Ci siamo, la saga di Harry
Potter è finita, tutto ci è stato svelato (beh
più o meno, dato che nell'epilogo c'è un bel
nebbione) e non ci saranno più ipotesi e teorie su cosa
succederà.
Questa fanfic
è nata la scorsa notte, a volte l'ispirazione arriva quando
meno te lo aspetti ed io ho dato voce al mio delirio notturno.
E' una ff scritta
esclusivamente per Severus Snape, uno dei migliori personaggi mai
creati dalla Rowling, il più profondo.
E leggendo la sua
fine nel settimo libro sono rimasta con una sorta di amaro in bocca.
Non è una fine che si meritano gli eroi come lui, ma in
fondo spesso i più meritevoli non hanno ciò che
dovrebbero...
I dialoghi in
grassetto sono parti originali del libro, inserite per rendere la
narrazione più coerente possibile al testo. Le altre parti
sono riflessioni e azioni di Snape.
E' una ff che cerca
di dare voce ai pensieri che si agitano in un uomo così
profondo, tormentato...probabilmente è solo un misero
tentativo di rappresentare al meglio un personaggio con le sue mille
sfaccettature. Ognuno avrà visto cose diverse nel suo
personale Severus Snape...questo è il mio.
Una sorta di
epitaffio alla memoria di Severus "the
bravest man I never knew"
Guardami...
"Piton, il Signore Oscuro vuole vederti, ora."
Urla, muri
che crollano, lampi di luce, disperazione, dolore, sangue.
La
battaglia infuriava davanti a lui. Hogwards stava per crollare.
Come
avevano potuto pensare che un branco di ragazzini e qualche adulto
potesse contrastare un esercito creato per uccidere e sterminare,
contrastare Voldemort, il mago più potente e temuto di tutti?
Ma a
Severus Piton non interessava quello che stava succedendo intorno a
lui, aveva una missione da compiere e l'avrebbe fatto.
E poi era
arrivato Lucius con la sua richiesta...
Per Salazar
non ora, non adesso! Ma era troppo saggio per trasgredire ad un ordine
dell'Oscuro Sire.
Chinò
il capo in un cenno di muto assenso e si diresse verso la stamberga
strillante.
"...mio
Signore, la resistenza sta crollando..."
"...e
il tuo aiuto non serve" ribattè Voldemort con la sua voce
nitida e acuta. "Per quanto tu sia un abile mago, Piton, non credo che
tu possa fare molta differenza, ormai. Ci siamo quasi...quasi."
E ora si
trovava in quella lurida catapecchia.
Faccia a
faccia con il Signore Oscuro, ma lui non riusciva a distogliere lo
sguardo dal suo serpente, Nagini, che fluttuava lentamente a mezz'aria,
al sicuro nella sua luminosa bolla incantata.
Per Salazar
perchè Voldemort desiderava vederlo proprio ora? Era
così vicino al compimento della sua
missione...così dannatamente vicino.
"Lasciatemi
cercare il ragazzo. Consentitemi di portarvi Potter. So che posso
trovarlo, mio Signore. Vi prego."
Ma
Voldemort non lo ascoltava.
No, da
quando il signore oscuro ascoltava i suoi servitori? Lui prestava
ascolto solo se' stesso, quando chiedeva qualcosa a qualcuno era solo
per valutare se la risposta che dava era uguale alla sua. E se
così non fosse, sapeva come convincere.
Si chiese
cosa potesse volere da lui Voldemort in questo momento. La scuola stava
per cadere ai suoi piedi, ma non sembrava di suo interesse. Schiere di
servitori stavano combattendo per lui, morendo per lui, ma Voldemort
era lì, lontano dalla battaglia. Lui era troppo potente per
immischiarsi in queste stupide faccende.
"Ho
un problema, Severus" mormorò Voldemort.
"Mio
Signore?"
Voldemort
alzò la Bacchetta di Sambuco, reggendola con delicatezza e
precisione, come la bacchetta di un direttore d'orchestra.
"Perchè
con me non funziona, Severus?"
La
bacchetta? Voldemort lo aveva fatto chiamare dalla battaglia per la sua
bacchetta? Ma che risposte avrebbe potuto dargli lui?
