IL MISTERO
DELLA
VALIGETTA
Il vento faceva ondeggiare le
lenzuola che stava stendendo e
le scompigliava i capelli. Aspirò profondamente l'aria che
sapeva ancora di
pioggia e in quel momento il sole fece capolino dalle nubi
costringendola a
schermarsi gli occhi.
"Ah, che bella giornata! Non sei
d'accordo anche
tu?", domandò accarezzandosi il ventre prominente.
Chissà
se sei
maschietto o femminuccia e chissà quando ti deciderai a
darmi il primo
calcetto...
Ridacchiò all'idea della
sua pancia che si deformava sotto
la spinta di un piedino: che faccia avrebbe fatto Yusaku? E lei cosa
avrebbe
sentito? Sarebbe stato doloroso o semplicemente le avrebbe fatto il
solletico?
"Ehi, Kyoko!". Il vocione di Ichinose
interruppe i
suoi pensieri piacevoli e la riportò con i piedi a terra:
era di nuovo
l'amministratrice di Casa Ikkoku e per il momento non potevano ancora
permettersi un appartamento. Ma d'altronde lei era felice anche
così, no?
Alzò la testa per guardare
l'inquilina affacciata alla
finestra del piano superiore: "Buongiorno Ichinose, non è
una bellissima
giornata?".
"Sì, sì, ma
adesso sali, c'è qualcosa che non va nella
stanza di Yotsuya!". Il suo umile tentativo di indurre una
conversazione
leggera aveva miseramente fallito. Problemi in vista, probabilmente. E
cosa ci
faceva quella ficcanaso in una stanza che doveva essere chiusa a chiave? Per un attimo
desiderò che suo
marito fosse lì con lei e le parve assurdo: se l'era sempre
cavata da sola ma
da quando era sposata con Godai non poteva fare a meno di lui nemmeno
per un
momento. E lui in quel momento era al lavoro, naturalmente.
"Ma...". La donna era già
scomparsa all'interno,
non lasciandole altra scelta che salire la rampa di scale per
raggiungerla.
Fece i gradini con una certa fatica e si chiese come avrebbe fatto
quando il
pancione fosse stato di dimensioni ben più importanti.
Ichinose era per metà
sporta nella stanza numero quattro: quella
che doveva essere chiusa a chiave. "Mi dici come hai fatto a
entrare?", domandò contrariata.
La coinquilina sorrise sorniona prima
di mostrarle una
forcina che aveva nei capelli.
"Ichinose!".
"Ah, smettila di fare la moralista e
vieni a
vedere!", sbottò scomparendo nella stanza. Kyoko la
seguì con un sospiro,
chiedendosi cosa potesse esserci di tanto strano nella camera di quello
svitato
di Yotsuya.
Sacchetti di polvere bianca. Sparsi
ovunque. Alcuni si erano
aperti lasciando uscire il contenuto; altri erano pieni di una polvere
di
colore verde-marrone.
Kyoko deglutì
rumorosamente. Possibile che...
"E non è tutto. Ho notato
che manca anche la sua
ventiquattrore!", esclamò Ichinose gesticolando concitata.
"Insomma, è normale che la
valigetta non ci sia, no?
Stamattina ha detto che partiva per un viaggio di lavoro,
l'avrà portata con
sé!".
La donna chiuse gli occhi e si accese
una sigaretta,
annuendo con aria grave: "Un uomo parte in fretta e furia con una
valigetta piena di bustine di polvere bianca dicendo che ha un lavoro
urgente.
Non ti sembra strano?".
"Ma non sappiamo se ne ha
portate...", tentò, ma gli
occhi dell'inquilina si piantarono sui propri come due coltelli
affilati,
mettendola a disagio. Molto a disagio. No, non poteva essere. Yotsuya
era un
uomo misterioso e un po' folle ma lo conosceva da anni e non credeva
fosse quel tipo di persona.
"Inoltre non abbiamo mai capito che
lavoro faccia e lui
si è sempre rifiutato di dircelo".
L'ultima frase di quell'impicciona
non fece altro che affondarla
ancora di più in un mare di dubbi. Tentava con tutte le sue
forze di non cedere
al panico ma, naturalmente, il ragionamento di Ichinose non faceva una
piega.
"Pensa se - continuò
imperterrita, prendendo una
boccata dalla sigaretta - per tutti questi anni ti avesse pagato
l'affitto con
soldi sporchi". Anche se non avesse usato tutta quell'enfasi, a Kyoko
sarebbe comunque crollato il mondo addosso dopo aver realizzato quella
consapevolezza: il cuore le mancò un battito e s'impose di
calmarsi per il bene
del bimbo che portava in grembo.
Ma Ichinose non aveva intenzione di
porre fine a quella
tortura e aggiunse con aria tragica: "Potrebbe addirittura lavorare per
la
Yakuza".
Un macigno le piombò
direttamente sulla testa e Kyoko si
chiese se avrebbe retto a una simile verità. "Adesso basta,
Ichinose! Non
possiamo fare tutte queste... elucubrazioni mentali!",
esclamò in cerca
del termine adatto. "Ora usciamo da questa stanza e quando
ritornerà
Yotsuya-san chiederemo spiegazioni a lui!". Detto questo, le
voltò la
schiena e camminò fino alla soglia, dove venne raggiunta
dall'odore della
sigaretta. "E per favore non fumare in mia presenza, non lo sai che fa
male al bambino?".
"Ti dico solo un'ultima cosa."
Ichinose fece una
pausa ad effetto e a Kyoko venne l'insano desiderio di strozzarla
seduta
stante. "Se le cose stanno così, Yotsuya potrebbe anche non
tornare".
***
Godai correva verso casa,
domandandosi cosa diamine fosse
accaduto. Kyoko, solitamente così seria e controllata, gli
aveva telefonato in preda
all'agitazione parlando di strani sacchetti nella stanza di Yotsuya e
di
Yakuza; aveva blaterato qualcosa sul fatto di essere l'amministratrice
e quindi
responsabile dei suoi inquilini e poi lo aveva pregato di tornare a
casa al più
presto. Per quel che ne sapeva, il suo ex vicino di stanza era partito
quella
mattina molto presto, addirittura prima che lui uscisse per andare al
lavoro:
cosa c'entrava, poi, con la Yakuza? Il pensiero che quell'idiota si
fosse
ficcato in qualche guaio destabilizzando la serenità di sua
moglie incinta lo
faceva fumare di rabbia.
