Novembre, primo anno
Mi giro a guardarla, in quella angusta stanza piena
di persone lontane. Vedo riflessa nei suoi occhi fulgidi una
venatura di scuro dolore. Quegli occhi sono il vivo segnale che c'è di più in
quel corpo ben formato e attraente, sono il frutto della sua anima arroventata.
Vedo nei suoi occhi la violenta brutalità della rabbia repressa, la
strafottenza di chi è troppo disinteressato per giudicare. Vedo la
consapevolezza di essere sola, in quegli occhi si fonde la cristallina speranza
di ammazzare la malinconia con un pensiero. Vedo una lacrima di troppo
scivolarle nell'iride, ma lei non sta
piangendo. Non le è permesso. E' inutile che si imbratti la faccia con quella
frivola matita nera, penso. E' inutile anche che risponda fieramente ad ogni
offesa inferta. Che la smetta di gonfiare il suo corpicino vuoto fatto di cera, si
vede lontano un miglio che è vulnerabile come una chiocciola senza guscio,
penso. E' inutile che continui a schiacciare gli altri solo per non fare la
stessa fine. Mi giro a guardarla in volto, così pallida e altera,così rigida e
costruita, bella come solo le cose finte sanno essere. E' la classica adolescente strafottente e con troppo trucco sugli occhi, una di quelle che una volta devono esser state bambine davvero deliziose, strizzate nei vestitini color rosso fragole, ma che alla soglia dei tredici anni sviluppano un repertorio di insulti volgari, frecciatine ai professori, sguardi provocatori e ammiccanti. Di quelle come lei ce ne sono a bizzeffe, nel mio liceo. L’unica cosa che a parer di molti la rende particolare, sono i suoi occhi. Ama definirsi simile ad un gatto, e in effetti le differenze comportamentali sono ben poche. Quei suoi occhi piccoli, leggermente allungati verso l’esterno, racchiudono gli stessi pigmenti degli occhi di un bel persiano. Rimango in silenzio e in disparte, mentre mi chiedo perché più la gente è complicata più cerca di nasconderlo e la guardo senza farmi notare.
***
Marzo, primo anno
Ci parlammo davvero
solo a febbraio. La conosco meglio ora,ho la conferma che la sua è solo una
maschera. Così fragile, così ingarbugliata nelle maglie delle aspettative
altrui da non riuscire a distinguere da quelle corde nemmeno la trama della sua
anima.
Vorrei
che la mia anima attraversasse i ghiacci per arrivare congelata al suo cuore.
Così rimarrebbe intatta e integra e potrebbe aiutarla a liberarsi. Ci sono
tante cose che vorrei dirle, anche se sono maledettamente banali. Vorrei dirle
che stamattina ho visto il sole sorgere sulle montagne, ma che in realtà non
l'ho percepito finché non l'ho visto infrangersi nei suoi occhi. Vorrei dirle
che mi piace vivere, se lo faccio vicino a lei; che ho visto il mio sorriso
allo specchio e l’ ho pensata per un secondo. Così ho sorriso ancora più forte.
Vorrei dirle che ho il cervello tappezzato di sue foto. Vorrei dirle che ho
rinunciato a ignorarla dal momento in cui ho sentito la scossa delle nostre
pelli accostate. Mi vede mentre penso queste cose, mi scruta come se volesse
essere partecipe del terremoto che mi scuote la mente.
-A che
pensi?- chiede. Io le faccio un gesto con la mano, zittendola.
-A nulla-
-Sembra
che io ti faccia paura-
Faccio di
no con la testa, tremando quasi.
***
Aprile, primo anno
- E noi due lo siamo?- le chiedo, scocciata.
Odio i suoi giri di parole. Mi guarda
sorpresa, non è abituata a vedermi con quest’espressione corrucciata.
- Cosa, amiche? Non lo so, ma tipi come noi
sono troppo simili per non esserlo.- mi risponde, dopo un minuto buono di
riflessioni vuote. Sbuffo, eccola di nuovo.
- E' un
peccato però. Siamo così uguali, ma veniamo da realtà diverse.- continua lei,
gli occhi vacui. Tiro un calcio ad una lattina solitaria.
- Questo vuol dire che non lo saremo mai.-
Soppeso ogni parola sulla mia lingua come
fosse polvere d'oro, traspare la mia usuale indifferenza. Mi guarda di nuovo,
sorride. E’ la testimonianza vivente della nostra dissomiglianza esteriore.