Eppure era
convinto che se il Signore Oscuro lo aveva convocato lì in
quel momento c'era una ragione precisa, e non era certo per un consulto.
Erano mesi
che Voldemort sembrava ossessionato dalle bacchette, prima aveva rapito
Ollivander, poi aveva cercato Gregorovitch, era giunto persino ad usare
la bacchetta di Lucius Malfoy. E poi era tornato con quella nuova
Bacchetta di Sambuco che tanto bramava, potentissima a suo dire. La
Bacchetta de Destino, la stecca della Morte.
Che cosa
voleva adesso da lui?
Cercò
di rassicurarlo, dicendogli che aveva compiuto magie straordinarie con
quella bacchetta, ma Voldemort non era per niente soddisfatto di come
questa lo serviva.
Sembrava
calmo, ma lui poteva sentire un fremito di impazienza nella sua voce.
Non parlò.
Che cosa avrebbe potuto dirgli in fondo? Voldemort non voleva essere
rassicurato, così rimase in silenzio, aspettando di capire
cosa volesse realmente da lui.
"Ho
riflettuto a lungo e con attenzione, Severus...sai perchè ti
ho richiamato dalla battaglia?"
Si
sforzò di distogliere lo sguardo dal serpente che si muoveva
a spirale nella sua gabbia incantata.
Maledizione
non avrebbe dovuto trovarsi lì ora, a giocare agli stupidi
indovinelli di Voldemort.
"No,
mio Signore, ma vi supplico di lasciarmi tornare laggiù.
Permettetemi di trovare
Potter."
"Parli
come
Lucius. Nessuno di voi capisce Potter quanto me. Non serve cercarlo.
Potter verrà da me. Conosco la sua
debolezza, vedi, il suo grande difetto. Non
sopporterà di vedere gli altri cadere attorno a lui,
sapendo di esserne la causa.
Vorrà porvi fine ad ogni costo. Verrà."
Cosa dava a
Voldemort quell'assoluta certezza? Ma in fondo lui ragionava sempre per
certezze, non conosceva il dubbio nella sua arroganza di potere.
E lui
sapeva che Voldemort aveva ragione, era solo questione di tempo e
Potter sarebbe arrivato, a fare l'eroe come al suo solito, a cacciarsi
nei guai. Ma stavolta non ci sarebbe stato nessuno a salvarlo.
Doveva
andare, doveva ritornare sul campo di battaglia e compiere la sua
missione, prima che fosse troppo tardi.
"Ma,
mio Signore, potrebbe venire ucciso per errore da qualcun altro..."
"Ho
dato istruzioni molto precise ai miei Mangiamorte.
Catturare Potter. Uccidere i suoi amici, più sono e meglio
è, ma non lui."
Ancora
questa assurda sicurezza, si sente già il padrone del mondo,
infallibile ed eterno.
Ma in fondo
era anche questo il suo fascino.
Il fascino che aveva fatto cadere
tanti come lui al suo volere molti anni prima, quando lui era solo un
ragazzo assetato di conoscenza, di potere e di rivalsa.
E Voldemort
prometteva tutto questo, nessun dubbio, solo certezze.
"Ma
è di te che desideravo parlare, Severus, non di Harry
Potter.
Sei stato molto prezioso per me. Molto prezioso."
"Il
mio Signore sa che io desidero solo servirlo.
Ma lasciatemi andare a cercare il ragazzo. Lasciate che
ve lo porti. So che posso..."
"Ho
detto di no!"
E Voldemort
lo tratteneva ancora inchiodato lì, si divertiva con lui,
come il gatto che gioca con il topo.
Si divertiva a tenerlo in attesa.
Godendo della sua confusione, della sua voglia di andarsene, di trovare
Potter.
"La
mia preoccupazione al momento, Severus, è che
cosa accadrà quando finalmente incontrerò il
ragazzo!"
"Mio
Signore, non ci può essere questione..."
"...ma
una questione c'è, Severus. C'è."
Un dubbio?
Cosa temeva Voldemort ora che il mondo magico era ai suoi piedi? Ora
che gli unici sprazzi di resistenza sembravano sul punto di essere
spazzati via definitivamente?
"Perchè
entrambe le bacchette che ho usato hanno fallito quando le ho puntate
contro Harry Potter?"
