Falso, falso Halloween

di ss55
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Falsi, tutti falsi. Dagli amici del lavoro che lo avevano stimato così tanto, per voltargli le spalle subito dopo: quando era stato promosso a quel posto a cui tutti aspiravano; fino alla sua amata ragazza, che lo aveva baciato con labbra traditrici.
Ma aveva smesso di crederci, ogni uomo era definitivamente ed irrimediabilmente corrotto dalla propria doppiezza; l'amicizia non era altro che una falsa relazione di puro opportunismo, era sempre così: do ut des, niente di gratuito.


Protese la mano verso la massa di fulvo pelo, che gli si era strusciata tra la gambe miagolando.
Gli piaceva come quell'animale si lasciasse accarezzare e lo andasse a cercare per farsi coccolare: forse era l'unica creatura che conosceva capace di un rapporto sincero; perchè priva della capacità di escogitare le bassezze umane.


Suonò il campanello.
Il felino tirò indietro le orecchie nel sentire quell'acuto trillo, irritato almeno quanto il suo padrone, che non desiderava ulteriori contatti con i propri infimi simili.
Tuttavia si alzò dalla comoda poltrona in pelle rossa, mentre l'animale cadeva dalle sue ginocchia, con un sibilo di biasimo.
Aprì la porta e si ritrovò davanti agli occhi un secchiello a forma di zucca che un bambino gli sventolava sotto al naso.
Già, lo aveva dimenticato: era la sera dell'ultimo giorno d'ottobre.


Squadrò il marmocchio da capo a piedi: era travestito alla buona, con un completo ed una piccola cravatta nera, ed una testa di manichino decorata alla meno peggio sotto il braccio.
Bugie, ancora bugie, gli uomini non sapevano fare che mentire, anche così piccoli, celando la propria interiorità. la propria verità, con una maschera che indossano tutta la vita.
Quel bambino: così felice nella nuova immagine di falsità che la madre gli aveva costruito, così gioioso di mentire al mondo intero e di ottenere anche caramelle, in cambio; lo irritava, lo irritava tremendamente.


“Dolcetto o scherzetto?”
“Ma che carino che sei! Vieni, credo di avere qualcosa per te.”
Invitò il piccolo ad entrare, tenendolo per mano, senza saperne il perchè.....o forse lo sapeva?
Lo portò in cantina, mentre lui protendeva a destra e a sinistra il collo, cercando qualche indizio del dono promesso.


Sangue, sangue sulla sua mano e sul coltello che teneva in mano, sangue per terra e sangue sul corpo del piccolo.
Ora il travestimento era veritiero, ora l'esteriorità combaciava con l'interiorità, ora il bambino reggeva veramente una testa tra le mani: la sua.


E lui guardava, ammirato ma contemporaneamente nauseato la sua grande opera.
Ma la nausea non era per il sangue o per la morte della sua vittima...no, era per una cosa di gran lunga peggiore.
Aveva detto “Ma che carino che sei! Vieni, credo di avere qualcosa per te.”.
Era stato falso, anche lui non era potuto sfuggire alla doppiezza dell'umanità, e questo lo rendeva uguale a tutti coloro che disprezzava.


Non avrebbe fatto più questo errore: lui era superiore alle bassezze della gente comune, lui non era umano, non lo era piu.
Non avrebbe più nascosto nulla a nessuno, il suo aspetto esterno sarebbe diventato uguale con quello interno.
Così sollevo la cornetta del telefono.
“Polizia? Ho ucciso un bambino.”





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