[Storia scritta per il concorso
estivo sulle "Storie inquietanti" indetto da Harriet sul forum di EFP; potrete
trovare qui il topic e il regolamento del contest.
Approfitto
di questo spazio per ringraziare la suddetta promotrice di quest'iniziativa, ma
anche alcune persone che frequentano questa sezione e che sono state così
gentili da lasciarmi delle recensioni che mi hanno riempito di gioia! Grazie
davvero, Kuri, Renki-chan, Selia, Freakishly_strong, e naturalmente anche a
Kairi e alle mie amiche! Spero che anche questa storia possa essere di vostro
gradimento; e siccome qui si tratta di un caso "da Holic" inventato, se qualcosa vi sembra
poco plausibile o voi dareste diverse interpretazioni alla cosa, come sempre
ogni discussione con me è la benvenuta!]
Tsuki
Cosa c’era di meglio di una pausa pranzo sotto gli alberi,
nell’angolo più tranquillo del giardino, con tutte le cose che gli piacevano da
mangiare, e con una ragazza carina e adorabile come Himawari?
C’era, eccome se c’era.
Mangiare sotto gli alberi, nell’angolo più tranquillo, le sue
cose preferite, con Himawari… senza quell’idiota di Doumeki.
Watanuki si lasciò andare a un melodrammatico sospiro, ad uso
e consumo del ragazzo seduto davanti a lui, ma siccome quello non sembrava
recepire il messaggio, pensò che in fondo era meglio lasciar perdere, e
dedicarsi alle molto più interessanti polpettine.
“Come mai sospiri, Watanuki-kun? Non ti senti bene?”
“Ma no!! Mai stato meglio, Himawari-chaaan!” trillò
immediatamente lui, e per chiarire il concetto sventolò le braccia in una
bizzarra danza. Quando però un paio di polpettine se ne rotolarono via e
Himawari fece udire una risatina, si riafflosciò mestamente sul suo pranzo.
“Non ti sarai stancato troppo?” insistette poco dopo la
ragazza. “Lavori quasi tutti i pomeriggi… e lì nel negozio di Yuuko-san capitano
sempre cose così strane… A proposito… poi non ci hai più raccontato come è
finita con quella cliente della fotografia stregata!”
“Ah… già, è vero… era un sacco di tempo fa, però poi ci sono
state diverse cose nel mezzo e…” Watanuki tacque, un po’ imbarazzato. Diverse
cose nel mezzo… che includevano tutta la vicenda del ragno, una cosa così
grossa che ancora non sapeva bene come affrontarla o cosa dire, specialmente a
Doumeki. Ma per fortuna, lui non commentò.
“Allora, quella storia?” si limitò a sollecitare, chino sul suo
bento.
Lieto del cambio di argomento, Watanuki raccontò cos’era
successo alla strana fotografia e alla sua proprietaria. “Incredibile!” esclamò
alla fine Himawari a bocca aperta, ma lui a ripensarci si sentiva solo
rabbrividire. Ogni tanto Yuuko era così… tremenda… Non che quella donna non se
lo fosse meritato, ma la cosa era tremenda lo stesso.
Scese un po’ di silenzio fra i tre. Himawari era rimasta con
le bacchette in mano, pensierosa. Doumeki si girò verso di lei. “Tutto ok?”
“Oh, certo, Doumeki-kun, grazie!” si riscosse lei,
sorridendogli; gli occhi di Watanuki mandavano saette. “Stavo solo riflettendo…
Watanuki-kun, ma non sono venuti mai clienti maschi nel negozio di Yuuko? Oppure
sono io che non me ne ricordo, o tu che non ce ne hai mai parlato?”
Anche Watanuki smise di mangiare, un po’ sorpreso della
domanda. “Ah… non so… però, in effetti, ora che mi ci fai pensare, da quando ci
lavoro io, vediamo… c’è stata la ragazza dell’anello, con il vizio di mentire…”
“Chi?” chiese Himawari, ma il compagno di classe era perso
dietro al suo ragionamento.
“…quella mamma che stava troppo al computer…”
“E vi ricordate la nostra tirocinante?” fece turbata
Himawari.
“…le gemelle, lo Spirito della Pioggia…”
“…e quella signora.” intervenne Doumeki. Watanuki girò la
testa da un’altra parte, di nuovo imbarazzato; anche senza precisazioni aveva
capito benissimo a chi si riferiva l’arciere.
“Insomma…” concluse il ragazzo. “è vero, non mi ricordo di
nessun uomo che sia venuto al negozio. Ma dai, sarà un caso, no?” Finì la frase
sorridendo, per alleggerire un po’ l’atmosfera. Himawari ricambiò, e attaccarono
a parlare dei compiti.
“Un caso…” ripeté Doumeki tra sé e sé, ma gli altri non lo
sentirono.
Erano quasi le sette quando Watanuki uscì di casa sconsolato
per recarsi al suo cosiddetto “part time”. Ne avrebbe fatto proprio volentieri a
meno, quella sera: non aveva finito i compiti e la mattina dopo avevano pure
un’esercitazione. Gli sarebbe toccato studiare dopo cena, accidenti… e gli era
appena venuto in mente che non si era stirato la tuta da ginnastica… Il
tintinnio delle campane del vento appese alla porta di Yuuko coprì i suoi
borbottii di malumore.
“Ehi, di casa! Eccomi qua…”
“Tu…” lo accolse una voce da oltretomba.
Mentre Watanuki faceva un salto all’indietro, Yuuko si
materializzò davanti a lui, ancora con una specie di camicia da notte addosso,
struccata, i capelli sciolti e un bicchiere in mano.
“Ragazzino” gli puntò contro un indice accusatorio. “non sei
venuto a preparare il pranzo! E neanche la merenda! E qui c’è un sacco da fare!”
se ne uscì scocciata, facendo un gesto verso il cesto della roba sporca e gli
asciugamani da stendere buttati su una sedia.
Watanuki esplose. “Si dà il caso che io oggi avevo scuola
anche di pomeriggio, lo sai benissimo! Quindi sono rimasto a mangiare lì, e
siccome non ho il dono dell’ubiquità…”
La maga liquidò le sue proteste sventolando una mano e
sparendo dietro lo shoji di camera sua. Il ragazzo aveva ancora una bella lista
di cose da urlarle contro, ma parlando con lei si era ricordato la conversazione
di qualche ora prima. Sospirò, nel tentativo di calmarsi, e si mise a
raccogliere gli asciugamani.
