Note
dell'autrice: Non ho scritto questa storia pensando
a una
pre-slash Blaise/Neville, ma devo ammettere che quando l'ho riletta
mi sono accorta che poteva pure starci. Voi, beh, leggetela come vi
pare. Mi sa che lo slash sta davvero avendo la meglio sulla
sottoscritta.
Comunque,
questo è quanto.
Ah, giusto: ho scelto "Longbottom" anziché "Paciock"
perché Longbottom è più figo, ma tutti
gli altri nomi sono quelli della traduzione italiana.
Questa storia ha vinto l'Oscar a Miglior Blaise e l'Oscar
alla Migliore Sceneggiatura nel fantastico
contest indetto da MedusaNoir,
" Anche
le Serpi meritano un Oscar". Vi suggerisco di dare
un'occhiata alla divertentissima cerimonia di premiazione. Grazie
ancora all'originale giudice. (:
*
Fra
chi vince e chi fugge
Hogwarts
non era più la stessa da quando i Carrow ne avevano preso
il
controllo. Era ciò che pensavano tutti gli studenti, tutti i
professori, tutti i fantasmi, tutti i ritratti.
“Hogwarts
non è più la stessa” gongolava spesso
Theodore Nott nei
sotterranei di Serpeverde, con il sorriso da coniglio ebbro di
eccitazione. “Hogwarts non è più la
stessa” si sentiva
sussurrare timidamente dalle voci tremolanti dei ragazzini, con lo
sguardo impaurito e perso nel vuoto e i faccini pallidi.
“Hogwarts
non è più la stessa”.
Talvolta
se lo ripeteva anche Blaise Zabini, ma la verità era che lui
non
vedeva chissà quale differenza. Non era un ragazzo stupido:
c'erano
cambiamenti davanti ai quali nemmeno la sua insofferente apatia era
rimasta immune. Draco Malfoy non aveva più vanterie con cui
agghindarsi; Pansy Parkinson sghignazzava ogni giorno un poco
più
del precedente; quei due idioti di Tiger e Goyle si compiacevano di
aver imparato da quale parte si afferrava una bacchetta; Theodore
Nott gonfiava il petto nella sala comune, ma se qualcuno nominava di
sfuggita l'Ordine della Fenice, piantava i dentoni sporgenti nel
labbro e ondeggiava nervoso nella poltrona.
Sebbene
a Blaise non interessasse cosa fosse o non fosse cambiato a Hogwarts
rispetto all'anno prima, perfino l'aria che si respirava era
differente.
Lui
respirava lo stesso.
*
Gli
occhietti porcini della professoressa Carrow sembravano ardere
frenetici alla luce delle torce dell'aula di Babbanologia. Misurava a
piccoli passi la stanza, lanciando sogghigni divertiti alla giovane
Grifondoro in piedi accanto alla cattedra. I capelli biondi di
Lavanda Brown erano spettinati e privi di forma, e pesanti ombre
bluastre si erano allargate sotto le sue palpebre. Le unghie delle
mani strette attorno al libro erano rovinate e mangiucchiate. Fino
all'anno prima, Blaise l'aveva trovata graziosa, ma ora non gli
ricordava che una tremante vecchietta infilata in una divisa
scolastica.
«Il
p-principale m-motivo per c-cui...».
Persino
la sua voce rievocava il balbettio incerto di un'anziana.
«Più
forte, ragazza!» latrò la Carrow con forza.
«Il giovane Finnigan
non riesce a sentirti da qui dietro!».
Blaise
distolse distrattamente lo sguardo dalle gocce di pioggia che
scivolano sul vetro della finestra e osservò il volto di
Seamus
Finnigan. Aveva sempre trovato la sua espressione spavalda piuttosto
irritante. Anche il terzo marito di sua madre era irlandese –
o
forse era il quarto?
Avevano
tutti la stessa smorfia boriosa, la stessa risata esaltata, erano
pieni di sé allo stesso modo. Era abbastanza appagante
vedere
Finnigan con il capo chino in avanti e la schiena curva. I capelli
che scivolavano davanti al viso non riuscivano a celare il grosso
livido che si estendeva sullo zigomo sinistro.
Seduta
accanto a lui, Calì Patil singhiozzava fra i denti. Sembrava
che la
fatica di ingoiare le lacrime fosse a un passo dal farla vomitare.
