Resta, finché non mi addormento di IoNarrante (/viewuser.php?uid=122990)
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Nick:
IoNarrante
Titolo: Resta,
finché non mi addormento
Fandom: Arrow
Genere: Angst, malinconico
Rating: Giallo
Pairing/personaggi: Tommy/Oliver
(Toliver)
Prompt scelto: Bugia
Frase scelta: “Nulla è buono o
sbagliato in sé, è il pensiero che lo rende tale”
Avvertimenti: è un po’ pre-slash,
lo ammetto. Non ci si fa
molto caso, ma devo ammettere che hanno una chimica non indifferente
quei due e
ci ho fatto un pensierino, sì, sì, anche se rimango fermamente una
Tommy x Thea
convinta. Ho voluto provare qualcosa di diverso. Soprattutto perché su
twitter,
questi due si shippano come si beve un bicchier d’acqua.
Nda: vorrei tanto possedere Tommy e
Oliver, soprattutto Tommy, tanto, tanto, perché è un orsacchiotto
cuccioloso,
però i personaggi appartengono in primis alla DC-comics e in secundis a
Greg.
Li ho solo presi in prestito.
Resta, finché non mi addormento.
C’era
qualcosa in quella casa che esercitava sempre una strana energia su di
lui. Era
come fare un profondo tuffo nel passato, una capriola all’indietro nel
tempo, a
quando c’erano meno pensieri e più azioni, un periodo in cui lui e
Oliver erano
liberi.
In
cima a quella scala si sentiva pioniere del mondo e padrone del suo
destino,
anche se le cose erano andate in modo molto diverso da come aveva
previsto. In
alto, sull’ultimo gradino, si era arrestato.
Quella
notte il sonno era stato inquieto. Si era rigirato più e più volte nel
letto a
due piazze nella camera degli ospiti di casa Queen.
Moira
non aveva voluto sentir ragioni quando aveva saputo di Malcolm.
Già,
suo padre. L’uomo che lo aveva messo al mondo, o almeno aveva
contribuito, per
chissà quale ragione aveva deciso bene di tagliargli i fondi. Si era
accorto
che suo figlio Thomas, a trent’anni ormai compiuti, non aveva mai
camminato
davvero con le sue gambe. Si era limitato a sperperare l’eredità dei
Merlyn, a
far scivolare il denaro come coriandoli nelle sue mani.
Ed
ora Tommy si era ritrovato senza una casa e senza nemmeno un lavoro.
Chiedere
aiuto ad Oliver sarebbe stata la soluzione più ovvia, ma da quando il
giovane
Queen era stato ripescato – nel vero senso della parola – dal naufragio
della Queen’s Gambit, era come se
il vecchio Jacob Marley[1]
gli si fosse
presentato la notte della vigilia di Natale.
Ora
che finalmente si era aperto uno spiraglio con Laurel, adesso che la
donna che
aveva sempre amato forse lo amava a sua volta, senza che Oliver, grazie
al suo
successo, al suo bell’aspetto e a quel carattere intraprendente che
Tommy da
sempre gli invidiava, riuscisse a riconquistarla.
Fu
per amore di Laurel che alla fine aveva ceduto.
Era
andato dal suo migliore amico, gli aveva chiesto di poter lavorare per
lui, di
fare qualsiasi cosa gli permettesse di rimettersi in carreggiata, e
Oliver
aveva sorriso. Tommy aveva notato un alone di tristezza in fondo al blu
dell’iride, ma non aveva voluto indagare.
Era
come se da quando il figliol prodigo fosse tornato a casa, si fosse
eretta una
barriera di vetro nel mezzo della loro amicizia: potevano ancora
vedersi l’un
l’altro, attraverso la superficie, ma c’era come qualcosa che impediva
loro di
avvicinarsi.
In
cima a quella scala, Tommy era rimasto fermo a fissare il suo migliore
amico
appena rientrato da una notte passata chissà dove. Aveva sbattuto la
porta
dell’ingresso ed ora si appoggiava malamente al battente quasi come
fosse
ubriaco.
L’istinto
gli suggeriva di soccorrerlo, di domandargli dove fosse stato fino alle
due di
quel mercoledì mattina, ma tutti i suoi muscoli erano come pietrificati
mentre
osservava Oliver Queen, uno dei più giovani miliardari di Starling
City,
tenersi in piedi a fatica nel centro dell’ingresso.