Arrivò a Casa Ikkoku con
il fiatone ed ebbe appena il tempo
di chiedere lumi che venne trascinato letteralmente al piano di sopra
da una
concitata Ichinose; Kyoko era ferma davanti alla stanza numero quattro
e teneva
in mano un foglio spiegazzato. Glielo porse con aria seria: "Dobbiamo
andare. Potremmo essere indagati anche noi, senza contare che lui
potrebbe
trovarsi in pericolo".
La guardò stralunato. "Ma
di che diavolo stai
parlando?! Io non...". Kyoko lo afferrò per un braccio,
inducendolo a
guardare nella stanza. Sentì la mascella allentarsi e
cadergli letteralmente
dalla faccia: fortuna che c'era l'articolazione a tenergliela attaccata
alla
testa, o non si sarebbe stupito di vederla rotolare allegramente ai
suoi piedi.
Sacchetti
di... di...
"Ma... ma non possiamo essere sicuri
che sia quello che
pensiamo, no?", balbettò in un ultimo tentativo di
ripristinare una
parvenza di normalità in quell'assurda faccenda. "E poi
quale mafioso
degno di tale nome lascerebbe tutta la merce sparpagliata per la stanza
alla
mercé di tutti?!".
Ichinose e Kyoko si limitarono a
fissarlo con aria grave,
poi la donna più bassa tirò fuori dalla tasca
l'ultima cosa che si sarebbe
aspettato di vedere. "Abbiamo trovato anche questa in un cassetto".
Con uno squittio spaventato e
tutt'altro che virile, Godai
incespicò all'indietro trascinando con sé sua
moglie, nel tentativo di
allontanarla il più possibile da un tale abominio.
"Ehi, che ti prende? Non sappiamo
nemmeno se è carica!",
disse maneggiando la rivoltella come se fosse un pacchetto di
chewing-gum.
"Proprio per questo non... non
agitarla così!".
"Ichinose, ti avevo detto di metterla
via, potrebbe
essere pericoloso!". Meno male che Kyoko non aveva perso del tutto la
ragione,
ma era pallida e seria e questo non andava bene.
"D'accordo, andrò io a
vedere cosa sta combinando e se
sarà necessario... chiamerò la polizia",
sentenziò ostentando un coraggio
che non aveva affatto.
"No!", esclamarono all'unisono le due
donne.
Le fissò stupito: per
ficcanaso che fosse, Ichinose non
poteva certo immischiarsi in una cosa del genere, e Kyoko poi...
"Non se ne parla nemmeno! Aspetti un
bambino, non
permetterò che tu e nostro figlio siate coinvolti in una
questione così
rischiosa!". L'espressione decisa di sua moglie non lo sorprese
più di
tanto e si ritrovò a pregare che cambiasse idea anche se,
testarda com'era, la
cosa era alquanto improbabile.
"Che io lo voglia o no sono
l'amministratrice di questo
condominio, te l'ho già detto. E continuerò a
occuparmi dei miei inquilini
fintanto che sono sotto la mia responsabilità!". Godai la
guardò fisso per
qualche secondo, cercando di controllarsi e di trasmetterle tutte le
emozioni
che traboccavano da lui in quel momento. Terrore. Preoccupazione. Senso
d'impotenza.
"C'è... c'è
qualcosa che posso fare per impedirti di
venire con me?", le domandò senza smettere di guardarla.
L'espressione di
Kyoko si ammorbidì un poco e un lieve sorriso le
affiorò sulle labbra.
"No. Ma non preoccuparti. Non
correremo rischi inutili.
Voglio solo parlare al più presto con Yotsuya-san e farmi
spiegare come stanno
le cose. Se necessario chiameremo la polizia". Quella era la Kyoko che
conosceva, decisa a perseguire la verità ma con i piedi ben
piantati per terra.
"È
deciso, allora, vado a chiamare Akemi!", dichiarò
Ichinose dirigendosi verso il telefono e strappandolo ai suoi pensieri.
"Akemi?! Ma cosa c'entra lei?".
Domanda stupida:
se dovevano ficcarsi nei guai, lo avrebbero fatto come al solito tutti
insieme,
come era loro usanza da sempre.
"Vado a preparare una borsa con dei
vestiti, sarà
meglio partire leggeri". Kyoko si stava già allontanando e
fu allora che
Godai si ricordò del foglio che aveva in mano e che ormai
era tutto
stropicciato.
"Ehi, qui c'è il numero di
telefono di dove alloggia,
potremmo semplicemente chiamarlo!". Si aggrappò a quella
flebile speranza
ben sapendo che sarebbe stata subito stroncata.
Infatti, mentre componeva il numero
del Chachamaru, Ichinose
strillò: "Ci abbiamo già provato ma il padrone ci
ha detto che lì non
alloggia alcun Yotsuya!".
Appunto.
Abbassò
lo
sguardo sulla nota e vide che l'uomo aveva scribacchiato gli orari del
treno
che portava a Fuji Hakone, a circa un'ora e mezza da lì, e
il nome di una
locanda situata a Miyanoshita, con tanto di numero telefonico.
"Quindi
è
qui che siamo diretti", mormorò infilandosi il foglio in
tasca e
richiudendo la stanza che, evidentemente, era stata già ben
controllata da
Ichinose e Kyoko.
Sarebbe
stato
un lungo viaggio. E non in termini di tempo.
***
"Io
ho
portato anche il costume da bagno! So che lì ci sono le
terme e non voglio
farmele sfuggire!", trillò allegramente Akemi facendole
pulsare un nervo
sulla fronte.
"Guarda
che non siamo in viaggio di piacere!", la rimbeccò Kyoko
stringendo la
stoffa della gonna con tanta forza che le si sbiancarono le nocche.
Aveva
paura, era inutile negarlo. Yotsuya si era ficcato in un mare di guai
se le
cose stavano come aveva immaginato e avrebbe rischiato di trascinare
anche loro
nel baratro. Quella pistola poi... già si vedeva i titoli
sui giornali:
'Amministratrice di una pensione e inquilini indagati per
favoreggiamento del
mafioso Yotsuya'. Rabbrividì e il braccio di suo marito la
strinse protettivo.
"Tutto
bene, cara?".
"Sì",
mentì in un bisbiglio. Le pareva di rivivere il
dejà-vu del loro viaggio a
Nigata, qualche anno prima, quando Yusaku la stava portando a conoscere
i suoi
genitori e lei era nervosa come una scolaretta.
