Nient’altro
che parmigiano
Blue
jeans, white shirt
Walked
into the room
You
know you made my eyes burn
It
was like James Dean, for sure
You
so fresh to death and sick as cancer
You
were sorta punk rock, I grew up on hip hop
But
you fit me better than my favorite sweater
Lana
del Rey – “Blue Jeans”
*
Bip.
Un’altra
scatoletta di tonno viene sottoposta al controllo del codice a barre,
prima di
essere lanciata in malo modo dentro la busta di plastica, insieme ai
suoi
amici. Non avrebbe voluto trovarsi nei panni di quella lattina,
pensò
amaramente Audrey, senza mai smettere di sorridere alla cliente,
intenta a
imbustare i prodotti comprati con una dimestichezza che la commessa un
poco le
invidiava.
«Sono
dodici dollari e quarantotto centesimi» annunciò
Audrey, il sorriso da ebete
stampato in faccia, proprio come il suo capo le aveva raccomandato,
ricordandole che il motto della loro catena di supermercati era
“gentilezza e
risparmio, all’ordine del giorno”.
La
signora prese ad armeggiare con il portamonete, in cerca di quei
dannati
quarantotto centesimi; probabilmente ci sarebbe voluto almeno una
decina di
minuti prima che la cliente trovasse i tanto agognati soldi, quindi
Audrey si appoggiò
allo schienale della sua seggiola, ripassando mentalmente le pagine di
storia
sulle quali il giorno successivo avrebbe dovuto affrontare un compito
in
classe. Se fosse stata una normale ragazza di diciassette anni, a
quell’ora
sarebbe stata nella sua cameretta, la testa piegata sul volume di
“Storia
Moderna – dal 1650 al 1900”. Ma lei
non
era una normale ragazzina di diciassette anni. Ed era quello
il motivo per
cui si ripeteva mentalmente le date delle guerre più
significative, mentre
attendeva che un’anziana con il doppio mento pagasse la spesa.
«Oh!»
sospirò la cliente, vincitrice di una lunga e terribile
battaglia contro il
portafoglio. «Ecco qua! Mi scusi, ma questa cerniera mi fa
vedere i sorci
verdi!»
Audrey
non capiva bene il nesso logico tra i sorci verdi e la cerniera di un
porta
monetine, ma, prendendo in parola lo slogan del suo posto di lavoro, si
limitò
a sorridere impercettibilmente, mentre incassava il denaro.
Salutò cordialmente
e professionalmente la signora in sovrappeso, che scomparve tra la
folla
impugnando le sue buste di plastica come se fossero due pistole.
Il
4 luglio 1776, dopo un lungo e acceso
dibattito, il Congresso Continentale approva la Dichiarazione di
Indipendenza...
«Ciao,
Audrey Cameron»
...atto
di nascita degli Stati Uniti di
America, steso da Thomas Jefferson...
Un
momento, pensò la commessa, fermando le sue mani, che ormai
automaticamente
afferravano i prodotti in cassa. Qualcuno
l’aveva chiamata per nome. Anzi, per nome e
cognome. Alzò lo sguardo,
cliccando sul tasto “pausa” e fermando
così la sua revisione sulla Rivoluzione
Americana.
Dall’altra
parte della cassa, alto e fiero, con il solito sorriso furbetto
stampato sul
viso angelico, stava Seth Clearwater.
Chi non
conosceva il giovane Clearwater, bello come il sole, sorridente come le
giornate estive, muscoloso come un body builder? Tutti sapevano
chi era Seth Clearwater, lì a La Push.
La sua
migliore amica, Marika, aveva sempre descritto il ragazzo come
“un concentrato
di sesso e bellezza allo stato puro”, trovandosi in accordo
con tutte le
ragazzine della Riserva, che avrebbero venduta l’anima a
Mefistofele pur di
finire a letto con Seth.
Il
fatto era che il piccolo e dolce Clearwater era sbocciato tutto
d’un tratto.
Un
giorno era magrolino, di media altezza e con il visino angelico.
Due
settimane dopo era muscoloso, alto e accattivante.
