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Avviso: Questa storia si ispira ad un mito minore di quelli che ruotano attorno alla guerra di Troia narrata nell'Iliade, perciò, sebbene la storia si trovi nella sezione Originali, la trama non è interamente da me inventata, ma trae ispirazione da un mito già esistente. Mi scuso inoltre con i lettori che l'avessero già letta per non avere inserito prima questo avviso. I personaggi non mi appartengono e storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Cineri Gloria Sera Venit
Ad Perpetuam Rei Memoriam
Unum Caput
Sua madre Teti, poco dopo la nascita, lo
aveva immerso nel fiume infernale Stige tenendolo per il tallone e l’aveva reso
invulnerabile: sapeva infatti che, in questo modo, suo figlio sarebbe stato al
sicuro dalle ferite degli uomini. Ma quando si recò presso l’oracolo per
accertarsene, ricevette una cattiva notizia: apprese, infatti, che Achille
sarebbe morto molto presto in guerra; così, Teti si recò da Peleo, che aveva
abbandonato subito dopo la nascita di loro figlio, e portò via con sé il piccolo
per nasconderlo a Sciro, fra le figlie del re Licomede. Assieme ad Achille c’era
anche il suo amico d’infanzia ed inseparabile compagno: Patroclo, figlio di
Menezio e di Stenele.
Teti, prima di congedarsi dal figlio ormai
condotto a Sciro, gli disse queste parole:
- Ascoltami bene, mio amato figlio, e
rammenta sempre le mie parole. Poiché la tua vita mi è cara più di quella di
chiunque altro dei mortali che passarono e passeranno sull’infelice terra,
dominata da Zeus Tonante, figlio di Crono, dovrai fare esattamente ciò che ora
ti dirò e scampare così alla tua terribile sorte: ogniqualvolta venisse a Sciro
rocciosa uno straniero, dovrai travestirti da donna e nasconderti nel gineceo,
fra le belle e nobili figlie di Licomede, senza mai farti vedere, o correrai il
rischio di venir arruolato dai figli degli Achei vestiti di bronzo per prendere
parte alla guerra che si combatterà presso la divina Ilio dalle belle mura. Mi
hai bene inteso, caro figlio?
Quando sua madre gli diede questa
raccomandazione, Achille era ancora molto giovane, perciò non trovò niente da
obbiettare. Allora la sua divina madre esercitava un potente fascino ed un
incredibile potere persuasivo su di lui, che vedeva Teti più come l’autoritaria
e potente Dea marina che non come sua madre. Nonostante questo, egli l’amava,
dunque annuì e giurò che le avrebbe prestato obbedienza. La divina Teti si voltò
allora verso Licomede, lo fissò con i suoi occhi azzurri e penetranti, l’unica
parte di lei che invecchiasse, e gli parlò con voce dura:
- Bada bene, nobile Licomede, sovrano dei
Dolopi, che regni sulla rocciosa isola di Sciro: se non ti prenderai cura di mio
figlio, il biondo Achille e lo farai partire per la guerra nella quale egli è
condannato a perire, io ti giuro che l’ira inesorabile degli Dei Olimpi si
abbatterà su di te!
Così disse la divina Teti ed ebbe paura
Licomede, pertanto accettò senza nulla obbiettare.
Per Achille fu strano vedere un sovrano
valoroso come lui tanto impaurito dinnanzi ad una donna, ma Teti era una Dea e,
forse per via della sua discendenza divina, forse perché tanto l’aveva amata ed
ancora l’amava, anche Peleo, davanti a lei, perdeva ogni autorità e mai le aveva
negato qualcosa.
Così Achille cominciò la sua vita nel
palazzo di Licomede, re di Sciro, tornando a Ftia solo in inverno per fare
visita al vecchio padre Peleo.
Un giorno arrivarono a Sciro degli stranieri
ed egli fu costretto a rifugiarsi nel gineceo.
Erano molte, moltissime, le donne di Sciro,
ma nonostante ciò, Achille non ne aveva ancora vista una, in quanto stavano
sempre chiuse nel loro alloggio.
A dire la verità, aveva visto pochissime
donne nel corso della sua vita: sua madre, la nutrice Melissa e poche altre.
Quando giunse nel gineceo, solo tra tutte
quelle fanciulle, si sentì parecchio a disagio. Difatti, l’atmosfera era molto
diversa rispetto a quella che si respirava nelle altre stanze del palazzo:
l’arredamento, il tono di voce, il modo di atteggiarsi, persino l’odore di
quelle donne lo faceva sentire inadatto, fuori posto, estraneo, e la loro
presenza gli metteva in cuore una gran voglia di allontanarsi al più presto e
tornare fra gli uomini, dove si sentiva decisamente più a suo agio.
Restò in piedi davanti alla porta,
nell’attesa che gli fosse comunicato che gli stranieri si erano allontanati e
potesse così uscire da quel luogo così femmineo.
Inaspettatamente, una delle fanciulle gli si
avvicinò: i lunghi capelli neri erano raccolti sotto un pesante diadema e i suoi
grandi occhi erano azzurri come il bel mare che circondava la splendida isola di
Sciro. Era piuttosto alta, sebbene mai quanto lui, e più vecchia di Achille di
alcune estati.
Gli sorrise ed egli arrossì.
Mai gli era accaduto di arrossire, poiché,
in vita sua, non gli era mai capitato di essersi sentito in imbarazzo. Era una
nuova emozione per il giovane figlio di Peleo e forse fu proprio questa nuova
emozione a farne nascere un’altra, ancor più nuova e sconcertante: il desiderio
per una donna.
- Salve – disse la fanciulla, con voce e
modi affabili – Tu, che ti nascondi fra le belle donne di Sciro rocciosa, regno
del nobile Licomede, signore dei Dolopi, devi essere il giovane figlio del
regale Peleo, re di Ftia dalle bianche spiagge. Io sono Deidamia, figlia di
Licomede, sovrano di Sciro petrosa. Achille è il tuo nome, se la mia mente non
m’inganna.