Non
era la prima volta che rientrava a casa in quelle condizioni, anzi, che
rientravano. Tommy ricordava
perfettamente
tutte le loro bravate, come se le avesse annotate sulla punta delle
dita, ma
erano memorie appartenenti a due ragazzi di tanto tempo fa.
Erano
passati cinque lunghi anni da quei giorni, erano cresciuti, ormai. O,
almeno,
Oliver lo era stato fino a qualche secondo prima.
«A-Ac-Acqua…?»
balbettò a fatica il suo migliore amico, posando una mano sul
tavolinetto
dell’ingresso e facendo rovesciare il vaso che conteneva delle
giunchiglie.
Dentro
Tommy, qualcosa finalmente scattò e fu allora che si decise a scendere
la
scalinata, rischiando quasi di inciampare nella vestaglia di seta, e
afferrare
saldamente Oliver prima che potesse far crollare mezzo arredamento di
casa
Queen.
Il
suo migliore amico lo guardò intensamente, perplesso. «C-Cosa?»
farfugliò.
Thomas
non avvertì nessun tanfo di alcool fuoriuscire dalle labbra screpolate
di
Ollie, anzi, doveva ammettere che l’alito di Malcolm alle dieci del
mattino era
sicuramente peggiore di quello. Così si preoccupò ancora di più di
trovarlo in
quello stato.
Niente alcool, allora dov’è stato
fino a quest’ora tarda?
«Andiamo,
ti porto a letto,» gli disse, passandosi un braccio muscoloso attorno
alle
spalle.
Si
chiese da quando Oliver fosse diventato così atletico, ma poi il
pensiero
dell’isola gli balenò nella mente, sorprendendolo come un’epifania.
«Faccio
da solo,» protestò Ollie, spingendolo delicatamente lontano da sé, ma
barcollando di qualche passo e cercando il sostegno della parete per
non
cadere. «Torna a dormire, Thomas.»
Thomas.
Nessuno utilizzava il suo nome completo, soltanto Mr. Merlyn.
Oliver
lo chiamava in quel modo, soltanto quando aveva intenzione di farlo
incazzare
sul serio, ma quello non era né il momento né il luogo adatto per
cominciare ad
inveirgli contro. Evidentemente non era in sé, Tommy avrebbe dovuto
essere
paziente.
«Si
può sapere cosa hai fatto?» gli domandò preoccupato. «Dove sei stato?
Perché
continui a evitare tutti in questo modo?»
Gli
occhi di Oliver divennero, se possibile, ancora più grandi con la luce
di una
timida falce di luna che filtrava dal portone ancora aperto. Tommy si
accorse
di quanto fossero dilatati e arrossati.
«Torna
a dormire,» gli ripeté con fermezza.
Ma
il giovane Merlyn era testardo. In quei cinque lunghi anni di assenza,
aveva
imparato a battere il ferro finché era ancora caldo e Oliver sembrava
scottare.
Ollie
mosse qualche passo per allontanarsi da lui, ma la testa gli girava e
dovette
subito fermarsi. Tommy gli fu subito al fianco e fissandolo dritto
negli occhi
gli afferrò un braccio. «Se non vuoi dirmi cos’è successo, almeno
lasciati
accompagnare nella tua stanza. Ti reggi in piedi a mala pena!» gli fece
notare.
L’altro
annuì e Tommy si diresse verso la camera dell’amico situata al pian
terreno.
Spalancò la porta e si avvicinò barcollando al grande letto. Non era
abituato a
tutto quell’esercizio fisico, il suo massimo era una ventina di minuti
sul
tapis roulant nella sala pesi di casa sua.
Adesso
non faceva più nemmeno quelli, da quando era stato bandito.
Adagiò
Oliver sulla trapunta damascata, accorgendosi in ultimo di quanto
bollente
fosse la sua pelle.
Ha la febbre alta.
Si
chiese se fosse il caso di svegliare Moira o Walter, almeno per
domandare loro
dove fossero i medicinali.
Un
lungo lamento interruppe i suoi pensieri. Ollie lo stava fissando e
notò come
il suo ampio petto si alzava freneticamente. Vi posò timidamente una
mano,
sentendo la durezza dei pettorali sfiorargli il palmo, e avvertì il
cuore del
suo migliore amico battere forte.