"Ma
insomma, che facce lunghe che avete! Ha ragione Akemi,
finché non sappiamo come
stanno le cose è inutile preoccuparsi. Godiamoci il viaggio
piuttosto e
festeggiamo il diversivo!". Con la noncuranza che la caratterizzava, la
donna tirò fuori ventagli festosi e lattine di birra e si
mise a brindare con
la rossa al suo fianco.
"Insomma,
disturbate gli altri passeggeri! Non vedete che vi guardano tutti?",
gemette
Yusaku assumendo un colorito porpora.
Che
vergogna,
erano sempre gli stessi! Non poté fare altro che portarsi
una mano al viso,
come cercando un ridicolo nascondiglio da quella situazione irreale.
Quando
l'altoparlante annunciò la loro fermata e si alzò
per scendere dal treno,
avvertì un capogiro che la fece barcollare: naturalmente
Godai l'afferrò e lei
si rilassò un poco a contatto con il suo petto.
"Kyoko,
cos'hai?". La voce di suo marito era chiaramente allarmata e lei se ne
dispiacque: doveva farsi forza, non era il momento di essere deboli.
"Tutto
bene, tranquillo, era solo un giramento di testa".
"Continuo
a dire che tu non dovresti sottoporti a un simile strapazzo". Il tono
voleva essere di rimprovero ma lei avvertì chiaramente la
preoccupazione che
traspariva. Si impose di sorridergli.
"Stai
tranquillo, magari potremmo cercare davvero di vederla come una specie
di gita,
no?". Non era convinta per niente di quello che diceva ma
tentò di alleggerire
l'atmosfera con una bugia a fin di bene. Dall'espressione perplessa di
suo
marito, però, capì che aveva fallito miseramente.
"Va
bene,
facciamola finita. Andiamo a cercare Yotsuya e poniamo un termine a
questa
storia". Lui annuì e l'accompagnò fino all'uscita.
"Finalmente!
Pensavamo che avreste proseguito fino alla fermata successiva!",
esclamò
Ichinose abbandonandosi a una delle sue grasse risate.
"Bene,
ora
che ne dite di cercare un taxi fino a destinazione? Io proseguirei
anche a
piedi ma mi sa che Kyoko sverrebbe nel tentativo...", disse Akemi
squadrandola dalla testa ai piedi. Doveva aver notato che era pallida.
"Ma
no,
non spendiamo soldi inutili, vediamo se c'è un autobus!",
propose cercando
di apparire allegra.
"Assolutamente
no! Non se ne parla! Ora, mentre voi le fate compagnia su quella
panchina
laggiù io cerco un telefono in stazione e chiamo un taxi.
Inoltre penso che tu
debba mangiare qualcosa, tesoro, sei bianca come un lenzuolo".
Alla
fine si arrese
all'evidenza: non si fidava delle proprie gambe e rimase in attesa di
Yusaku
sgranocchiando un dolce alle mandorle mentre Akemi e Ichinose
brindavano ancora
con le loro lattine di birra.
"Al
viaggio inaspettato!", gridavano, oppure: "Alle terme!", o ancora:
"Alla Yakuza!". A quell'ultima esclamazione quasi si strozzò
e intimò
loro di smetterla con una veemenza tale che le due si limitarono a
sorseggiare
la bevanda senza più dire niente.
Suo
marito
tornò di corsa qualche minuto dopo.
"Allora?
Hai trovato un taxi?", gli domandò la donna più
anziana.
"Purtroppo
no, però ho trovato una corriera che parte tra qualche
minuto e ha dei sedili
comodi e spaziosi. Per te va bene, Kyoko?".
Gli
sorrise,
stavolta non dovette fingere: tutte quelle attenzioni le facevano
sempre un
piacere enorme, anche dopo tanto tempo. Continuava a non capacitarsi di
quanto
fosse stata fortunata a incontrare un altro uomo tanto meraviglioso
dopo la
prima, triste esperienza.
"Ma
certo
che va bene, te
l'ho detto, andava
benissimo anche un semplice autobus".
"Solo
il
meglio per la mia bellissima moglie", dichiarò scherzoso
prendendola
sottobraccio e incamminandosi con lei verso l'area dove la corriera
attendeva.
Per
un momento
non le importò più di nulla, neanche di essere in
viaggio per scoprire che
forse uno dei suoi inquilini era un mafioso dedito allo spaccio di
droga:
c'erano solo loro due e la creatura che le cresceva in grembo. Si
sentiva
attraversata da una corrente elettrica che la rinvigoriva e non si
trattava
solo del dolce che l'aveva rinfrancata. Era un'elettricità
che proveniva dallo
spirito e le indicava quanto fosse bella la sua vita ora e quanto
ancora di più
lo sarebbe stata da adesso in poi. Quasi non udì le voci
complici delle due
affittuarie alle sue spalle.
"Ma
guardali,
tubano come due piccioncini alle prese con il primo appuntamento!".
"Se
continuano così mi verrà il diabete".
"Che
dici,
ci accomodiamo in un sedile lontano da loro?".
"Io
vado a
comprare dell'altra birra...".
***
Quanto
era
passato? Un minuto? Due? Quel che era certo era che se Yotsuya avesse
scritto
il nome della locanda sui suoi appunti, si sarebbe guardato bene dal
prenotare
delle stanze proprio lì. Ora stavano tutti sulla soglia a
fissare l'insegna
come dei beoti, lui e Kyoko in silenzio, le due pettegole invece si
stavano
lasciando andare a commenti di tutti i tipi tra una risata e l'altra.
D'altronde
come
potevano rimanere indifferenti di fronte a quella coincidenza pazzesca?
Erano
andati a cercare Yotsuya, che sospettavano spacciasse droga per conto
della
mafia, e si trovavano ad alloggiare al ryokan Kyodai (1)!
Si
riscosse,
non voleva mettere fine alla serenità che Kyoko sembrava
aver riacquistato alla
stazione: "Adesso basta, voi due, vi ricordo che Kyodai significa anche
fratelli o sorelle! Probabilmente è un ryokan a conduzione
familiare,
andiamo!". Avrebbe tanto voluto crederci anche lui! La
verità era che gli
pareva di essere finito in una sorta di scherzo di pessimo gusto. Con
una
moglie incinta e altre due donne al seguito, lui era l'unico uomo nel
loro
gruppo squinternato e per un attimo rimpianse che Akemi non avesse
convinto il
marito a mollare quel dannato locale per seguirla: si chiese se sapesse
che la
moglie si era imbarcata in un viaggio del genere.
"Buongiorno
signori, posso aiutarvi?".
