Nothing but the rain

di ferao
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Starbuck, "Schegge di vetro"


La prima volta lo aveva fatto con una scheggia di vetro, un pezzo di finestra che era riuscita a rompere con una gomitata. Gliel’aveva ficcata nella gola senza tanti complimenti, ignorando il sangue che schizzava a fiotti da tutte le parti. Lo aveva guardato negli occhi mentre annaspava in cerca d’aria, lo aveva tenuto fermo mentre lo colpiva ancora e ancora. E ancora.
Quando era tornato, poche ore dopo, il cuore di Kara si era fermato per due secondi. “Ma come” pensava, “è morto, cazzo, è morto, è lì a terra morto…”
E poi si era data della scema. “È un maledetto cylon, porca puttana, non può morire.”
Leoben doveva aver intuito il corso dei suoi pensieri, perché le aveva rivolto un sorriso tra il beffardo e il malinconico prima di chiederle com’era andata la sua giornata.
Vaffanculo, tostapane di merda.
 
Ogni tentativo di farlo fuori era vano, Kara lo sapeva benissimo, eppure continuava a provarci – con coltelli, schegge di vetro, unghie, sedie. Era come cercare di fermare la marea, per ogni Leoben morto ce n’erano chissà quanti altri pronti a tornare per tormentarla, ma a lei non importava.
Perché era un soldato, e un soldato combatteva sempre. Un soldato non considerava le sconfitte né le possibilità di vittoria, uccideva e basta.
Un soldato si considerava vinto solamente quando si arrendeva. E Starbuck non l’avrebbe mai fatto.






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