Attento a quello che desideri!
Jack Dawson era stupito. Spaventato,
anche, ma soprattutto stupito. Un piccolo esserino ballava sulla sua
scrivania, saltando qua e là, arrampicandosi sulla tazza in
cui teneva le penne, rotolando sui fogli, scalando le pile di cartelle.
Aveva anche immaginato qualcosa del
genere, ma solo in piccolo angolo della sua mente, in un minuscolo
spazio in cui risiedeva la sua parte superstiziosa e mistica.
Lo spiritello si fermò davanti a lui.
Era tale e quale a un essere umano di venti centimetri, con la
differenza che la sua pelle era verde, aveva due piccole corna, quattro
ali – due di farfalla e due di passero – e il muso di gatto. Alla fine,
non era per nulla uguale a un essere umano. Canticchiava sottovoce, o
così sembrava, e la sua intonazione era simile allo stridio di un
chiodo su una lamiera.
L’uomo sollevò il libro, più simile a
una piccola agenda, e rilesse il titolo della pagina.
«Rituale per evocare uno Spirito del
Buono Augurio.» borbottò fra sé e sé.
«Ai suoi comandi, Padrone.» disse
l’esserino.
Jack aveva comprato quel libro la
mattina precedente.
Come ogni domenica, amava passeggiare
nel centro storico della città, infilandosi in vicoli sconosciuti alla
ricerca di strane botteghe e curiose mercanzie. La sua tecnica era
molto semplice: imboccare strade a caso fino a quando non trovava
qualcosa d’interessante e poi imboccare altre strade a caso fino a
quando non vedeva un punto di riferimento per tornare a casa. Quel
giorno era entrato in una vecchia libreria.
Era il classico locale che si trovava
nei racconti: piccolo, buio e polveroso. Il commesso, anche lui pareva
uscito da un certo tipo di letteratura, era un vecchio curvo sotto il
peso degli anni, con una sparuta capigliatura bianca, i cui ultimi
ciuffi stavano appiccati alla fronte sudaticcia, e un paio di pince-nez
dorati sul naso adunco. Alla vista di Jack - un potenziale cliente come
probabilmente non se ne vedevano in quel negozio – sorrise e si sfregò
le mani, come il classico personaggio cattivo di un certo filone
teatrale.
Per farla breve, il talento da venditore
del vecchio non era per nulla arrugginito e con grande dimestichezza
vendette a Jack un vecchio libricino.
Quel vecchio libricino che in quel
momento teneva in mano. La copertina di pelle era consunta, carica di
segni e graffi che ne testimoniavano l’uso, e le pagine avevano
acquisito quella colorazione giallina tipica della carta invecchiata.
Tutte le pagine erano manoscritte e il libro sembrava trattare di
magia. Non riusciva a spiegarsi come quel vecchio libraio fosse
riuscito a venderglielo, spacciandoglielo per un libro da collezione.
“Con un incantesimo!” aveva pensato con sarcasmo, prima di provare a
leggere una delle pagine del libro e scoprire che funzionava.
«Quali sono i suoi comandi, Padrone?»
ripeté lo spiritello per l’ennesima volta.
«Qual è il tuo nome? E cosa sei?»
«Il mio nome magico è troppo complicato
per la vostra lingua umana, ed è troppo lungo. Son uno Spiritello del
Buono Augurio.»
«Forza, dimmi il tuo nome. Sarò io a
decidere se è troppo lungo e complicato.»
L’essere magico cominciò a produrre una
serie di suoni che spaziavano fra il frinire delle cicale e lo schianto
a terra di uno scaffale pieno di pentolame.
Jack lo interruppe e disse: «Va bene, ho
capito. Ti chiamerò Spiba.»
Spiba si mise sull’attenti. «Ai vostri
ordini.»
«Cosa puoi fare?»
«Portare la buona sorte nella vita del
mio Padrone.»
«E come?»
«Posso compiere dei piccoli incantesimi,
stregare le persone, cose di questo tipo.»
«Com’è che sai parlare un perfetto
inglese?»
Spiba fece spallucce. «Sono un essere
fatato, posso parlare qualsiasi lingua.»
«Anche il francese?»
«
Oui.»
«Il tedesco?»
«
Ja!»
«L’italiano?»
«
Sì…»
«Lo swahili?»
«Non crede sia meglio sfruttare i miei
poteri per qualcosa di più utile?»
Jack si massaggiò una guancia, poi si
allungò sulla poltrona. «Hai perfettamente ragione, Spiba. Puoi far
apparire una valigia piena di banconote di piccolo taglio?»
Lo spiritello s’inchinò e disse: «Ai
vostri ordini!»
Dopo pochi istanti, sulla scrivania
apparve una valigetta di pelle nera.
Jack si affrettò ad aprirla. «Ottimo
lavoro, Spiba!»
Il contenuto, però, non era quello che
si aspettava. La valigia era piena, sì, di banconote. Erano, sì, di
piccolo taglio, però non nel senso che intendeva lui. Prese fra indice
e pollice una mazzetta grande quanto il suo mignolo ed
esclamò: «Questi soldi non valgono nulla!»