Se
possibile,
la vista dell'uomo vestito di nero lo sconvolse anche più
del nome della
locanda: notò subito che gli mancava un dito della mano
sinistra...
precisamente il mignolo (2), e non era forse un tatuaggio quello che
occhieggiava dalle pieghe della sua giacca da camera? (3).
Ora svengo... ci sono talmente vicino...
"Allora?!".
Il vecchio proprietario aveva avvicinato il volto in modo quasi
inquietante e
poté avvertire il suo fiato sulla faccia. Doveva riscuotersi
e prendere
immediatamente una decisione: si guardò alle spalle e vide
che Ichinose e Akemi
annuivano furiosamente. Anche sua moglie, pallida ma risoluta, faceva
sì con la
testa.
"Vo...
vorremmo due camere, per favore. Una per me e mia moglie e una per le
due
signore". Ridacchiò in maniera sciocca per compensare il
balbettio che
l'aveva afflitto all'inizio della frase ma il risultato fu che dovette
apparire
al vecchio ancora più spaventato di prima. Lo
fissò perplesso, inarcando un
sopracciglio candido, poi scoppiò in una fragorosa risata e
cominciò a dargli
delle pacche sulla schiena che per poco non lo fecero cadere.
"Ah
ah ah!
Ma certo, figliolo, vi darò le stanze migliori! Solo
comodità e cortesia da
Kyodai!".
Deglutì
e
strinse forte la mano di Kyoko mentre salivano la rampa di scale.
Quando, poco
dopo, si ritrovarono soli, si riunirono tutti e quattro in un'unica
camera per
fare il punto della situazione. Per un tacito accordo, decisero che era
meglio
partire dalla fine: dovevano cercare Yotsuya; sì,
probabilmente alloggiava lì
con un nome falso; no, lo scambio di droga non poteva essere avvenuto
alla luce
del giorno con gli ospiti in giro per il ryokan, forse avrebbe agito di
notte. Esauriti
gli argomenti principali calò il silenzio, interrotto solo
dal loro rumoroso
sorseggiare; stranamente anche Akemi e Ichinose stavano bevendo del
the, invece
della solita birra.
"Come
mai
voi due bevete dell'ignobile the?", scherzò con l'intenzione
di
alleggerire l'atmosfera.
"Perché
stanotte dovremo essere lucide per affrontare il proprietario del
ryokan; non
dirmi che non hai notato il suo mignolo, Godai!". Per l'appunto, la
risposta della rossa lo fece ricadere con i piedi per terra.
"E
il
tatuaggio sul petto? Avete visto?", rincarò Ichinose.
"Già,
senza contare che vestiva di nero... come fanno la maggior parte dei
membri
della yakuza". La voce pacata di Kyoko gli parve la cosa peggiore;
pensava,
per caso, che non fosse così sveglia da non essersi accorta
di tutte quelle
stranezze? O che il non dirle ad alta voce l'avrebbe protetta dal
pericolo? No,
inutile rifuggire la realtà, era il momento di mettere le
carte in tavola.
Posò
la tazza
con un rumore forte, facendo fuoriuscire qualche goccia di the sul
tatami:
"Bene, ecco cosa faremo", disse guardandole una a una.
***
Si
fidava di
Yusaku. Ciecamente. Eppure non smettevano di tremarle le mani mentre,
nel buio
dei corridoi, cercavano le scarpe di Yotsuya fuori dalle stanze.
Avevano
atteso
che calasse la notte e poi si erano divisi: Akemi e Ichinose erano
andate a
cercare la stanza del padrone del ryokan mentre loro due avrebbero
localizzato
il loro squinternato coinquilino. Il primo movimento falso di uno dei
due
avrebbe portato a un pedinamento volto a scoprire l'eventuale scambio
di droga
e a quel punto avrebbero chiamato la polizia. Sarebbe stato inutile
chiamarla
senza avere uno straccio di prova: solo dopo aver assistito alla reale
consegna
delle bustine potevano avere la certezza che fosse necessaria una
perquisizione
dell'albergo.
A
piedi nudi,
con le mani gelate e la fronte sudata, Kyoko stringeva una mano a suo
marito e
con l'altra artigliava il proprio ventre, nel disperato tentativo di
proteggere
la nuova vita che stava crescendo in lei da quella missione assurda.
Arrivati a questo punto, ormai...
Un
rumore la
fece sobbalzare. Godai soffocò un' imprecazione e
spostò la torcia sul suo
piede indicandole che era solo una tavola di legno che aveva
scricchiolato
sotto il suo peso; annuì, battendo i denti per il tremore
che si andava
diffondendo: ora sì che le avrebbe fatto piacere una birra.
Era da quando aveva
scoperto di essere incinta che non toccava una goccia di alcool e si
ritrovò a
desiderarne disperatamente.
Di' la verità, non dispiacerebbe neanche
a
te in questo momento, vero, piccolo mio?
Risolse
di
essere impazzita, perché lui o lei non poteva sapere in che
razza di situazione
anomala si fosse cacciata la sua stolta mamma, eppure doveva avere la
percezione del terrore che mandava continue scariche di adrenalina nel
suo
sangue. Doveva calmarsi o il bambino avrebbe deciso di nascere per lo
stress. E
lei non voleva che nascesse con tutto quell'anticipo, no?
Cominciò a respirare
come le avevano insegnato a fare durante i corsi nei quali si imparava
a
controllare il dolore delle contrazioni e le parve che il suo battito
cardiaco
tornasse a livelli normali. Stava cominciando a rilassarsi quando delle
voci da
una delle stanze attirarono la sua attenzione. Smise di respirare e
anche
Yusaku si fermò improvvisamente.
"Oh,
caro,
ma che fai, non possiamo! Non siamo ancora sposati!".
Incredibilmente,
le venne da ridacchiare e l'impulso divenne irrefrenabile quando suo
marito si
voltò a guardarla imbarazzato con un sorrisetto di
circostanza. Si mise una
mano davanti alla bocca e procedette oltre quando lui le fece cenno di
rimanere
in silenzio, mentre a sua volta tentava di trattenere le risa con
l'unico
risultato di produrre un buffo suono dalle narici.
Mentre
tentavano di riprendere il controllo procedendo per il corridoio, il
fascio
luminoso della torcia si fermò su un paio di scarpe nere:
impossibile
sbagliarsi, per anni il loro coinquilino non ne aveva portate altre ed
erano
consumate anche se perfettamente lucide.