“A proposito, sai, oggi a pranzo ero con Himawari-chan e lei
mi ha domand…”
“E non c’era per caso anche Doumeki?” Uno spiraglio della
porta scorrevole si aprì sul sorrisetto malizioso della donna.
“Yuuuuko-san!!” Mollò la roba a terra per andare a
strozzarla, ma lei aveva già richiuso lo shoji sghignazzando, e l’unico
risultato fu che gli toccò raccattare daccapo tutto.
“Dicevo… oggi Himawari-chan mi faceva notare che finora ho
visto solo clienti donne qui al negozio… Ma ci saranno venuti anche uomini, no?”
“La cara Himawari-chan ha sempre a che fare con cose un po’
particolari…” disse sibillina la voce da dietro lo shoji. “Però, se ben ricordi,
sono venuti qui anche quei viaggiatori… Shaoran e i suoi compagni.”
“E’ vero!” esclamò a bocca aperta Watanuki. “Non ci avevo
pensato! Anche se… insomma, in realtà io per ‘clienti’ intendevo più…”
“Ho capito. Pensavi ai clienti più… diciamo così… ordinari,
non è vero? Comunque, certo, ce ne sono stati anche di uomini.”
“Ah, allora avevo ragione, è solo una coincidenza…”
“Coincidenza… caso…” cominciò la voce, e Watanuki si pentì
immediatamente di essersi lasciato sfuggire quella parola fatale. Per
risparmiarsi la tiritera sull’Hitsuzen recuperò in fretta tutti gli asciugamani
e scappò a stenderli fuori.
Era il tramonto, e il cielo sfumava in sciabolate di rosso e
arancio, diffondendo un velo d’oro nell’aria e sulle cose. In alto, dove era
ancora azzurro, già si vedeva biancheggiare appena accennata una falce di luna.
Non si era allontanato che di
pochi passi dalla porta quando notò che qualcuno si era fermato davanti al
cancello, esaminandolo incerto. Appena vide il ragazzo, la persona attraversò di
corsa il cortile, e in un attimo fu davanti a lui.
“Mi scusi, magari mi sbaglio…
ma è forse questo… il negozio dei… desideri?”
Era un uomo.
Un uomo sulla trentina, non
alto ma robusto, piuttosto scialbo come aspetto se si escludeva la particolarità
dei capelli quasi biondi, color paglia, che non parlavano chiaramente la stessa
lingua degli occhi neri a mandorla. Chissà come mai, ma Watanuki si stupì delle
origini miste che dimostrava quel tipo prima del fatto che fosse proprio… un
uomo.
“E’ questo? Per favore?”
…oh, santo cielo, era un
cliente… incredibile… e dire che ne avevano parlato solo quel pomeriggio, e solo
due minuti prima con Yuuko… incredibile…
“Sì, è questo il negozio…”
Gli occhi di lui si
illuminarono. “Grazie! Grazie, avevo veramente bisogno di lei, mi avevano
parlato di questo posto che si può vedere solo se…”
“A-aspetti un momento” lo
interruppe Watanuki. “guardi che non–”
“Oh, la prego, ho assolutamente
bisogno di…”
“Mi faccia parlare! C’è un
errore, in realtà non sono…”
L’uomo s’immobilizzò di colpo.
“Come, un errore?”
“Sì, se aspetta un attimo le– “
“Non è possibile!” urlò lui.
“Non è possibile, il posto è questo, me l’hanno detto!” E tutto d’un tratto
aveva afferrato il ragazzo per la camicia, e lo strattonava. “Ne sono sicuro! E’
questo, deve per forza essere questo il posto che mi serve, hai capito?
Devi dirmi…”
“Il negozio è questo, ma sono
io la proprietaria. Sono io colei che esaudisce i desideri.”
Yuuko era apparsa sulla soglia,
altissima, splendida, avvolta in un kimono rosso.
L’uomo lasciò andare Watanuki, e alzò gli occhi verso la
donna, improvvisamente senza fiato e senza parole. Chissà se era per la sua
bellezza, o per la cascata di quella stoffa dall’aria così preziosa, o se per
l’aura di potere che vibrava visibilmente attorno alla sua persona, come aria
increspata dal calore, o come un profumo intenso. Quando lei gli fece cenno di
seguirla, restò ancora un poco immobile, poi si decise ad avviarsi dentro.
Watanuki si risistemò la camicia, raccolse gli asciugamani
che gli erano caduti a terra. Infine, con un sospiro, andò anche lui dietro alla
maga e al cliente. In realtà, la sua idea era quella di chiudersi in cucina:
quell’aggressione inattesa l’aveva lasciato piuttosto scosso, e continuava a
sentire addosso la sgradevole sensazione delle mani dell’uomo, simile a quelle
impressioni che rimangono dopo un incubo a macchiarti, in qualche modo, tutta la
giornata. Ma appena entrato nella sala, Yuuko, già seduta al solito tavolo, gli
ordinò “Il tè, Watanuki, grazie.”
Sbuffando, il ragazzo si trascinò in cucina. Si aspettava di
trovare Maru, Moro o qualche altra creatura pronta a rompergli le scatole, ma
invece la stanza era vuota –anzi, pareva che l’intera casa fosse vuota, non si
sentiva un rumore. Beh, meglio, poteva preparare il tè in santa pace, e metterci
più tempo possibile.
Tornò poco dopo per portare intanto tazze e biscotti, e
l’uomo si era appena seduto. Si fissava le mani e non sembrò nemmeno accorgersi
del ragazzo, ma del resto, anche Yuuko non lo degnò di uno sguardo, impegnata
com’era ad accendersi la pipa. C’era tensione nell’aria, e Watanuki pensò che
era meglio sbrigarsi a rientrare in cucina.
“Allora, se sei qui, significa che c’è qualcosa che
desideri.” sentì esordire la maga.
“Io…” L’uomo alzò gli occhi a guardarla, sembravano ansiosi,
supplichevoli. “Lei… è vero che può esaudire qualsiasi desiderio?”
“E’ vero.”
“Qualunque cosa?” insistette, gli occhi più spalancati
ancora.
“Qualunque cosa.”