Blaise pregò in cuor suo che non lo facesse: quella lezione
era già
di per sé sufficientemente penosa.
E
poi c'era l'altro Grifondoro, quello più stupido di tutti.
Neville
Longbottom era l'unico dei suoi compagni a mostrare la faccia. Era
appoggiato con naturalezza alla propria sedia, con la testa sorretta
dalle mani intrecciate e un'espressione pacata negli occhi chiari.
Fissava intensamente Lavanda, con la bocca arricciata in un lieve
sorriso incoraggiante. L'angolo destro del suo labbro era spaccato.
La
ragazza annaspò per un poco in cerca d'aria e
iniziò a scuotere il
capo. Le palpebre della Carrow si strinsero in un silenzioso
avvertimento.
«I-io
n-non...» piagnucolò Lavanda. «I-io non
r-riesco,
p-professoressa».
Blaise
le rivolse una smorfia derisoria. Ciò che era rimasto
dell'audacia
degli eredi di Godric Grifondoro era tutta lì: lividi e
piagnistei.
«Leggi!»
ruggì la Carrow, picchiando il piccolo piede sul pavimento.
«Leggi,
sciocca ragazza! Ho detto di leggere!».
«Il
principale motivo per cui è lecito che maghi e streghe
Purosangue
considerino inferiori i Babbani è il perpetuo furto della
magia dei
quali sono stati vittime nel corso dei secoli»
scandì serenamente
Longbottom.
Fingendo
di massaggiarsi una tempia, Blaise nascose un mezzo sorriso
divertito. “Ecco l'altra faccia dell'audacia dei
Grifondoro”,
pensò con sarcasmo. Scommise con se stesso che Longbottom
avrebbe
nuovamente sanguinato nei tre successivi secondi.
La
Carrow si avvicinò a lui come un avvoltoio e
appoggiò entrambe le
mani sul suo banco. Longbottom inclinò la testa con
innocenza e le
rivolse un mite sorriso.
“Uno...”
pensò Blaise.
«È
dunque logico sostenere che i Nati-Babbani non sono che il frutto
degenerato di tale abominevole crimine» continuò
imperterrito il
ragazzo.
Non
guardava le pagine. Blaise si chiese quale insano motivo l'avesse
portato a imparare a memoria quel ridicolo libro.
“Due...”.
«Tuttavia,
professoressa Carrow, ho un dubbio» riprese deciso
Longbottom. «La
mia famiglia discende da gloriose generazioni di Purosangue fin dai
tempi più antichi. Nel nostro albero genealogico sono
presenti le
più nobili casate magiche della Gran Bretagna, ma... non
credo di
aver mai visto il suo nome». Mostrò i palmi delle
mani e fece le
spallucce. «Lei e suo fratello dovete avere un sacco di
prozii
Babbani».
“E
tre”.
La
mano destra della professoressa si strinse attorno ai capelli di
Longbottom. Gli schiacciò con forza il volto sul banco,
strappandogli un gemito sommesso. Finnigan sembrò essere sul
punto
di scattare, ma l'amico gli fece un cenno deciso con l'indice. Blaise
si stupì della facilità con cui quell'imbecille
irlandese sembrava
pronto a obbedire a Longbottom. Aggrottò la fronte
pensieroso e
fissò ancora lo sciocco e impavido Grifondoro.
Ciò
che aveva detto era vero: i Longbottom discendevano realmente dalle
più prestigiose e benestanti famiglie del Basso Medioevo.
Qualcuno
degli antenati di quel cretino pareva risalire perfino all'epoca dei
primi grandi clan magici, e qualche storico della magia sembrava
convinto che la stessa regina Boadicea1
fosse una Longbottom.
Di
nobile e regale, comunque fosse, lui non aveva proprio niente. Nel
corso degli anni si era fatto di certo più alto, un poco
più
massiccio e un poco meno grassoccio, e sulla sua mandibola iniziava a
crescere un filo di invisibile barba bionda, ma rimaneva sempre lo
stupido Neville Longbottom. Eppure qualcosa era davvero cambiato,
dopotutto. Blaise non riusciva a comprendere cosa,
esattamente, fosse cambiato, ma c'era qualcosa di diverso in lui. Non
abbassava più gli occhi quando incrociava qualche Serpeverde
nei
corridoio – non li abbassava nemmeno quando incrociava il
preside
Piton – la sua voce non era più un imbarazzato
balbettio e i suoi
sorrisi pacati erano sempre seguiti da occhiate pungenti. Si era
fatto davvero impavido, il nobile erede dei Longbottom.