Aveva un timbro di voce delicato e di una
dolcezza disarmante, così come disarmante era il suo sorriso.
Inaspettatamente, la sua mano destra si posò
sulle sottili labbra di Achille, che rimase come paralizzato da quel leggero
tocco.
- Sì, tu altri non potresti essere che il
figlio di Peleo di Tessaglia, il nobile Achille: il senza labbra.
La sua mano era piccola, morbida e delicata.
Achille cercò di vincere l’imbarazzo che quella mano gli aveva causato, non
appena si era posata sulle sue labbra ed annuì con risolutezza, cercando di
occultare il proprio disagio sotto una fredda maschera.
Deidamia rise; egli alzò allora il capo e la
osservò con uno sguardo interrogativo.
- Perché ti comporti in tal modo, giovane
Eacide? Le genti della Grecia, terra del divino Elleno, dicono che tu sia un
grande e valoroso guerriero, spietato nella battaglia impetuosa, agile nella
dura lotta ed abile con le pesanti armi di bronzo: la tua fama è tanto grande da
essere giunta fino ad una piccola isola, qual è Sciro rocciosa. Perché, dunque,
provi tanto imbarazzo, tu che nulla dovresti temere, davanti ad un’esile ed
indifesa fanciulla? Non ne avevi mai vista una prima d’ora, giovane figlio di
Peleo?
Questa domanda mise ancora più a disagio
Achille, il quale ancora non aveva proferito parola davanti a quella fanciulla
che sembrava tanto interessata a lui. In verità aveva visto ben poche donne
durante il corso della sua vita e per questo motivo non sapeva come comportarsi
con una fanciulla, essendo abituato a trattare con rudi guerrieri.
- A dir la verità, non ne vidi molte prima
d’ora, mia signora - rispose infine, cercando di mantenere un contegno.
Deidamia, udito ciò, si voltò, si diresse
verso dei piccoli seggi, e vi si sedette. Achille seguì la fanciulla, quando
questa gli aveva fece cenno di imitarla.
- Dimmi, biondo Achille, figlio del grande
Peleo che regna con senno e giustizia sulla Tessaglia dal mare ceruleo: il Fato,
che è controllato dal potente padre degli Immortali, Zeus Cronide, signore del
monte Olimpo, ma, nello stesso tempo, subito, davvero ti impose la scelta ardua,
almeno per un guerriero valente e desideroso di gloria quale tu sei, nobile
Achille, fra una vita lunga ma ingloriosa ed un’esistenza invece breve, ma colma
di fama e grandezza?
La domanda lo colse impreparato: tutto si
sarebbe aspettato salvo questo interrogativo. Achille era sempre più colpito:
non credeva che una simile notizia sul suo conto fosse giunta fino alla sperduta
isola di Sciro: eppure era così.
Infine, quando si riprese, rispose:
- Sì, mia signora, è come dici…
Ormai parlava quasi a monosillabi: non aveva
mai provato un simile smarrimento e si sentiva sempre più a disagio.
Cominciarono a parlare o, almeno, Deidamia
parlava e lui sovente rispondeva alle sue domande con secchi sì o no, seguiti
sempre da un doveroso e rispettoso “signora”.
Poco dopo giunse Patroclo ed informò Achille
che gli stranieri se n’erano andati e che finalmente poteva uscire dal gineceo.
Dentro di sé, il figlio di Peleo lo ringraziò dal più profondo del suo cuore.
- Arrivederci, biondo Achille, nobile erede
di Peleo, signore della Tessaglia dal mare turchino e dalle ampie spiagge: spero
in cuor mio di poterti rivedere presto. Ho saputo, infatti, che resterai per
lungo tempo presso di noi, alla pietrosa Sciro dalle spiagge dorate, almeno fino
a quando la famigerata guerra contro la sacra Ilio dalle divine mura non sarà
terminata, poiché questo è il volere di tua madre, la divina Teti figlia di
Nereo – lo salutò Deidamia.
Achille arrossì e si allontanò dopo averle
rivolto un breve saluto.
Tanto forte contro gli uomini, quanto debole
con le donne: questo era Achille.
Sperava vivamente di non doversi più trovare
in una simile situazione, ma purtroppo le cose non andarono secondo le sue
previsioni.
Pochi giorni dopo, Achille si trovava a
passeggiare nel cortile del palazzo di Licomede, convinto di essere solo, ma non
era così.
Non sapeva ancora che, ogni sette giorni,
alle principesse era consentito uscire dal gineceo e trascorrere alcune ore in
cortile, naturalmente con il divieto di vedere uomini.
Quando si accorse di questo, però, era
troppo tardi: difatti, mentre ripercorreva la strada per tornare a palazzo, vide
le figlie di Licomede immerse fino alla vita nell’acqua di un piccolo bacino
situato al centro del cortile.
Fu preso dall’imbarazzo e stava per
andarsene, quando una di loro lo vide e gli gridò:
- Ehi, bionda Pirra, perché mai non vieni a
fare il bagno con noi e lavare il tuo corpo muliebre? – e scoppiò a ridere,
imitata dalle altre.
Pirra era il nome che Achille avrebbe dovuto
adottare nel caso in cui degli stranieri avessero chiesto di lui: allora si
sarebbe finto una ragazza di nome Pirra, per via del biondo ramato dei suoi
capelli.
L’idea di essere deriso lo irritava
enormemente, soprattutto se a schernirlo erano delle fanciulle.
Dimentico del suo imbarazzo, si voltò verso
di loro e le raggiunse. Molte di loro si coprirono i seni con le mani o
s’immersero nell’acqua, ma nessuna lo scacciò.
