A volte succedono cose
strane.
Ero lì che stavo scrivendo la lemon Sasusaku, e
all’improvviso mi è saltata in mente questa cosa.
Ovviamente l’ho ignorata, non mi interessava, ma
quella continuava a ronzarmi in testa, non riuscivo a liberarmene, e
alla fine mi sono dovuta arrendere ed ho dovuto buttarla giù.
Non sapendo come classificarla l’ho messa come NaruSasu,
anche se non si tratta di Naruto ma del suo alter ego femmina, Naruko,
appunto (avete presente il sexy no jutsu?).
Quindi non è yaoi.
Non so assolutamente se possa interessare, ecco…ma se
qualcuno si divertisse a leggerla anche solo un pochino sarei contenta.
Sono tre capitoli in tutto e dovrei farli uscire settimanalmente.
Il rating è dovuto più che altro alla boccaccia
della nostra donzella.
NARUKO
Bello
come la luna
- Cazzo hai da guardare, coglione! –
Naruko fece un gestaccio a quell’idiota e riprese a sfregarsi
i palmi delle mani sulle cosce ricoperte da collant neri a pallini
arancioni (una chicca). Faceva un freddo boia lì fuori a
quell’ora, ma non era un buon motivo per non indossare una
mini minigonna e non tenere il giubbotto arancione aperto sul seno
abbondante (tutto suo, mica quella roba finta), messo in evidenza dalla
maglia attillata.
E che qualcuno provasse a toccarla, lo stendeva con un cazzotto.
Se ne stava seduta sulla panchina, o meglio, sopra la panchina, i piedi
dove ci si sedeva e il culo sulla spalliera, ed aspettava il bus, come
ogni mattina.
No, non per prenderlo, lei aveva la sua macchina, grazie, parcheggiata
come ogni volta lì vicino.
Era lì per lui.
E quasi lo avesse evocato lo vide apparire dalla stradina accanto e
camminare fino alla fermata.
Eccolo lì, bello come il sole, o forse la luna,
con quegli occhi neri e quei capelli ancor più neri che
contrastavano con il viso pallido, nonché
quell’aria sicura e indifferente.
Era uno stronzetto, lo sapeva, ma non importava, le piaceva lo stesso.
- Ehi bello, vieni a farti un giro? –
Lui si voltò appena e le rivolse uno sguardo di sufficienza
prima di salire sul bus senza neppure rispondere.
Stronzetto, appunto.
Ma non poteva farci niente: Uzumaki Naruko era in love.
1.
Era passato un mese dalla prima volta in cui l’aveva visto.
Stava portando in officina la macchina di un cliente quando questa
bastarda si era fermata in mezzo alla strada, e dato che non ne voleva
sapere di ripartire e suo zio non rispondeva al telefono, aveva dovuto
cercarsi la fermata del bus più vicina (ovvero quella
accanto alla stazione ferroviaria) ed aspettare.
E poi, all’improvviso, era apparso lui.
Naruko era rimasta a guardarlo a bocca aperta, incantata, mentre lui
arrivava alla fermata e prendeva il bus, e non aveva avuto nemmeno un
dubbio, sin dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su quella
creatura celeste ed aveva pensato: io questo qui me lo sposo.
Si dava il caso che era una specie di cosa di famiglia quella, sua
madre si era innamorata a prima vista di suo padre, sua nonna uguale, e
così via, su su lungo il ramo genealogico materno, e
così lei sapeva che non si trattava di un capriccio, che lui
era davvero l’uomo della sua vita.
Infatti quel giorno stesso, quando era tornata a casa, aveva scaricato
Kiba, il suo ragazzo, ex ragazzo per l’esattezza, inutile
perdere tempo con ripieghi o seconde scelte, lei era una tipa fedele e
decisamente monogama.
Il mattino dopo era di nuovo lì, e non appena lo vide gli si
avvicinò e gli porse la mano, decisa a non perdere tempo e
presentarsi.
Il bastardo aveva ignorato la sua mano tesa ed aveva tirato fuori la
tessera dell’abbonamento del bus prima di aggirarla e salirci
sopra.
Bastardo.
Aveva giusto fatto in tempo a sbirciare il nome, Sasuke ( se lo era
ripetuto duecentomila volte da allora).
Mica si era arresa, non si arrendeva facilmente, non si arrendeva mai,
e il mattino seguente era salita in bus con lui, decisa a sederglisi
accanto e parlargli, ma l’autista, bastardo anche quello,
l’aveva cacciata fuori prima che potesse fare la sua mossa,
come faceva a sapere che non aveva il biglietto?
