Il Piccolo Orologio
C'era una volta un piccolo
orologio proprio carino, di quelli nascosti dentro un ciondolo.
Fuori era finemente
decorato, color ottone, appeso per una sottile catenina al delicato collo della
sua padrona.
Ogni volta che quella
apriva lo sportellino del ciondolo, lui, impettito, mostrava le sue belle
lancette, fiero di fare il suo dovere come tutti i bravi orologi.
E nemmeno si lamentava di
dover stare al buio per la maggior parte del tempo, quando invece altri orologi
sapeva per certo che stavano tutti i giorni appesi a un muro, per essere
ammirati da tutti, come suo padre.
Suo padre (o almeno così
lo aveva sempre chiamato e pensato) era un maestoso orologio a pendolo, di
quelli antichi, intarsiati in legno pregiato con virtuosismi artistici che
facevano invidia alle decorazioni del suo ciondolo.
Se ne stava tutto il tempo
in un angolo della casa della sua padrona, a far ondeggiare il suo lucente
pendolo con nobile distacco, sprecandosi solo una volta ogni ora per rintoccare
con la sua voce austera.
Ma non era antipatico,
anzi, gli voleva molto bene perché era buono, saggio e pieno di storie;
dopotutto era vecchio di cent'anni.
Spesso la padrona, prima
di andare a dormire, lo posava sul tavolo proprio davanti a suo padre, e per
tutta la notte gli parlava di tutte le cose che aveva visto e ascoltato, da
quando ancora si trovava nella bottega dell'orologiaio a quando la casa dove
abitava prima venne distrutta dai tuoni e dal grande fuoco, e mille altri
racconti ancora. Gli dava poi consigli su come essere un bravo orologio,
vantandosi che in vita sua lo avevano dovuto aggiustare solo due volte, ma è
una cosa normale - diceva - con l'avanzare dell'età.
E il piccolo orologio,
quando non era occupato a mostrare le lancette, rimuginava, nel buio del suo
guscio dorato, su tutte queste storie; fantasticava che magari un giorno,
crescendo, anche lui avrebbe potuto diventare un grande orologio come suo
padre, e magari l'avrebbero pure appeso al muro.
Una mattina, però,
successe qualcosa di inaspettato: i pensieri del piccolo orologio vennero
interrotti da un trillo, un canto magnifico, qualcosa di mai udito prima.
Immediatamente fu preso
dalla voglia di scoprire da chi quel canto era stato emesso e non dovette
aspettare molto: quando poco dopo la sua padrona lo aprì la vide, lì lontano,
sopra la sua spalla, una nuova sveglia.
I riflessi abbaglianti
della sua campana, argentea come la luna, il rosso sfavillante che le avvolgeva
il quadrante come campi sterminati di rose, l'andatura aggraziata delle sue
lancette... provò qualcosa di strano, dentro, negli ingranaggi, come una specie
di fitta, ma bellissima, e ne volle ancora.
Nemmeno si accorse, però,
che il suo ticchettio accelerò e le lancette iniziarono a correre
all'impazzata.
La padrona lo squadrò per
un istante e poi disse:
«Mamma! Il mio
orologio è impazzito!»
«Lascialo a casa,
vedrò che cosa posso fare, forse c'è solo bisogno di cambiare le pile» rispose
una voce dall'altra stanza.
Così la ragazza lo
posò sul tavolo e corse a scuola.
"Ma che cosa
mi è preso?" pensò il piccolo orologio, riverso sul legno freddo del
tavolo invece che sul petto caldo della padrona.
«Cos'è successo?»
chiese il padre.
«Non lo so... le
mie lancette... sono impazzite!»
«Ma ora il
ticchettio è regolare?»
«Mi sembra di
sì...»
«Mmm... e la cosa è
successa così, di punto in bianco?»
«Beh, in verità
no...»
E il piccolo
descrisse al padre il suo "incontro" con la bellissima sveglia e cosa
aveva provato poco prima dell'anomalia, e fu talmente rapito dal suo stesso
racconto che a stento trattenne le lancette.
«Strano...» fece la
pendola, pensante.
«Speravo che tu mi
potessi aiutare, dato che sei così saggio...» disse il piccolo orologio,
accennando già un che di delusione.
«Mmm.. a me non è
mai successo niente del genere... - qualche istante di silenzio, quello pensava
ancora - ma ho sentito parlare di qualcosa di simile, qualche volta... No, non
è possibile...»
«Perché? Di che si
tratta?»
«Ho sentito qualche
umano parlarne, qualche tempo fa... Se non ricordo male ne parlavano come una
sorta di malfunzionamento umano...»
«Malfunzionamento
umano?» chiese il piccolo orologio, curioso e anche un po' preoccupato.