E
così era questo che Voldemort temeva. Era riuscito ad
ottenera la bacchetta che tanto bramava, la più potente di
tutte, ma ancora non era soddisfatto.
Tormentato
dal fatto che la sua vecchia bacchetta non era riuscita ad uccidere
Potter aveva torturato Ollivander ed era venuto a sapere dei nuclei
gemelli che interferivano tra la sua bacchetta e quella del ragazzo.
Aveva provato la bacchetta di un altro, sperando che bastasse questo
per non avere più intromissioni, eppure la bacchetta di
Potter aveva reagito, mandando in frantumi quella di Malfoy. E
così si era messo alla ricerca della bacchetta
più potente di tutte.
Ma lui come
poteva dargli una risposta? Dargli delle spiegazioni? Era un maestro di
pozioni, occlumante e abile nelle arti oscure ma non era certo un
esperto di bacchette!
"Io...io
non sono in grado di rispondere, mio Signore."
Era
difficile concentrarsi sulle parole di Voldemort. Ancora non aveva
capito dove voleva andare a parare, perchè gli stesse
raccontando quella storia che lui già conosceva bene.
Avrebbe
solo voluto andarsene al più presto, doveva andarsene di
lì al più presto!
I suoi
occhi scuri erano ancora fissati sul serpente che si attorcigliava
nella sua sfera protettiva, ma poteva sentire nella voce di Voldemort
rabbia ed impazienza mal celate.
"Ho
cercato un'altra bacchetta, Severus. La Bacchetta di Sambuco, la
Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte. L'ho presa al
suo
precedente proprietario. L'ho presa dalla tomba di Albus Silente."
Questo gli
fece destare improvvisamente tutta l'attenzione su Voldemort.
Si
girò di scatto, guardando il Signore Oscuro dritto negli
occhi. La faccia bianca come il marmo ed immobile, una maschera di
morte. Perchè improvvisamente cominciava a
capire...Voldemort non era tipo da confidenze, non era tipo da andare a
chiamare qualcuno per farci due semplici chiacchere.
No, lui
quando convocava qualcuno era solo per suo esclusivo interesse,
perchè voleva qualcosa da lui. Ed ora era giunto il suo
momento.
"Mio
Signore...lasciatemi andare dal ragazzo..."
Un ultimo,
vano tentativo.
Lui non
ascolta neanche e in fondo lo sapeva già, sapeva che erano
parole buttate al vento. Ma aveva provato ugualmente, aveva supplicato,
per la prima volta dopo molto tempo.
Aveva
supplicato come aveva fatto tanti anni prima dinnanzi a Silente, in
quella notte che aveva cambiato la sua vita, in cui un Mangiamorte era
arrivato in ginocchio davanti al preside di Hogwarts con la sua
supplica: "Li nasconda
tutti, allora. Li metta...li metta...al sicuro. Per favore".
Quella notte in cui aveva dato tutto se' stesso per la loro salvezza,
per la salvezza di lei. E poi aveva perso tutto.
Aveva
supplicato come aveva fatto Silente quella notte di quasi un anno
prima. "Severus...ti
prego...fallo". Quella notte in cui aveva lacerato
volontariamente la sua anima per salvare quella del giovane Malfoy, per
salvare quello stramaledetto ruolo di spia che tanto era importane per
Silente...e lui lo aveva fatto.
Ed ora
toccava a lui supplicare, anche se sapeva che Voldemort non l'avrebbe
mai ascoltato.
Ma ormai
non gli importava più nulla, solo la sua missione contava,
la missione che aveva portato avanti dando in pegno un pezzo della sua
anima ma che forse avrebbe permesso di riscattarla interamente.
Riscattare il suo errore di gioventù.
"Per
tutta questa lunga notte, vicino ormai alla vittoria, sono rimasto
qui," proseguì Voldemort, la voce poco più di
un sussurro, "a riflettere, a chiedermi perchè la Bacchetta
di Sambuco si
rifiuta di essere ciò che dovrebbe, di comportarsi come la
leggenda dice che deve fare nelle mani del suo legittimo
proprietario...e credo di avere la risposta."
Silenzio.
Che non
sarebbe stato di certo lui ad interrompere.
Si trovava
la mente straordinariamente vuota, gelata. Un unico, costante
pensiero...la sua missione.