Il giorno dopo era lì con il suo bel biglietto in mano, solo
che lui non si era presentato (poi avrebbe scoperto che lui non si
presentava mai il venerdì mattina), e infine erano arrivati
il sabato e la domenica più lunghi e inutili nella storia
dei sabati e delle domeniche, spesi ad aspettare ansiosamente il
lunedì.
Nonostante l’interminabile agonia che pareva non finire mai,
l’atteso lunedì ad un certo punto era arrivato,
però lei nel frattempo aveva cambiato totalmente tattica,
tutto perché domenica, presa da un attacco di frenesia
improvvisa, aveva avuto la balzana idea di chiamare sua cugina Karin
per chiederle consiglio, e quella le aveva proibito di parlargli,
seguirlo o simili e le aveva ordinato di farsi vedere lì per
caso per almeno un paio di mesi, senza approcciarlo o degnarlo di uno
sguardo, fino a quando lui non si fosse abituato alla sua presenza, e
solo allora fare la sua mossa.
A pensarci ora si trattava evidentemente di un consiglio idiota, dato
che doveva farsi conoscere se voleva conquistarlo, ma al momento le era
parso logico, forse perché, lo ammetteva, lei non era
esattamente abituata a tipetti come lui, con la puzza sotto il naso, e
non era sicurissima di sapere qual era il modo giusto per abbordarlo.
Così si era fidata di Karin e si era limitata a guardarlo in
adorazione (e con la bava alla bocca) per una settimana, e a lanciargli
qualche fischio o buttare lì qualche apprezzamento per il
mese successivo, quando non ce la faceva più.
Non vedeva l’ora di mettergli le mani addosso,
perché, diciamocelo, quello era Amore e tutto quanto, per
cui l’aspetto fisico c’entrava solo in parte, ma
era un così gran pezzo di gnocco.
Mentre lo guardava salire sul bus senza cagarla di striscio,
capì che era ora di tornare ai buoni, vecchi sistemi, era
stufa di aspettare, il metodo di sua cugina faceva cagare e a questo
punto doveva ricorrere a rimedi un po’ più
estremi, come salire in bus e attaccare bottone direttamente, e guarda
caso il biglietto non usato era ancora lì, a scaldarle il
culo dentro la tasca.
Domani salgo su, si disse convinta, nel frattempo si
stiracchiò e scese dalla panchina, il lavoro
all’officina l’attendeva, lei non era mica come
quei ricchetti che cazzeggiavano all’università,
lei doveva lavorare e guadagnarsi il pane.
- Ti piace Sasuke Uchiha? – sentì una
voce dietro di lei.
Si voltò e notò solo allora un tizio con
l’aria mezzo addormentata ed i capelli raccolti in una coda
alta, appoggiato alla pensilina.
Non lo aveva mai visto prima ma per quel che sapeva poteva essere stato
lì ogni mattina ed esserle sfuggito, lei aveva occhi solo
per il bastardo.
- Sì, e allora? – gli fece con aria di
sfida, e dato che quello aveva chiuso gli occhi e si era messo ad
ignorarla gli si avvicinò con fare minaccioso.
- Ehi, dico a te, come hai detto che si chiama di cognome?
–
L’altro aveva aperto un occhio e l’aveva fissata un
momento.
- Ti rendi conto che piace a molte ragazze? –
sentenziò invece di rispondere.
- Embè? E a me che me ne frega?–
- Credi di essere il suo tipo? –
- E perché? Cos’ho che non va? Ho tutte
le mie cosette a posto! –
Quello aveva chiuso ancora gli occhi ed aveva ripreso ad ignorarla, non
prima di avere borbottato qualcosa su una seccatura, o simili.
Va bene, a mali estremi estremi rimedi, in guerra e in amore era tutto
permesso ecc…ecc… non intendeva farsi sfuggire
neppure la più piccola opportunità e questo tizio
poteva rivelarsi utile: era giunto il momento di usare
l’astuzia, che non si dicesse in giro che Uzumaki Naruko era
un’idiota (alle superiori se l’era sentito ripetere
abbastanza, e se non fosse stato che aveva una personalità
forte forse l’avrebbero anche convinta, i bastardi).
- Hai bisogno di un passaggio bello? Sono in macchina
– gli fece melliflua.