“Io… desidero… una donna. Una donna che non posso avere.”
L’aveva detto con un filo di voce, lo sguardo si era spento
ed abbassato di nuovo. Mentre gli voltava le spalle, Watanuki sentì una specie
di delusione sciogliersi dentro di lui. D’accordo, ‘delusione’ era un po’
esagerata come definizione, però… da quel tipo si era aspettato qualcosa di…
diverso, di più. Cioè, aveva urlato in quel modo, lo aveva preso per il bavero,
e poi c’era quella tensione nella stanza… pensava che il suo desiderio sarebbe
stato qualcosa di terribile, o pericoloso, come con quell’insegnante e la Zampa
di Scimmia… e invece, si trattava solo un innamorato non corrisposto. In qualche
modo, la cosa non sembrava così grave.
“Perché dici che non la puoi avere?” interrogò Yuuko, lo
sguardo impassibile.
“Perché… beh, perché lei non mi vuole. Io la amo… da sempre,
sono anni, dalla prima volta che l’ho vista. Era una sera, in un locale… era
così bella. Si chiama Tsuki, come la luna.” La voce si era persa in un sussurro.
Ci fu una pausa, poi lui riprese, sempre senza guardare la maga. “Ci ho provato.
Decine di volte, ci ho provato. Ma è testarda. Dice che sono simpatico, e tutto,
però non ha intenzione di stare con me. Nemmeno provarci. Ma io… non posso
rassegnarmi, non posso… la penso… tutto il giorno, tutti i giorni.”
Watanuki posò i cucchiaini e si allontanò col vassoio
sottobraccio. Adesso gli era tornata la sensazione di prima. C’era qualcosa di…
sbagliato in quell’uomo. Non sapeva dire cosa. Ci pensò mentre preparava il tè.
Non avvertiva niente di soprannaturale in lui, però certo, era lecito chiedersi…
Perché mai non aveva lasciato perdere quella donna dopo tutto quel tempo, quando
era così chiaro che non lo ricambiava? Ce n’era di gente strana, al mondo… E poi
diceva che lei era testarda… e lui cos’era, allora?
Il bollitore fischiò, e al ragazzo passò un pensiero nella
testa, chiarissimo. Forse quell’uomo non era solo testardo, era… ossessionato.
C’era una bella differenza. Un’ossessione. Quella parola gli faceva
venire la pelle d’oca. Perse un sacco di tempo a trafficare col bollitore.
Poco dopo, però, sentì che di là i toni della discussione si
erano accesi, la voce maschile si era alzata di nuovo. Un po’ allarmato,
Watanuki si affrettò ad uscire dalla cucina, con la teiera sul vassoio.
L’uomo era in piedi, i pugni sul tavolo. Yuuko lo guardava
dritto negli occhi, stringendo la pipa tra le labbra.
“Come sarebbe a dire?”
“Sarebbe a dire” Il profilo della maga si perse dietro lo
sbuffo del fumo. “che l’amore non si può creare. Nessuno può fare in modo che
quella donna si innamori di te.”
L’uomo le rise in faccia. “E questo me lo chiama ‘realizzare
qualunque desiderio’, eh?”
Lei non rispose, ma girò lo sguardo su Watanuki, che si
affrettò a riempire le tazze.
“Non mi sembra poi una cosa così… difficile, o strana.”
riprese il cliente. “Credo che un sacco di gente vorrebbe stare con persone che
non può avere.”
“Senza dubbio. E qualcuno è anche venuto qui.”
“E allora?” sbottò, i pugni sempre più serrati.
“Ho sempre cercato di far capire loro che… stavano sbagliando
a formulare il loro desiderio.”
L’uomo sbatté la mano sul tavolo. I cucchiaini tintinnarono,
e stavolta il commesso intervenne.
“Ehi!”
“Ma come si permette?” gridò quello, dando l’impressione di
non aver nemmeno sentito il ragazzo. “Come può dire che sto sbagliando, che
questo non è quello che dovrei chiedere? Ma che diavolo ne sa, lei? Questo è il
mio vero, il mio solo desiderio!”
“Evidentemente non hai capito quello che intendevo dire.”
disse Yuuko, e il fumo finalmente si disperse, per rivelare la sua espressione
serissima. “Non ho niente per te, solo un consiglio. Esci, e non tornare, perché
questo non è posto per te.”
“Mi sta buttando fuori?” chiese, con aria di sfida.
“No, no ti sto buttando fuori. Ti sto solo dicendo che qui
non puoi trovare nulla che possa renderti… felice.” rispose lei, sottolineando
l’ultima parola, come se fosse molto importante.
“Questo non è forse il posto dove ‘si esaudiscono i desideri’?”
Il tono canzonatorio della frase non piacque per nulla a Watanuki, che si
ritrasse.
“E’ così, te l’ho già detto.”
“E allora le ho già detto anch’io che il prezzo non è un
problema! Darei tutto, tutto, perché lei mi amasse!”
L’uomo boccheggiava. Watanuki si ritrasse ancora, gli
sembrava che dovesse succedere qualcosa, da un momento all’altro… ma Yuuko si
limitò ad aspirare un’altra boccata dalla pipa. Soffiò via il fumo, l’aria si
caricò ancora di più di quell’aroma denso, che annebbiava i pensieri… Emergevano
soltanto gli occhi penetranti, indecifrabili della maga, e le sue labbra dipinte
di rosso, che si dischiusero per sussurrare…
“Ripensa meglio al tuo desiderio. E non tornare più qui.”
_________________________
Nonostante fosse già autunno, e lui si trovasse già a dover
spazzare foglie gialle e fruscianti dal cortile, quel giorno faceva un caldo
quasi da estate. Probabilmente, rifletté Watanuki, era per quello che la sua
datrice di lavoro si era messa addosso quel pezzetto di stoffa che con sforzo
d’immaginazione si poteva definire ‘minigonna’. Per ora, Yuuko se ne stava
distesa lì fuori sulla sdraio a lamentarsi dell’afa, ma Watanuki sperava che non
avesse in programma di uscire, almeno non vestita in quel modo… forse sarebbe
stata più fresca lei, ma avrebbe fatto venire le caldane a tutti gli altri. E si
sentiva già sprofondare sottoterra al pensiero di doverla accompagnare e di
sostenere le occhiate della gente e lo spasso di quella pazza d’una maga…
Oh, no, ecco, l’aveva fatto. Si era alzata. Guai in arrivo,
guai in arrivo. Il ragazzo si schiarì la voce, cercando di farla suonare il più
possibile naturale.