- Cosa intendevi dire con le tue parole di
scherno, nobile signora, figlia del buon Licomede, sovrano di Sciro dalle
spiagge dorate? Vi avverto, regali figlie di Licomede, signore dei Dolopi: odio
essere schernito e deriso. Pochi, sulla terra abitata dai mortali, hanno osato
insultarmi o beffeggiarmi con parole o fatti, ma quei pochi che ci provarono,
tutti quanti, dal più nobile al più misero, dal più valoroso al più vile, dal
più forte al più debole, fecero una dolorosa fine. Perciò state attente: voi,
belle figlie del re di Sciro petrosa, potreste essere né le prime né le ultime a
patire un simile dolore se oserete schernirmi nuovamente con le vostre parole
derisorie. Non mi farò scrupoli: che siate donne o non lo siate, la pagherete!
La sua reazione fu forse eccessiva per uno
scherzo di così poco conto; ma motivo dell’ira di Achille era la sua infelicità
repressa. Lì a Sciro si sentiva, infatti, come un animale in gabbia: mentre
tutti i più valorosi fra gli Achei si preparavano per combattere nella guerra di
Ilio, lui sarebbe rimasto lì, pronto a nascondersi fra le donne come un vile.
Questo pensiero lo tormentava da tempo e lo rendeva sempre più irrequieto ed
irascibile: anche lui avrebbe voluto imbracciare le armi e combattere; invece
era confinato su quell’isola sperduta a farsi deridere da delle fanciulle.
Le figlie di Licomede parvero impaurite
dalla sua reazione: tutte tranne una di loro.
Deidamia fissava il giovane figlio di Peleo
per nulla turbata dalle sue parole.
Achille ricambiò lo sguardo: l’imbarazzo e
l’ira erano improvvisamente svaniti dal suo cuore, lasciando spazio allo
stupore.
Come mai non era spaventata? Egli era il più
temibile fra i guerrieri; perfino gli uomini tremavano davanti a lui, ma
Deidamia no, perché?
- Non dire parole stolte che non ti fanno
onore, nobile figlio di Peleo, Achille piè veloce. Il leone feroce ed aggressivo
che oggi vedo in te, capace di azzannare indifferentemente un’indifesa cerbiatta
od un toro impetuoso, è apparso un innocuo gattino spaventato ai miei occhi,
qualche giorno fa. Pare strano, a me, che pure non comprendo lo spirito di voi
nobili guerrieri, questo improvviso cambiamento di carattere e di atteggiamento
nei confronti delle fanciulle – Deidamia aveva notato la sua debolezza ed ora la
stava usando a suo vantaggio.
Achille la guardò e in quel momento qualcosa
cambiò in lui.
I suoi capelli neri, bagnati e sciolti sulle
spalle, la sua pelle così bianca… ma soprattutto, lo colpirono i suoi occhi,
azzurri come il mare. Deidamia gli ricordò incredibilmente sua madre.
Forse fu questo che lo attirò? Non avrebbe
saputo dirlo con esattezza, fatto sta che alcuni giorni dopo, Achille piè veloce
si trovava nella stanza di Deidamia, disteso sul suo letto, la testa della
fanciulla appoggiata al petto nudo.
Deidamia si mosse leggermente e carezzò il
torace del giovane guerriero, il quale si riscosse dallo stato di trance in cui
era sprofondato e ricambiò il suo gesto accarezzandole la spalla destra.
Non sapeva che conseguenze avrebbe
comportato ciò che avevano fatto, ma, in quel momento, non ci pensava più di
tanto.
Mai prima d’ora il giovane figlio di Peleo
aveva avuto rapporti intimi con una donna e quella prima volta fu strana. Nulla
di ciò che faceva riusciva ad eccitarlo, né suscitava in lui nessuna sensazione
particolarmente gradita: trascorse più di un’ora prima che qualcosa in lui
cambiasse ed egli riuscisse ad immettere nel ventre della donna la bianca
potenza. Ma anche quella prestazione per lui fu del tutto neutra: nessun
particolare piacere lo invase.
Non avrebbe neppure saputo dire di preciso
perché l’avesse fatto.
Forse, il fatto che Deidamia gli ricordasse
sua madre, aveva suscitato in lui qualcosa d’inspiegabile: da bambino non aveva
visto quasi mai la madre, e poco l’aveva vista da ragazzo, perciò, con quel
gesto, aveva forse voluto trasmettere tutto l’amore che provava per lei ad una
persona che gliela ricordasse; perché la vera Teti non c’era quasi mai accanto a
lui, e quasi mai c’era stata.
Si addormentò insieme a Deidamia, e fu
svegliato, la mattina seguente, da un urlo femminile.
Quando aprì gli occhi, vide una delle
sorelle di Deidamia, in piedi davanti al letto, che li osservava a bocca aperta.
Vedendo l’espressione della fanciulla,
Achille si sentì colpevole e fece per farfugliare qualcosa, tentando di
occultare in qualche modo le sue nudità, ma Deidamia, svegliatasi, come lui, in
seguito alle urla della sorella, lo anticipò.
- Richiudi la bocca, regale sorella, se non
vuoi che vi entrino le tediose mosche: non sta affatto bene che una fanciulla
nobile e graziosa come te deformi il suo bel viso con simili smorfie. Perché
questa reazione esagerata?
La ragazza, visibilmente imbarazzata,
colpita da quella domanda, esitò un attimo, prima di balbettare:
- Ma… Lui, il regale figlio di Peleo… non si
è approfittato di te, Deidamia, nobile sorella mia?
Deidamia rise:
- Ma cosa dici, sorella cara? No, non si è
approfittato di me, il nobile Achille: fui io a convincerlo a compiere tale atto
con fatti e con parole che pronunciai in parte avventatamente, in parte
volontariamente.
La notizia la sconvolse ancora di più:
- Cosa dici, Deidamia, figlia del nobile
Licomede di Sciro rocciosa? Sei stata tu a convincerlo a compiere un simile atto
con parole e con fatti sconsiderati? Non posso crederlo!
- Hai udito bene, invece, perciò credi alle
mie parole. Io mi sono innamorata del Achille, figlio di Peleo, e ho intenzione
di chiedere a nostro padre, il nobile Licomede, di poterlo sposare, in modo da
non recare oltremodo offesa a Hera, protettrice delle unioni nuziali.