- E in cambio vuoi informazioni su di lui? –
- Esatto! –
- Affare fatto – acconsentì il tipo e
lei si sfregò le mani, soddisfatta.
Il tizio doveva andare lontano e lei sarebbe arrivata in ritardo al
lavoro, ma avrebbe recuperato in pausa pranzo e ne valeva assolutamente
la pena, e così si diressero insieme alla macchina
parcheggiata lì vicino.
- Arancione? – domandò scettico quello
mentre saliva sul suo gioiellino, una
Mini Cooper cui aveva truccato il motore.
- Sì, bella eh?!-
- Di sicuro quando c'è nebbia si nota – fu l’unico commento.
Ma a lei francamente non fregava niente di quello che pensava il tipo
della sua macchina. Piaceva a lei, e non doveva piacere a nessun altro,
anche se non le sarebbe dispiaciuto scorrazzarsi in giro il suo bel
Sasuke, in futuro.
- Allora, dimmi tutto quello che sai, cognome?-
attaccò subito, non era lì per perdere tempo.
- Uchiha -
Uchiha, Sasuke Uchiha, Naruko Uchiha. Ottimo.
- Vive da solo o con i suoi? –
- Da solo. E’ orfano –
Anche lei era orfana, i suoi erano morti in un incidente
d’auto quando era piccola, era cresciuta con gli zii, la
sorella maggiore di suo padre e il marito, e se non era un segno del
destino questo, non sapeva cosa potesse esserlo.
Erano proprio anime gemelle loro due.
Non preoccuparti piccolo, costruiremo la nostra famiglia e ti
scalderò io quel cuore solitario.
- Incidente? – domandò curiosa.
- No, li ha fatti fuori il fratello maggiore, in un
raptus…è pazzo, sente delle voci…lui
era presente, era un bambino, dicono che sia rimasto in stato
catatonico per diverso tempo dopo –
Cazzo…le scesero un paio di lacrime (aveva la lacrima
facile), fortuna che quel poveraccio non aveva ucciso anche lui, o non
avrebbe mai conosciuto l’uomo della sua vita, e questo non
glielo avrebbe mai potuto perdonare, pazzia o non pazzia.
Comunque, come sospettava, il suo futuro marito aveva proprio bisogno
di lei.
Non preoccuparti piccolo, ci sono io.
Ma era inutile fare le sentimentali, lo avrebbe consolato quando fosse
giunto il momento, ora aveva bisogno di informazioni utili.
- Dove va con quel bus? – domandò dopo
essersi soffiata rumorosamente il naso.
- In facoltà, fa ingegneria –
- Perfetto… il mio uomo non deve essere solo
bello, lo voglio anche intelligente -
- Per compensare? –
- Cazzo dici coglione! Solo perché la scuola mi
faceva schifo non significa che sono stupida! Sveglia! – gli
urlò poco dopo perché pareva addormentato
– dimmi le cose più importanti che siamo quasi
arrivati! Quando finisce, dove mangia, dove va in giro dopo la scuola,
dove è casa sua…-
Alla fine era riuscita a cavargli fuori qualcosa di interessante, prima
di scaricarlo a destinazione: Sasuke Uchiha dopo aver mangiato (non si
sapeva dove) andava in biblioteca (quella comunale vicino alla
facoltà, che non sapeva dove fosse non avendoci mai messo
piede) e vi rimaneva fino a sera, dopodiché andava in
palestra (bene, le piaceva che il suo uomo si tenesse in forma) e
tornava a casa tardi, in un paesucolo lì vicino in cui
abitava anche il tizio, Shikamaru (per quello sapeva tutte queste cose).
Era arrivata in officina in ritardo (lei faceva il meccanico
nell’officina di suo zio, ed era piuttosto brava
modestamente) e Jiraya le aveva fatto una delle sue memorabili
cazziate, per cui era stata costretta a fottersi metà pausa
pranzo per recuperare.
Alle due, dopo essersi sistemata i capelli e la faccia, se ne
uscì diretta alla biblioteca (non sapeva perché
cazzo lo zio la guardasse sospettoso, non poteva andare in biblioteca?
Non ne aveva il diritto, non era una cittadina anche lei? Non poteva
avere voglia di leggere un libro? ), con un hamburger in mano, lo
avrebbe mangiato lì.