«Ollie,
che diavolo ti è successo…?» domandò, più a se stesso che all’altro
ragazzo,
visto che non aveva intenzione di rispondergli, almeno per il momento.
Era
sciocco da chiedere, ma lì per lì si era trovato sguarnito, esposto,
come se il
dolore di vederlo ridotto in quello stato pietoso lo distruggesse.
Spesso si
rifugiava dietro a battute sarcastiche, ad un sorriso beffardo, a
qualsiasi
cosa gli permettesse di sfuggire alla realtà.
Fu
allora che Oliver abbozzò un sorriso. «I-Il bagno…» soffiò
impercettibilmente.
«L’a-armadietto delle me-medicine,» concluse.
In
uno scatto quasi sovrumano, Tommy si diresse verso la toilette attigua
alla
stanza, tornando con tutto ciò che aveva trovato all’interno
dell’armadietto. Ad
una prima occhiata, notò degli antinfiammatori, delle pasticche contro
il
dolore, perfino una scatola di antidepressivi, ma ciò che lo sconvolse
maggiormente fu il trovare un flaconcino di sonniferi quasi vuoto.
Da quando Oliver non riusciva a
dormire?
Ricordava
perfettamente quando ancora andavano a scuola e spesso passavano la
notte l’uno
a casa dell’altro. Ci volevano le cannonate per riuscire a svegliare
Oliver
Queen e lui lo aveva sempre preso in giro per questo.
Adesso
prendeva addirittura dei sonniferi per riuscire a conciliare il sonno.
Cosa
diavolo gli era successo su quell’isola?
Lian Yu.
Purgatorio. Così l’avevano chiamata i telegiornali.
Tommy,
a sentire quel nome nella sua testa, rabbrividì. Era più che sicuro,
che se le
parti si fossero invertite e fosse stato lui a naufragare su quella
terra
dimenticata da Dio, nessuno lo avrebbe più trovato. Non era mai stato
abbastanza forte da sopravvivere, non aveva mai avuto la determinazione
di
Oliver.
Posò
la cesta con le medicine sulla sponda del letto, poi aiutò il suo
migliore
amico a mettersi seduto, sistemandogli dei cuscini dietro la schiena.
Lo vide
fare una smorfia di dolore e tenersi malamente un fianco.
Sfiorò
appositamente quella porzione di pelle ed Oliver grugnì di dolore.
«Che
hai fatto qui?» gli chiese, ancor più preoccupato.
Ollie
minimizzò, come suo solito. «È solo un livido. Sono caduto giocando a
badminton
con Walter l’altro giorno.»
Tommy
avvertì come un muro erigersi tra di loro e pensò che quella famosa
lastra di
vetro che ormai li divideva riuscisse a far scivolare sulla propria
superficie
un’ingente quantità di menzogne.
Ognuno ha i propri segreti,
si disse. Anche lui ne aveva avuti per Oliver.
Bugie,
bugie, e soltanto bugie. Ormai in quella città governata unicamente da
chi
aveva il potere e i soldi per comprarselo, vigeva soltanto una regola: mentire.
Oliver,
da quando era tornato, non aveva fatto altro. Tommy lo aveva visto
mentire a
Walter, a Moira, persino alla piccola Thea. Ed ora lo stava facendo con
lui.
Fece
rotolare sul palmo della mano due pastiglie e gliele porse. «Prendi
queste, ti
abbasseranno la febbre.»
L’altro
le afferrò e se le fece scivolare in gola senza nemmeno un sorso
d’acqua.
Quante cose erano cambiate dall’ultima volta che lo aveva visto.
«Vado
a prendere una bacinella e delle pezzuole.» gli comunicò. «Intanto
spogliati,
così ti metti sotto le coperte calde.»
Tommy
si sentì un po’ mamma chioccia in quel frangente, ma poco gli
importava. Per
una volta riusciva a sentirsi utile per qualcun altro che non fosse se
stesso.
Se l’avesse visto suo padre, magari per una volta in tutta la sua vita
sarebbe
stato fiero di lui.
Sparì
nella cucina e tornò subito dopo con tutto l’occorrente.
Al
suo rientro, di certo non si aspettava di trovarsi Oliver ancora
intento a
spogliarsi con una certa difficoltà. Gli fu subito accanto e afferrò i
bordi
della maglia nera, aiutandolo a sfilarla dalla testa.
Quello
che vide, però, lo colpì al cuore come una stilettata.