La rivelazione sorprese e colse impreparato
Achille, così come la figlia di Licomede, che sgranò gli occhi e si rivolse a
Deidamia per chiederle conferma di quanto aveva appena udito:
- Tu, Deidamia dalle bianche braccia,
desideri, con il consenso di nostro padre, il nobile Licomede, e di Hera
sovrana, sposare il figlio di Peleo, benché il numero dei suoi inverni sia
inferiore a quello dei tuoi?
Deidamia si voltò verso il giovane e lo
fissò con il suo profondo sguardo color del mare:
- Ora, regale Achille Pelide, dimmi con
sincerità: proveresti forse vergogna nel cuore a sposare una donna più vecchia
di te?
Egli scosse il capo con imbarazzo: non aveva
immaginato di essere chiamato in causa dalle due sorelle, né che Deidamia si
fosse invaghita di lui al punto da volerlo sposare.
- Allora, se il nobile Pelide non è
contrario all’idea di sposare una donna che ha visto più inverni di lui, perché
dovrei provare vergogna io che lo amo con tutto il mio cuore? Afrodite Urania ci
toccò, facendoci innamorare e infondendoci celestiali sensazioni. Io sono
innamorata del divino Achille, nobile figlio di Peleo, sovrano della grande
Tessaglia dalle belle spiagge, e lo voglio sposare con il consenso degli Dei e
del padre mio adorato. Inoltre, dopo quanto è accaduto fra noi questa notte,
ritengo che il nobile Licomede, signore dei Dolopi, sarà costretto ad accettare
la mia richiesta.
Deidamia aveva affrontato il discorso senza
il minimo imbarazzo.
Questo piaceva ad Achille di lei: riusciva
ad essere schietta e fredda con tutti, uomini o donne. Lui, invece con gli
uomini si comportava normalmente o addirittura con superiorità, ma davanti alle
donne si sentiva smarrito.
Deidamia gli parlò nuovamente:
- Riprendi i tuoi abiti, nobile Achille, ed
aspettami nella sala del trono. Fra poco parlerò con mio padre.
Pronunciò queste parole con un tono
autoritario davanti al quale il giovane non fu capace di reagire: ogni muscolo
del suo corpo sembrava intorpidito. Più che un amante e un futuro marito,
sembrava piuttosto un bambino obbediente nei confronti di una madre risoluta.
Non si rese conto neppure di aver accettato
la proposta di matrimonio di Deidamia e, qualche tempo dopo, si sposarono in un
giorno fausto, con il consenso di Licomede. Ma per Achille il legame non contava
molto: non gli importava di essere sposato oppure no.
Appena suo padre lo seppe, al contrario, si
entusiasmò, mandò molti regali a Deidamia e, quando venne a trovarla, la chiamò
figlia.
Qualche tempo dopo, la fanciulla rimase
incinta.
Nacque un maschio che fu chiamato Neottolemo,
anche se la madre amava interpellarlo anche con il nome di Pirro, poiché era
nato da Pirra, ovvero Achille.
- Ti somiglia molto tuo figlio, non lo pensi
anche tu, Achille? – domandò un giorno Deidamia a suo marito.
Egli osservò per qualche istante il bambino,
che riposava sul talamo nuziale, e disse con noncuranza:
- Sì, è vero ciò che dici, mia signora.
- Nostro figlio ha ereditato ogni cosa da
te: i capelli morbidi e biondi, simili all’oro colato; i lineamenti meravigliosi
del viso; la forma perfetta del naso; le labbra sottili dalle quali prendi il
nome. Da me ha preso soltanto il colore degli occhi, ma il loro taglio è uguale
al tuo, che io tanto amo…
Dalle parole di Deidamia trapelavano enfasi
ed eccitazione; erano questi, infatti, i sentimenti che agitavano il cuore della
donna quando parlava di suo marito e di suo figlio, le cose più preziose che
avesse al mondo.
Achille non sembrava eccessivamente toccato
da quei discorsi e, mentre la sua sposa parlava, prese a cospargersi il corpo
d’olio senza mostrare più alcun interesse per i suoi discorsi.
Deidamia lanciò al giovane uomo un’occhiata
torva e più tardi chiese ad Achille:
- Perché mai desideri affrontare nella lotta
il tuo inseparabile compagno Patroclo, figlio del re della bella Opunte, che
sorge nella vasta Locride, sicuro già di vincere, dal momento che la tua grande
forza di molto supera quella del figlio di Menezio?
Il giovane si stava ungendo il corpo per
l’imminente gara di lotta che lo avrebbe visto fronteggiarsi con Patroclo: i due
sin da quando vivevano presso il loro maestro, il centauro Chirone, solevano
affrontarsi in simili competizioni ed ancora amavano farlo.
- È stato Patroclo, figlio di Menezio, re di
Opunte, a volermi affrontare nella lotta: è sempre stato lui ad avanzare tali
coraggiose proposte, ed io come avrei potuto rifiutare davanti ad un suo tale,
fremente desiderio? – fu la semplice risposta.
Non poteva spiegare a sua moglie i motivi
che spingevano gli uomini a combattere: non avrebbe mai capito.
Poco dopo, il giovane udì dei singhiozzi
sommessi alle sue spalle.
Si voltò e vide molte lacrime rigare le
belle guance di Deidamia.
- Perché piangi, nobile Deidamia dagli occhi
luminosi, figlia di Licomede di Sciro petrosa? Ho forse detto o fatto qualcosa
che ti abbia ferito od offeso in qualche modo? Se così è stato, invoco con
umiltà il tuo perdono, ma mai mi è parso di aver urtato con parole o con fatti i
tuoi sentimenti di sensibile donna.
Achille era rimasto stupito davanti ad una
tale reazione della moglie.
