Un
breve racconto, ispirato dal falò della Giubiana,
festività folkloristica del mio paese (e quelli limitrofi)
in cui si ha l'usanza di festeggiare nell'ultimo giovedì di
gennaio nel centro del paese, organizzando un falò in cui
viene issato un fantoccio che rappresenta la Giubiana, una strega che
si narra essere una donna malvagia che vive nei boschi, con le gambe
talmente lunghe che non tocca mai terra e rimane sempre sugli alberi,
prendendo in trappola i bambini e strappandoli alle famiglie. Nella
tradizione la strega viene infine catturata con un'esca composta da
risotto giallo con la luganega (salsiccia), di cui la strega va
ghiotta. Processata e infine bruciata, simboleggia anche tradizioni
più antiche in cui si usa bruciare con un fuoco purificatore
tutte le esperienze negative dell'anno trascorso e sperare che possa
giungere un periodo positivo.
Con
questo breve racconto, ispirato, ma non inerente alla storia originale,
ho pensato di narrare l'esperienza di una donna ingiustamente
condannata per stregoneria e arsa sul rogo in pubblica piazza.
Spero
vi piaccia.
Un
saluto
SaYu
Strega
Il
Padre aveva deciso che avrei dovuto vedere.
Questa
sarebbe stata la mia punizione, osservare le facce di chi mi conduceva
verso l'inesorabile cammino verso la condanna.
Lenti
passi, appoggio i miei piedi sui sanpietrini, la superficie
è ruvida e fa male al contato con la mia pelle, ma solo per
poco.
La
nebbia era salita, era appena terminato il mese di gennaio e con la
mezzanotte sarebbe trascorso, ma a me non sarebbe stata concessa
un'altra alba.
L'aria
è fredda, sento l'umidità sulla pelle, che
impregna i miei capelli e i miei vestiti, mentre il mio respiro non
è altro che vapore che si condensa non appena fuoriesce al
gelo.
Sento
le corde stringermi, mentre lentamente il freddo torpore dell'inverno
mi distrugge ogni centimetro, corrodendomi da fuori, verso l'interno.
Alzo
lo sguardo, davanti a me l'espressione del boia, i suoi occhi appena
visibili sotto il cappuccio. Non riesco a leggere pietà in
quelle iridi spente e fredde.
Di
fianco a lui altri uomini, lineamenti comuni, già visti, in
quel piccolo borgo dove tutti conoscono tutti.
Mi
spingono verso la pubblica piazza. Lentamente avanzo, faticando, su
quel suolo sterile e ghiacciato dal freddo.
Sento
come milioni di spilli sotto i piedi, ma non ho scelta.
Osservo
tutto intorno, il frastuono di voci mi colpisce per la prima volta e mi
sento piccola, insignificante.
La
gente, eravamo così tanti in quel paese? Non ricordavo di
averli mai visti tutti riuniti, o forse erano tutti quegli sguardi
puntati che mi facevano sentire come soppiantata da quella tonnara di
creature ansiose di scaldarsi alla fiamma dell'inquisizione.
Il
prete si distingue in lontananza, sento il lento cadenzare della sua
voce cantilenante, mentre legge versetti dal suo vangelo consunto.
L'odore
di incenso mi colpisce e mi sento ancora più stordita.
Procedo, ma solo perchè sento qualcuno alle mie spalle che
mi invita ad avanzare.
E
poi eccole, le voci sparse diventano una cosa sola e la sento, quella
parola.
Strega.
Una
mano calda mi sfiora per un secondo, sento tirare un lembo della veste
e mi volto. Un attimo, un solo semplice istante e incrocio gliocchi di
mia sorella, occhi gonfi, pieni di lacrime e posso leggere sulle sue
labbra un "mi dispiace".
Poi
altri volti, espressioni esaltate e ressa di persone protese verso di
me, alcuni lanciano sassi sulla mia schiena, altri sputano insulti.
Ed
infine eccola, la grande pira di legno e foglie.
Giace
lì, al centro della piazza.
Dietro
di lei si staglia imponente la grande torre campanaria, di fianco la
chiesa.
Pesanti
rintocchi annunciano la fine della messa e l'inizio di qualcos'altro.
Forse
dovrei sentire le parole che il prete mi rivolge con disprezzo, ma
riesco solo a percepirne un brusio indistinto.
Pur
essendo circondata da tante persone decido di chiudere la mia mente a
tutto quel caos e sentire per una volta solo me stessa.
Quante
cose avrei voluto fare? Quante avventure mi avrebbero atteso?
Poi,
al rimpianto per il futuro si affiancano i bei ricordi del passato. I
dispiaceri non contano più, i momenti che voglio riportare
alla luce sono solo quelli belli.
Mi
ci aggrappo con tutte le mie forze e quasi mi sembra di riviverli.
Mi
sollevano e mi sento legare all'asse di legno, stringono le corde e una
lacrima scende al pensiero che me ne andrò, con ancora tutto
l'amore del mondo chiuso dentro e troppi desideri che rimarranno a
marcire in un cassetto perduto.
Eccolo,
lo sento, l'ultimo, secco rintocco.
E
poi arriva prima il fumo, mi blocca la gola, sento caldo, ma
è in quel momento che tutto mi diviene chiaro.
Nella
morte non mi dimenai, forse gli astanti ne rimasero un poco delusi,
forse avrebbero voluto grida e lamenti. Suppliche.
Ma
il fumo soffocò in me ogni energia prima ancora che la
fiamma viva mi raggiungesse.
Io
non so per quale motivo quella gente si ostinasse a chiamarmi strega.
A
me piaceva solo curarmi con erbe e unguenti, amavo il mio gatto nero e
consideravo quell'uomo vestito con abiti sacerdotali semplicemente un
uomo come tanti altri.
Non
ho mai incontrato nessun diavolo nelle passeggiate al chiaro di luna.
Non
ho mai donato il mio corpo per festeggiare chissà quale
festa pagana proveniente da chissà quale tradizione.
Gli
animali non li ho mai uccisi, salvo per portare in tavola la cena ai
miei figli.
Ero
una donna, come tante altre.
Ero
una madre.
Ora
sono solo cenere.
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