Aspettò
che Voldemort riprendesse la parola.
"Forse
la conosci GIà? Sei un uomo intelligente, dopotutto,
Severus. Sei stato un servo bravo e fedele, e mi dolgo di
ciò
che deve accadere."
"Mio
Signore..."
Un ultimo
debole tentativo. Non sapeva nemmeno lui perchè aveva
parlato.
"La
Bacchetta di Sambuco non può servirmi in modo adeguato,
Severus,
perchè non sono io il suo vero padrone. La Bacchetta di
Sambuco appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario.
Tu hai ucciso Albus Silente. Finchè tu vivi, Severus, la
Bacchetta di Sambuco non può essere davvero mia."
Ed ecco
finalmente che Voldemort aveva mostrato le sue chiare intenzioni, era
stanco di giocare al gatto e al topo.
Protestò,
sollevando la bacchetta. Ma in fondo sapeva che tutto questo era vano,
l'aveva fatto solo di riflesso, nella sua mente non aveva nemmeno preso
in considerazione la lotta. Se Voldemort era deciso ad ucciderlo non
aveva speranze e lui lo sapeva bene.
Voldemort
parlò di nuovo, ma ormai non lo stava più nemmeno
a sentire, le sue parle sembravano vuote, distanti.
Non poteva
finire così. Non ora che era così vicino al
compimento della sua missione, non ora che era così vicino
al suo riscatto!
Voldemort
spazzò l'aria con la sua bacchetta.
Per un
attimo non successe nulla. Un attimo interminabile.
Il suo
cuore batteva all'impazzata, la sua mente era un groviglio di pensieri.
Poi le
intenzioni del mago oscuro divennero chiare.
La gabbia
del serpente si faceva più vicina, sempre più
vicina.
Poteva
vedere ogni singola scaglia della sua pelle viscida, i suoi occhi
scrutarlo freddi ed immobili, la sua lingua saettare fuori ad
intervalli regolari per saggiare l'aria, saggiare la sua paura.
Così dannatamente vicino.
Ed il
serpente non era più vicino a lui, era su di lui. La gabbia
che imprigionava Nagini, ora imprigionava la sua testa e le spalle.
Sentiva la potente morsa dell'animale.
Una sola
parola in serpentese:
"Uccidi."
Urlò.
Urlò
con quanto fiato aveva in gola.
Urlò
la sua disperazione.
Urlò
il suo dolore.
Urlò
la sua pena.
Urlò
la sua rabbia.
Sentiva lo
squarcio sul collo provocato dalle zanne del serpente, sentì
il suo sangue tra le sue mani ed il veleno entrare in lui.
La sua
pelle divenne ancora più pallida, pallore di morte. Ed i
suoi occhi neri si allargarono.
Cadde a
terra, le ginocchia non ce la favevano più a reggere
quell'insopportabile peso.
Eppure
mentre la vita se ne andava silenziosamente dal suo corpo, come il
sangue che gli scivolava tra le mani nel vano tentativo di trattenerlo,
i suoi pensieri erano ancora straordinariamente saldi in lui.
Non aveva
paura di morire.
No, a volte
l'aveva invocata, la morte. Come una cara amica da tempo attesa.
Una morte
dove dimenticare, dove espiare i suoi peccati, il suo grande peccato di
gioventù. E forse dove avrebbe potuto rivedere lei.
No queste
sono sciocchezze, stupidi sogni ad occhi aperti.
Si era
sforzato di portare avanti la sua vita, nonostastante tutte le
difficoltà, il dolore ed il rimorso.
Lo aveva
fatto per lei è vero, per la sua promessa a Silente, ma
anche per lui.
Per la sua anima. Perchè non voleva che un errore di
gioventù distruggesse se' stesso.
E
così era diventato la spia nei Mangiamorte, aveva cercato di
salvare quante più persone gli era possibile.
Un gioco
molto pericoloso.
No, non
aveva paura di morire, ma non poteva farlo ora, doveva portare a
termine la sua ultima missione, ad ogni costo.
"Mi
spiace."
La gelida
voce di
Voldemort lo colse di sorpresa.
Buffo, si era dimenticato che lui era
ancora lì, ad osservare la sua agonia.