- Piango, nobile figlio di Peleo, potente
Achille – rispose la donna – perché so bene, come tu stesso mi dicesti qualche
tempo fa, durante il nostro primo incontro che avvenne proprio qui, nel gineceo,
che la tua irrefrenabile brama di lotte impetuose, battaglie infurianti e guerre
sanguinose che potranno ricoprirti di gloria ed onori eterni in terra, ti
porterà alla perdizione, fino al mondo eterno e buio di Ade Cronide. Io ne sono
a conoscenza e anche tu lo sai bene, biondo Achille, ma a causa del tuo orgoglio
guerriero e della tua testardaggine, non ti curi di ciò che proverà tuo padre,
il vecchio e nobile Peleo che regna sulla Tessaglia dalle bianche rive, non ti
preoccupi di ciò che proverà il tuo compagno Patroclo, che tu ora dici di amare
e rispettare, ma che dimenticherai per il desio di gloria che sempre ti
accompagna, né di quello che proverò io, sventurata, se tu dovessi morire,
lasciandomi vedova, con solo il ricordo di te ed il figlio che generammo
insieme, che ancora non è in grado di riconoscere il padre nel nobile Achille
piè veloce, figlio di una Dea.
Achille provò a rassicurarla: odiava vederla
piangere, anche se ciò accadeva di rado.
Eppure, come sempre lei ebbe ragione:
difatti, alcune estati più tardi, quanto aveva detto Deidamia quel giorno, e
prima di lei, l’oracolo, si avverò.
***
Achille si trovava alla corte di Licomede a
Sciro, come ogni estate, quando Deidamia venne a cercarlo.
- Mio padre, il nobile re Licomede, dice che
degli stranieri stanno giungendo dal mare, provenienti forse dalla ventosa
Aulide, porto della gloriosa terra di Pelope. Devi rifugiarti perciò
nell’alloggio delle donne al più presto, nobile Pirra.
Udite queste parole, il giovane lanciò
un’occhiata torva alla moglie, ma fece come gli era stato detto.
Mentre si avviavano verso il gineceo, venne
loro incontro Neottolemo e Deidamia lo prese in braccio per portarlo con sé
nell’alloggio delle donne.
Giunti che furono nel gineceo, il giovane
uomo si lasciò cadere su uno dei piccoli seggi, contrariato.
Deidamia mise giù Neottolemo e sedette a
fianco allo sposo.
- Cosa affligge il tuo nobile cuore, biondo
Achille Pelide? Parlane con me, tua sposa diletta, liberamente e senza timore
alcuno: io ti ascolterò fino alla fine senza proferire verbo che possa
interrompere il flusso dei tuoi pensieri e delle tue parole e così, insieme,
cercheremo di trovarvi una soluzione – gli disse lei.
Le parole di Deidamia, pronunciate con il
suo solito tono dolce e rassicurante, colpirono il cuore del giovane Achille,
che decise di aprirsi con la moglie, poiché da molto tempo ormai questi pensieri
lo tormentavano.
- Sono stanco della vita tediosa e vuota che
conduco ormai da parecchie estati qui, a Sciro rocciosa. Non voglio più
nascondermi nel gineceo della bella casa di Licomede di Sciro petrosa, come una
volpe impaurita che sfugge agli uomini che la inseguono desiderosi della sua
fulva e calda pelliccia e della sua carne, né fingermi esile e debole donna,
come purtroppo, da tempo, troppo tempo, sono costretto a fare con immenso
disonore e vergogna. Chi mai potrebbe credere a questo mio ridicolo
travestimento femminile? È come cercare di travestire un nero ed affamato lupo
da candida e docile pecorella. Mia madre, la divina e saggia Teti, non capisce
ciò che per tutti, uomini e Dei Immortali, dovrebbe essere ovvia: nessuno può
sfuggire al Fato divino. A questo è sottoposto perfino Zeus Tonante, che regna
sugli Dei Olimpi, perciò, come potrei io, misero mortale, benché figlio di una
Dea Imperitura, sfuggire al Fato ed al suo corso?
Deidamia ascoltò fino alla fine il discorso
dello sposo, senza interromperlo.
Infine, con il suo solito modo pacato e
riflessivo, disse:
- So bene e capisco a fondo ciò che tu,
nobile Achille figlio di Peleo, vuoi farmi intendere con le te parole e ti do
ragione, ma la tua amata madre, Teti divina, figlia di Nereo, cerca solo di
proteggere te, suo unico figlio. So che forse quel che fa potrà sembrarti
assurdo e sgradito, ma tu, Achille figlio di Peleo, ascolta la mia proposta, che
vuole fungere soprattutto da consiglio: finché puoi e fino a che il Fato non ti
si rivolterà contro, asseconda la tua nobile madre, Teti dagli occhi belli.
Achille la osservò per un attimo, incerto
sul da farsi. Infine sospirò, rassegnato.
- Farò come mi proponi e consigli, Deidamia
dalle bianche braccia, la più nobile e saggia fra le figlie di Licomede:
asseconderò mia madre, la divina Teti dai piedi d’argento, anche se trovo pur
sempre assurdo il suo proposito di sottrarmi alle mani del Fato.
Sia Achille sia sua moglie trovavano
irragionevole il comportamento di sua madre Teti: come poteva, lei che era una
Dea Immortale, credere che suo figlio potesse sfuggire al Fato, quando neppure
lei aveva poteva e mai avrebbe potuto fare?
Deidamia era persuasa che il suo sposo non
sarebbe sfuggito alla sua Moira tanto quanto lo era Achille stesso; inoltre,
nessuno dei due aveva fatto i conti con la mente più scaltra di tutta la Grecia:
Odisseo di Itaca.
Era lui uno degli stranieri che gli uomini
di Licomede avevano avvistato quella mattina. Egli venne a Sciro insieme al
nobile Diomede, re di Argo.