Era
divenuto nel giro di pochi giorni la spudorata fotocopia degli ormai
ventenni
Jacob Black ed Embry Call – vittime senza pari dello stalking
adolescenziale.
Audrey,
a differenza delle sue coetanee – per non smentire il fatto
che non era una normale ragazzina
di
diciassette anni – aveva continuato a trovarlo dolce e
tenero, nonostante il
fisico prestante e la bellezza. E, anche in quel momento, la sua idea
rimase
coerente.
«Ciao,
Seth
Clearwater» rispose, sottolineando il nome e il
cognome, proprio come aveva
fatto lui. Lo vide ridacchiare, mentre tirava fuori il portafogli dalla
tasca
posteriore dei jeans scoloriti.
Non
poteva dichiararsi neutrale al fascino del ragazzo che le stava
dinanzi, ma ne
subiva conseguenze diverse, rispetto alle sue coetanee: il sorriso
luminoso del
giovane Quileute, gli ispirava fiducia e la proiettava in
un’ipotetica
situazione di chiacchiericcio, non di “sesso
selvaggio”, come avrebbe detto Marika.
«Da
quando lavori qui al Markt’s?» Seth prese le due
pizze surgelate appena
comprate e se le sistemò sotto l’ascella, senza
alcun accenno a domandare un
sacchetto. La fila in attesa di pagare il conto lanciava occhiate
infastidite a
quell’alto ragazzo che non sembrava avere alcuna intenzione
di levare le tende.
Continuava a sorridere – con quel sorriso furbetto
– in direzione di Audrey,
che questa volta non indossava la maschera di gentilezza usuale, ma
rideva di
gusto.
«C’è
gente che attende, Clearwater.» La commessa era realmente
divertita da quel
bizzarro ragazzo e dal suo modo buffo di sorridere; sembrava in
imbarazzo,
mentre anche i suoi occhi ridevano e le pizze minacciavano di
scongelarsi.
«Quindi
mi devo sbrigare a chiederlo.» Il ragazzo sembrava parlare
più a sé stesso che
alla commessa, con un’aria del tutto assente che lo rendeva
goffo e tenero.
Audrey alzò un sopracciglio, in una richiesta implicita di
spiegazioni. Se Seth
aveva intenzione di domandarle qualcosa doveva muoversi,
perché i leoni in coda
sembravano avere tutte le intenzione di iniziare a ruggire.
«Andiamo
a prenderci un caffè» buttò
lì Seth, guardandola con aspettativa, senza mai
smettere di guardarla con aria complice, il sorriso vispo sempre
presente sul
viso.
Audrey
aveva sempre pensato che nella sua vita sarebbero successe delle cose
anomale:
riuscire a prendere la patente dopo la quindicesima bocciatura, trovare
un UFO
nel giardino di casa sua, vedere suo padre smettere di tifare per i
Lakers...
Ma mai – mai –
avrebbe supposto che Seth Clearwater l’avrebbe
invitata a
bere qualcosa con lui.
«Stacco
tra mezz’ora» farfugliò, visibilmente
sconvolta e imbarazzata. I leoni stavano
pressando e, se Clearwater non se ne fosse andato di lì a
poco, probabilmente
lo avrebbero sbranato in un sol boccone. Un uomo di mezza
età con moglie e
figli stava sbuffano e commento ad alta voce che “non era
quello il luogo per
fare dichiarazioni”. Audrey gli avrebbe volentieri tirato in
testa la padella
che aveva nel carrello.
«Ti
aspetto fuori.» Non aveva ancora detto di sì,
eppure si erano già messi
d’accordo sull’orario e sul luogo: come aveva
fatto, quel Clearwater?
Lo vide
voltarsi e incamminarsi verso le porte scorrevoli, con le pizze ormai
mollicce
sotto l’ascella. E Audrey era certa che stesse sorridendo.
*
Un
mese dopo
Audrey
era il parmigiano.
Il
parmigiano che si mette sulla pasta solo per convenienza e non
perché se ne ha
veramente voglia. Chi mai brama disperatamente un po’ di
formaggio grattugiato?
