Questa è la storia di come sono morto.

di YouStinkOfBlue
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Questa è la storia di come sono morto.
 

Era arrivato il momento da tutti atteso: il ballo di primavera. Il tema? Le maschere.
Una cosa che odiavo più della gente che mi circondava? I balli scolastici. Mi ritrovavo ad andare sempre con la mia migliore amica, ma quell’anno era diverso: lei aveva un fidanzato, io avevo fatto coming-out ed ero innamorato di un mio compagno di scuola.
Da quel giorno in cui incontrai lui iniziai a capire la mia vera natura. In molti mi dicevano che era l’adolescenza, che molti ragazzi della mia età credevano di essere omosessuali o bisessuali, ma poi col tempo sarebbero ritornati “normali”, come loro si definivano.
La normalità.. Normale, che parola strana da attribuire all’essere umano, che è l’animale meno normale al mondo. Poi, tu che dici che gli omosessuali non sono normali.. Credi di non essere ‘diverso’? Siamo tutti diversi gli uni dagli altri. Non esistono persone ‘normali’, non esiste nulla di ‘normale’. E’ una parola che non dovrebbe nemmeno esistere.
Mi ero soltanto innamorato di lui. Basta.
Questa è la mia storia, la storia di come sono morto.
Molte persone mi odiavano nella mia scuola. Nei giorni prima del ballo avevo ricevuto molti insulti che nessuno al mondo vorrebbe sentirsi dire, parole che ti feriscono nell’anima, persino minacce di morte.
Mi avevano picchiato il giorno dopo il mio coming-out, mi aveva sputato in faccia, mi avevano odiato, solo come l’uomo può fare.
Solo Daphne, la mia migliore amica, mi era restata accanto. Era stupita dal mio racconto su di lui, si era stupita alla vista dei miei occhi lucidi, al mio sorriso da ebete..
Ma quella sera ero completamente solo.
Mi ero seduto in disparte, su una panchina degli spalti della palestra, ad osservare tutti i miei compagni di scuola danzare con vestiti d’epoca e maschere stupende e colorate. Alcuni di loro avevano delle maschere tipiche di Venezia, alcuni avevano maschere classiche e altri invece, maschere raffinate, soprattutto le ragazze. Solo io ero vestito con uno smoking classico e una mascherina nera, che copriva solo la parte superiore del mio viso.
Osservavo in modo particolare lui, che ballava con la sua accompagnatrice. Ogni tanto mi guardava e mi rivolgeva un sorriso.
Ad un certo punto mi raggiunse sulla panchina in alto e mi prese per mano, trascinandomi giù dagli spalti. Mi portò in pista e iniziò a ballare con me. All’inizio nessuno ci notava, poi uno, due, tre persone iniziarono a fermarsi e a guardare lo “spettacolo”.
Alcuni presero il cellulare e scattarono foto. Sapevo che quegli scatti sarebbero stati su internet con un commento dispregiativo.
Si fermarono tutti. Eravamo solo noi due al centro della pista a ballare, a guardarci e a sorriderci, non pensando agli altri che ci guardavano con sguardi stupiti o di odio e disprezzo o anche schifati.
Dopo il ballo notai che era tardi: purtroppo avevo il coprifuoco.
Mi sentivo Cenerentola, che a mezzanotte dovevo scappare via dal mio principe.
Lui mi accompagnò alla sua macchina, aveva intenzione di portarmi a casa.
Ma mentre mi avvicinavo alla sua auto sentii dei passi dietro le nostre spalle. Sentivo che qualcosa non andava, sentivo che da lì a poco qualcosa di brutto sarebbe successo.
Lui si girò verso di me, mi guardò un attimo, poi urlò il mio nome.
Caddi a terra con un rumoroso tonfo, sentivo la testa dolorante, fin troppo dolorante. Sentivo la voce di Daniel che si faceva sempre più fioca, poi voci di gente sconosciute, delle scosse al petto.
Poi il buio e infine la luce.
E’ così che sono morto. E’ così che è morto Justin Scott.
Si può morire solo per la propria natura? E’ una cosa “normale”? Penso di no.





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