Appena giunto, chiese udienza a Licomede e
gli spiegò che era venuto a Sciro per reclutare nell’esercito di Agamennone gli
uomini più valenti dell’isola da portare in guerra. Licomede gli rispose che il
suo era un ben misero esercito rispetto a quello del grande re di Micene, ma che
tuttavia avrebbe contribuito ugualmente, inviando alcuni dei suoi uomini in
Aulide.
- Sono venuto a sapere, grande e regale
Licomede, sovrano dei Dolopi, – disse poi Odisseo – che qui, nella bella a
pietrosa Sciro, hai generato molte e nobili figlie, le quali, in gran numero,
sono ancora delle giovani fanciulle. Ebbene, chi di loro non apprezzerebbe,
dalle mani di uno straniero giunto da lontano, un ricco dono, segno dell’immensa
gratitudine che lo straniero prova nei confronti del suo regale ospite che,
senza esitare, gli ha offerto alloggio nella sua casa dalle candide mura e ha
messo a disposizione del grande re di Micene, Agamennone, signore di popoli
alcuni fra i suoi uomini migliori, nonostante il bisogno di protezione che
un’isola sì piccola come è Sciro pietrosa dalle bianche spiagge? I regali alle
tue figlie sono il minimo che io possa fare per ripagarti degnamente per la tua
generosità, nobile Licomede, sovrano di Sciro dalle spiagge d’oro. Del resto, la
divina ospitalità, sacra al signore dell’Olimpo dorato, Zeus Egioco, deve essere
degnamente ricambiata da colui che generosamente viene ospitato – aggiunse
infine Odisseo.
Egli domandò a Licomede il permesso di
entrare nel gineceo per poter far scegliere alle donne stesse i doni: il re
cercò di evitarlo, ma alla fine si fece persuadere dalla grande arte oratoria di
Odisseo.
- Il grande re Licomede, sovrano della bella
isola di Sciro dalle dorate spiagge, ordina a tutte le nobili donne di Sciro
pietrosa di coprirsi il bel volto con un velo e di non scoprirlo per nessuna
ragione davanti agli stranieri provenienti da Aulide ventosa – spiegò Patroclo
ad Achille, mentre lo aiutava a vestirsi con abiti femminili.
Il giovane si sentiva terribilmente
ridicolo, ma decise di sopportare per tener fede a quanto consigliatogli da
Deidamia.
Furono introdotti nel gineceo Odisseo e
Diomede, i quali recavano molti regali: cosmetici, pettini d’osso, gioielli
d’oro e d’argento, specchi di lucido bronzo e numerosi altri oggetti che, da
soli, quasi bastavano per fare la felicità di una fanciulla.
Dopo aver ringraziato i due sovrani per la
loro generosità, Deidamia e le sue sorelle vi si avventarono con avidità,
discutendo riguardo ai doni.
Anche Achille finse di interessarsi agli
oggetti e si avvicinò: quando i doni cominciarono a diminuire, il giovane poté
scorgere, fra le altre cose, un oggetto lungo e scintillante che lo incuriosì.
Lo afferrò e lo estrasse dal mucchio: era
una spada. Achille la osservò rapito per parecchi istanti e subito lo assalì
un’immensa voglia di lottare e di combattere.
Non si accorse che Odisseo gli si era
avvicinato e lo osservava con estrema attenzione: quella spada era
particolarmente pesante, costruita con il duro bronzo: nessuna donna e ben pochi
uomini sarebbero stati in grado di sollevarla. Il giovane invece la maneggiava
senza sforzo.
- Per il grande Olimpo dorato, dimora degli
Dei Immortali! – esclamò il re di Itaca – Grande re Licomede: le tue donne, qui
in Sciro, possono vantare una forza pari a quella degli uomini più valorosi e
possenti di tutta la Grecia, terra di Elleno divino. Quella spada, forgiata da
abili fabbri fra i migliori di tutta l’Ellade, fatico io stesso, che pure sono
un guerriero, ad impugnarla, eppure questa tua giovane donna riesce a
maneggiarla con la stessa facilità con cui la utilizzerebbe un abile ed esperto
guerriero.
Solo allora Achille si accorse degli occhi
grigi di Odisseo puntati su di lui, che lo fissavano con divertita e trionfante
consapevolezza.
Il giovane lanciò uno sguardo a Licomede ed
a Patroclo: il primo si mordeva il labbro inferiore con grande apprensione, il
secondo, invece, stava immobile, come paralizzato.
Odisseo si rivolse poi alla sedicente
fanciulla:
- Tu, che con sorprendente destrezza maneggi
quella pesante spada, non sei certo figlia del nobile re Licomede, sovrano di
Sciro pietrosa. Il tuo nome dovrebbe essere Pirra, se la mia mente non
m’inganna: parlano di te con curiosità gli abitanti di questa e di altre isole
vicine.
La sola risposta che ottenne fu un cenno
affermativo.
- Può darsi che ciò che dici sia vero, ma io
personalmente preferisco chiamarti Achille, come tuo padre, il nobile re Peleo,
signore di Ftia, ti elesse alla nascita, poiché mai succhiasti il dolce latte
dal seno materno – gli disse Odisseo con la più totale scioltezza e naturalezza.
Tutti ammutolirono.
Era stato scoperto: ormai era inutile
fingere. Achille si tolse i fastidiosi abiti femminili e gli sorrise.
- E così mi hai scoperto, grande sovrano di
Itaca dalle belle spiagge, nobile figlio di Laerte, Odisseo dall’agile mente.