Essendo la prima volta che ci entrava fu richiamata più
volte (non si poteva entrare con la borsa e non si poteva neppure
mangiare in sala, il che era davvero stupido! In pratica non si poteva
fare niente!) prima di riuscire a mettere piede in sala studio, munita
di due numeri del suo manga preferito, carta e penna, il cellulare e il
portafogli in tasca.
Le ci volle parecchio per trovarlo, non pensava che quel posto fosse
così grande, ma alla fine riuscì a beccarlo: se
ne stava seduto da solo in un tavolino un po’ defilato,
più piccolo degli altri, e l’unica sedia libera
(nell’altra c’era lui) era occupata da una pila di
libri.
Rimase per qualche istante a guardarselo abbagliata.
Ovviamente sapeva che era alto e bello e tutto quanto, ma era la prima
volta che lo vedeva senza cappotto e poteva ammirarlo in tutto il suo
splendore.
Aveva una felpa nera abbastanza aderente, senza cappuccio né
cerniera, e una delle maniche, quella del braccio con cui si reggeva la
testa, era tirata su fino al gomito.
Era un braccio perfetto.
Davvero.
Avrebbe potuto innamorarsi di quel braccio, avrebbe potuto rimanere a
guardarlo per ore e non stancarsi mai.
Ancor più determinata, se possibile, si diresse dalla sua
parte e senza chiedere il permesso che già sapeva non
avrebbe ottenuto, spostò i libri per terra e si
piazzò sulla sedia.
- Cosa fai? – le chiese seccato lui.
Era la prima volta che sentiva la sua voce e
ecco…ecco…anche la voce era perfetta, quasi si
commuoveva, e pensare che quella creatura perfetta era sua! Se non era
fortuna questa!
- Mi siedo! – esclamò tutta allegra.
Lui la guardava ora, ma proprio proprio la guardava, quegli occhioni
scuri guardavano proprio lei, e la vedevano perfino.
Si sentiva rimescolare tutta.
Udì appena gli shhhh! indignati dei vicini e notò
solo di sfuggita un paio di ragazze che tentavano di ucciderla con lo
sguardo.
- E’ occupato – le replicò
secco, con quella sua bella voce sensuale, avrebbe potuto ascoltarlo
per ore.
- Ah sì? Be’, tanto rimango poco
– minimizzò lei per nulla impressionata, e avrebbe
voluto continuare a fissarlo estasiata, ma aveva ancora in testa i
suggerimenti di sua cugina, e decise di mettersi a leggere i suoi manga
e fare la preziosa.
Con la coda dell’occhio notò che lui alzava le
spalle e riprendeva a studiare.
Di contro fece finta di leggere e continuò a sbirciarselo
per tutto il tempo.
- Cosa studi? – gli chiese solo ad un
certo punto.
- Sssh! –
Ma quanto rompevano lì!
- Cosa studi? – riprovò con un tono di
voce più basso.
Nessuna risposta.
- Io sto leggendo un manga molto interessante, ma potrei
studiare qualcosa anche io dato che ci sono…sai dove ci sono
libri di meccanica? – gli fece per darsi un tono.
Nessuna risposta.
Bastardo.
- Faccio la meccanica – continuò
– la meccanica donna, figo no?! –
Niente.
- Mi piacerebbe tanto vederti sorridere –
sospirò.
A quel punto almeno lui aveva alzato lo sguardo un attimo prima di
riprendere a leggere.
E va bene, era un osso duro.
Si passò il resto del tempo a sbirciarlo di nascosto,
ignorando i morsi della fame (aveva dovuto lasciare in borsa il suo
hamburger) e tenendo a freno la voglia di farlo reagire, non era
stupida e capiva che qui c’era bisogno di una strategia.
Prima di alzarsi gli scrisse un bigliettino e glielo lanciò
sul libro aperto, poi si allontanò ticchettando sul tacco
medio (più alto non sapeva usarlo) degli stivaletti alla
caviglia, non prima di avergli rimesso a posto i libri sulla sedia, che
qualche oca non pensasse di sedersi lì e provarci con il suo
uomo.
Ignorò i soliti shhh!, neanche camminare si poteva,
lì.
Uscì a stomaco vuoto, si mangiò
l’hamburger freddo in macchina, e tornò al lavoro
piuttosto soddisfatta, sul bigliettino aveva messo il suo numero di
cellulare da una parte, nell’altra aveva scritto: “Sei bello come la luna, e i tuoi
occhi sono il buio della notte”.
Modestamente.
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Ed ecco qua il primo capitolo: riuscirà la nostra eroina a
conquistare il suo principe azzurro?
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