risk it all
Risk
it all cause I’ll catch you if you fall
{red
poppies}
Dorothy
fissa l'armadio e pensa di buttare qualche vestito dentro una valigia
e andarsene, così, come se niente fosse.
Lui
è fuori, probabilmente a crogiolarsi nel sole di maggio, in mezzo al
campo di grano adiacente alla loro casa, e lei è sola nella sua
stanza.
Non
sarebbe poi tanto difficile far scivolare il vestito blu dalla
gruccia e piegarlo, insieme ad un paio di jeans e alla felpa
scolorita della squadra di football del Kansas, regalo di secoli fa
dello zio.
Non
sarebbe più difficile, e doloroso,
che sopportare ogni notte i suoi deliri sconnessi, nascondere le
lacrime dietro ad un sorriso forzato, fingere che tutto vada bene,
sempre e comunque.
Lui era bello. Dorothy ricorda ancora la
prima volta in cui si sono incontrati: lei si era persa tra i
corridoi dell'università, e si era imbattuta in lui che si era
offerto di accompagnarla alla lezione del professor Oz, con la
promessa che si sarebbero rivisti. Lei aveva annuito, e quindi il
martedì si era incontrati nella biblioteca della facoltà, e avevano
sparlato di quella strega della professoressa di letteratura, della
vita di campagna, dei sogni e delle aspirazioni future.
Chills
run down my spine
As our fingers entwine
And your sides
harmonize with mine
Unmistakably, I can still feel your heart beat
fast when you
Il
primo vero appuntamento era arrivato qualche giorno dopo, e lei lo
aveva visto quasi arrossire mentre le chiedeva di andare insieme a
fare un picnic in un posto davvero carino.
In
quelle ore pigre del dopo pranzo, quando le ombre si allungano dolci,
si erano baciati in un prato puntellato di papaveri rossi, come se
non esistesse nient'altro al mondo che loro e quel momento.
"Sai,
mia zia mi diceva sempre che questi sono i fiori dell'amore” aveva
detto ad un certo punto lei, giocando con una ciocca dei suoi
capelli. Lui si era puntellato su un gomito per guardarla meglio –
il sole sembrava quasi tuffarsi nei suoi occhi man mano che le ore
passavano – e aveva sorriso. “Basta premere sulla pelle e vedere
se rimane il timbro.” aveva continuato lei come se fosse la cosa
più naturale del mondo.
Lui
allora aveva strappato uno dei fiori vicini, e si era pigiato forte i
raggiati stimmi delle capsule fresche, e lei lo aveva baciato
chiudendo gli occhi. La sera era tornato a casa con un piccolo
asterisco nero tatuato sulla fronte e un nuovo amore nel cuore.
Tutto
sembrava andare per il meglio. Lui si era laureato con il massimo dei
voti in matematica – lo aveva sempre saputo che era un genio, con
quel cervello, poi!
– e quando anche lei aveva finito gli studi si erano spostati in
campagna, in un piccolo podere lontano da qualsiasi città
conosciuta, in una minuscola frazione che non compariva neanche sulle
cartine, con la promessa di riempire quelle stanze di amore e
attenzioni, di dolcezza e forse, in futuro, di figli.
We
got older and I should have known
[do you feel alive?]
That I’d
feel colder when I walk alone
Poi
qualcosa si era rotto, insieme al bicchiere pieno di latte che era
scivolato dalle sue mani una mattina a colazione. “Oh, come sono
sbadato” aveva detto lui, in un tono finto, troppo innaturale. Lei
aveva letto nei suoi occhi il terrore, ma non aveva detto nulla,
preoccupata.