Fingere davanti a te è inutile come potrebbe esserlo, per un’indifesa cerbiatta,
simulare la morte davanti ad un affamato leone. Non ho difficoltà ad ammettere
davanti a te, al nobile Diomede, re di Argo, ai tuoi valorosi uomini ed a tutta
la corte del buon Licomede, sovrano di Sciro dalle grandi rocce, di essermi
comportato stoltamente: sono caduto nell’infida trappola che mi tendevi, come la
lepre che, inseguita dai cani, s’impiglia con le zampe nella trappola mortale
dei suoi cacciatori; ma, del resto, c’era da aspettarselo, poiché è molto
difficile sfuggire ai voli dell’agile mente del re di Itaca, Odisseo figlio di
Laerte e discendente dell’astuto Dio Ermes, il messo degli Immortali, nonché
protetto ed amato dalla Dea Atena dalle bianche braccia, figlia prediletta di
Zeus Egioco. Non mi tirerò dunque indietro, ora che tu, con abilità e
sorprendente ingegno, mi hai smascherato: parteciperò alla grande guerra che si
combatterà presso Ilio dalle alte mura, poiché nessun uomo può sfuggire al
proprio Fato.
Odisseo sorrise senza dire nulla ed il
giovane Achille ebbe modo di osservarlo meglio: era un uomo non più giovane, ma
affascinante, non troppo alto né muscoloso.
Il suo aspetto era particolare come la sua
intelligenza: gli occhi grigi ed intensi rispecchiavano quelli della Dea della
saggezza, Atena, che amava Odisseo per la sua mente acuta. I suoi capelli erano
ricci e di un singolare colore rosso ramato.
Inoltre, si diceva che fosse nipote, da
parte materna, di Ermes, Dio della furbizia e dell’intelligenza; quale uomo,
quindi, più di Odisseo, caro ad Atena e discendente di Ermes, poteva essere
dotato di mente più acuta?
Il giovane figlio di Peleo era consapevole
di non poter nulla contro la sua accortezza: non avrebbe potuto evitare di
essere scoperto.
- Allora, nobile figlio di Peleo, Achille
piè veloce: vestiti con abiti più adatti alla tua figura di temuto guerriero
rispetto a quelli femminili che ti avvolgevano fino a poco fa e preparati a
partire. L’Atride Agamennone, il potente re di Micene dorata, si adirerà molto
se non ti presenterai in Aulide ventosa al più presto. Inoltre, nobile Pelide,
fuori del bel palazzo del buon Licomede, signore di Sciro dalle dorate spiagge,
c’è qualcuno che ti attende. Egli dice che da molti inverni non vi vedete,
nonostante la vostra grande amicizia e l’indissolubile parentela – gli disse
infine Odisseo.
Achille credé di capire a chi si stesse
riferendo il re di Itaca, ma preferì fare come gli era stato detto, prima di
andare incontro a colui che lo attendeva.
Vide dinnanzi a sé un grosso guerriero: alto
poco più di lui, che già poteva vantare una considerevole statura, e muscoloso
almeno il doppio, con corti capelli castani ed un bel paio di occhi verdi come
le selve selvagge.
- O i miei occhi m’ingannano crudelmente,
oppure tu sei realmente Aiace Telamonio, mio nobile cugino di parte paterna! –
esclamò con visibile allegria Achille, uscendo dal palazzo di Licomede.
Nonostante Aiace fosse più vecchio del
figlio di Peleo di pochi inverni, sembrava molto più attempato di quanto fosse
in realtà a causa del suo fisico possente e della sua espressione spesso
corrucciata.
Achille, Aiace e Patroclo erano cresciuti
assieme: i due fratelli Peleo e Telamone erano molto legati perciò spesso, da
bambini, i loro figli e Patroclo si vedevano in estate e giocavamo insieme. Da
ragazzi furono condotti da Chirone, un vecchio e saggio centauro, grande amico
del padre di Achille.
Chirone aveva salvato la vita di Peleo
quando questi era stato abbandonato nella foresta dal re di Iolco, Acasto,
affinché gli animali selvatici lo potessero sbranare. Da allora in avanti il re
di Ftia era rimasto grande amico del centauro. Fu per quel motivo che, prima del
vecchio e saggio Fenice, Peleo e Telamone avevano scelto come tutore dei loro
figli Chirone: il vecchio centauro insegnò loro a combattere, cacciare, vivere
all’aperto del tutto privi di cibo e d’acqua, nonché numerose arti ed il
prezioso uso dell’intelletto. Tutto ciò che avevano appreso sulle battaglie,
sulla lotta e sui duelli lo dovevano a Chirone.
Aiace sorrise ad Achille e spalancò le
braccia in segno di saluto.
- E tu, invece, nobile signore, sei forse il
mio amato cugino, il biondo Achille piè veloce, figlio di Peleo, re della
Tessaglia? Non riesco a crederlo: molto sei cresciuto in statura in questi
inverni trascorsi lontano e molto sono cresciute le tue spalle in ampiezza.
Quasi non riconoscevo in te il mio stesso sangue, amato cugino, Achille figlio
di Peleo! Tu, invece, devi essere Patroclo, figlio di Menezio – aggiunse poi,
voltandosi verso il ragazzo in piedi al fianco di Achille – Anche la tua vista,
caro compagno d’infanzia, mi ha lasciato interdetto: sei dunque tu quel gracile
fanciullo che si aggirava con passo breve ed incerto per le stanze del bel
palazzo di Ftia e, talvolta, nel giardino della casa di Telamone, regale sovrano
di Salamina dalle bianche spiagge, sempre attaccato a me e ad Achille piè
veloce? Debbo ammettere che non ho riconosciuto quel fanciullo giovane ed esile
nell’uomo che ora mi sta dinnanzi!
Detto questo, i tre amici rincontratisi dopo
tanti anni, si abbracciarono. Achille riuscì a sopportare la micidiale stretta
di Aiace, ma Patroclo ne fu travolto: la sua forza era sovrumana, e, associata
alla sua invulnerabilità, poteva definirsi letale.
Infatti, così come suo cugino era stato
immerso dalla madre nello Stige, Aiace era stato avvolto da neonato nella pelle
di leone di Eracle, grandissimo amico di suo padre Telamone. L’eroe aveva poi
chiesto a suo padre Zeus di rendere il piccolo Aiace invulnerabile e così era
stato, tranne la spalla e l’anca, le parti del corpo che normalmente erano
coperte dalla faretra.