"Magari...
magari non sono le sue e lui non alloggia affatto qui",
bisbigliò Yusaku
con voce malferma; sarebbe piaciuto anche a lei che tutto tornasse alla
normalità e che quell'avventura non si rivelasse altro che
un brutto sogno. Ma
non era così e dovevano rendersene conto. D'altronde cosa
potevano rischiare?
Al massimo avrebbero chiamato la polizia e spiegato le loro ragioni.
Sì,
faremo
così, pensava mentre superava la figura di suo marito per
esaminare le scarpe
più da vicino. Le girò e sulla suola era scritto
chiaramente 'Yotsuya', anche
se le lettere erano sbiadite dal tempo e dall'uso.
"Ora
non
dobbiamo fare altro che rimanere qui e aspettare. Prima o poi potrebbe
uscire", mormorò riponendo le scarpe con delicatezza per non
fare rumore.
"Io aspetterò, tu torna in
camera
nostra", le disse Yusaku con fermezza.
"Non
se ne
parla affatto!", ribatté con forza. "Siamo arrivati fin qui
insieme e
insieme aspetteremo".
"Invece
io
ti dico che devi tornare in camera e riposare!".
"E
invece
io...!".
Si
bloccarono
nel medesimo istante, rendendosi conto che avevano parlato ad alta voce
e che
la porta di Yotsuya si stava aprendo.
Il
suo primo
istinto fu di scappare, nascondersi, ma rimase a fissare Godai negli
occhi come
uno stoccafisso; poteva udire le parole non dette che attraversavano le
loro
menti in un dialogo che non stava avvenendo davvero: 'Accidenti,
abbiamo alzato
la voce senza accorgercene!', 'Colpa tua che sei così
testarda!', 'Scappiamo!',
'Troppo tardi, sta già uscendo...' , 'Ci ha scoperti', 'Oh,
Kami!'.
Mai
la figura
del suo coinquilino le era parsa così minacciosa come
nell'istante in cui aprì
la porta e li guardò col suo viso eternamente pallido e
perplesso, le
sopracciglia inarcate nella sua tipica espressione interrogativa.
"Yo...
Yotsuya-san, ma che combinazione!", balbettò suo marito nel
disperato
tentativo di inventarsi una scusa decente. "Ci siamo detti:
perché non
fare una vacanza alle terme! E guarda un po' chi ha avuto la nostra
stessa
idea!".
Kyoko
deglutì a
fatica, notando che Yotsuya era imperturbabile. "Non m'incanti, Godai,
so
benissimo che mi stavate spiando".
Ed
ecco che il
cuore le accelerava di nuovo e l'adrenalina riprendeva a riversarsi a
fiumi
nelle vene: li aveva scoperti! Tentò di mettere le cose a
posto; Yotsuya non
avrebbe mai fatto del male a una donna incinta, per di più
la sua padrona di
casa da anni! Si avvicinò a lui di un passo.
"Yotsuya-san,
in realtà io mi sentivo poco bene e mio marito mi stava
accompagnando in bagno
a rinfrescarmi un po', così...".
Le
parole le
morirono in gola e Kyoko Godai realizzò, in quel preciso
istante, che stava per
raggiungere il suo ex marito in Cielo abbandonando Yusaku su questa
Terra e
portando con sé il loro primo figlio.
Yotsuya
aveva
estratto una pistola dalla tasca della giacca da camera e gliela stava
puntando
addosso.
***
Sbuffò.
Si era
davvero stufata di aspettare e aveva bisogno di una birra gelata: erano
almeno
cinque ore che non ne beveva una!
"Insomma,
Akemi, vuoi stare un po' ferma? Se ti agiti così ci
scoprirà!", borbottò
la sua grassa compagna.
"È che
mi sto annoiando, quest'attesa è sfibrante!", si
lamentò arricciandosi su
un dito una ciocca rossa.
"Hai
ragione, non ci siamo nemmeno portate da bere", annuì
Ichinose
accomodandosi meglio nel suo angolo: da dietro quella colonna potevano
spiare
tranquillamente la porta della stanza più grande del ryokan,
quella in cui alloggiava
il vecchio padrone di casa. Il silenzio era assoluto e stava per
proporre una
morra cinese per decidere chi delle due sarebbe andata a rimediare
della birra
quando udì, lontano ma distinto, uno scricchiolio provenire
dal soffitto. Alzò
lo sguardo, puntando la torcia.
"Viene
dal
piano di sopra", commentò.
"Già".
"Morra
cinese?".
"Cosa?!".
Ichinose la fissò senza capire.
"Morra
cinese. Per decidere chi delle due va a prendere le birre in frigo.
Sai? Sasso,
carta, forbice...".
"Ho
capito, ho capito! Ma non dobbiamo ubriacarci, cosa succederebbe se ci
addormentassimo qui?".
"E
dai,
solo un paio di lattine!", pregò mettendo il broncio.
La
donna più
anziana sogghignò e disse che sarebbe andata personalmente a
pescare un paio di
'rifornimenti' direttamente dal frigo delle cucine. Non più
di due, però, eh? Fece
appena in tempo a voltarsi che udirono un nuovo scricchiolio che
rivolse la
loro attenzione alla porta: stavolta era quest'ultima che si stava
aprendo.
Ichinose
cominciò a fare gesti concitati con la mano grassoccia per
indurla a spegnere
la torcia e a nascondersi meglio dietro la colonna, ma quell'aggeggio
non ne
voleva sapere di scattare e dovettero usare quattro mani per far
arretrare
finalmente l'interruttore nella posizione off. Dopodiché si
accucciarono il più
possibile e si misero a osservare l'ombra dell'uomo illuminata solo
dalla luce
della luna.
Il
vecchio si
stirò le membra, allungando le braccia, e poi fece una cosa
che le gelò il
sangue nelle vene: tirò fuori qualcosa dalla tasca, vi
infilò un dito dentro e
se lo portò sulla punta della lingua come per assaggiarlo,
quindi annuì
compiaciuto.
"La
droga!
L'ha già avuta e sta sentendo se è di buona
qualità!", emise Ichinose alle
sue spalle, in un verso strozzato. Per tutta risposta, Akemi le
piantò un
gomito sul torace senza tante cerimonie e si mise a cercare
freneticamente
nella tasca della vestaglia.
"Ahio,
ma
sei impazzita?! Cosa cerchi? Svelta, dobbiamo seguirlo!".
Ma
lei fece
finta di non sentire e continuò a cercare: sentiva il peso
nella tasca ma non
riusciva a trovarla. Non c'era tempo di chiamare la polizia, se solo...