«Già... non sono
riuscito a capire molto degli umani, ma nel tempo ho messo insieme qualche
nozione sulla loro natura... A quanto pare anche loro hanno una qualche sorta
di ingranaggio all'interno, o delle lancette; tu dovresti averlo sentito
qualche volta, al collo della tua padrona, perché si trova proprio al livello
del petto...»
Il piccolo orologio
si sforzò di ricordare qualche suono tra un secondo e l'altro e, in effetti,
qualche volta aveva udito una specie di altro ticchettio, che veniva
dall'esterno, ma non ci aveva fatto caso più di tanto.
«E pare che in
determinate occasioni, come la vista di un altro particolare umano, il
ticchettio aumenti di frequenza... Mi pare lo chiamassero "amore"...»
«E-e... ed è
grave?»
«Beh... per gli
umani non credo... ma se non ti togli questo vizio potresti spazientire la tua
padrona»
Più tardi quel
giorno la madre della padrona lo visitò e appurò che tutto era tornato alla
normalità, così, una volta tornata a casa, la ragazza tornò a indossarlo.
Il problema però si
ripropose la mattina seguente, quando la vide di nuovo, per un lasso di tempo
che sarebbe dovuto essere brevissimo, ma che, a sentire le sue lancette, durò
quasi un'eternità.
Nuovamente venne
posato sul tavolo.
«E' successo di
nuovo, eh?» fece suo padre.
«Già... - sospirò
il povero orologio - Ma perché proprio a me? Come pensi che sia potuto
succedere? Forse sono stato troppo tempo vicino a quegl'ingranaggi umani?»
chiese.
«Può darsi... ma io
te l'ho detto, devi smetterla di fare così! Se è quella sveglia il problema,
non guardarla!»
E così il povero
orologio, dopo aver superato un altro controllo, ci provò a non guardarla, la
mattina seguente, quando la padrona andò a controllare l'ora.
Era sicuro di non
averla guardata, poteva giurarci! Ma questo non fermò le sue lancette
scalpitanti: il solo pensiero che lei fosse lì gli bruciava gl'ingranaggi. E in
quel momento non pensava a niente di negativo: era la sensazione più bella che
avesse mai provato, e la provata sempre e solo quando la vedeva e la pensava.
Di nuovo lasciato a
casa, padre e figlio discussero ancora una volta e alla fine quello gli ripeté
quel suo consiglio. Il piccolo orologio gli promise nuovamente che avrebbe
evitato qualunque coinvolgimento, ma dentro di sé iniziava a dirsi che non
voleva privarsi di nulla, che quando le sue lancette correvano era felice, si
sentiva vivo, più di quando si conformavano al triste ritmo di tutti i giorni.
Ma il piccolo
orologio iniziò a preoccuparsi quando quel pomeriggio la madre della padrona lo
esaminò per la terza volta e concluse bisbigliando fra sé e sé:
«Non capisco
proprio cosa abbia che non va... magari è il caso di portarlo da un orologiaio»
Più tardi
l'orologiaio ispezionava i suoi ingranaggi e anche lui, davanti allo sguardo
apprensivo della signora, convenne che non vi era niente di irregolare.
«Signora, forse le
conviene lasciarmelo per un po', giusto per vedere se questo malfunzionamento
si ripresenta»
Così il piccolo
orologio trascorse quel giorno e quella notte lontano da casa e dalla sua
amata, e già sentiva la sua mancanza consumargli le rotelle; ma il dolore
divenne insopportabile quando, al mattino, tutte le sveglie nel negozio trillarono
all'unisono.
In mezzo a quel
coro, il vuoto della sua voce paradisiaca gli riportò alla mente la sua
immagine.
E caso vuole che
tutto ciò succedesse proprio mentre era sotto i ferri dell'orologiaio, che
assistette all'anomalia da una posizione privilegiata, con faccia sbalordita.
Quando vide che poi
il ticchettio tornava regolare, fu ancora più stupito e decise di prendersi un
altro giorno per verificare.
Il mattino
successivo l'evento si ripeté e l'orologiaio chiamò la donna.
Quando giunse al
negozio le spiegò l'inspiegabilità del malfunzionamento e
«E' da buttare...
posso comprarglielo io, posso fondere il metallo e farci un altro orologio»
Il povero piccolo
orologio non seppe mai se un giorno l'avrebbero appeso al muro, ma ormai non
gliene sarebbe importato nulla: quanto erano vani i suoi vecchi pensieri e i
suoi vecchi affanni! La sua più grande aspirazione era tenere un tempo monotono
e grigio.
E quanto ingiusto e
infelice era il mondo! che quando aveva finalmente trovato l'unica cosa che lo
faceva sentire vivo e che prima gli nascondeva, l'aveva condannato, come se
fosse il crimine più grande.
Ma non gli
concedette la soddisfazione di decidere l'ultimo ritmo che avrebbe scandito:
gli bastò pensare per un attimo a lei che le sue lancette si gettarono in un
ultima, disperata, libera corsa, ticchettando il tempo dell'amore.
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