La
rabbia aveva gonfiato le guance della professoressa Carrow. Le sue
dita si strinsero attorno ai capelli di Longbottom e le sue unghie
gli graffiarono la cute. Blaise lo vide storcere il naso con una
smorfia sofferente, ma il suo volto bruciava ancora di feroce
orgoglio.
Distolse
lo sguardo e tornò a osservare la pioggia che imperversava
sul parco
di Hogwarts. Non si mosse quando il boato provocato dal banco di
Longbottom che cadeva a terra risuonò nell'aula,
né quando la voce
gracchiante di Alecto Carrow ruggì la prima delle tante
Maledizioni
Cruciatus che sicuramente sarebbero seguite. Non si voltò
quando
sentì Lavanda Brown strillare spaventata, quando Tiger e
Goyle
inchiodarono Finnigan al pavimento per impedirgli di accorrere in
soccorso dell'amico, né quando Calì Patil
scivolò sulle ginocchia
supplicando la professoressa di smetterla.
Le
grida di agonia di Neville Longbottom rimbombarono a lungo fra le
pareti.
Blaise continuò a guardare annoiato le gocce di pioggia
scivolare sulla finestra.
*
La
loro comparsa alla commemorazione aveva destato uno stupore piuttosto
discreto. Qualche strega aveva additato malevola sua madre e aveva
iniziato a parlottare con le vicine. Blaise non aveva bisogno di
sentire i loro cicalecci per sapere cosa stessero dicendo. Sette
mariti, sette funerali e sette eredità destavano sempre
sentimenti
controversi. Era invidia ben celata, quella.
Nonostante
il trascorrere degli anni, sua madre continuava ad essere una donna
dalla nobile avvenenza. La pelle scura era ancora liscia, gli occhi
neri brillavano sotto le lunghe ciglia e i capelli erano ancora folti
e luminosi. Blaise era l'unico a sapere che stavano iniziando a
ingrigire dietro le orecchie. Sua madre era brava a camuffare
l'età
tanto quanto si sospettava lo fosse stata con i decessi dei
precedenti mariti.
Il
ragazzo non ricordava di aver mai visto il prato di Hogwarts tanto
affollato: maghi e streghe si stringevano l'uno con l'altro fino a
ciò che restava degli imponenti cancelli della scuola, alti
cappelli
a punta sporgevano dai portici semidistrutti e c'era perfino qualche
bambinetto che si era arrampicato sui rami più bassi dei
grossi
faggi. Pareva che tutta la comunità magica fosse accorsa a
rendere
l'ultimo omaggio ai caduti della battaglia di Hogwarts – e
molti di
coloro che non avevano combattuto si erano spintonati per raggiungere
le prime file.
Nel trambusto generale causato
dalla comparsa del prode Harry Potter,
Blaise aveva preferito scappare, Idalia Zabini2
e il suo unico figlio non erano fra loro.
Era
comparso nello sfarzoso salotto della sua villa in Cornovaglia un
attimo prima che il pendolo rintoccasse le venti spaccate. Sua madre
era seduta davanti al caminetto: la fiammata verde l'aveva spaventata
e il libro che stava leggendo le era scivolato fra le mani ed era
caduto sul tappeto persiano. Blaise si era chinato a raccoglierlo e
glielo aveva porto in completo silenzio. Idalia lo aveva fissato a
lungo, poi si era lanciata in un abbraccio morboso e disperato. Il
libro era rimasto fermo lungo il fianco del ragazzo per diversi
minuti.
«Ci
sono i Greengrass» commentò sua madre, appoggiando
una mano avvolta
in un bel guanto verde scuro sulla sua spalla. «Andiamo da
loro. È
preferibile non farsi vedere soli, oggi».
Blaise
lanciò un'occhiata nella direzione indicata dalla madre.
Daphne e
sua sorella Astoria indossavano lo stesso elegante abito scuro ed
erano immobili accanto ai loro genitori. Non aveva mai nutrito
l'interesse di parlare con la più piccola delle Greengrass,
ma
Daphne era probabilmente l'unica amicizia che fosse riuscito a
stringere nel corso di quegli ultimi sette anni. Lei sorrideva di
più
e lui si annoiava più facilmente, ma erano accomunati dalla
stessa
predilezione per il silenzio e per i propri affari.
