E' tempo di un secondo.

di A n g e l a
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Da quando Blaine era uscito dalla porta del suo nuovo appartamento newyorkese, per Kurt il mondo si era fermato.

Il biondo era rimasto rannicchiato su quella poltroncina per un tempo infinito quasi senza rendersene conto.
Si era realmente accorto di aver passato l'intera mattinata seduto lì quando aveva sentito la porta sbattere e aveva visto una Rachel sorridente piombargli nel salotto, chiamarlo per nome, per cognome e sventolargli una mano davanti al viso; ma lui non si era mosso lo stesso di un millimetro.

Allora lei aveva sbuffato e aveva ricominciato a messaggiare, ritornando in pochi secondi a sorridere e a fare chiasso con il rumore del touch del suo telefono, sparendo poi nel corridoio.

Kurt aveva ricominciato a distruggersi facendo l'unica cosa che l'essere umano è in grado di non smettere mai di fare: pensare.
L'unica cosa che gli venne in mente pensando fu il fatto che non avesse nessuno con cui sfogarsi, visto che la sua coinquilina sembrava essersi già ripresa; pensò a Santana, ma si ricordò che era tornata a Lima...

Tutti erano a Lima.

Per la prima volta in quelle tre ore e mezzo passate lì seduto si mosse. Prese il telefono dal mobiletto lì accanto e, aprendo la rubrica, tentò la sorte premendo un numero a caso.
Aveva bisogno di parlare con qualcuno, anche se fosse stato Blaine stesso, non importava chi.
Ma, quando vide quello stupido soprannome sullo schermo del suo I-Phone, si rese conto che forse importava chi fosse. Perché per chissà quale assurdo motivo, il fato aveva scelto l'unica persona nella sua rubrica telefonica che lui non sopportasse: Sebastian Smithe.
Per quanto ne sapeva poteva essere stato anche lui il ragazzo con cui Blaine l'aveva tradito: non era una cosa poi così strana da pensare.

Stava per attaccare, improvvisamente consapevole di star chiamando Sebastian Smithe per chiedergli aiuto; allontanò leggermente il telefono dall’orecchio, pronto per riattaccare, ma: “Pronto?”. La sua voce risuonava chiara e forte nonostante fosse lontana dall’orecchio.
Non rispose, ne stava analizzando il tono e non aveva ancora trovato in esso nulla di scherzoso, schernitore o, nel caso fosse stato l'amante di Blaine, vittorioso.

Era un tono rilassato e pacato neanche minimamente infastidito e questo lo mandava in confusione.

"Hey, Kurt, ci sei?" chiese ancora.

"Pron-pronto Sebas-" non riuscì a finire di parlare che scoppiò a piangere rumorosamente.

Il non aver parlato per tutto quel tempo non l’aveva ancora fatto entrare nella fase peggiore delle delusioni: la realizzazione.

In ogni delusione la realizzazione era diversa e ora Kurt stava realizzando che quello che era successo era reale, che Blaine l’aveva tradito, che tra loro era finita, che quella era la realtà.

Non un incubo, la realtà, e questo lo spaventava in una maniera impressionante.

"Kurt? Stai bene?"

Altri singhiozzi.

No, che non sto bene.

"Sei ancora a New York?"

Singhiozzi ancora più forti.

Se non fossi stato a New York forse Blaine non mi avrebbe tradito.

“Dov’è il tuo appartamento?”

“Ve-ventitré p-park pla-place” disse balbettando non capendo il motivo di quella domanda.

"Arrivo."

Come? Arrivo? Ma non era in Ohio?

Esattamente quindici minuti dopo Kurt stava piangendo tra le braccia di un Sebastian piuttosto confuso.

Smithe gli aveva passato la mano sulla schiena in un gesto affettuoso che non gli si addiceva, che non si addiceva al loro rapporto di odio, e aveva fatto qualche passo in avanti trascinando con sé Kurt.

Era entrato ed era arrivato al divano, sempre con un Kurt piangente addosso, aveva poi iniziato ad accarezzargli la schiena cercando di fermare i singhiozzi che gli scuotevano il corpo.

E, forse, Kurt Hummel e Sebastian Smithe non erano mai stati in ottimi rapporti ma, mai come in quel momento, Kurt ringraziò il fato per avergli fatto quello scherzo.

Ripubblico questa storia con qualche cambiamento.
Ringrazio la mia beta Luna Ginny Jackson (justamudblood_  qui su efp).
Non ho nient'altro da aggiungere.
Baci, 
         § A §





rL 





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