“Ehm… Yuuko-san… che fai, esci?”
Ma lei si diresse invece verso la casa. Arrivata sulla porta
si fermò, si girò verso il ragazzo con un’espressione che lui non riuscì a
capire. Di certo non sorrideva, però.
“No, non esco. Abbiamo un cliente.”
Mentre lei spariva nell’ombra dell’ingresso, Watanuki
d’istinto si guardò alle spalle.
Guai in arrivo.
Al cancello, i capelli color paglia mossi da un soffio di
vento, c’era quell’uomo.
Quando Watanuki entrò, Yuuko aveva già preso il suo posto al
tavolo nell’angolo, e il cliente stava sedendosi anche lui. Come l’altra volta.
L’altra volta, dopo che lui se n’era andato di corsa
sbattendo la porta, Yuuko era rimasta là un bel po’ di tempo, a finire
lentamente il suo tè. Il suo commesso le aveva fatto qualche domanda, ma senza
ottenere granché. Infine, si era risolto a chiederle la cosa che gli era rimasta
più impressa di tutte.
“Yuuko-san… cosa c’era di diverso con questo tipo? Voglio dire, non gli hai
chiesto come al solito un prezzo per il suo desiderio… non hai esaudito quello
che voleva… come mai gli hai dato solo un… consiglio?”
Un lungo
sorso dalla tazza. Sul posacenere, la pipa ormai spenta liberava ancora un
sottile arabesco di fumo.
“Perché
ho voluto provare a dargli una possibilità. Perché ci sono cose che sarebbe
meglio cercare di non far accadere, di evitare.”
“Ma tu
non dici sempre che esiste solo l’Inevitabile?”
I grandi
occhi di Yuuko, accesi di un riverbero rosso come il suo kimono, l’avevano
guardato. E poi, lei aveva sorriso. Un bellissimo sorriso.
“Si
direbbe che stai finalmente cominciando a imparare qualcosa, Watanuki! Un
bicchiere di saké per festeggiare!”
Era
stato un bellissimo sorriso, che l’aveva lasciato sorpreso ma anche
inesplicabilmente contento. E poi quel sorriso si era trasformato in una risata,
e poi avevano cominciato a litigare e poi era stato tutto come sempre.
Non era passata neanche una settimana, ed ecco daccapo quella
scena. Identica, con l’uomo che guardava in basso e la maga seduta a gambe
accavallate. Watanuki non capiva bene il perché, ma adesso non gli sembrava più
provocatoria e altezzosa come poco prima. Aveva semplicemente indosso una gonna.
Nera. E anche il suo top era nero, e così i suoi capelli, le sue ciglia ed i
suoi occhi.
“Buonasera.”
Yuuko non rispose a quel saluto un po’ incerto; si limitò a
voltarsi verso Watanuki, con uno sguardo che lui interpretò come ‘porta un tè
freddo’. Avviandosi in cucina, sentì la voce alle sue spalle parlare di nuovo.
“Beh, se posso entrare in questo negozio, vuol dire che era
destino, non è vero?”
Il tono di quel tizio non gli piaceva, non gli piaceva
proprio per niente. Questa volta fece in fretta a portare i bicchieri e la
caraffa, e anche se Yuuko lo congedò con un’occhiata, lui si infilò invece
nell’altra stanza lasciando lo shoji socchiuso, per continuare a vedere e a
sentire.
“Io… guardi che l’ho seguito, il suo consiglio. Ci ho
ragionato bene, su quello che vorrei. Ma crede che non l’avessi già fatto? Che
non ci sia stato a riflettere da millenni? Gliel’ho detto che penso a lei tutti
i giorni, tutte le notti… Che consiglio stupido, non è cambiato niente in quello
che voglio, è ovvio! Io voglio lei! Io voglio che lei stia con me!”
La maga sembrava giocherellare distrattamente con un
ombrellino di carta che il suo tuttofare le aveva messo nel bicchiere. Quando
rispose, anche la sua voce suonava lontana.
“A me non sembra, invece, che non sia cambiato niente.”
L’aveva detto in un bisbiglio, e nonostante il “prego?” di
lui non aveva voluto ripetere.
“Oh, insomma, a che gioco stiamo giocando? Io le dico che
questo è il mio desiderio… lei mi chieda un prezzo, e me lo realizzi! E’
così che funziona, no? Ci vuole così tanto?”
“Ti ho già detto che questo non è possibile.” Più che la voce
di lui si alzava, più che quella della maga era, per contrasto, calma. “Perché
non c’è nulla che possa fabbricare l’amore. Nulla che possa costringere una
volontà a questo, che è uno degli atti più liberi. Non esiste un distillato
d’amore, come non esiste per l’odio; non esiste nessuna forza in grado di
manipolare le scelte degli uomini.”
Il fracasso della sedia spinta via, l’uomo si era alzato
un’altra volta in piedi. “Perché non lo dice subito, che è una ciarlatana,
invece di stare tanto a chiacchierare? Ormai l’ho capito, è inutile perdere
tempo… lei non ha nessun potere, è chiaro come il sole.”
Watanuki sentì Yuuko far tintinnare il ghiaccio nel suo
bicchiere; da quella distanza non poteva vederla, ma s’immaginava che ora avesse
sulle labbra quel lieve sorriso inquietante che esibiva in certe situazioni.
“Oh, è vero, anche quello che credi è importante… se credi
che io non abbia nessun potere, allora è proprio così… in effetti, non posso
fare niente per te.”
“Ma che filosofia! Parole, soltanto parole! Lei usa la bella
presenza e le chiacchiere per incastrare la gente, ma stavolta le è andata
male!”
Adesso, anche il ragazzo riusciva a distinguere il sorriso
enigmatico, inesorabile della maga.