- No, ma saremo solo io e te. - sospira,
ignorando volutamente i miei occhi lignei. Sorrido, lei mi da un bacio sulla
gota. Arrossisco, borbotto acidamente e la mando via.
-E dai, non fare la scorbutica. Sei sempre così
tesa- dice, io le do un colpetto sul braccio.
La verità è che sento le dita chiudersi a pugno al solo pronunciare del suo
nome.
Il sangue mi balza
alle guance senza che io me ne renda conto. La cosa più spaventosa è che quando
sento la sua voce, in mezzo al baccano che regna nei corridoi della scuola, il
mio cuore comincia a battere. Non velocemente, ma con quel ritmo cadenzato di
chi ha appena imparato a fare qualcosa. Ricomincia a battere piano, come
se non volesse essere scoperto. Ma io lo sento e lo sento anche ora. Sento i
suoi pugni sordi contro il seno. E le mie unghie si conficcano nella carne per
sopportare il dolore, scandiscono a graffi le voci che parlano nella mia
testa.
Sta' zitto, dicono. Ora
ti scopre.
Tremo come terra in
balia di un sisma, la pelle increspata da brividi di freddo, di colpo mi sembra
che l’inverno sia tornato.
***
Fine aprile, primo anno
Oramai ci sono
dentro.
Dentro fino al
collo. Sono affondata nella ebbrezza di questa vita bugiarda. L'aria fa a gara
per entrare nei miei polmoni.
Sono così viva da essere quasi felice. Il sole primaverile mi
scalda. La luce ha finalmente deciso di incendiare le distese selvose nei miei
occhi. Ora chi mi guarda è inondato di riflessi iridescenti. Tutto questo solo
a causa di un suo sorriso. Ma cos'è l'amore? Qualcuno potrebbe spiegarmelo?
Infondo ho solo tredici anni e mezzo e non credo di averci capito molto. Insomma, chiamate amore così
tante cose. Chiamate amore i sorrisi che vi rischiarano la pelle e vi
alleggeriscono gli occhi. Chiamate amore le lacrime gravide di mestizia che
buttate al vento ogni giorno. Chiamate amore i baci candidi dei tempi remoti,
le carezze timide sui vostri visi cerei. Chiamate amore gli
spasimi che patite passivamente ricordando il passato. Insomma, cos'è l'amore di preciso se è
quasi tutto? Un giocatore d'azzardo che punta tutto su una sola carta è un
pazzo. O forse no. Il mio è amore, secondo voi?
***
Maggio, primo anno
Ho bisogno di
liberare le mie emozioni ma non ci riesco.
Muoiono prima di
uscire dalla mia bocca in un sussurro inconfessabile. Non riesco nemmeno a
scrivere, le mie dita non vanno così veloce quanto loro. Cambiano ogni secondo,
minuto. Ogni immagine è capace di mutarle e lasciarmi così, inerme, a guardarle
vorticare. Ho bisogno che stiano ferme, per razionalizzare. Ho bisogno di
parole, per spiegare quello che provo. Lei mi tocca il braccio attirando
la mia attenzione. La guardo e mi mancano di nuovo le parole. Mi fa un sorriso
diverso, strano, consapevole. Ci penso per tutta la giornata. Ho paura che mi
abbia scoperta e, quando torno a casa, mi chiudo in camera e piango, mentre
fuori la primavera fa sfoggio dei suo fiori colorati, dei suoi pollini spugnosi
e del suo sole accecante. Ci sono tante cose che la gente non sa di me, ma sono di più le cose che io stessa non conosco. Le cerco dappertutto, nei cassetti dove tengo i vestiti, nei libri, negli occhi della gente. Cerco ovunque le cose che non so di me. Credo sia per questo che ho il costante desiderio di scrivere, di razionalizzare le cose che già so per scoprirne nuove. Nei suoi occhi ho trovato qualcosa di indescrivibile.
***
Dicembre, secondo anno
Non ha più senso
fingere, ora che col tempo la rabbia s'è trasformata in stanchezza,
insoddisfazione. Non ha più senso ora fare pressione sul mio cuore,
stanco. I ricordi scorrono come vita nelle mie vene, lasciano una scia nebulosa
al loro passaggio.
Lacrime,
parole, sorrisi, abbracci, sguardi rapiti dal cielo autunnale, dolore
inaspettato, ferite, altre parole, questa volta impregnate di freddezza.
