«Dai
mamma muoviti!!»
Quella
mattina dell’anno 1983 fui svegliata da
mio figlio, Daniel, che continuava a correre e saltare sui letti.
«Ma
sei impazzito?! Torna a dormire Daniel, sono
solo le sei di mattina!» dissi, riportandolo in camera.
«Ma
io credevo.. nonsono
le otto? »
«No
Daniel, mancano ancora due ore.. e adesso
torna a dormire, altrimenti a scuola ti addormenterai sul
banco!»
«Va
bene mamma.. però quando sono le sette e
mezza svegliami, non dimenticartelo.»
«Certo,
tesoro. Notte»
Mi rinfilai sotto le
coperte, il clima
autunnale portava il freddo in casa; per giunta dovevo far riparare il
riscaldamento, anche se avevo chiamato gli addetti più di
una settimana
fa.
Da
quando mio marito ci aveva lasciati, morto
mentre salvava delle vite in un incendio, vivevamo soli: era molto
difficile, spesso il mio lavoro non era sufficiente per le spese
familiari e dovevo assumere una badante che si prendesse cura di mio
figlio.
In
realtà, quella che ora non riusciva a dormire
ero io. Pensavo a Daniel: domani era il suo primo giorno di scuola, per
questo era così agitato. Sei anni.. stava crescendo il mio
piccolo
ometto.
Alle
sette e mezza precise vidi arrivare un
bambino un po’ sonnambulo, che si buttò sul letto,
lasciandosi andare.
«Cosa
ti avevo detto eh?» lo presi in braccio,
portandolo in cucina.
Gli
preparai del latte, aggiungendoci anche
cacao in polvere, assieme a un pacchetto di biscotti.
«Allora,
sei emozionato per il primo giorno?»
gli chiesi, sorseggiando una tazza di tè.
«Si
si certo.. però ho tanto sonno.. » si
addormentò con la faccia nella scodella.
Presi
tutte le sue cose e le riordinai. Dieci
minuti dopo si sentì il clacson dell’autobus
richiamare tutti i bambini.
Svegliai
Daniel, gli diedi un bacio, poi lui si
avviò verso il pullman, salterellando con il suo zaino sulle
spalle.
«Mi
raccomando Daniel! Non parlare con gli
sconosciuti e comportati bene a scuola!» lo salutai.
Rientrai
in casa. L’aria era leggermente più
calda della scorsa notte, tuttavia il vento soffiava a grande
velocità.
Mentre stavo sistemando la cucina, suonò il telefono.
«Pronto?»
sbadigliai.
«Pronto..
capo? Mi spiace averla svegliata, ma
un anziano signore é passato in centrale, dicendo che aveva
un
problema. Mi ha pregato di avvisarla e di invitarla a raggiungerlo a
casa sua e..
capo? Si sente bene?» era Lenzi, mio fido aiutante e
investigatore.
«Oh
si, scusami ma questa notte non ho dormito
per niente.. dicevi?»
«Le
stavo dicendo di questo signore, Sir Edwick
Morgan, che ha richiesto la sua consulenza. La prega di raggiungerlo
alla sua abitazione in Viale Italia 2. Penso sia importante.»
«Bene, sarò
da lui tra mezzora. Ti
dispiace accompagnarmi?»
«Oh
no capo, si figuri!»
«Grazie
mille, Lenzi. E non chiamarmi capo»
dissi, riagganciando la cornetta.
Esattamente
mezzora dopo, una macchina si fermò
davanti a casa mia: una Volksvagen blu metallizzato, perfettamente
pulita e senza un graffio.
Suonò
il campanello, così andai ad aprire.
«Ah!
Eccola qui, signor Lenzi. Bella macchina,
nuova?»
Lui
si limitò ad annuire con un cenno del capo,
nascondendo le mani nel cappotto per il freddo.
Salimmo
in macchina, dove mi avvolse un fresco
odore di pino. Alberelli profumati per auto.
«È
molto taciturno oggi. Va tutto bene?» chiesi
al mio assistente.
«Non faccia caso a me, capo. Sono solo
un po’
assonnato, ma è normale con questo tempo uggioso..»
«Già.
A proposito, dove si trova la casa del
signor Morgan?»
«Viale
Italia 2, è qui vicino. Mi pare di aver
capito che sua moglie sia una vera signora.. non so se mi spiego.. una
di quelle ricche e potenti, che sono consapevoli della loro
superiorità» abbassò lo sguardo.
«Agli
occhi della legge siamo tutti uguali. Hai
altre informazioni su questa donna?»
«Non
molto in realtà. So che è vedova, ha due
figli e vive in una grande villa, proprio nella zona meridionale di
Livorno. La casa è molto bella, artistica, e in famiglia
sono tutte
persone perbene.»
«Angeli,
insomma. Perfetto Lenzi, grazie delle
informazioni.»
Cinque
minuti dopo giungemmo a destinazione: una
grande villa color ambra si ergeva in tutta la sua imponenza,
illuminata dalla luce soffusa del sole.
«Sembra
proprio che siamo arrivati nel posto
giusto!» disse Lenzi, stiracchiandosi.
«Sì,
senza dubbio. Tuttavia ho un brutto
presentimento...» mi avvicinai al cancello
d’entrata e suonai.
Neanche
il tempo di terminare la frase che vidi
un uomo sui quarant’anni correre verso di noi, ansimante.
«Salve,
siamo gli investigatori Lenzi e Corsini.
Siamo lieti di conoscerla e..»
«Sisi
d’accordo molto piacere però adesso
sbrigatevi, venite di qua, presto!» l’uomo correva
e si disperava, ogni
tanto lanciando imprecazioni e voltandosi per vedere se lo seguivamo.
«Diamine,
che maleducazione!» Lenzi mi sussurrò
all’orecchio.
«Non
farci caso, ci deve essere un problema
molto serio se si comporta così»
«Lo spero per lui, perché
l’ultima cosa che
voglio è farmi prendere in giro da un..»
Si
bloccò. Lo spettacolo che si presentava ai
nostri occhi era sconcertante. Il corpo giaceva li, inerme in mezzo
alla stanza. Sangue sul tappeto e una pallottola nel petto. Era morta.
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