“Di nuovo, hai ragione… spesso non sono che parole… spesso la
loro potenza è più che sufficiente… anche se sembra strano che ne abbiano una,
no? Sono fatte d’aria, di vento, leggere, le parole volano, come… come
farfalle…”
E d’improvviso ci fu un esile bagliore, e la farfalla
ricamata sulla maglia di lei si mosse, batté le ali, e un instante dopo era lì,
vera, reale, a dondolarsi sul dito della donna…
L’uomo si allontanò di scatto, gli occhi sbarrati. Aprì la
bocca per parlare, ma non riuscì a trovare alcun suono… E allora corse via,
fuori, lasciandosi alle spalle l’eco dei suoi passi sul legno, e il sussulto dei
vetri della porta sbattuta.
Questa volta, aveva lasciato perdere le domande. Aveva deciso
che era meglio non pensarci. Del resto, se doveva preoccuparsi di tutti i
problemi di tutti i clienti di Yuuko… E così, Watanuki aveva preparato in
silenzio la cena (riso freddo, se le avesse fatto qualcosa di caldo con quella
temperatura Yuuko l’avrebbe ammazzato) e apparecchiato fuori, nel cortile (forse
Yuuko si sarebbe lagnata meno della calura…). Adesso stava raccogliendo le sue
cose per tornare a casa.
“Yuuko-san, io vado! Ti ho lasciato tutto lì fuori!”
Silenzio. Mai che si sprecasse almeno a rispondere…
Andò a cercarla, era nella sua camera, distesa a leggere.
“Ehi, Yuuko-san! Dicevo, è pronto, ho lasciato…”
“Ho capito, sai! A volte sei così assillante, Watanuki…”
sbuffò lei con aria tragica. Buttò giù le lunghissime gambe dal letto, e si
avviò alla porta.
Watanuki si trovava alquanto impegnato a stringere i denti e
i pugni per non sbraitarle addosso, ma nell’attimo in cui lei gli passò davanti,
qualcosa lo distrasse dalla sua ira. La farfalla… la farfalla era ritornata
sulla maglia della maga, immobile, nulla più di un semplice ricamo di cui si
vedevano bene i fili e i punti.
“Yuuko-san…”
“Che c’è?”
Si era fermata alla porta scorrevole, un vago sorriso sulle
labbra.
“Anche se gli hai detto che non puoi fare nulla per lui…
tornerà, quel tipo?”
“Watanuki, ma che orecchie grandi che hai… abbiamo origliato,
eh?”
“Sei insopportabile!” L’odio verso Yuuko risalì
immediatamente a toccare la tacca massima.
“Se tornerà? Forse sì, forse no…” disse lei, e uscì.
Il ragazzo sospirò, cercando di ignorare il fatto che il tono
della maga non fosse stato per nulla leggero.
Mentre usciva anche lui, notò il libro che Yuuko stava
leggendo prima lasciato su un tavolinetto. Era una raccolta di haiku: anche lui
ne aveva letti alcuni per la scuola, ed era un genere di poesia che gli piaceva,
per l’immediatezza e insieme l’intensità con cui riusciva a dipingere scorci di
natura. Il libro era aperto ad una pagina: tre versi brevi, nero su bianco,
semplicissimi.
Raggi
tra le foglie
e sul
mare buio, ma la luna
è sempre
troppo lontana.
_________________________
Qualche giorno e un brutto voto in matematica dopo, Kimihiro
Watanuki si stava incamminando verso il negozio, con la ridente prospettiva di
passare il resto del pomeriggio e la sera a far da schiavo alla maga. Aveva già
fatto la spesa, e il peso delle buste si aggiungeva a quel caldo fuori stagione,
che ancora non accennava a sparire. E a tutto ciò andava sommato il malumore per
il compito andato male: era tutta colpa di Yuuko, che l’aveva asfissiato senza
lasciargli il tempo di studiare per bene… Già, tutta colpa sua. Doppiamente
colpa sua. Perché la mattina del compito, uscendo per andare a scuola, aveva
visto in giro quell’uomo, quel cliente del negozio, e il pensiero che abitasse
nella zona (o che ci abitasse la sua famosa donna…) gli aveva stretto lo stomaco
in una morsa di nervosismo. E, alla prima ora, l’esercitazione era andata
com’era andata.
Maledetta Yuuko.
Per fortuna, il supermercato si trovava a metà strada tra
casa sua e quella della maga: non aveva da camminare ancora molto. Si fermò al
semaforo per attraversare il viale, assieme ad un piccolo gruppo di altre
persone.
“Le hai telefonato, poi? Come sta?” stava chiedendo la
ragazza accanto a lui alla sua amica.
“Guarda, bisogna che andiamo a trovarla, o che la facciamo
uscire un po’. Te lo giuro, mi ha fatto quasi paura, è talmente preoccupata… mi
ha detto che quel tipo si è fatto ancora più assillante. Non fa che chiamarla…
Se lo trova sotto casa a tutte le ore, addirittura l’ha anche minacciata…”
Watanuki restò impietrito. Non era… possibile… Una ragazza con
qualcuno che la tormentava… in quella zona… che le due stessero parlando proprio
di Tsuki, la donna di cui era innamorato il cliente?
“Ma è terribile!” fece l’altra. “Sono secoli ormai che le va
dietro, però a questi punti non c’era mai arrivato… è ora di chiamare la
polizia, gliel’hai detto?”
Ma Watanuki non seppe mai se la loro amica avesse avvertito
la polizia, perché il semaforo scattò e le due attraversarono più in fretta di
lui. Provò la tentazione di seguirle, di fermarle… poi si diede dello stupido.
Ma era impazzito? Con quelle buste pesantissime? Doveva soltanto filare da
Yuuko, e subito. Ma poi, andiamo…perché doveva essere per forza lui la persona
di cui le due stavano parlando? Non era certo l’unico importuno sulla faccia
della terra. Eppure, Yuuko diceva sempre che non esistevano coincidenze…
Passò il resto della strada a cercare d’immaginarsi il viso
di Tsuki –fino ad allora, non aveva mai pensato a come doveva sentirsi lei.
L’uomo si era insinuato anche troppo, assurdamente, tra le sue inquietudini, al
punto che aveva paura di vederlo comparire al cancello del negozio, e che al
solo incontrarlo si era agitato tanto da far andare a rotoli un compito; ma la
ragazza, che fosse lei o no quella di cui parlavano le due passanti… Realizzò in
quel momento che era lei quella di cui avrebbe dovuto preoccuparsi. Se la
vedeva, a scostare le tende dalla sua finestra, e a guardare angosciata giù in
strada… due occhi tristi dietro tende bianche.