Della
pelle chiara e glabra dell’Oliver adolescente, non era rimasto quasi
più nulla,
se non una mappa irregolare di infinite cicatrici. In alcuni punti,
Tommy notò
che le ferite avevano reciso gran parte della muscolatura, creando
degli
avvallamenti e dei solchi che gli deturpavano il fisico.
Ollie
lo stava fissando.
Cercò
di distogliere lo sguardo, ci provò davvero, ma il dolore di vederlo
così
ridotto lo sopraffece, facendolo sprofondare seduto ad un angolo del
letto.
L’Oliver Queen che ricordava, ormai non c’era più. Era sempre stato il
fratello
che non aveva mai avuto, l’ancora a cui aggrapparsi quando suo padre
gli
ricordava i suoi fallimenti, la sua esatta metà, quell’anima gemella
che invano
cercava nelle ragazze che si portava a letto.
Adesso,
non sapeva nemmeno chi avesse di fronte.
«Mi
sento un po’ meglio,» disse Oliver, smorzando quel silenzio indotto
dall’imbarazzo.
Tommy
sorrise, o almeno ci provò. «Le medicine stanno facendo effetto.»
Si
ricordò in ultimo della bacinella con l’acqua fresca, così imbevve una
pezzuola
e la passò gentilmente ad Oliver.
«Abbasserà
la febbre.»
Ollie
si sistemò meglio contro la testata del letto e si posò la pezza sulla
fronte,
sospirando di sollievo. Lo sguardo di Tommy, però, vagava ancora lungo
tutto il
petto del suo migliore amico. Ad una prima occhiata, solo sul davanti,
era
riuscito a contarne circa dieci di cicatrici. Le più grandi, visibili
solo con
il chiarore della luna.
Tentò
di parlare, davvero. Dischiuse le labbra, ma non vi uscì nulla se non
uno
sbuffo di fiato.
«Non
avresti dovuto vederle,» commentò Oliver, tenendo ferma la pezzuola
sulla
fronte.
Tante
volte Tommy aveva tentato di immaginare cosa avesse passato in quei
cinque anni
sperduto sull’isola, ma la sua mente non era mai giunta a tutto quello.
«M-Mi
dispiace…» disse, senza sapere cos’altro aggiungere.
Oliver,
infatti, sorrise. Lo fece genuinamente, senza alcuna malizia in quel
gesto. Era
soltanto una reazione umana all’espressione stordita che Tommy aveva in
volto.
«Hai
una faccia…» ironizzò. «Sembra tu abbia visto il Vigilante!» aggiunse,
dandogli
un calcetto giocoso.
Già,
l’uomo incappucciato. L’eroe che
terrorizzava l’élite di Starling City con le sue frecce e il suo arco e
che
aveva salvato, in circostanze misteriose, Oliver e Tommy da quei
terroristi
mascherati.
«Tanto,
prima o poi, verrà a farmi visita…» mormorò, stirando un sorriso. Anche
se gli
affari di famiglia erano stati sempre snobbati da Tommy, sapeva che suo
padre
non era certo uno stinco di santo e magari sarebbe rientrato nelle mire
del
Vigilante.
Magari
un po’ ci sperava, anche.
Oliver
si fece improvvisamente serio. Scese il silenzio nella stanza e a Tommy
parve
di sentire la vecchia casa respirare.
Thomas
immerse un altro pezzo di stoffa e lo cambiò con quello ormai asciutto
sulla
fronte del suo migliore amico.
«Pensi
che sia sbagliato ciò che fa?» gli domandò di punto in bianco.
Tommy
gli lanciò uno sguardo perplesso. «Il Vigilante, dici?» E l’amico annuì.
Si
ritrovò a pensare per la prima volta a quell’uomo dal volto mascherato.
Sarebbe
stato un supereroe ai suoi giovani occhi, se non avesse attentato alla
vita
delle famiglie più ricche della città.
Ruba ai ricchi per dare ai
poveri.
«Credo
che ci sia qualcosa di giusto che muove le sue azioni,» ragionò.
«Quello che fa
ha un senso, anche se è una sorta di nemico per noi dell’alta società.
Magari
non tutti condividono il suo metodo,
ma in fondo credo che questa città avesse bisogno da tempo di uno del
genere.»
Oliver
lo ascoltò assorto per tutto il tempo, senza aggiungere nulla.
