Frammenti di vergogna
I miei peccati!
Questa fu l’unica cosa che riuscii a pensare, preda di
angoscia per quel lontano passato che in un istante, senza poterglielo
impedire, mi avvolse come un velo tetro, come le spire della frusta che
mi stavano stringendo a morte. Un passato che ancora adesso mi fa
vergognare di me stesso. Il mio nemico lo sa e mi scruta con la sua
espressione severa. Lui mi conosce bene, mi ha conosciuto in quel
passato torbido. Ha davanti a sé, scritta su quelle pagine
ingiallite, tutta la mia vita.
La mia debolezza più recondita che credevo sepolta,
dimenticata, ripagata con il mio stesso sangue, è di nuovo
di fronte a me e nuovamente la rivivo come fossi ancora quel bimbo
solitario che si nascondeva nell’antro della caverna a
nutrirsi di frammenti di vite non sue.
Ricordi dolorosi, quelli. Mi bastava toccare quei miei compagni di
giochi, perché mi svelassero ogni loro segreto, senza alcuna
riserva. Erano vecchie armature, così danneggiate da essere
inservibili. Abbandonate dai loro padroni, morti in guerra, morte
anch’esse. Erano poco più che rottami per me, solo
rottami. Mi circondavano e mi tenevano compagnia nella mia solitudine.
Ben presto ne divenni il padrone e mi nutrii sempre di più
di quelle vite passate, senza mai esserne sazio. Era una droga. Era
diventata l’unica ragione della mia esistenza ed io, senza
alcuno scrupolo, profanavo ogni singolo ricordo continuando a nutrirmi.
Fu allora che si presentò a me quell’uomo, lo
stesso che ora è mi è di fronte, seduto sullo
scanno e circondato dagli scaffali della sua preziosa biblioteca: il
legislatore Rune.
Tentò di portarmi dalla sua parte, mi tentò con
l’unica cosa che per me avesse importanza.
“La storia
dell’intera umanità” - mi
disse, tendendomi la mano -
“ti sarà rivelata. Vivrai infinite storie, tutte
diverse l’una dall’altra; e questo per
l’eternità. Vieni con me e scegli la vera
conoscenza.”.
La mia vergogna.
Sfiorai quasi la sua mano, pronto ad accettare, allettato da quella
proposta. Già allora lui mi conosceva bene, lui che era
tanto simile a me. E i miei compagni presero vita circondandomi,
impedendomi di avanzare, salvando così la mia anima avida e
sporca.
La mia vergogna più grande.
Odiai quei pezzi di metallo quasi morti che mi stavano intralciando. Li
odiai, perché credevo che loro odiassero me, che volessero
vendicarsi e tenermi prigioniero in quel cimitero che io stesso avevo
creato. Vivo, fra i morti.
La mia mano furiosa e peccatrice colpii alla cieca; e un suono
argentino mi distrasse per un momento dalla mia cupidigia. La figura di
un giovane uomo, a me conosciuto, con il suo semplice sorriso mi fece
tornare sui miei passi. A me donò i suoi ricordi, fatti di
amore, di devozione, dolore e di infinita tristezza.
Ancora ne desideravo, mentre le mie mani accarezzavano quello scudo
lucente, e il mio volto malato si rispecchiava in esso, inebriato di
essere nuovamente succube del mio peccato.
Quella stessa infinita tristezza che provai attraverso il ricordo,
ancora persisteva nel sangue del mio maestro,
mentre condivideva la sua linfa vitale con me salvandomi
dall’Ade. Sul braccio ancora porto quella cicatrice, la
stessa che di nuovo mi sta salvando dall’Ade. Questo
è il simbolo della mia debolezza e della mia vergogna, che
mi hanno reso quello che oggi sono e ora mi rende più forte.
Nuovamente ha tentato di confondermi, ha cercato di corrompermi; ma
l’amore del mio maestro ha spezzato le spire invisibili della
sua frusta e mi ha liberato dalle parole scritte sulla mia pelle che mi
avevano incatenato ad un infausto destino.
I peccati incisi sul mio corpo sono ora le mie virtù e
attraverso di esse la mia vita è tracciata nel nome di
Atena.
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