Ma
Blaise iniziava ad avvertire quella giornata farsi di minuto in
minuto sempre più sfibrante. C'era gente che piangeva, chi
si
promulgava in fiacchi abbracci e vuote condoglianze, chi trovava il
modo di parlare di politica e lavoro... e lui non aveva né
motivo né
voglia di assecondarli.
«Vi
raggiungo fra poco».
Sua
madre gli rivolse un'occhiata penetrante. Blaise fece appena le
spallucce.
«Voglio
fare due passi» aggiunse con naturalezza, girando sui tacchi
e
dirigendosi verso la zona del parco che gli pareva meno affollata.
Dopo
diversi metri, la calca iniziò a diradarsi. Blaise
continuò a
seguire le fila delle colonne del porticato rimaste in piedi fin
quando non fu finalmente solo. Era a pochi passi dalle serre. Da
lì
riusciva a vedere il sentiero che conduceva al campo da Quidditch e
l'ultimo spicchio del Lago Nero che si allungava placido fino alla
base delle prime colline. Incrociò le braccia fra loro e
fissò
distrattamente il cielo. Era una mattinata serena, priva di nuvole,
il vento taceva e il clima era mite e sopportabile.
“È
una giornata troppo bella per fare una commemorazione
funebre” si
disse.
D'improvviso
udì aprirsi la grande porta a vetri della prima serra e si
voltò
con un balzo spaventato. Neville Longbottom sorreggeva una pianta
dalle foglie giallognole. Quasi metà della sua testa era
avvolta in
una stretta fasciatura unticcia che partiva dalla sommità
del capo,
attraversava la fronte, ricopriva interamente l'orbita sinistra e si
stringeva dietro l'orecchio. L'occhio scoperto lo fissava perplesso.
«Zabini...
cosa ci fai qui?».
Blaise
inarcò un sopracciglio e fece un mezzo sorriso ironico.
«Lo
hai chiesto anche a tutti gli altri?».
Neville
rimase zitto qualche secondo e Blaise attese che tornasse a dedicarsi
a qualunque diavoleria lo avesse condotto dentro quella serra.
Indossava un raffinato completo da mago: a giudicare dal buon gusto
dei polsini e dei ricami sul corpetto, e dalle raccapriccianti
macchie di terriccio sul bavero della giacca, qualcun altro doveva
averlo acquistato per lui. Fu piuttosto sorpreso quando lo vide
appoggiare con cautela il vaso per terra e affiancarsi a lui.
«Sei
l'unico che ho visto gironzolare qui intorno»
spiegò con
semplicità, mentre si ripuliva distrattamente i palmi
sporchi delle
mani nel mantello. «Le serre non sono un'attrazione turistica
molto
invitante».
«E
perché tu sei qui?».
Neville
fece un debole sorriso.
«Volevo
controllare quella pianta di Radigorga3:
è l'ultimo esemplare rimasto e bisogna trovare il modo di
farla
germogliare prima di settembre. Sai, Luna è convinta abbia
il potere
di allontanare i Plimpli Ghiottoni... io non ho idea di cosa siano,
ma posso assicurarti che quella piantina è ottima per
l'emicrania»
aggiunse con una risatina divertita, indicandosi con eloquenza la
tempia.
Blaise
si sporse diffidente verso di lui e si umettò le labbra.
«Vuoi
che ti ringrazi per avermi lasciato scappare dal castello,
Longbottom?» sibilò mellifluo.
«È per questo che chiacchieri
tanto? Il tuo ego da vanaglorioso Grifondoro non è ancora
soddisfatto?».
L'altro
sbatté un paio di volte la palpebra con aria confusa e
scosse il
capo.
«Certo
che no... non è questo il motivo» negò
sinceramente. «Volevo
solo... chiacchierare.
Tu non chiacchieri mai?».
«No»
ribatté d'impulso.
«Beh,
dovresti iniziare. Chiacchierare fa bene».
«Perdonami,
non sono stato chiaro: intendevo che non chiacchiero con
te».
Neville
lo prese alla sprovvista e scoppiò in un'allegra risata.
Blaise
inarcò un sopracciglio e si chiese se l'idiota accanto a lui
non
avesse una commozione cerebrale più grossa di quanto non
apparisse.
Qualche secondo dopo la sua inaspettata ilarità si
trasformò in un
gemito soffocato. Portò una mano sulla fasciatura,
strizzò l'occhio
con una smorfia dolorante e tacque improvvisamente.