«Non sono abbastanza di piccolo taglio?»
domandò Spiba. «Posso rimpicciolirli ancora di più, se lo desidera.»
«No, fermo. Lasciamo perdere le
banconote. Così non servono a nulla, puoi pure incenerirle. Proviamo
con qualcosa di più facile.» Jack cominciò a passeggiare intorno alla
scrivania con fare meditabondo. «Proviamo con qualcosa di più
immediato. Una gemma, ad esempio! Sì, voglio una gemma, un diamante.»
Spiba ripeté l’inchino. «Ai vostri
ordini»
Jack tese le mani e su di esse apparve
un pezzo di carbone. Stupito, ritirò le mani e quello cadde a terra,
sporcando il costoso tappeto persiano. «Avevo chiesto un diamante, non
del carbone!» protestò.
«Mi spiace, Padrone.» disse Spiba. «Sono
entrambi allotropi del carbonio e ho pensato che per lei fosse uguale.
In questa zona è più facile trovare questa forma del carbonio,
piuttosto che quella da lei richiesta.» Lo spiritello spalancò le ali e
svolazzò intorno alla testa di Jack, fino a posarsi sulla sua spalla.
«No che non va bene, Spiba!» replicò
Jack, cominciando a scaldarsi. «Il carbone non vale nulla!»
«Capisco.»
«Ma non puoi procurartelo da un altro
pianeta, o un’altra dimensione? O da un mondo magico, che ne so!»
Spiba volò davanti al viso di Jack e
scosse la testa in cenno di diniego. «I miei poteri sono limitati. In
particolare non posso creare nulla e posso soltanto recuperare i
materiali in un raggio di poche decine di metri. Per cose più
complicate potrebbe evocare un demone del primo livello.» Jack lesse
del disgusto sul volto dello spiritello. «Brutta gente, quella! Sono
potenti, certo, ma chiedono in cambio brutte cose. Sacrifici umani,
giovani vergini, foglie di alloro… » Un brivido gli percorse
la schiena.
«Un attimo!» Un pensiero attraversò la
mente di Jack. Corse dietro la scrivania, spostò un quadro – una copia
di un’opera di un pittore italiano di cui nemmeno ricordava il nome – e
aprì la cassaforte.
La parte superiore, in cui teneva i
contanti, era vuota!
«Spiba.» disse. Il suo volto era
diventato rosso come un peperone. «Dove hai preso le banconote che hai
usato per riempire la valigetta?»
«Dalla sua cassaforte, Padrone.» rispose
Spiba, sorridendo. «Ho applicato un semplice incantesimo di riduzione,
per rimpicciolirle e farle diventare di piccolo taglio.» Gonfiò il
petto, fiero della sua intelligenza.
«E ora dove sono?» urlò Jack.
«Incenerite, come mi ha ordinato.»
L’uomo si buttò sulla poltrona. Rosso in
viso e col fiatone. «Era tutta la liquidità che possedevo! Spiba, cosa
hai combinato! Sono rovinato!»
«Mi spiace, Padrone.»
«Il mio cuore, il mio povero cuore. Non
posso permettermi un altro infarto! Puoi recuperarle?»
Spiba scosse la testa.
«Ma che razza di spirito sei! Sei
inutile!» Fece alcuni respiri profondi. «Mi devo calmare. Mi devo
calmare. Ora conto fino a cento, prima che mi venga voglia di
strapparti quelle alucce.»
«Potrei procurarle un nuovo cuore.»
propose Spiba.
«Per portarmi quello strappato dal petto
della mia segretaria?» proruppe Jack, ancora infuriato. «No, grazie!»
In quell’istante, la suddetta segretaria
fece capolino dalla porta. «Mr. Dawson, si ricorda che mi ha chiesto di
preparare quei documenti per Mr. Creek e metterli in una valigetta da
consegnargli?»
«Ebbene?»
«Non riesco a trovare la valigetta,
quella nera. Credevo di averla messa sotto la scrivania, ma non la
trovo più!»
Se era possibile, il viso di Jack era
diventato ancora più rosso. Gli occhi sembravano sul punto di uscire
dalle orbite. «Non si preoccupi, signorina.» disse.
La segretaria annuì. «C’è qualche
problema? La vedo un po’ affannato.»
«Non è nulla. Torni pure a lavoro.»
Quando la donna uscì, aggiunse, rivolto a Spiba: «Ovviamente lei non
può vederti, vero?»
«Ovviamente.» confermò. Poi riprese a
svolazzare, compiendo manovre degne di un pilota acrobatico.
«E ovviamente la valigetta che hai
incenerito insieme ai soldi era mai pure quella!»
«Esatto!»
«Ma che razza di spirito del buono
augurio sei! Sei un incapace!»
Spiba s’intristì e atterrò mestamente
sulla scrivania. «Non è colpa mia! È che non sono portato per la
magia!» Scoppiò a piangere.