Quando Aiace li liberò dalla sua stretta,
Achille notò la presenza di un ragazzo che stava immobile presso la nave di
Aiace e li osservava con timidezza.
- Sono immensamente felice di vederti
nuovamente dopo tanto tempo trascorso lontani, cugino Aiace, figlio del nobile
re di Salamina dalle belle spiagge, Telamone Eacide; ma ora dimmi: chi è il
giovane che ci osserva con tanto interesse dalla tua nave? Non credo di
conoscerlo o tu ti sei dimenticato di presentarcelo.
Patroclo ed Aiace si voltarono e guardarono
nella direzione indicata da Achille.
- Che Hera, divina consorte di Zeus Egioco e
la vergine Hestia, protettrici della famiglia, mi fulminino per punire la mia
imperdonabile sbadataggine! Perdonami, nobile cugino. Il giovane che vedi vicino
alla mia nave e che ci osserva così timidamente, è il figlio di mio padre, il
nobile Telamone, re di Salamina, e della sua ultima moglie Esione. Il suo nome è
Teucro e vanta la fama d’infallibile arciere, caro ad Apollo Saettatore e ad
Artemide Vendicatrice, Dei arcieri per eccellenza; sono pertanto sicuro che egli
troverà modo di distinguersi durante la guerra che condurremo contro Ilio dalle
alte mura. Vieni avanti, caro fratello, non aver timore! Il biondo Achille è
anche tuo cugino, poiché lo stesso padre ci generò. Il giovane Patroclo, invece,
è un nostro caro amico d’infanzia.
Il giovane Teucro si avvicinò e, quando
giunse davanti ai tre uomini, sorrise.
Non assomigliava per nulla ad Aiace. Più
basso ed esile, presentava tratti orientali sul bel volto efebico: difatti sua
madre era la sorella di Priamo di Ilio. Aveva lucidi capelli scuri ed occhi dal
taglio affilato.
Achille non faticò a credere nelle sue
capacità d’infallibile arciere.
- Allora, mio nobile cugino, Achille piè
veloce, anche tu partirai insieme ai prodi guerrieri Achei, figli dei grandi e
potenti re della Grecia alla volta di Ilio dalle alte mura? – domandò Aiace al
cugino – I nobili figli degli Achei rivestiti di bronzo necessitano della forza,
della potenza devastante, dell’abilità guerriera e del coraggio del regale
Achille, figlio del nobile Peleo.
Il giovane si aspettava questa domanda:
aveva ormai capito che l’astuto Odisseo aveva portato con sé Aiace in modo da
costringerlo ad uscire allo scoperto, nel caso l’inganno della spada non avesse
funzionato.
- Sì, nobile figlio di Telamone, signore di
Salamina dalla bianca sabbia: parteciperò anch’io alla guerra che condurrà i
regali figli degli Achei fino ad Ilio dalle mura divine. Un irrefrenabile disio
di gloria e d’onore anima il mio cuore ed ora so che solo ad Ilio dalle alte
mura io e gli altri nobili figli degli Achei potremo trovare ciò che bramiamo.
Aveva deciso: sarebbe partito per Ilio per
partecipare alla grande guerra che si sarebbe svolta.
Si recò dunque da Odisseo e gli disse che si
sarebbe recato a Ftia in modo da radunare le navi necessarie per una spedizione
come quella che avrebbero condotto ad Ilio, convocare i Mirmidoni e salutare suo
padre un’ultima volta, poiché sapeva che non l’avrebbe più rivisto.
Prima di partire salutò Deidamia. La sua
sposa non parlò molto: sembrava assente.
Quando Achille ebbe salutato sua moglie,
Odisseo gli chiese scherzosamente:
- Oserei troppo, graziosa Pirra, chiedendoti
il permesso di consegnare il prezioso dono che sarebbe stato destinato a te,
alla tua graziosa moglie, Deidamia dagli occhi belli?
Si avvicinò a Deidamia e le disse:
- Ho saputo, nobile figlia di Licomede,
Deidamia dagli occhi lucenti, che tu ed il nobile Achille piè veloce, degno
figlio del grande re della Tessaglia dalle ampie spiagge, Peleo, avete un
giovane figlio.
Detto questo, le porse una piccola spada di
legno.
- Tieni, nobile principessa: da’ questa
spada al tuo caro figlio e comincia ad abituarti fin da ora all’idea, seppur
crudele e terribile, un giorno non troppo lontano, di dover dire addio anche a
lui come oggi fai con suo padre, il temibile Achille Pelide. Ignoro infatti
quanto durerà la guerra di Ilio, città dalle possenti mura. Il potente
Agamennone, signore di popoli, è convinto che gli Achei vestiti di bronzo
vinceranno la guerra in poche lune, ma io non sono della sua stessa opinione e,
purtroppo, quando egli si accorgerà dell’errore commesso, recluterà nel suo
imponente esercito tutti i nostri figli abbastanza grandi per combattere in una
simile campagna. Il figlio del nobile Achille sarà fra i primi a cui toccherà
questa sorte, e già il nome Neottolemo, assegnatogli alla nascita, racchiude in
sé la sorte del suo portatore: il nuovo guerriero – detto questo, Odisseo si
voltò e fece segno ad Achille di seguirlo, lasciando Deidamia in lacrime davanti
a quel futuro crudele per sé e per suo figlio.
Il Pelide seguì il re di Itaca senza
indugio.
Il Fato gli aveva offerto la possibilità di
scegliere fra una vita lunga ed ingloriosa ed una breve e piena d’onore: aveva
scelto quest’ultima e non se ne rammaricava. Fin dal giorno in cui aveva parlato
con sua moglie del suo Fato, Achille era convinto che mai avrebbe potuto
sopportare una vita lunga e priva di gloria.
Partiva per la guerra.
Partiva per Ilio.
Il grande disegno che rappresentava la
storia dell’umanità giaceva nelle mani del Fato: solo questo sapeva che destino
avrebbe avuto il nobile figlio di Peleo ad Ilio.
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