«Credevo
che voi Grifondoro aveste una testa molto più
dura» commentò
Blaise con tono pungente.
«Non
è stata proprio una botta. Diciamo che ho avuto uno
Smistamento un
po'... focoso».
La voce di Neville si fece d'un tratto più roca.
«Lord Voldemort ha
incendiato il Cappello Parlante sulla mia testa».
Alla
sua schietta affermazione seguì un lungo minuto di
fastidioso
silenzio. Blaise continuò a fissare quel ragazzo
dall'aspetto mite
con interesse crescente. L'aveva sempre considerato un idiota
– e
per essersi quasi fatto ammazzare per giocare all'eroe doveva esserlo
sul serio – ma, tutto sommato, era anche l'unico Grifondoro
per il
quale non avesse mai provato autentico disprezzo. Era solo lo stupido
Longbottom, d'altronde: non era nemmeno lontanamente importante da
meritarselo. E poi c'era ancora la faccenda della sua fuga da
Hogwarts troncata a metà che si era insidiata fra di loro, e
Blaise
ne era tristemente consapevole.
Era
lì, la sentiva. Guardava Neville – l'idiota
Neville Longbottom –
e la sua memoria volava ancora alla sera in cui era fuggito da
Hogwarts. Se avesse incontrato uno qualsiasi degli altri Grifondoro,
non avrebbe potuto svignarsela con altrettanta fortuna. Blaise gli
era grato di avergli risparmiato la fatica di fuggire più
tardi, ma
la sostanza degli avvenimenti non cambiava: sarebbe comunque
scappato, con o senza il suo aiuto.
«Sembra
piuttosto grave» commentò.
Neville
si sfiorò nuovamente la tempia e si osservò i
polpastrelli come se
le bende li avessero macchiati, ma sulle sue dita non c'era che
terriccio umido.
«I
Guaritori hanno detto che questa Magia Oscura va oltre le loro
capacità curative. Dubitano che potrò vedere
ancora con l'occhio
sinistro» spiegò con incredibile
serenità. «Ma sono stato
fortunato: un altro paio di secondi e ci avrei lasciato le
penne».
«Te
la sei cercata» replicò duramente Blaise.
«Erano mesi
che
te le andavi a cercare».
L'altro
gli rivolse un'occhiata in tralice e sorrise con rinnovato
divertimento.
«Già.
Credo proprio tu abbia ragione» ridacchiò.
«Sei l'unico che ha
avuto la ragionevolezza di farmelo notare».
«Per
amor di Salazar, Longbottom... tu conosci solo Grifondoro.
È ovvio
che
nessuno ti abbia fatto notare che sei un idiota».
«Non
è del tutto vero. Mia nonna me l'ha ripetuto tredici volte
nelle
ultime...» aggrottò pensieroso la fronte ed
estrasse dalla giacca
un orologio da taschino argentato. «Sei ore, arrotondando per
difetto».
Blaise
soffiò beffardo.
«Sei
veramente un idiota».
«Sì,
ma tu stai comunque chiacchierando con
me.
E per estensione di concetto...».
«Voi
Grifondoro vi contagiate per estensione di concetto l'uno
con l'altro da secoli» lo interruppe graffiante Blaise,
lanciandogli
un'occhiata sprezzante.
Neville
scosse debole il capo e ridacchiò, ma non aggiunse altro.
Rimasero
in silenzio qualche secondo, fissando i riflessi luccicanti del sole
sulle acque del Lago Nero. Uno dei tentacoli della Piovra Gigante
guizzò in superficie per un istante per poi svanire nelle
profondità
degli abissi con altrettanta rapidità.
«Credi
si sia accorta della battaglia?» domandò Neville.
«Ho
sentito dire che ha mangiato qualche Mangiamorte, ma la gente gonfia
spesso le sue storie preferite. Forse aveva solo appetito e ha
acchiappato la prima cosa che ha trovato».
«Allora
ce l'hai, il senso dell'umorismo».
«Ed
è notevolmente migliore del tuo. Non c'è da
stupirsene».
Neville
sogghignò impercettibilmente e si sgranchì la
schiena con
indifferenza.
«D'altronde
è risaputo che siete voi Serpeverde, quelli
spiritosi».
«Va'
al diavolo, Longbottom».