"Se
ne sta
andando, Akemi!". Ichinose aveva alzato la voce e questo la fece
voltare
bruscamente. Era vero, il vecchio si stava dirigendo verso l'area in
cui
c'erano i bagni. Allora dovevano incontrarsi lì! Ma
dov'erano Kyoko e Godai?
Yotsuya era già sceso e loro non l'avevano intercettato?
Dannazione, doveva
trovarla subito o...
L'urlo
fermò il
flusso dei suoi pensieri e la sua inquilina, che stava uscendo
circospetta dal
nascondiglio, si accucciò di nuovo alle sue spalle con un
balzo; la mano le
rimase paralizzata nella tasca dove aveva appena afferrato la sagoma di
ciò che
cercava.
"Fermo,
Yotsuya!". Era la voce di Godai.
Strinse
la mano
sul calcio della pistola e si voltò verso Ichinose
mettendosi un dito
perentorio sulle labbra: gli occhi della donna erano spalancati dal
terrore
quando le fece cenno di seguirla in silenzio.
***
Yotsuya
che
portava una mano nel kimono, la ritraeva impugnando una rivoltella e la
puntava
addosso a Kyoko, indifesa di fronte a lui.
Tutto
ciò non
poteva che far parte di un incubo.
Continuava
a
pensarlo anche mentre la propria mano lasciava cadere la torcia
illuminando la
scena dal basso, nel momento esatto in cui sua moglie si lasciava
sfuggire un
urlo dalle labbra cineree e lui le si parava davanti a braccia
spalancate
intimandogli di stare fermo.
Il
tempo si bloccò.
Morire
non era
più la peggiore delle ipotesi se questo significava salvare
la vita a sua
moglie e a suo figlio. Il perché Yotsuya si fosse messo in
un giro come quello
era irrilevante, ora la priorità era proteggere la sua
famiglia; non importava
se le gambe tremavano e il sudore colava in grosse gocce dalla fronte
accecandogli gli occhi. Doveva essere forte e cercare di ridurre i
danni al
minimo.
"Ora
ragiona, Yotsuya, metti giù quell'affare e parliamone con
calma, va bene?".
L'uomo
aprì la
bocca per rispondere, ma fu interrottò dalla voce di Akemi:
"Fai come dice
lui, Yotsuya, ti comunico che ho una mira infallibile!". La rossa, da
quel
che poteva vedere, era alle sue spalle: aveva evidentemente salito la
rampa di
scale nel più assoluto silenzio e puntava a sua volta quella
che aveva tutta
l'aria di un'arma.
Oh, no, Ichinose deve averla data a lei!
"Oh,
ma
che sorpresa, ci siete anche voi?", disse Yotsuya.
"Ehi,
ma
cos'è tutto questo baccano in piena notte? Mi ero alzato per
andare in bagno e
sento un fracasso... ma che succede?". Quella voce era del padrone del
ryokan! Ma non dovevano tenerlo d'occhio quelle due?! Che guaio, la
situazione
si stava facendo pericolosa! Akemi continuava a puntare l'arma contro
Yotsuya
spostandosi lentamente di lato, Ichinose rimaneva alle
sue spalle ripetendo a pappagallo a
Yotsuya di non muoversi ma schermandosi, seppur malamente vista la
stazza,
dietro la schiena di Akemi.
Fu
allora che
udì il respiro di Kyoko accelerare all'improvviso e poi
bloccarsi: "Si è
mosso!".
Senza
spostare
il corpo, perché Yotsuya non aveva abbassato la mano con la
pistola, Godai girò
la testa verso di lei: sua moglie era pallida e sudata ma sorrideva
mentre
ansimava.
"Il
bambino. Mi ha dato il suo primo calcetto!", disse prima di accasciarsi
al
suolo priva di sensi.
***
Al
risveglio
aveva sempre la dolce sensazione di tornare a casa. Dopo l'incoscienza
della
notte, veniva cullata dalla consapevolezza di stare accanto all'uomo
che amava,
ascoltandone il respiro; poi la mano sul ventre le ricordava che il
frutto del
loro amore cresceva lì, come il più meraviglioso
tra i miracoli, e avrebbe
avuto i loro lineamenti.
Stavolta
invece
ebbe una sensazione di bagnato. Acqua. Che le cadeva sul viso in
spruzzi
regolari.
Che diamine?!
La prima cosa che vide quando
aprì gli occhi fu la canna di
una pistola e il ricordo di poco prima
ore? Giorni?
le ripiombò addosso come
un macigno mozzandole il fiato in
gola.
Erano a Miyanoshita, in una locanda
gestita da un membro
della yakuza per cercare Yotsuya. Yotsuya, che nascondeva sacchetti di
droga in
camera; Yotsuya, che li aveva scoperti mentre lo cercavano nella notte.
Yotsuya, che le aveva puntato una pistola mentre lei avvertiva, per la
prima
volta, muoversi il bambino dentro di sé.
Yotsuya, chino su di lei dopo che era
evidentemente svenuta,
e le stava ancora puntando l'arma.
Gridò, scalciando via le
coperte con cui dovevano averla
avvolta, e cominciò a indietreggiare furiosamente. La sua
attenzione era
concentrata sul dito dell'uomo che si stava muovendo sul grilletto,
come in un
incubo, al rallentatore.
E lo premeva.
E dell'acqua fuoriusciva a inzupparle
ancora il viso.
Acqua.
Una dannata,
maledettissima pistola ad acqua?!
"Insomma, Yotsuya, vuoi farla svenire
di nuovo?! Ti
diverti tanto a terrorizzare le donne incinte?", urlò Yusaku
strappandogli
di mano il giocattolo.
Una.
Pistola. Ad
acqua. Un giocattolo.
"Beh, che vuoi fare, picchiarmi?
Stavo solo tentando di
rinfrescarla, come poco fa sulla porta. Ora che sai anche tu che
contiene acqua
non dovresti prendertela tanto!".
Rinfrescarmi?!
Cosa
avevo detto poco prima che si aprisse la porta? Che mio marito mi stava
accompagnando al bagno per rinfrescarmi. E la pistola. Ad ACQUA...
"E chi sospettava che questi aggeggi
somigliassero tanto
a quelle vere?". Era Akemi ad aver parlato, seduta poco distante,
mentre
spruzzava addosso a Yusaku con un'altra pistola.
AD ACQUA.
Kyoko sentì un formicolio
alla gola e capì che era una
risata isterica in procinto di esplodere.