Nessuno.
Se
c’è
va bene, se non c’è va bene comunque. Si
sopravvive, senza Grana.
Audrey
era il parmigiano.
Il
parmigiano sulla pasta di Seth.
Se
c’era andava bene, se non c’era andava bene
comunque.
La
consapevolezza la invase solamente in quel momento, sdraiata sul suo
letto, la
testa rivolta verso il soffitto in legno – una
trave, due travi, tre travi – e l’animo
così a terra da rasentare quasi
l’Inferno. Se ne stava lì, senza uno scopo
preciso, se non quello di contare le
assi del suo tetto, mentre il resto del mondo andava avanti,
lasciandola a
casa.
Rise,
Audrey. Rise perché si rese conto che se qualcuno avesse mai
dovuto ritrarla,
probabilmente avrebbe disegnato un pezzo di parmigiano
reggiano.
Da
quando era arrivata al punto di agire passivamente a ciò che
le accadeva? Di
solito, quando avvenivano cambiamenti radicali si sentivano le
conseguenze:
così era successo per la rivoluzione francese, per lo scisma
della Chiesa
anglicana, per la Guerra d’Indipendenza.
Eppure,
per quanto Audrey si sforzasse, non riusciva a ricordare il momento in
cui si
era trasformata da donna forte ed indipendente a una scaglia di Grana
Padano.
Pianse,
Audrey. Pianse per la frustrazione. Come poteva non ricordare un fatto
di così
vitale importanza? Le lacrime scorrevano rabbiose sulle sue guance,
rivendicando il loro diritto di memoria, di rinascita. Si rese conto
che era
avvenuto tutto senza che lei se ne accorgesse minimamente: un giorno
era una
ragazza con la voglia di studiare, di vivere, di crescere e fare nuove
esperienze, poi, dopo un caffè preso in un piccolo bar
dell’aria maltenuta, era
diventata un condimento, un soprammobile esposto sopra una mensola, che
tutti
vedono ma nessuno prende realmente in considerazione.
E,
mentre le lacrime scendevano imperterrite, come avesse potuto rimanere
impassibile di fronte alle scusanti di Seth, ai suoi messaggi
liquidatori, ai
suoi “scusa, oggi non posso proprio, ho da fare”. E
lei? Lei non aveva mai da
fare, era sempre in attesa di quelle poche ore che il ragazzo le
regalava, quei
pochi momenti in cui riuscivano a vedersi. Quei momenti che,
immancabilmente,
culminavano in passione, in corpi avvinghiati l’uno
all’altro, a promesse mai
mantenute – sarò
più presente, te lo
giuro – , mentre Audrey pregava perché
Seth non potesse mai andarsene.
Un
mese. Era bastato un solo mese a Seth per cancellare diciassette anni
di una
tranquilla e soddisfacente esistenza.
Seth.
Era
ridicolo pensare come un solo nome potesse avere la capacità
– la forza – di
chiuderle lo stomaco, tramutando quella fame che la stava divorando in
nausea
cronica.
Dlin-
dlon.
Ci
dovette pensare su qualche minuto, Audrey, prima di rendersi conto che
quel
suono che le appariva così lontano ed irreale era il
campanello di casa sua;
suo padre le aveva assicurato che sarebbe tornato tardi, quella sera, a
causa
di un turno di lavoro straordinario, quindi doveva trattarsi di qualche
fastidiosissimo rappresentate. Se erano Testimoni di Geova avevano
sicuramente
voglia di essere insultati, perché quella sera
l’umore della ragazza non
prometteva null’altro. Si alzò controvoglia dal
suo letto – a più tardi,
amiche travi – e si
appropinquò alle scale, scendendole gradino per gradino con
la lentezza degna
di un condannato a morte.
Aprì
la
porta ed era prossima ad un no grazie,
non mi serve nulla quando si rese conto che nella figura che
le stava
dinanzi c’era qualcosa di troppo
famigliare: forse la pelle scura, forse il fisico muscoloso e
imponente, forse
due riconoscibilissimi occhi a mandorla.