Oh, Dio, per favore, ti prego,
fa’ che vada tutto bene…
Una preghiera per una donna sconosciuta, che si era
affacciata tra le sue riflessioni spontaneamente, improvvisa e chiara come uno
sbuffo di fumo nell’azzurro del cielo. Con la stessa semplicità con cui si
disegnavano nella sua mente i volti, i nomi dei suoi amici, di Yuuko-san, quando
al tempio, nei giorni di festa, giungeva le mani e chiudeva gli occhi. E non gli
sembrò strano pensare in questo modo ad una persona che non aveva neanche visto.
In fondo, nessuna preghiera era mai sprecata.
Finalmente, ecco il negozio. Trascinò le buste della spesa
per l’ultimo tratto del cortile, e nel frattempo la sua mente subì un brusco
cambio di direzione perché si ricordò che, accidenti, non aveva avvertito Yuuko
che sarebbe venuto, e quindi avrebbe dovuto bussare per almeno mezz’ora prima
che lei si degnasse di venirgli ad aprire… E invece, alzando gli occhi, si
accorse che la porta era già aperta. Oh… magari stavolta quella malefica strega
aveva usato i suoi poteri per qualcosa di utile, prevedendo il suo arrivo?
Attraversò la soglia appena un po’ rincuorato.
Ma appena mise piede nel corridoio, quella sensazione fu
cancellata in un colpo solo. Le buste gli caddero a terra. Era come se la
temperatura fosse crollata di parecchi gradi. L’aria… c’era qualcosa di…
sbagliato nell’aria, sembrava essersi ghiacciata, e intrappolarsi nei polmoni ad
ogni respiro…
Che cosa… diavolo… stava succedendo?
“Yuuko-san!”
Corse nella sala, serrato da un fulmineo, inesplicabile
brutto presentimento…
…e lo sapeva.
Davanti al tavolo dove sedeva Yuuko c’era l’uomo dai capelli
chiari. In piedi, l’espressione quasi folle, ansimava; a terra e sul tavolo
luccicavano i frammenti di una tazza di porcellana, una di quelle in cui la maga
aveva servito il tè, certamente… e l’uomo si teneva stretta la mano destra.
Forse aveva rotto la tazza e si era tagliato?
La scena restò immobile davanti agli occhi del ragazzo per un
tempo indefinibile, forse infinito, ogni cosa sembrava sospesa ed era come se
non si dovesse muovere mai più, come se da quel punto in poi non potesse
succedere più nulla… no, non sarebbe successo più nulla, se aspettava ancora un
altro poco quell’uomo sarebbe scomparso…
E poi la maga spezzò quella stasi, alzandosi in piedi con
gesti estremamente lenti. Watanuki poteva seguire ogni singolo movimento, ogni
piega che si apriva nella seta blu notte, cangiante, del suo kimono…
“Qual è il tuo desiderio?” chiese, con voce fredda, fissando
il cliente negli occhi.
L’ondeggiare di quella veste dal colore ipnotizzante sembrava
aver in qualche modo calmato l’uomo. O forse era stata la sorpresa di sentire di
nuovo quella frase, il tono della maga? O magari era che aveva percepito
l’intensità, la gravità di quel momento, quello decisivo, quello in cui le
parole parevano scolpirsi nell’aria, come in una roccia?
Parlò piano, ad occhi chiusi, mite come la prima volta che
aveva espresso la sua richiesta.
“Io… voglio stare con lei… per sempre.”
Ancora impietrito sulla soglia, Watanuki trattenne il fiato…
cosa avrebbe detto questa volta Yuuko per rifiutare? Poteva riuscire a
convincerlo?
“Bene.”
Solo quello. La donna disse solo quello.
“Yuuko-san…?” chiese con un filo di voce, interdetto; non era
possibile… Ma lei era completamente concentrata sul cliente, e, per la prima
volta, il ragazzo ebbe la sensazione di non esistere affatto nei suoi pensieri.
“O meglio, non è bene…” sussurrò la maga, distogliendo lo
sguardo. “Ma ad ogni modo, è così. Deve essere così. Accordato. Esaudirò il tuo
desiderio.”
L’uomo sembrava più sbalordito di Watanuki: adesso la sua
espressione era vuota, un foglio completamente bianco su cui scorrevano solo
vane parole d’incredulità. “Come…? Ma… dice davvero?”
“Non farmi ripetere.”
“Il mio desiderio… davvero diventerà… realtà? E… il prezzo?”
“L’hai già pagato.”
“Come?” fecero all’unisono il ragazzo e il cliente. Ma ancora
una volta, Yuuko si rivolse solo all’uomo, con la stessa voce distante e gli
occhi immobili.
“Ti ho detto che l’hai già pagato. Quello che hai chiesto
sarà esaudito, il pagamento è assolto… Il contratto magico è chiuso. Finito.
Puoi andare, se vuoi.”
Tutto si sarebbe immaginato Watanuki, fuorché che la maga
accogliesse sul serio la richiesta di quel tipo così strano… Ma, se ne rese
conto in quel momento, se c’era una cosa che veramente si era aspettato, era di
vedere a quel punto la gioia, l’euforia nello sguardo di quel fissato. E invece…
niente. Il suo volto restava vacuo, stupefatto, quasi l’uomo non avesse mai
davvero contemplato la possibilità di veder realizzato il suo desiderio.
“Ah… va bene.” mormorò, confuso. “Se è così… credo proprio
che andrò, sì… allora… arrivederci.”
La Strega delle Dimensioni non
rispose.
L’uomo accennò un inchino, la frangia bionda scese a
coprirgli gli occhi velati, e solo quando si rialzò a Watanuki parve di cogliere
un lampo in quello sguardo. Non di gioia, però. E poi, così diversamente da come
era stato in tutte le altre occasioni, questa volta l’uomo diede loro le spalle
e attraversò il corridoio senza fretta, senza alcun rumore. Infine aprì la
porta, uscì, e sparì nella stessa luce del tramonto che l’aveva visto arrivare,
il primo giorno, in quel luogo.
Al ragazzo ci volle qualche minuto prima di riprendersi da
quello che era, o non era, successo. Minuti in cui la maga si avvicinò ad uno
scaffale, prese qualcosa, e poi tornò al tavolino.