"Oh, vedo che la signora si
è ripresa, finalmente! Però
che idea balzana: uno spaccio di droga nel mio rispettabile ryokan!
Yotsuya-san, non avevi detto ai tuoi amici che smerciavi sale di ottima
qualità?". Quello era il padrone dell'albergo; l'uomo
vestito di nero, il
presunto yakuza.
Sale?
Bustine... di
sale?!
Storse la bocca in una smorfia che
doveva essere un sorriso
e ricadde sdraiata.
Acqua. E
sale.
"Tesoro che hai, ti senti ancora
male? Vuoi che chiami
un medico?". Yusaku fu subito accanto a lei. Scosse la testa e
tentò di
rassicurarlo ma non riuscì a fare altro che ridere, dando
sfogo a tutta la
tensione accumulata. Rise così tanto che gli occhi le si
riempirono di lacrime
e lo stomaco si contrasse.
"Beh, almeno ha ripreso colore!",
esclamò la voce
di Ichinose.
Ci vollero quasi due minuti interi
prima che riuscisse a
smettere, allora si asciugò gli occhi e accettò
il bicchiere che le porgeva suo
marito.
Un bicchiere d'acqua,
pensò avvertendo l'ilarità
solleticarle nuovamente la gola.
Bevve avidamente e si
sentì rinata, come se il macigno che
si stava trascinando da quella mattina si fosse trasformato in una
piuma.
"Ora, per favore, mi spiegate cosa mi
sono persa?".
Godai la guardò accigliato.
"Sei sicura di stare bene? Poco fa ho
temuto davvero
che stessi per morire, o per perdere il bambino o... entrambe le
cose...".
Fu allora che si rese conto di quanto doveva essere stato in pena.
Scosse la
testa e gli mise una mano sul viso, sorridendogli.
"Sono solo svenuta per la paura. Sicuramente Yotsuya non
avrebbe dovuto farmi
prendere uno spavento simile ma ora sto bene. E anche il bambino; prima
mi ha
dato il suo primo calcetto e se metti una mano qui sentirai che
è ancora bello
arzillo".
Portò la mano di Yusaku
sul ventre e fu una sensazione
indescrivibile: sentiva qualcosa tirare deliziosamente dentro
un piedino o
una
manina, chissà
e il calore del palmo di Godai fuori.
"Oh, cara, che meraviglia...". Era
commossa anche
lei e se non fosse stato per il vocione di Ichinose che intimava loro
di
rimandare le smancerie a più tardi, sicuramente si sarebbero
abbracciati
teneramente.
Ora sì che vorrei una casa
tutta nostra, si sorprese a
pensare mentre Yotsuya in persona si preparava a raccontare la
verità pura e
semplice.
***
"La ditta per cui lavoravo
è fallita e così sono
rimasto con un carico di merce nella valigetta che non sapevo a chi
vendere. Mi
sembrava stupido usarla quando avrei potuto farci un sacco di soldi".
"Ti ci sono voluti anni per rivelarci
che facevi il rappresentante.
E dire che noi pensavamo a qualcosa di più eccitante e
misterioso!", borbottò
Akemi sorseggiando una birra.
Fredda al punto giusto e con quella
nota amarognola che
amava tanto. Ne offrì a Kyoko che scosse la testa: razza di
testarda, bambino o
non bambino le avrebbe fatto bene dopo quello che aveva passato!
"Ti ricordo che vi sto raccontando
tutto questo solo
perché siete arrivati fin qui e vi siete spaventati a morte,
altrimenti non vi
avrei mai raccontato i fatti miei. Vi rammento inoltre che sono molto
riservato
riguardo la mia vita privata e non ne parlerei neanche sotto tortura!".
Lo liquidò con un gesto,
intimandogli di continuare. Lui si
schiarì la gola e proseguì:
"Grazie a un giro di telefonate sono
riuscito a trovare
un acquirente che mi avrebbe comprato una certa quantità di
sale e spezie, così
stamattina ho preparato la valigetta in fretta e furia e sono corso
qui. Se non
avessi venduto tutto entro questa settimana non avrei avuto neanche i
soldi per
pagare l'affitto".
Scoccò un'occhiata
all'amministratrice che ascoltava con
interesse: "Capisco ma... non c'era bisogno di precipitarsi in questo
modo
così... ehm... sospettoso".
"Non arrossire, Kyoko-san, sappiamo
benissimo chi ti ha
messo in testa la storia della droga e della mafia giapponese!",
ribatté
facendo un cenno col mento in direzione di Ichinose.
La donna incrociò le
braccia, piccata: "Non è colpa mia
se Yotsuya si comporta in maniera misteriosa e mi fa venire il sospetto
che
nasconda qualcosa in camera! Che modo è, poi, quello di
mettere tutto all'aria
in quel modo?! E per del volgarissimo sale... bah!".
"Per tua informazione ero molto di
fretta perché avevo
il treno all'alba e la sveglia non era suonata e non ti azzardare
più a
chiamarlo volgarissimo sale, ci siamo intesi?!".
Caspita, Yotsuya era proprio
sensibile su quell'argomento!
Beh, era anche normale visto che era la sua unica fonte di denaro, al
momento,
e che il suo acquirente principale era lì davanti a loro.
"Questo sale si chiama Aguni ed
è naturale al cento per
cento, prodotto dalle sole forze della natura di una sconosciuta isola
del
Giappone! (4)". Yotsuya aveva ripreso con fervore.
"Ma... ma la pistola ad acqua?". Dal
pallore sul
volto di Kyoko capì che anche lei se l'era quasi fatta sotto
dal terrore: era
addirittura svenuta! Lei stessa avrebbe perso i sensi se non fosse
prevalso l'istinto
di autoconservazione che l'aveva indotta a impugnare a sua volta
un'arma per
salvarsi la pelle. Dopo, quando tutto si era chiarito, si era
accasciata a
terra sentendosi come svuotata.
Il sollievo generale era stato
istantaneo e si erano tutti
adoperati per far rinvenire Kyoko.
"Era carina e l'ho comprata. Me la
porto sempre dietro
per rinfrescarmi", rispose l'idiota spruzzandosi la faccia con aria di
sufficienza. "E siccome mi piaceva molto ne ho comprate due".
"Oh...", fu l'unica risposta
dell'amministratrice.
Scosse la testa, chiedendosi quale sorta di segatura marcia avesse mai
nella
testa il suo ex coinquilino.
