.
Tuttavia, per permettere
ciò, inesorabilmente muore una parte di Alfred, che rimane
soggiogato dalla grandiosità del genio di Alexia.
Un amore folle, pazzo e
disperato...
Tutto il loro rapporto
trapela e gronda di sentimenti contrastanti. Le candele, lo specchio,
la buia stanza che cela la sua ossessione. E tutto scoppia, nel folle
gesto di poter, tramite sé stesso, rivedere il volto di
quella persona che lo completa e non lo fa sentire solo.
Un rapporto che non si
può spiegare a chi non ha avuto nella sua vita qualcuno
più importante della sua stessa identità.
E non si tratta di amore
né fisico, né biologico.
E' l'essenza dell'amore
stesso, dell'amore fraterno nel senso più complesso e
profondo del termine.
Questa è la
mia visione del perchè Alfred si trucca e si traveste da
Alexia.
Ho voluto mostrare cosa
accade ai suoi occhi quando si trasforma in Lei.
Grazie per l'attenzione.
Spero che la fanfiction
vi sia piaciuta e vi abbia trasmesso le emozioni che mi guidavano
mentre scrivevo; e che provo per questi due antagonisti complessi,
folli e meravigliosi.
Fiammah_Grace
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