Fra
di loro calò nuovamente il silenzio. Neville si distrasse
osservando
un piccolo stormo di uccelli volare ordinatamente in direzione delle
montagne; Blaise abbassò la testa, perdendosi ancora nel
ricordo di
quella fastidiosa notte. L'accaduto continuava a irritarlo, ma dal
momento che non aveva intenzione di rivedere ancora quel dannato
Grifondoro, si convinse fosse il caso di mettere fine a ogni
perplessità a riguardo.
«Perché
non mi hai fermato?».
La
domanda lo colse di sorpresa.
«Quando?».
«Non
fingere di non capire».
«Oh...»
esclamò Neville, annuendo fra sé. «La
sera della battaglia».
Blaise
gli rivolse un'occhiata di compatimento e ingoiò per
l'ennesima volta la
parola “idiota”.
«Avrei
dovuto fermarti?» s'informò con
sincerità. «Nessuno poteva
obbligarti a restare e combattere».
«Ma
sono un Serpeverde».
«Non
sei un Mangiamorte» ribatté franco l'altro.
«Avevi tutti il
diritto di decidere della tua vita. Quella notte lo abbiamo fatto
tutti. Abbiamo chiesto ai tuoi compagni di Serpeverde cosa volessero
fare e loro hanno scelto. La maggior parte ha preferito tornare alle
loro case... ma qualcuno è rimasto, sai? Come si chiama la
tua
compagna con gli occhiali... quella con i capelli corti?».
«Sally-Anne4».
«Lei
è rimasta. Ha spalleggiato Lumacorno per tutta la
battaglia».
Blaise
emise uno sbuffo derisorio e si passò una mano fra i
capelli.
«Sally-Anne
è una Mezzosangue».
«Fa
davvero differenza per te, vero?».
«Eccome»
sputò sprezzante. «C'è la differenza
che corre fra un idiota che
si fa bruciare la testa e fra una ragazza che sta lì solo
per
sopravvivere. Solo per se stessa... capisci quello che intendo? Se
Tu-Sai-Chi avesse vinto, prima o poi Sally-Anne sarebbe morta. Lei
doveva combattere,
ma questo
non significa che abbia combattuto per voi.
C'è coraggio e coraggio, Longbottom. Non tutti sono nati per
fare
gli eroi come te».
«Io
non sono un eroe».
«Ah,
no? Ho sentito gente dire tutto il contrario».
«La
gente gonfia spesso le sue storie preferite».
Neville
osservò la sua espressione ammutolita e gli rivolse un
sorriso
genuino. Blaise rimase interdetto, sbatté un paio di volte
le
palpebre, poi scosse il capo e liquidò la questione con un
gesto
frettoloso della mano.
«Al
diavolo, Longbottom».
«Vuoi
sapere perché ti ho lasciato andare?» gli chiese
di colpo,
intrecciando fra loro le braccia. «Vuoi sapere
perché la notte
della battaglia non ti ho fermato?».
«Sì».
Neville
annuì con una smorfia rassegnata.
«Perché...
lasciatelo dire, Zabini: ad Arti Oscure facevi più schifo di
me».
Blaise
arricciò il naso con aria sconcertata, ma preferì
non
interromperlo. Neville si grattò la nuca e fece un profondo
sospiro.
«Non
sei mai riuscito a usare la Maledizione Cruciatus... nemmeno una
volta. Bisogna volerlo,
e tu non lo volevi davvero o l'avresti fatto e basta. Se in quel
corridoio io avessi incontrato qualcun altro dei tuoi compagni di
dormitorio...» lasciò cadere la frase nel vuoto,
ma a Blaise non
sfuggì la luce improvvisamente dura che gli aveva
attraversato gli
occhi. «Suppongo sia una fortuna che io abbia incontrato
te».
«Me
la sarei cavata comunque» replicò stizzito. Poi
estrasse dalla
tasca un galeone d'oro e glielo porse. «Come hai potuto
vedere,
Longbottom, non ho avuto bisogno del tuo eroismo».
Neville
sorrise sotto i baffi, ma afferrò la moneta senza replicare
oltre.
*
Blaise
dovette saltare gli ultimi cinque gradini per evitare che la scala
incantata lo trascinasse nell'ala sbagliata del castello.
Rischiò di
caracollare nella veste scura, ma riuscì a restare in piedi
e
riprese a correre all'impazzata verso l'ufficio di Lumacorno. Il
cuore gli martellava nel petto e nelle orecchie sentiva soltanto un
fiacco brusio. Accelerò con forza e si fiondò in
una seconda rampa
di scale.