"Continuando la mia storia... sono
arrivato qui e mi
sono registrato con un nome falso perché la concorrenza dei
miei colleghi
rimasti senza lavoro non mi potesse raggiungere neanche per sbaglio".
"Eh, eh! Un buon venditore sa come
difendere i suoi
affari! Anche mio figlio lo diceva sempre...". Il vecchio proprietario
cominciò
a singhiozzare penosamente e lei guardò in aria, esasperata.
Ci risiamo,
ora
ricomincia...
Kyoko, da cuore fragile qual era, gli
stava per l'appunto
chiedendo cosa fosse accaduto al suo povero figliolo. Così
le toccò ascoltare
un'altra volta la storia.
"Anche mio figlio era un
rappresentante: commerciava
the verde di altissima qualità ma rimase ucciso in un
incidente stradale
durante uno dei suoi spostamenti: pare che al guidatore si fosse
bloccato il
pedale del freno! Per questo porto il lutto da cinque lunghi anni...".
E giù, singhiozzi e
lacrime a non finire; Akemi si alzò in
piedi e annunciò che si sarebbe andata a prendere un'altra
birra. Alle sue
spalle, Kyoko e Godai stavano dicendo qualcosa di confortante e il
vecchio si
stava soffiando il naso con un rumore terribile.
Bleah, che
razza di
ryokan abbiamo beccato!
Quando tornò, l'uomo
anziano si era ricomposto e stava
terminando la storia.
"Per questo quando ho sentito la voce
di questo
volenteroso giovane al telefono gli ho detto che poteva venire con il
suo sale
quando voleva, in un ryokan le spezie servono sempre. Mi ricordava
tanto il mio
giovane figliolo...".
Stavolta si limitò ad
asciugarsi una singola lacrima
all'angolo dell'occhio. Meno male che Ichinose stava scoppiando a
ridere
proprio in quel momento.
"Volenteroso! E giovane per di
più! Ahahahahah!".
"Smettila di prendermi in giro, sono
di certo più
giovane di te!".
"Ah, sì? E quanti anni
hai?", gli domandò
stappando la lattina con dito esperto.
"Non ve lo dico", rispose Yotsuya
voltando la
testa ostinatamente.
"E dai, questa è la sera
delle rivelazioni!".
"No che non lo è!",
insisté lui, riluttante.
"Ehm... a proposito di
rivelazioni...".
Incredibilmente, il timido Godai stava per porre una domanda. Forse
proprio
quella che aleggiava già da prima e a cui il vecchio non
aveva dato risposta
neanche a loro, perso com'era nei ricordi del figlio morto.
"Cosa... cosa è successo
al suo dito?".
Bingo! Era esattamente quello che
voleva sapere!
Improvvisamente tutti pendevano dalle labbra dell'uomo.
"Questo?", domandò
mostrandolo con noncuranza.
"Oh, un incidente di giardinaggio! Stavo potando le piante quando mi
è
venuto in mente il mio povero Eikichi... sniff!".
Oh, no, non
di nuovo!
Quella storia lacrimevole non sarebbe
finita mai e la sua
sarebbe stata una sbronza triste e malinconica; non sarebbe mai dovuta
andare
fin laggiù con Ichinose e gli altri! Attese pazientemente
che il proprietario
smettesse di frignare ed ebbe anche la risposta alla sua ultima domanda.
"Vedete questa cicatrice? Il mio
povero cuore non ha
retto al dolore e qualche mese fa ho subìto un intervento
molto lungo". Si
scostò il kimono e rivelò che quello che avevano
creduto un tatuaggio yakuza
altro non era che la ferita di un'operazione.
Rabbrividì.
"Insomma, si sa che gettare del sale
dietro la spalla
sinistra porta bene, no? Direi che questo signore ha bisogno di tutto
quello
che ti è avanzato, che ne dici, Yotsuya?". Un pedale del
freno che causa
un incidente, il figlio che muore; poi la sventura in giardino con
tanto di
dito mozzato e infine l'operazione a cuore aperto. Ah, già,
stava quasi
dimenticando quella specie di avventura thriller-mozzafiato che avevano
appena
vissuto...
"Ma quello non si faceva solo quando
ne cadeva a
tavola?", domandò Ichinose finendo la propria birra.
"Akemi!", la redarguì
stizzosamente Kyoko.
"Oh, è la
verità. Ho proprio bisogno di un po' di
fortuna in questa casa...", disse l'uomo con aria sconsolata.
Yotsuya gli prese le mani con
trasporto: "E allora, mio
sfortunato signore, che ne dice se domani torno a casa a prendere
quello
rimasto e glielo porto tutto? Glielo vendo a soli trentamila yen!".
"Trentamila yen? Oh, no, figliolo,
è troppo caro!
Facciamo ventimila".
"Venticinquemila e ci aggiungo anche
un po' di spezie
per cucinare".
Non poteva restarsene là a
guardare quei due che
mercanteggiavano, urgeva una bella festa notturna. Si alzò
in piedi decisa ad
annunciare la sua intenzione ma scoprì con orrore che
Ichinose era caduta
addormentata e completamente ubriaca in un angolo.
Ma come,
fino a poco
fa era sveglia!
Godai invece stava inginocchiato
accanto a Kyoko con una
mano sulla pancia a sentire le acrobazie del loro bambino e rideva
scioccamente.
"Oh, che vita grama la mia, stare qui
porta veramente
sfortuna!", commentò uscendo dalla stanza. Aveva una mezza
idea di farsi
raggiungere da suo marito, cercare un altro ryokan e concedersi una
seconda
luna di miele alle terme.
Dopo tutto se lo meritava, no?
(1)
Membro della Yakuza
al terzo posto nella gerarchia.
(2)
Amputarsi l'ultima
falange del mignolo è una pratica che nella Yakuza viene
usata da chi, per aver
commesso un errore, si autoinfligge la suddetta punizione in segno di
fedeltà
per farsi perdonare dal capo.
(3)
I membri della
Yakuza, notoriamente, hanno il corpo ricoperto da tatuaggi.
(4) "Proveniente da una sconosciuta
isola del Giappone,
questo sale è prodotto solamente dall’interazione
delle forze della natura: il
mare cristallino, il vento, il sole, gli alberi del bambù e
una lenta
essiccazione su legno. Questa tipo di lavorazione conferisce al sale un
gusto
piacevole e morbido. Inoltre è ideale per la salute data la
sua naturale
proprietà di neutralizzare gli effetti
dell’eccessiva assunzione di
caffeina". Che la fonte sia attendibile o no mi è servita
allo scopo!
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