Trattenne
il respiro, mentre Seth la guardava con l’aria di chi
è consapevole di essere
veramente poco gradito.
«Audrey,
io ti devo delle spiega...»
«Non
voglio più essere il parmigiano sulla
tua pasta.»
Il
giovane Quileute rimase con la bocca mezza aperta,
l’espressione del viso
confusa. Audrey, invece, aveva ben chiaro che cosa stesse dicendo e
ciò che non
aveva voglia di stare a sentire: altre mille scuse inutili, frutto di
accurate
riflessioni da parte del ragazzo.
«Che
co-cosa?»
Perché
anche da spaesato e la faccia di un fesso che vive nel mondo delle
nuvole, Seth
riusciva ad essere bello da far male? Doveva pur esserci una
spiegazione logica
a quella domanda, forse un triste scherzo del destino, la vendetta di
Buddha
nei suoi confronti, visto che non aveva mai avuto fede in Lui.
«Che
cosa sei venuto a fare, Seth?» iniziò, arrabbiata
«A dirmi che ti dispiace non
avermi richiamato, oggi? Che eri troppo occupato per mandarmi un
messaggio?
Sono stufa di doverti vedere per poche ore, darti la soddisfazione di
scoparmi
e poi vederti andare via, senza sapere se il giorno dopo ci sarai
oppure no.»
Gli
aveva sputato tutte le parole taciute in faccia, con una forza che non
era da
parmigiano, ma da Audrey, quella che ricordava essere. Trattenne a
stento le
lacrime, che minacciavano di tornare alla carica, mentre Seth la
guardava con un’espressione
mortificata. Lo vide passarsi una mano tra i capelli – quelli
che tanto volte
aveva afferrato mentre facevano l’amore – e
sbuffare sonoramente.
«Va
bene, Audrey.» Le puntò gli occhi addosso, lo
sguardo d’un tratto risoluto.
«Basta bugie.» Si avvicinò a lei di un
passo – trattenne il respiro – e le
afferrò la mano con forza – trattenne un sussulto
– e fece per trascinarla
fuori di casa.
«Dove
diavolo andiamo?»
Occhi
negli occhi.
E
quello sguardo, quello che solo Seth era in grado di fare, quello che
mandava a
puttane la teoria eliocentrica e faceva roteare il globo.
«Non
voglio più mentirti, Audrey, credimi.» Sembrava
che, improvvisamente, Seth
Clearwater dall’aria muscolosa e forte, quello che si faceva
vedere in giro con
i grandi Jacob Black e Paul Lahote, fosse svanito per dare vita a Seth,
il
piccolo Seth dallo sguardo dolce, quello che lei aveva sempre
conosciuto e
amato.
Il suo Seth.
«Fammi
prendere le chiavi di casa.»
Eccolo,
il parmigiano. Era tornato alla riscossa, facendo
sentire le sue
ragioni: non si poteva non credere in due occhi così
sinceri e, anche se tutto il suo sistema nervoso imprecava
chiudendo i battenti – non vale la
pena
di lavorare con una così – Audrey
chiuse la porta e si mise le chiavi in
tasca, respirando il profumo di Seth.
Il
ragazzo non proferì più parola, ma prese a
camminare, sicuro che il suo Grana
Padano lo stesse seguendo; era evidentemente agitato, continuava a
grattarsi le
mani, mentre i muscoli delle spalle guizzavano ad ogni suo movimento.
«Ti
fidi a venire nel bosco con me?»
«Se
non
mi stupri...» si rese subito conto di quanto stupido fosse il
suo pensiero,
visto e considerato che Seth non aveva alcun bisogno di violentarla,
perché
l’avrebbe avuta con il suo consenso. Non
del tutto, brontolò Cervello, sempre
più irritato.
Seth
abbozzò un sorrisetto, prima di addentrarsi nel folto della
foresta. Audrey si
domandò come potesse conoscere così bene il
bosco: camminava sicuro, quasi
sapesse perfettamente qual era la sua meta; spostava rami e si muoveva
in quel
luogo come se fosse il suo habitat naturale, il suo ambiente. Audrey
osservava
la schiena possente del ragazzo e le sue gambe allenate: se lo
ricordava
piccolo e mingherlino, eppure nel giro di poco tempo si era trasformato
in una
montagna di ragazzo. Doping? Doveva preoccuparsi?