Una
sera, mentre era seduta sul dondolo di quercia – un piccolo vezzo
che si era voluta concedere – lo aveva visto fissare la stessa
pagina del giornale per circa trenta minuti, battere le palpebre più
volte, incredulo. E ancora una volta aveva preferito tacere. Poi
aveva iniziato a cadere sempre più spesso, le gambe gli cedeva no
come fossero fatte di paglia secca, e lui aveva iniziato a
piangere perché aveva capito – anche se forse lo sapeva
dall'inizio, da quando aveva iniziato a non vedere dall'occhio
sinistro, perché era così intelligente. Per una volta però
aveva preferito fingere di essere stupido.
Cancro
al cervello. Dopo i controlli obbligati gli avevano mandato a casa
una cartella clinica, chiedendogli di ricoverarsi al più presto
all'ospedale distante due dozzine di iarde. Lui aveva rifiutato con
un secco no perché voleva passare gli ultimi giorni sotto il sole,
non chiuso da quattro pareti asettiche. Lei aveva pianto, lo aveva
supplicato di farlo almeno per lei, poi aveva capito e aveva
provato a far finta che tutto andasse bene.
Ma
Dorothy è sempre stata una pessima attrice, ed ora ha semplicemente
superato ogni limite possibile di sopportazione.
Nessuno
parla mai di quanto sia doloroso vedere morire ogni giorno la persona
che si ama, e sperare nell'intimo che una mattina non si alzi più
insieme al sole perché la
sua non è più vita, meglio che muoia,
e maledirsi per questo pensiero orribile, ma vederlo poi sfiorire e
piangere ancora e pregare la stessa cosa, e maledirsi in un circolo
vizioso di spine sottili che entrano dentro tutti gli organi e fanno
sanguinare.
Nessuno
ne parla mai perché è qualcosa che spezza in due, in un modo che
niente, neanche il tempo, potrà mai sistemare.
Un
cuore che fa male è un cuore che batte, però alcune volte Dorothy
pensa che sarebbe stato meglio non averlo per niente.
Andarsene
è l'unica soluzione, riflette. Con le mani sfiora il vestito di lino
e ripensa alle sue parole - tutti
i miei vestiti odorano di te perché la tua gradazione preferita è
blu scuro
– e nasconde una lacrima amara nel ripensare a quei momenti in cui
erano belli e spensierati e innamorati. Andarsene è l'unica
soluzione.
Lui
entra piano nella stanza dopo aver bussato appena. Dorothy con il
dorso della mano si cancella le tracce di quel dolore. “Ti stavo
venendo a cercare: devo dirti una cosa...” inizia, ma poi lo guarda
e lui ha gli occhi pieni del cielo, il viso un po' cotto dal sole,
una spiga di granturco tra i capelli, e le manca il coraggio.
“Chiudi
gli occhi” sussurra, e Dorothy lo fa. Sente una leggera pressione
sulla fronte, riconosce il profumo di quel fiore tanto adorato e
trema impercettibilmente al ricordo. “Guarda” dice dopo qualche
secondo, e la mette di fronte allo specchio. Dorothy trattiene il
respiro, e quando riapre gli occhi c'è un piccolo ghirigoro nero
sulla sua fronte chiara.
Un
cuore che fa male è un cuore che batte, e un cuore che fa male, ma
continua a battere, è un cuore che ama.
Da
quel giorno sul comodino, ogni mattina, Dorothy trova un mazzolino di
papaveri rossi che le ricorda perché continua a restare, sempre e comunque.
If
my heart was a house, you’d be home
Note
autrice:
Questa
storia si è scritta da sola e so benissimo che è un
polpettone-melodrammatico, che neanche la peggiore telenovella
brasiliana, but still. La lyric che accompagna 'sta roba è la
canzone Dorothy/Spaventapasseri per eccellenza, If my heart was a house -
Owl City e compare anche un pezzo della canzone tradotta in italiano
nel testo e il titolo è un versetto. Ovviamente è una AU, con
piccoli riferimenti sparsi al canone. E bon, c'è un po' di me in
questa storia. E forse un po' mi piaciucchia. Forse. Forse più di un
po'.
A
risentirci, people!
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