“Avrei
dovuto portare con me anche Daphne” pensò
improvvisamente. “Ma
avrei perso troppo tempo... avrei attirato troppa
attenzione”.
Aveva
appena svoltato nell'ultimo corridoio prima dei sotterranei quando si
ritrovò davanti Neville Longbottom. Blaise rimase
pietrificato con
la bocca aperta in una muta esclamazione di sorpresa. L'altro ragazzo
aveva la sua stessa espressione stupita sul volto livido. Preso da
una rabbia cieca, Blaise estrasse la propria bacchetta e la
puntò
contro Neville.
«Lasciami
passare, Longbottom» lo minacciò febbrile.
«Lasciami passare o
giuro che ti uccido!».
Neville
lo fissò con sguardo penetrante, poi scosse la testa e gli
mostrò i
palmi delle mani.
«Non
voglio combattere contro di te».
«E
allora spostati!».
«Dove
stai andando?» s'informò con urgenza Neville.
Indicò un punto
indistinto alle spalle di Blaise e aggiunse: «I Mangiamorte
arriveranno da un momento all'altro».
«Davvero?»
scandì con pesante sarcasmo. «Beh, grazie».
Neville
scosse con decisione la testa. La mano sudaticcia di Blaise si
strinse spasmodicamente attorno all'impugnatura della bacchetta.
«Zabini,
non--».
«Lasciami
passare!».
«E
dove accidenti pensi di andare!?» ruggì con
improvvisa furia
l'altro. Si passò una mano fra i capelli e sbuffò
frustrato. «Nella
tua sala comune? Vuoi farti ammazzare seduto in poltrona?».
«Vado
a casa mia, razza di idiota».
«Zabini...».
«Levati
dai piedi» ringhiò con impeto Blaise, tendendo di
più il braccio
tremante. «Voglio raggiungere l'ufficio di Lumacorno e
andarmene
prima che ogni cosa qui dentro scoppi».
Neville
aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi parve ripensarci e
si
avvicinò a lui.
“Colpiscilo”
si disse agitato Blaise. “Colpiscilo prima che colpisca
te”.
«Non
puoi scappare dall'ufficio di Lumacorno» gli
confidò con
espressione di lieve preoccupazione. «La Metropolvere
è bloccata.
C'è un passaggio che--».
«Vuoi
soltanto riportarmi indietro. Bada, Longbottom: non ho paura di
te».
Afferrò
la bacchetta con entrambe le mani. La sua punta ormai sfiorava la
camicia di Neville, ma il ragazzo non sembrava esserne spaventato.
Continuava a guardare Blaise con le mani alzate in segno di resa e
una luce di genuina tristezza negli occhi.
«C'è
un passaggio che può condurti direttamente alla Testa di
Porco: è
l'unico modo in cui puoi fuggire».
Blaise
socchiuse con diffidenza le palpebre.
«E
perché mai dovresti aiutarmi?».
Neville
parve genuinamente ferito dal profondo disprezzo nella sua voce, ma
Blaise premette con più forza la bacchetta contro il suo
corpo.
“Colpiscilo” continuava a ripetersi con frenesia.
“Colpiscilo,
colpiscilo, colpiscilo”.
«Non
ho motivo per non farlo» rispose franco. «Raggiungi
il settimo
piano, cerca l'arazzo di Barnaba il Babbeo e passaci davanti tre
volte. Non smettere di pensare che te ne vuoi andare da qui... devi
pensarlo intensamente, devi pensarlo con tutte le tue forze. La
Stanza delle Necessità comparirà da
sé. Lei saprà cosa fare».
Gli appoggiò una mano sulla spalla, la strinse sbrigativo e
aggiunse: «Buona fortuna».
Sfrecciò
con improvvisa rapidità verso il corridoio che portava ai
piani
superiori. Blaise rimase inizialmente frastornato, poi si riscosse e
si girò indietro.
«Longbottom!»
gridò a gran voce.
L'altro
si bloccò con un piede sul primo gradino, ruotò
il capo e gli
mostrò un largo sorriso incoraggiante.
«Hai
cambiato idea? Vieni a combattere anche tu?».
«Scordatelo»
replicò seccato Blaise. «Volevo solo...»
s'interruppe e gli lanciò
un'occhiata di biasimo. «Perché lo fai? Tu sei un
Purosangue.