D’un
tratto gli alberi ammucchiati uno vicino all’altro si
aprirono per dare lo
spazio ad una grossa radura, dove sarebbe stato bellissimo posizionare
una
coperta di lana e rimanere a leggere per ore e ore. C’era
qualcosa di magico nell’aria.
«È
questo che dovevi farmi vedere? No, perché non capisco che
cosa c’entri con il
non dire più bugie, sai, mi viene diffici...»
Le
parole di Audrey rimasero sospese nell’aria. Morirono nel
vento, che se le
portò in giro. Quelle parole svanirono, proprio come
svanì Seth: in un attimo,
un istante che nemmeno Einstein sarebbe stato in grado di calcolare.
Un solo
impercettibile attimo e Seth non c’era più.
Un
battito di ciglia e un diciassettenne aveva lasciato il posto ad un
lupo.
No, non
uno di quei semplici lupi in cui ci si può imbattere mentre
si fa
un’escursione. No. Un animale di dimensioni abnormi con un
anomalo color
sabbia, come quella che si poteva vedere a La Push.
Audrey
iniziò ad indietreggiare, il fiato corto e la paura che
ormai l’attanagliava,
pensando che se fosse stata una protagonista di un film horror,
probabilmente
ora sarebbe inciampata in una radice e il lupo l’avrebbe
raggiunta.
Ma il
lupo in questione se ne stava seduto davanti a lei, mugolando, senza
alcuna
intenzione di muoversi; il pelo lucido aveva l’aria di essere
morbido e setoso
sotto le dita: se non fosse stata così terrorizzata,
l’avrebbe anche
accarezzato.
E poi
vide.
Vide,
in quell’enorme animale selvatico, due occhi familiari.
Due
occhi umani.
Gli
occhi di Seth.
Seth
che, in un altro secondo fulmineo, riapparve, nudo come un verme,
accasciato
sull’erba umida.
L’opzione
che Audrey fosse finalmente – nonché totalmente
– uscita di testa non era poi
così trascendentale, forse era rimasta troppo spesso chiusa
in casa a contare
il numero delle travi del suo soffitto ed ora iniziava ad immaginarsi
ragazzi
attraenti che si trasformavano in enormi lupi di colori improbabili.
Il
giovane Clearwater – la sua mente continuava ad appioppargli
quell’appellativo
– si era rialzato e la guardava con occhi imploranti, troppo
adulti per un
diciassettenne, sofferenti, di una persona che aveva il terrore di
perdere
qualcuno che gli era caro.
Lo
stesso sguardo che aveva Audrey ogni volta che lo osservava.
«Audrey...»
Seth fece per avvicinarsi, ignorando completamente la sua
nudità, che metteva
in soggezione la povera commessa, attirata da quel corpo muscoloso. Lo
fermò,
alzando una mano. Il ragazzo obbedì.
«Che
cos’era quella cosa che
hai fatto?»
Dei mille modi in cui avrebbe potuto porgere una domanda sensata e
mirata al
fine di ottenere una risposta, Audrey aveva sputacchiato parole
confuse,
esattamente come il suo stato d’animo.
Il
ragazzo si passò una mano tra i capelli, il viso stanco di
chi sa già che cosa
sta per succedere e non ha alcuna voglia di affrontarlo.
«Sono un licantropo,
Audrey.»
Se gli
avesse detto che mentre lei aveva sbattuto le ciglia era arrivata una
navicella
spaziale che aveva rapito Seth per sostituirlo con un loro lupo mutante
e fatto
il procedimento inverso successivamente, la ragazza sarebbe stata meno
sconvolta.
Licantropo.
Era una definizione che faceva tanto romanzetto urban fantasy di bassa
qualità
oppure film hollywoodiano alla Underworld. Non era una parola che sapeva di Seth.
Lupo, invece,
calzava a pennello al
personaggio del ragazzo.
