Quella notte ebbe gli incubi. Incubi talmente
spaventosi che non era più completamente certo che si trattasse soltanto di
sogni o di terribile realtà.
Non sognò mostri né demoni, ma soprattutto, lui
era nel pieno d’ogni sua capacità, anche se la paura gliele aveva notevolmente
ridotte. L’unica cosa che lo spingeva ad andare avanti era l’istinto di
sopravvivenza.
Cosa sognò di così terribile, al punto di perdersi
e non riuscire più a tornare indietro? Tornare indietro, sì perché si era
ritrovato in una sorta di galleria, buia e umida, che nonostante non presentasse
deviazioni d’alcuna sorta, arrivò ad un punto che andare sempre diritto o
tornare indietro era esattamente la stessa cosa.
Quella notte si ritrovò inseguito. Inseguito da
una moltitudine di persone. Uomini, donne, anche bambini. Molti di loro non
disdegnarono l’idea di portarsi dietro i loro cani. Erano inferociti, si sentiva
come un accusato di stregoneria inseguito dalla città armata di fiaccole e
forconi. Solo che questi erano armati di fucili e spranghe.
Non sapeva nemmeno come aveva fatto ad entrare in
questo tunnel, sapeva solo che si era ritrovato l’entrata davanti, e senza
pensarci su, decise di entrarvi. Si stupì non poco nel constatare che tutta
quella gente non osò seguirlo, e tirò un sospiro di sollievo.
Ma durò poco, per nostra fortuna, forse cominciava
a capire perché fosse così dannatamente solo lì dentro.
Lì regnava il buio e l’umidità, il tunnel era
sempre uguale da qualunque direzione si guardasse, mattoni su mattoni, grate
dopo grate, e qualche tenue fiaccola ad intervalli più o meno regolari. Non
riuscì assolutamente a capire come aveva fatto a perdersi. Cosa più strana, è
che lì ciò che assolutamente mancava, era il silenzio. Arrivò a desiderarlo
ardentemente, pur di non sentire ciò che sentiva.
Non erano solo rumori, quanto piuttosto grida.
Grida disperate, pianti isterici e ghigni malefici. Il tutto accompagnato da
rumori d’ogni sorta, rumori quasi indefinibili. Pensò di riconoscere un rumore
metallico, come di catene trascinate, ma non ne era completamente sicuro, e non
era neanche tanto sicuro di volerlo sapere.
Continuò a vagare, nella vana speranza di trovare
un’uscita. Non era sua intenzione indagare su ciò che sentiva, credette di
riconoscere in quei rumori grida di disperazione invocanti perdono, motivo in
più per ignorare il tutto.
Perché lui era fatto così. Non era mai stato
perdonato da nessuno. Nessuno volle ascoltare il perché lui avesse deciso di
picchiare in modo tanto brutale un bambino, fino ad ucciderlo. A nessuno importò
che il bambino fosse suo figlio. Alla stessa maniera, lo ignorarono, quando
cercò di avere ragione, ricordando a tutti i suoi diritti di padre. Allo stesso
modo, non fu perdonato di aver picchiato anche sua moglie, e nemmeno quando
violentò una bambina.
"Sei malato" gli dissero. In realtà pensavano (e
lui lo sapeva bene) "meriti di morire". Ma per lui l’importante era
rappresentato soltanto dal soddisfare i propri bisogni, gli altri non
esistevano.
La sua vita, pensava. Ecco com’era la sua vita.
Basata sul "più forte vince", calpestando tutto il resto. In fondo lui stesso
era stato un debole, ecco perché era cambiato.
Cambiato?
No. Lui era ancora un debole.
Era diventato ancora più debole.
L’uomo è libero di agire. Non viene imposto nessun
freno ai suoi desideri. Deve sapere controllarsi, e se non è in grado di farlo,
deve subirne le conseguenze.
Questa era la sua punizione. Una punizione eterna,
anche se lui non lo sapeva. Avrebbe avuto davanti l’eternità per pensare alla
sua vita. Quel tunnel era il luogo ideale, nessuna distrazione.
Pentirsi? Oh no, probabilmente non l’avrebbe mai
fatto. Allora perché quel luogo? Se non per espiare le proprie colpe?
Le colpe. Sì le avrebbe espiate in eterno. Peccato
che lui non lo sapeva. E probabilmente non l’avrebbe mai
capito.