Vedendolo in quello stato pietoso, Jack
s’intenerì. «Suvvia, non piangere. Ora provo a esprimere un altro
desiderio, stavolta semplice, e tu cerca di interpretarlo bene, senza
combinare nessun guaio.»
Lo spiritello si asciugò le lacrime col
dorso della mano e annuì. «Farò del mio meglio!»
«Vediamo un po’.» disse Jack, mentre
pensava a qualche desiderio che non potesse essere potenzialmente
dannoso. «Potresti… sì, trovato! Abbiamo comprato dei nuovissimi Mac
ultima generazione, degli splendidi gioiellini, che però sono ancora
chiusi in magazzino e verranno dati solo ai pezzi grossi dell’ultimo
piano. Potresti portarmi uno di quelli! Puoi farlo?»
«Certamente, padrone.»
Spiba si smaterializzò e dopo alcuni
secondi apparve. Teneva l’intero computer a mezz’aria, tutto
raggomitolato come un nido di serpenti. Tastiera e mouse erano
attorcigliati attorno al monitor, che dondolava sbilenco sopra il
case.
«Ecco fatto!» esultò lo Spiritello,
interrompendo la levitazione del Mac, che cadde violentemente a terra,
distruggendosi.
«NOOOOOOOOO!»
«Non va bene? Non è quello che il
Padrone desiderava?»
«L’hai distrutto!» Jack si mise la mani
fra i capelli, esasperato. «L’hai distrutto!» ripeté.
In quell’istante la porta si spalancò ed
entrò un uomo alto e robusto. Alla vista dell’inusuale scena alternò il
suo sguardo fra Jack, poggiato sulla scrivania con le mani fra i
capelli, e il cumulo di rifiuti elettronici che qualche secondo prima
erano un Mac di ultima generazione. Poi si avvicinò al case distrutto e
ne strappò un’etichetta.
«Salve, Jack.» disse, avvicinandosi
all’uomo. Gli passò l’etichetta e aggiunse: «Cosa c’è scritto qua?»
Jack, totalmente rassegnato, la prese e
lesse: «Erik Svensson.»
«E io come mi chiamo?»
«Erik Svensson.»
«E chi è il tuo diretto superiore?»
«Erik Svensson.»
«Per cui vorresti spiegarmi perché
diamine il mio Mac si trova a pezzi nel tuo ufficio?» strillò Erik.
«Le posso spiegare… » disse Jack, senza
nessuna emozione.
«Silenzio, non dirmi nulla. Qualsiasi
spiegazione non farebbe altro che peggiorare la situazione. Non ti
licenzio solo perché sei il mio migliore elemento. E dire che avevo
intenzione di darti uno di quei Mac che abbiamo in magazzino… vorrà
dire che lo userò per sostituire il mio.» Detto ciò se ne andò senza
aspettare risposta.
Dopo qualche minuto di apatia, Jack si
staccò dalla scrivania. Prese il libro e urlò: «Spiba! Dannato essere
inutile! Futile aborto magico! Che diavolo hai combinato?»
«Le ho portato uno di quei Mac
dall’ultimo piano, come mi ha richiesto!»
«No, idiota! Sei un idiota! Idiota!
Idiota! Idiota!» sbraitò Jack. Aveva completamente perso il controllo.
«Eppure ero stato chiaro! Portami uno di quei dannati Mac che si
trovano in magazzino! Maledizione!»
«Ma… »
«Non c’è “ma” che tenga! Sei un inetto,
una disgrazia per i folletti o qualunque cosa tu sia!»
«Io odio i folletti, siamo nemici
mortali.»
«Non me ne può fregar di meno! Va via!
Via! Sparisci dalla mia vista!»
«Mi sta ordinando di tornare nel mio
mondo?»
«Esatto! Vattene nel tuo mondo e non
tornare più! Non farti più vedere, altrimenti ti strappo quelle stupide
ali che ti ritrovi!»
Spiba sparì in una nuvola di fumo, ma
l’ira di Jack non si era ancora calmata. Prese il libro usato – che
aveva pagato ben trecento dollari – e lo sbatté sulla
scrivania.
«Maledetto libro! Non ti voglio usare
nemmeno per accendere un fuoco, altrimenti chissà quali altri
mostriciattoli potrebbero uscire fuori!»
Aprì la finestra e lo gettò fuori.
Michael Creek era in ritardo. Proprio
quel giorno aveva un importante riunione e doveva prendere dei
documenti dal suo collega, Jack Dawson. Era quasi arrivato al suo
ufficio. Stava percorrendo proprio il marciapiede accanto al palazzo
dove Jack lavorava, quando si fermò all’improvviso.
A terra c’era un piccolo libro.
Incuriosito, lo raccolse e lo guardò. Era vecchio: la copertina era
piena di graffi e le pagine era ingiallite dal tempo. Lo sfogliò
velocemente e vide che era manoscritto.
“Interessante” pensò “sembra uno di quegli oggetti antichi che
piacciono a Jack. Credo proprio che glielo porterò come regalo.”
S’infilò il vecchio libro in tasca e
s’incamminò verso l’ufficio di Jack Dawson.