In
effetti, aveva sempre trovato delle similitudini tra il giovane e un
lupo: lo
stesso modo di viaggiare in un gruppo numeroso che riteneva una
famiglia, lo
stesso essere sempre sull’attenti e pronti
all’attacco e il modo affettuoso in
cui la coccolava. Erano cose a cui non aveva mai pensato, ma che ora le
sembravano evidenti.
Lupo.
«Ti
posso spiegare, io...»
No. A
Audrey non interessavano le spiegazioni, non in quel momento, non
quando
pensava di aver perso per sempre Seth e invece lui era lì e
la guardava con
quegli occhi adoranti e supplicanti. Non voleva starlo a sentire mentre
parlava. Era stufa delle parole.
Si
avvicinò al ragazzo – Seth,
lupo, Seth,
lupo – e gli mise una mano sul petto prima di
alzarsi sulle punte dei piedi
e toccargli le labbra con le sue – Seth,
sapore di Seth -.
Lui la
avvolse tra le braccia, premendo il suo corpo nudo contro quello di
lei, che
subito rispose al suo calore con più passione, con
più baci, con più labbra,
più pelle.
E non
aveva bisogno di null’altro, Audrey, niente che non fossero
le braccia di Seth
che la stringevano, mentre il mondo diveniva un punto lontano e
astratto;
nemmeno la faccenda del lupo significava più qualcosa, non
ne provava più
timore, non se era stretta a Seth.
Si
lasciò sfilare la maglietta dalla testa, mentre lui la fece
sdraiare dolcemente
sull’erba, che le provocò dei brividi lungo la
schiena a causa della sua
freschezza. Seth le lasciò una scia di baci umidi sul collo,
prima di scendere
pazientemente verso il petto coperto dal reggiseno, poi
sull’addome ed infine
sul ventre, dove rimase a vezzeggiare la pelle sensibile, facendo
gemere
Audrey.
«Davvero
non hai delle domande?» mormorò lui, mentre con le
mani sbottonava i suoi jeans
scoloriti. Non riusciva a vederlo in faccia, concentrato
com’era sulla chiusura
dei suoi pantaloni, ma era sicura che ora aveva
quell’espressione insicura e
timida che era tipica di lui e lo faceva sembrare piccolo e dolce come
le
piaceva.
«Guardami,
Seth.» Il ragazzo alzò la testa, incontrando i
suoi occhi. E fu allora che
Audrey non ebbe più dubbi: amore, scuse non pronunciate,
dolore e paura si
susseguivano nelle iridi scure del lupo. I suoi occhi le spiegarono
tutto
quello di cui necessitava, ovvero sapere che non era il parmigiano
sulla pasta
di Seth Clearwater. E quello le bastava.
Si
alzò
sui gomiti per baciarlo nuovamente e lo sentì gemere sulle
sue labbra mente le
sfilava i jeans con dedizione, facendole scorrere il tessuto sulle
gambe.
Baci,
carezze, sospiri.
Promesse,
speranze, scuse.
Gemiti,
pelle, bocche.
Passione,
amore, complementarietà.
Seth,
lupo. Seth, lupo.
Seth,
lupo e Audrey.
Inarcò
la schiena quando la bocca di lui si posò sul suo sesso,
prendendo a
vezzeggiarla e portando al limite della passione, per poi risalire
lento e
languido sul ventre, lasciandola insoddisfatta.
Seth,
Seth, Seth.
E
finalmente Audrey capiva che cos’era quell’odore
particolare di foglie e
muschio che sentiva ogni volta su Seth e non riusciva a classificare;
quell’odore così particolare, che mai prima
d’allora aveva annusato. Era il lupo.
Si
lasciò andare, Audrey, a Seth che l’aveva
penetrata, riempiendola
completamente, facendo di loro una cosa sola, una fusione, ma si
lasciò andare
anche al lupo, quello che l’aveva guardata con occhi tanto
umani e tanto
disperati.
Si
lasciò andare all’amore, Audrey.
«Ti
amo, Audrey, ti amo.»