“Yuuko-san!” Watanuki si era riscosso, e subito si era
avvicinato a lei, per trovarla con in mano una minuscola boccetta decorata di
fregi d’argento, ad armeggiare tra i pezzi di porcellana: uno era macchiato
appena di sangue. Allora l’uomo si era davvero ferito, prima… “Lascia, faccio
io, vado a prend–”
“No.” esclamò decisa lei. Poi si raddolcì con un lieve
sorriso. “Grazie, Watanuki.”
“Yuuko-san… ma… l’hai fatto sul serio? Davvero hai
accontentato quel tipo?”
“Sì… davvero. D’altronde, è il mio lavoro, no?”
“Ma se prima non avevi voluto! Se prima avevi detto che non
era possibile!”
“Ma questo non era lo stesso desiderio che ha espresso
all’inizio.”
“Come?” Watanuki spalancò gli occhi. “Come no?”
“No, non era affatto la stessa cosa.” ripeté lei, scuotendo
la testa. “E poi, ti ricordi cosa ti ho sempre detto riguardo all’Inevitabile?”
“Ma che c’entra?” ribatté lui, ancora disorientato.
“Certo che c’entra… è lì che si trova la risposta.”
“Io non…” cominciò Watanuki, ma poi si arrese al fatto che,
come al solito, non avrebbe potuto capire di più dalle parole della maga; e poi
lei aveva già riabbassato lo sguardo per occuparsi dei pezzi della tazza.
“Senti, e il prezzo? Almeno questo me lo dici? Lui non sapeva nemmeno di averlo
pagato…”
Con un gesto grave, Yuuko sollevò il frammento macchiato,
prese la boccetta e vi lasciò cadere dentro quell’unica stilla di sangue che si
staccò dal bianco della porcellana.
“Il suo prezzo… è stato questo. Ha pagato il suo desiderio…
con l’ultima goccia d’amore per quella ragazza che era rimasta in lui. Questa è…
l’ultima goccia del suo amore.”
“Cosa…?” mormorò il ragazzo.
“Quello che resta in lui adesso… è soltanto ossessione.”
Watanuki restò immobile, come in trance, ad osservare i
movimenti meticolosi della donna che tappava e sigillava la minuscola ampolla.
Ossessione… Yuuko aveva detto quella parola, quell’esatta parola che lui aveva
pensato il primo giorno che il cliente si era presentato… e che anche adesso gli
correva in un brivido sulla pelle.
“Hai notato” concluse la maga, guardandolo negli occhi. “che
non ha più fatto il nome della sua donna?”
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Quella notte, Watanuki si svegliò con il lamento acuto della
sirena di una, forse due ambulanze. “Yuuko-san…” mugugnò, in bilico sul confine
tra sonno e veglia, perché era immerso in un sogno disordinato dove gli
balenavano davanti la maga e il suo vestito color della notte, e poi ricordi
confusi della scuola, e l’uomo che lo strattonava per la camicia, e poi di nuovo
Yuuko, adesso lontana, lontanissima, irraggiungibile, che non si girava a
guardarlo… “Yuuko…!” gridò, e in quel momento si svegliò completamente.
Le due note, martellanti, della sirena si sentivano ancora, e
gli sembrarono molto vicine al suo palazzo… tanto che, ora che la vista gli si
abituava al buio, riusciva anche a scorgere un chiarore azzurro trapelare dalle
tapparelle. Inforcò gli occhiali, e aprì la finestra: nell’aria fresca della
notte, lo accolse la visione, due incroci più in là, dei lampeggianti di
un’ambulanza e due auto della polizia, a spazzare un buio colmo di gente e di
voci.
Cosa era successo? Un incidente? No, ma non erano in strada,
stavano davanti ad una casa…
E poi, di colpo, un’intuizione. Un presentimento, un
sospetto, non sapeva come chiamarlo. Sapeva solo che aveva la sensazione,
assoluta e orribile, che fosse appena accaduto qualcosa di brutto.
Quell’uomo…?
Perché aveva pensato subito a lui? Era assurdo, assurdo…
Tsuki?
Perché sentiva, in fondo ai suoi pensieri, che era proprio
così?
Perché si stava infilando scarpe, cappotto, e stava scendendo
in strada?
Fece di corsa le scale e percorse metà della via vuota, ma,
arrivato a poca distanza dalle volanti e dalla calca, sentì scemare tutto d’un
tratto l’impulso che l’aveva spinto fin là. Faceva quasi freddo, c’erano alcune
ragazze che piangevano, un odore strano, e i poliziotti sembravano nervosi… Che
ci faceva lui, lì? Si strinse nel giubbotto, vergognandosi di stare a fare il
curioso dove probabilmente c’era stato un incidente, o qualcuno si era ferito…
Stava per allontanarsi, ma per qualche motivo si bloccò
vedendo due agenti farsi strada verso la volante più vicina a lui. Si
inchinarono davanti ad un uomo in borghese che li aspettava là, forse un loro
superiore… e, portate dalla brezza, le loro parole arrivarono a Watanuki,
perfettamente chiare.
“Signore… sì, eravamo nella zona perché ci avevano allertato
nei giorni scorsi, e abbiamo visto lui, il biondo, il maniaco che l’aveva sempre
perseguitata, là sul marciapiede, e lei era a terra… l’uomo… l’uomo era armato,
un coltello, e appena ci ha visti ci è venuto addosso, era impazzito… gli
abbiamo sparato.”
Il resto del discorso parlava di legittima difesa, di scuse,
di ipotesi, ma Watanuki aveva smesso di ascoltare.
Davanti ai suoi occhi, nascosti dalla folla, c’erano l’uomo
ossessionato e la sconosciuta Tsuki per cui aveva pregato, e entrambi, l’aveva
capito, non erano più in vita.
Una voce isterica di donna si alzava nell’aria. “E’ colpa
vostra! Vi avevamo avvertiti, tutti, di quel pazzo, e invece lui è riuscito ad
entrare in casa sua! E lei si è buttata, pur di sfuggirgli si è buttata giù!
Siete stati voi, voi ad ucciderla!”
E infine, quando il ragazzo si sentiva completamente perso,
completamente solo nel vuoto di una tragedia e di tutto quello che non poteva
capire, sentì nel buio, accanto a sé, un profumo noto.