La sua presenza rassicurante nelle
giornate di pioggia, le mie mani che sfiorano libri alleggerite dal suo
pensiero, riesco a vedere tutti i momenti passati insieme come fotografie nella
mia testa dolorante. Io e lei che prendiamo il tè mentre fuori grandina,
io e lei il primo giorno di liceo, io che corro ridendo sotto la pioggia per
sfuggirle, io con l'orecchio bollente per il troppo tempo passato al telefono
con lei. Quante memorie lasciate in balia di loro stesse, a morire dimenticate
in un angolo troppo stretto della mia anima. Quanti altri ricordi che
avrebbero potuto affollare ulteriormente la mia mente, se lei non mi avesse già
dimenticata. Ma dov’è ora? Con un altro ragazzo, mi dico. Quanto l'ho odiata,
quanto l'ho amata. Conto i battiti delle mie ciglia, guardandomi allo specchi. Quelli del cuore non li sento più, vedo solo una vena pulsarmi sul collo. Guardo un riflesso allo specchio, uno sfarfallio di ciglia indispettite. Affondo i miei occhi in quel vetro, ma non mi riconosco. Vedo solo te nei miei occhi.
Sento lo scorrere del tempo sulla mia pelle, come sudore. Come lacrime. E aspetto. Aspetto che finalmente qualcosa cambi. Aspetto che tu torni da me, che la pioggia smetta di battere sulle finestre, che la notte diventi meno buia. Mi sento come stessi per implodere ed esaurirmi ogni cinque secondi. Non esploderei perché non posso, non sono abbastanza forte. Mi richiuderei su me stessa come un buco nero.
***
Giugno, estate del terzo anno
Entro a passi incerti in questa libreria, l’odore dei libri
mi attrae irrimediabilmente. E’ illuminata da lampade a neon, è molto piccola.
L’avevo già notata lo scorso Natale, ma ero così di pessimo umore che non mi ci ero
catapultata immediatamente, come mio solito. E’ grande circa quattro volte la
mia cameretta, stipata di libri. Ovunque mi giro vedo pagine bianche sporche
d’inchiostro che mi chiamano, mi esortano a conoscerle meglio. Ecco, adesso
sembrerò un po’ misantropica se vi dico che a volte preferisco la loro
compagnia piuttosto di quella degli umani. Sono incuriosita, c’è un libro con
la copertina blu. Avvicinandomi noto che c’è raffigurata una ragazzina che
cammina spedita. “Come me.” Non posso fare a meno di pensarlo. Nella vita ho
sempre corso, l’essere ambiziosa c’entra non molto però. Corro perché mi fa
sentire libera e diversa. Perché gli altri non corrono, si godono la vita
secondo per secondo. Io vivo in relazione al mio futuro, a ciò che farò dopo
aver letto la prima pagina di questo volume. Sembra interessante, sfoglio i
primi capitoli rapita. Mi sono accorta di non aver nemmeno parlato da quando ho
messo piede qui. Sono un tipo di poche parole, vivo in silenzio affinché gli
altri non si accorgano che lo stia facendo davvero. Le fantasie mi permettono
di costruirmi sul viso una maschera eroica.
La commessa però non sembra essersi accorta di me,
ticchetta con le dita smaltate su un computer.
“Oh, se fossi al suo posto starei immersa fra
queste pagine per tutto il giorno.”
Sospiro fra me, la mia mente mi fa eco. Afferro
il libro blu e mi accomodo su una poltroncina di pelle, fisso assorta la
quantità quasi infinita di libri e mi chiedo perché mai ho scelto proprio
quello. Alzo il volto all’improvviso, senza nemmeno sapere perché, e la vedo in
fondo alla libreria.
Il ricordo si impossessa di me, lascia le sue
profondità ghiacciate e rivive nei miei occhi. Quanti mesi fa è successo,
quando l’ho vista davvero per l’ultima volta? I suoi occhi che mi facevano
provare una stretta soffocante. Quegli occhi ci sono ancora, ma ciò che mi
trasmettevano è morto, l’amore è morto. “Eros e thanatos” sussurro fra me, amore
e morte, ecco ciò di cui erano capaci quegli occhi. Devo aver letto quella
frase sul mio libro di greco, chissà. Distratta, lascio cadere il libro su un
tavolino. Mi saluta, le faccio un cenno ed esco fuori,
sotto una lieve pioggerella. Cammino, con le mani in tasca, ancora stranita per
la sensazione che non ho provato. Poi
mi dico che ho appena quindici anni, mi riparo sotto un portone e mi viene un
piccolo sorriso. Devo averla proprio amata tanto, penso. Ma ora è tempo di andare avanti.