Lo
mormorò sulle sue labbra, Seth, mentre stava aumentando sia
il ritmo che la
passione. Pronunciò quelle due parole come se non ci fosse
nulla di più normale
al mondo, perché lui era così: spontaneo, vero,
sincero.
Fu
quella dichiarazione a portare al culmine la ragazza, che si
abbandonò alla
passione, rotolandosi in un universo parallelo insieme al grosso lupo
di
sabbia, mentre il resto spariva e solo Seth rimaneva nitido.
Seth,
ti amo.
Seth,
amore mio.
Un
bacio sulla nuca, gentile, mentre uscì da lei, per poi
cingerla dolcemente e
scaldandola con il calore esagerato del suo corpo – altro
probabile sintomo
della sua strana malattia.
Si
lasciò cullare da quelle braccia gentili e forti allo stesso
tempo, mentre i
pensieri tornavano alla sua mente e le domande si affollavano
pretendendo
risposte; le scacciò ancora una volta: avrebbe avuto tempo
successivamente per
i discorsi, ora voleva godersi il momento di aver ritrovato il suo
amore.
Lasciò
che l’erba sotto di lei le stuzzicasse la pelle e il vento
fresco le
spettinasse giocoso i lunghi capelli castani.
«Seth?»
«Hmm?»
mormorò, gli occhi chiusi e il naso appoggiato sulla sua
fronte.
«Ti
amo
anche io.»
Aprì
gli occhi, il giovane Clearwater, e finalmente le regalò uno
di quei suoi
sorrisi raggianti, capaci di illuminare qualsiasi oscurità;
ecco perché si era
innamorata di lui: era in grado di trasformare ogni cosa negativa in
positività, grazie alla sua allegria.
Un
cucciolo un po’ troppo cresciuto.
«Vuoi
le spiegazioni, vero?»
Audrey,
gli occhi chiusi, lo sentì sorridere sulla sua pelle e il
suo corpo rispose a
quel dolce dono riscaldandosi, in una sensazione di tiepida
accoglienza. Era a
casa.
Tenne
gli occhi chiusi. «Dopo.»
Gli
posò
un dolce bacio sulle labbra, pensando che qualsiasi cosa sarebbe
successa dopo Audrey sarebbe stata
in grado di
affrontarla, perché ora sapeva, sapeva ogni cosa, non era
più ignara di chi era
Seth.
Era il suo Seth.
Seth,
lupo. Seth, lupo.
Seth,
lupo e Audrey.
«Che
cosa significa che non vuoi più essere il parmigiano
sulla mia pasta?»
Ebbe la
decenza di arrossire, Audrey, che si era dimenticata di quella sua
uscita da
folle in preda alle allucinazioni. «Beh, il parmigiano
è un condimento
superfluo, quindi...»
«Io
adoro il formaggio sulla pasta. È ciò che rende
gli spaghetti gustosi.»
Rise,
Audrey.
Rise,
perché non aveva capito proprio nulla e si era sbagliata
così tanto.
Rise e
baciò Seth sulle labbra, che sorrise.
Rise e
pensò che era davvero il
parmigiano
sulla pasta di Seth.
E non
avrebbe voluto essere nient’altro.
*
Note
Questa
storia
è dedicata alle mie lupe – Ellie, Vì,
Ania, Emi e Maria – che hanno supportato
tutte le mie idee riguardanti questi licantropi focosi e abbronzati.
Ringrazio
ulteriormente Vì per il suo betaggio – come sempre
impeccabile – e i suoi commenti
incoraggianti e lusinghevoli. <3
Spero
di
avervi regalato un Seth Clearwater degno, ragazze e di essere
finalmente
entrata nel club delle lupe. xD
Grazie
a te,
lettore, che sei arrivato fino a qua.
Questo
progetto è nato così, con l’idea del
parmigiano che spesso viene sottovalutato:
da lì è partita tutta la storia. Ho cercato di
rimanere nell’IC, senza sforare
troppo, perché Seth è
piccolo e dolce.
Spero
vi sia
piaciuta, davvero. Lasciate un commento così
saprò cosa ne pensate.
Un
bacione,
la
vostra
Eryca.
|