“…Yuuko-san?”
L’alta donna era davvero lì, uno scialle bianco sopra il
vestito della sera prima, a guardare lontano. Solo allora Watanuki si accorse di
stare piangendo, e si affrettò a passarsi la mano sotto gli occhiali.
“Perché sei qui?”
“Perché sapevo che ci saresti venuto tu.”
Guardò gli occhi della donna, strani nel riflesso blu dei
lampeggianti, chiedendosi se quel ‘sapevo’ significasse che aveva letto nel
futuro con i suoi poteri, o che si fosse invece immaginata come avrebbe reagito
lui, con quell’altro misterioso potere di leggergli dentro che a volte sembrava
possedere.
“Hai capito adesso cosa c’era di… diverso con quell’uomo?”
Aveva capito benissimo.
“Ed è così che hai esaudito il suo desiderio? Questo voleva
dire ‘stare con lei per sempre’?” Un’improvvisa rabbia gli infiammò i pensieri.
“Sapevi che sarebbe andata a finire così? Lo sapevi, e gli hai detto lo stesso
di sì?”
“Sapere una cosa non vuol dire poterla cambiare.”
Il ragazzo era sul punto di gridare, mille cose gli
turbinavano nella testa, mille domande a cui ogni volta quella donna non aveva
dato risposta, ma poi… ma poi, ricordò…
“Yuuko-san…” disse in un sussurro. “Però tu… ci avevi provato
lo stesso, a non farlo succedere…”
Lei sorrise, un sorriso mesto assolutamente inusuale sul suo
viso.
“Avrebbe potuto cambiare il suo desiderio… avrebbe potuto
chiedere di essere liberato da quell’amore impossibile. Oppure, se davvero la
amava, avrebbe potuto chiedere che lei fosse felice… e sarebbe stato un
bellissimo desiderio, anzi, non sarebbe stato più nemmeno un desiderio, ma solo
una preghiera. Quell’uomo non ha fatto nulla di tutto questo. Ripensa alle sue
parole, e vedrai che ogni volta che è venuto ha formulato la sua domanda in modo
sempre più egoistico. Finché non è stato più ‘voglio che lei mi ami’, ma
‘voglio
che stia con me’. E questo è quello che… doveva succedere.”
Watanuki abbassò la testa. Aveva capito le parole della maga,
eppure… sentiva che c’era un punto fondamentale che gli sfuggiva, sentiva che
non riusciva a comprendere tutta un’immensità di cose che si agitavano scomposte
sotto quei pensieri, che stavano alla base di quel ragionamento… “Però… quella
ragazza… non è giusto.” fu tutto quello che riuscì a dire.
Lei non rispose. Ma fece una cosa che non aveva fatto mai:
gli passò una piccola carezza sui capelli.
“Non devi preoccuparti sempre di tutto, Watanuki. E non è
bello stare qui. Vai a casa, dai. E’ ora, non credi?”
Watanuki annuì, e restò a guardarla mentre si voltava, e si
allontanava per la strada vuota. Il kimono ricadeva in grandi pieghe ad ogni
passo, con la brezza, i suoi riflessi ancor più singolari tra il buio e
l’oscillare delle luci. Dello stesso colore di quella notte senza luna.
Si decise ad andarsene. Non aveva nulla da fare lì, non c’era
nulla da vedere. Letteralmente, nulla da vedere. Due persone che avevano
occupato per giorni i suoi pensieri erano morte in un modo orribile, e davanti
ai suoi occhi non ce n’era alcun segno, niente di tutto quello che dai film
aveva imparato ad associare a una sciagura –né macchie di sangue, né l’ombra dei
corpi, né le sagome tracciate a terra col gesso. Solo la gente. Per quello che
vedeva, poteva non essere successo nulla.
Stretto nel cappotto, tornò indietro. Ma proprio nel momento
in cui stava passando davanti all’ambulanza parcheggiata al lato della strada,
una sagoma sbucò fuori dal buio ad allontanarlo con una spinta.
“Ehi! Ma che…?”
“Via! Via di qui!” gridò una voce di uomo, mentre altre
figure vestite di bianco spalancavano le porte dell’ambulanza, e per un istante,
lui vide…
…una barella coperta, spinta di corsa, lo scintillio del
metallo, e, scivolato da sotto il lenzuolo, un braccio abbandonato.
Un braccio sottile, una mano di donna, la pelle più pallida
del telo che la copriva…
La pelle bianchissima, perfetta, di Tsuki.
La barella sparì immediatamente dentro all’ambulanza, le
porte si chiusero con fragore e gli infermieri montarono in fretta sul mezzo,
intanto che la polizia scacciava la gente.
Qualcuno urlava, qualcuno spingeva, e le luci del veicolo
erano già in fondo alla strada, ma il ragazzo era restato immobile, a fissare il
punto dove aveva scorto tutto quello che mai avrebbe potuto vedere di Tsuki.
Negli occhi gli era rimasto quel colore, cereo, ma
immacolato, quasi lucente. Come quello della luna.
Una luna, pallida, senza vita e bellissima, che si fosse
fatta largo per un attimo in quel cielo nero –forse ancor più bella proprio per
quel nero, per il dolore e la follia della morte che le facevano da contrasto.
Ma in quel buio, brillava. Come da dietro nuvole di tempesta, brillava. Non
poteva fare niente per il cuore più scuro di quelle nubi, ma occhieggiava in
trasparenza dietro ai bordi, dove la tenebra si sfilacciava; a testimoniare che
c’era, c’era il suo splendore oltre il buio, che anche una bellezza così lontana
e così fragile poteva vincere, per un istante, la più cupa delle notti.
In quel bianco, la vita di Tsuki, di una ragazza che non era
più, ancora per un’ultima volta aveva brillato, aveva colpito lo sguardo. La
vita che il desiderio di un uomo aveva potuto spezzare, che i desideri degli
uomini potevano così facilmente spezzare, era pur sempre vita. E la sua forza
l’aveva fatta, in quel momento, risplendere, l’avrebbe fatta sfolgorare per
sempre nella memoria di un ragazzo, bianca, purissima, la più preziosa di tutte
le cose.
E lui, lo sapeva, non avrebbe mai potuto fare a meno di
pensare un po’ a Tsuki, ogni volta che avrebbe guardato la luna.