«Quindi,
non pensi che sia sbagliato, che
sia
una specie di terrorista come dice Lance,» gli suggerì.
Tommy
sospirò e gli sorrise. «Sai, mia madre diceva sempre che nulla
è buono o sbagliato in sé, è solo il pensiero che lo rende tale.»
Poi fece una pausa. «Se i potenti di Starling City penseranno che
quest’uomo in
calzamaglia sia il nemico pubblico numero uno, tutta la città lo
crederà. Ma se
qualcuno, seppure in minima parte, crederà che in lui c’è del buono,
allora si
mescoleranno le carte in tavola.»
Non
era da lui affrontare un discorso così serio. Si era sempre reputato un
ragazzo
frivolo, un burlone superficiale, ma da qualche tempo era come se
stesse
cambiando.
«E
secondo te, io come sono? Buono o cattivo?» gli chiese, forse in prenda
ai
deliri della febbre.
Tommy
storse il naso. Quella domanda lo aveva completamente spiazzato. «La
fata
turchina direbbe che sei un bambino cattivo, viste le bugie che
continui a
raccontare in giro,» ridacchiò, sdrammatizzando.
Anche
Ollie sorrise, fissandolo con quegli occhi che parvero inghiottirlo.
Si
era domandato spesso, da quando Oliver era tornato, quanto di quello
che aveva
raccontato a tutti corrispondesse alla verità.
Meno della metà. O
magari tutto a giudicare da quelle cicatrici.
«Forse
hai ragione, Thomas,» soffiò. «Sono stanco di tutte queste bugie, di
fare del
male alle persone che amo. A mia madre, a Thea, a Walter… a te.»
Thomas, di nuovo.
«Non
mi chiami più così dal giorno in cui ci siamo incontrati per la prima
volta,
ventotto anni fa.» gli ricordò, sorridendo.
Ollie
lo guardò sorpreso, gli occhi lucidi di febbre e allargati. L’iride che
inghiottiva quasi totalmente la pupilla.
«Siamo
già così vecchi?» ironizzò l’altro, facendo ridere Tommy.
«Ora
riposati, che sei stanco. Sappi che in futuro ti racconterò di questa
notte e
ti sentirai molto stupido,» lo avvertì, ironico.
Si
alzò dal letto a fatica, a causa delle gambe intorpidite, poi fece per
andarsene. «Buonanotte, Oliver.» Ma l’altro ragazzo lo afferrò
saldamente per
la manica della vestaglia.
«Resta,
ti prego,» gli chiese.
Tommy
s’imbarazzò d’improvviso, anche perché con Oliver rimaneva sempre più
spiazzato. Era impulsivo, questo lo sapeva da sempre, ma ogni volta
riusciva a
sorprenderlo.
«Non
penso riusciresti a dormire bene, il letto è piccolo e noi siamo grandi
ormai,»
gli spiegò tranquillo.
Ollie
ci pensò un po’ su, ragionando sulle sue parole, poi un lampo di
malizia gli
attraversò quel poco d’azzurro che rimaneva nei suoi occhi
febbricitanti.
«Resta, finché non mi addormento,» gli chiese.
E
Tommy non poté dire di no. Davvero, non ci riuscì.
The
end.
Note:
[1]
Jacob Marley = il fantasma del socio
di Ebenezer
Scrooge
(A Christmas Carol – C. Dickens).
Premetto
che ho scritto questa OS ottocento anni fa, per cui abbiate pietà se
non rispecchia appieno le ultime puntate di Arrow uscite. Considero
Oliver e Tommy due metà della stessa mela, si completano a vicenda e
per me sono perfetti l'uno per l'altro. Inoltre, Stephen e Colin (gli
attori) mi fanno morire su twitter e amo loro, come tutto il cast di
Arrow :3
Aggiungo una nota, dicendo che questa OS partecipa(va) al contest TV
shows addicted - quando i telefilm diventano una droga e ha
avuto l' ''onore'' di classificarsi terza, vincendo anche il premio
come "miglior sviluppo della trama'' :3
Ringrazio le giudiciE Lili91 e Deb per il loro giudizio, grazie
davvero. Non mi aspettavo tutto questo successo, soprattutto per un
personaggio secondario come Tommy, che per me ha un ENORME (potenziale)
valore.... :3
Se mi lasciate un mini-commentino ne sarei felicerrima! :3
accie!
Marty
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