Questa non è davvero la tua
guerra».
Neville
arricciò il naso e si grattò la nuca. Poi
allargò le braccia e
sorrise con la spensieratezza di un bambino.
«Questione
di punti di vista, immagino» spiegò sereno.
«Se vinciamo è un
bell'affare. Se perdiamo...» fece la spallucce, ma a Blaise
non
scappò l'ombra cupa che calò sul suo viso.
«Beh, avrò una gran
bella morte gloriosa. Oh, aspetta! Prendi questa».
Frugò
in una tasca dei pantaloni, estrasse una moneta e la lanciò
a
Blaise, che la afferrò al volo con entrambe le mani e la
studiò
perplesso. Era un galeone. Se lo rigirò fra le dita e
sbuffò
sprezzante:
«Mi
paghi il giro sul Nottetempo?».
«Faresti
poca strada. È finto» ridacchiò
Neville. «Ma se i Mangiamorte ti
fermano mentre scappi da Hogsmeade, usalo».
Alzò
un braccio in segno di saluto e fece un rapido occhiolino. Blaise
rimase a guardarlo mentre s'affrettava a salire le scale e svaniva in
direzione dell'ingresso della scuola. Esaminò attentamente
la moneta
incantata e fece una smorfia denigratoria.
“Usalo”
gli aveva consigliato, ma poi si era scordato di dirgli come.
Blaise la strinse nella mano fin quando non sentì il metallo
farsi
più caldo. Longbottom era pazzo quanto tutti gli altri
Grifondoro
pronti a gettarsi nel fuoco dietro di lui. Erano sempre stati
così,
loro: imprudenti, strafottenti, fastidiosi. E nessuno dei Grifondoro
aveva mai avuto il cervello di realizzare che gli eserciti
più
arroganti erano sempre i primi a cadere in battaglia – o
avrebbero
di certo vinto molte più guerre, poco ma sicuro.
“Morire
gloriosamente è soltanto un modo come un altro di
morire” si
disse, ma mentre seguiva le indicazioni di Longbottom e correva verso
il settimo piano, dovette comunque ammettere a se stesso che la morte
di quell'idiota, sotto sotto, lo avrebbe un poco rattristato.
*
Note:
1
Boadicea era
la regina
dell'antica tribù degli Iceni, che guidò la
più grande rivolta
contro i romani dell'isola. La chiamano in un sacco di nomi diversi,
da Budicca a Boudica a Bonduca... io ho scelto di chiamarla Boadicea
per mero gusto personale. E no, dubito pure che i Longbottom derivino
da lei, ma pensavo facesse figo.
2
Di
Blaise Zabini si sa
poco e niente, dunque mi sono fidata del Lexicon. La madre di Zabini
è una strega famosa per la sua bellezza che ha avuto ben
sette
mariti, ognuno dei quali è morto in circostanze misteriose,
lasciando la propria eredità a lei e al figlio. Non si sa se
Blaise
sia figlio di uno di questi sette sfigati – io lo dubito,
francamente, ma non è importante.
Il
nome che ho affibbiato a questa procace vedova è Idalia,
in onore di Afrodite e della sua lunga sfilza di amanti (Idalia
è
uno dei suoi tanti soprannomi e deriva da un famoso tempio a lei
dedicato in un'antica città-stato dell'isola di Cipro,
Idalio).
Adesso che ho sciorinato 'sta cosa mi sento molto saccente.
3
La
Radigorga esiste
davvero ed è esattamente ciò che Neville spiega
– e Luna è
davvero convinta che sia un Plimpo-coso.
4
Sally-Anne Perks è la ragazzina che viene
Smistata nella
Pietra Filosofale un attimo prima di Harry, ma visto che non
è
importante quanto il Pargolo-Che-È-Sopravvissuto, di lei non
si
conosce nemmeno l'esito dello Smistamento. Nello stesso anno di Harry
c'è davvero una ragazza con gli occhiali e i capelli corti
(a
discapito di chi sostiene che Harry è l'unico con gli
occhiali, ben
vi sta), ma non si conosce la sua identità. Il Lexicon dice
che è
“sparita fra il primo e il quinto libro della
saga”, ma siamo
franchi, ragazzi: giustamente J.K. se ne è dimenticata.
Cioè, ma
chissenefrega di 'sta qua.
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