Il Signore
Oscuro si girò, non c'era tristezza in lui, ne' rimorso. Lo
vide per un attimo dirigersi verso la porta, richiamando il suo fedele
Nagini. La gabbia che ancora lo teneva imprigionato scivolò
in avanti, e lui cadde sul pavimento.
Ormai non
era più padrone del suo corpo, solo la sua mente restava
così straordinariamente lucida anche in quegli istanti prima
della morte.
Avrebbe
voluto che fosse andata diversamente.
Tutta la
sua dannata vita avrebbe voluto che fosse andata diversamente.
Per un
attimo si chiese cosa ne sarebbe stato di lui se non avesse fatto
quell'errore in gioventù, quel piccolo errore chiamato
Voldemort e Mangiamorte, che gli aveva rovinato l'intera esistenza.
Ma non era
tipo da sciocche fantasticherie, no lui era un tipo straordinariamente
concreto.
Cercò
invano di fermare il defluire del sangue, le mani strette
spasmodicamente al collo.
Ormai era
questione di poco.
E' crudele
vedere quanto il destino a volte si prenda gioco di noi. Era vissuto
tutta la vita in ombra, silenzioso, ed ora la sua morte avveniva
così simile alla sua vita, una sorte di tragica parodia .
Eccolo lì, sdraiato nella polvere, in quella lurida
catapecchia dove già una volta aveva rischiato di morire,
salvato da colui che aveva involontariamente ucciso. Morire da solo, in
silenzio, sconfitto da un banale morso di serpente; nemmeno la magia
aveva usato Voldemort per finirlo.
Rimase
fermo, tutto era immobile e silenzioso. Cercava ancora di fermare il
flusso di sangue ma sapeva che era solo una vana speranza.
Eppure non
poteva arrendersi, non ancora, non prima di aver portato a termine la
sua missione.
E poi lo
vide.
Non poteva
sbagliarsi...quei capelli scuri sempre costantemente arruffati, quegli
occhiali, quella cicatrice...quegli occhi che mai si sarebbe scordato.
Harry
Potter era lì, chino di fianco a lui. Non sapeva quando
fosse arrivato, non aveva sentito nulla. Per un attimo pensò
ad un'allucinazione, ad un crudele scherzo della morte.
Allungò una mano, tremava leggermente. Afferrò il
davanti del vestito di Harry e lo avvicinò a se'.
Non era un sogno.
Forse aveva
ragione Silente, a volte accadono le cose più inaspettate,
basta crederci.
Lasciò
defluire tutti i suoi ricordi, voleva che il ragazzo sapesse tutto.
"Prendi...prendi..."
La sua voce
sembrava straordinariamente roca, poco più di un sussurro, e
ne rimase sorpreso.
Vide che
Potter aveva compreso, stava facendo scivolare i suoi ricordi in una
boccetta, ben presto il contenitore fu pieno di una sostanza blu
argentata.
E
così ce l'aveva fatta, alla fine la sua ultima missione era
compiuta.
Si chiese
come avrebbe reagito il ragazzo alla vista di tutti i suoi ricordi, se
avrebbe compreso.
Si chiese
se ce l'avrebbe fatta a compiere il suo destino, a sconfiggere il mago
più potente, e se sarebbe morto nell'impresa così
come gli aveva detto Silente.
Ormai non
gli importava più molto, sentiva le poche forze rimastegli
abbandonarlo.
Ora poteva
andarsene.
"Guar...da...mi"
I suoi
occhi scuri trovarono gli occhi verdi di Harry, gli occhi di Lily.
Era come
precipitare in quegli occhi, perdersi in quel verde che non aveva mai
dimenticato.
Fu un
attimo, poi il buio.
La pace.
Bene
siete riusciti ad arrivare in fondo. Spero che il racconto e la mia
interpretazione sull'ultima notte di Severus Snape sia stata di vostro
gradimento e che abbiate ritrovato un po' del vostro Severus nel mio.
Dare voce alle mille sfaccettature di un personaggio così
complicato non è facile ma io ci ho provato!
Lasciate pure commenti se volete, fanno sempre piacere. Cosa ne pensate
di questa interpretazione? La condividete oppure no? Come avete
giudicato la fine del libro? Ogni commento è bene accetto
anche quelli negativi XD
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