Questo racconto fa
parte di una raccolta di drabbles che si chiama
“30 kisses”. Non so se avrò il
tempo e l’ispirazione necessaria per scrivere qualcosa anche per i
rimanenti 29 titoli… intanto inizio con questo capitolo, una cosina che
è rimasta chiusa nella mia testa, e successivamente in un cassetto da
tanto, troppo tempo. Alla fine ho scoperto che il titolo numero 5, si adattava
alla perfezione, così mi sono decisa. E questo anche perché, ribadisco, di fic su questa coppia tanto sconclusionata quanto meravigliosa
ce ne sono davvero troppo, troppo poche… ^^
05. “Ano sa…?” (Lo sai…?)
A volte penso che il mio cervello si prenda improvvise
vacanze a mia insaputa, lasciandomi in balia di strane sensazioni e
farfallamenti nello stomaco.
Succede quando vedo lui.
Passa, mi sorride, magari arrossendo. Quando Megure non
è nei paraggi mi lascia il sapore del caffè appena preso, sulle
labbra, o la sua mano fresca sulla mia guancia mi fa prendere coscienza di
quanto il mio viso si a paonazzo e accaldato.
In quei momenti non sono più io. Voglio dire, non mi sento io, non mi sento padrona delle mie
reazioni, dei miei movimenti, delle parole che mi escono dalla mia bocca…
Yumi dice che è normale,
che sono “cotta”.
Diamine! Io non sono “cotta” di nessuno! Non
sono un’adolescente alle prime esperienze… E soprattutto non
bastano due sorrisi e una carezza a “cuocermi” come un’oca
qualsiasi!
Però… però…
Però mi piace. Diamine, se mi piace.
Mi piace come si muove, come cammina, come parla, come
aggrotta le sopracciglia quando pensa, come si passa
una mano sulla nuca quando è nervoso o imbarazzato.
Mi piace come si allenta a cravatta, quando fa caldo,
durante le pause dal servizio.
Una volta, gliel’ho riallacciata io, prima di tornare
al lavoro. Come una brava moglie.
Penso gli siano venuti quattro infarti contemporaneamente:
ha balbettato per il resto della giornata.
A volte ho l’impressione che non riesca
ancora a credere di essere il mio ragazzo.
… uhm… il mio
ragazzo… Oh, diamine!
Lo prendo tanto in giro, poi anch’io…
Il fatto è che mi piace, davvero. Il mese scorso,
quando sembrava dovesse essere trasferito alla
prefettura di Tottori, mi sono sentita morire
qualcosa dentro. Non riuscivo a guardarlo negli occhi senza pensare: “Mi
dimenticherà. Troverà una donna che lo merita davvero: mi
dimenticherà!”.
Penso di averglielo anche chiesto, anzi, urlato in faccia,
quasi piangendo. Prima di scoprire che si era trattato di infondate chiacchiere
di corridoio…
Lui mi fa perdere
il controllo.
Quel suo modo di fare, tenero ma determinato. Umile. Takagi è una persona estremamente umile e innocente.
Come un bambino.
Sarà per questo che risulta così…
amabile. Anche la squadra dei giovani Detective sembra adorarlo: è il
loro beniamino. Forse anche perché quei ragazzini riescono a fargli fare
tutto quello che vogliono… cosa che riesco a fare anch’io, senza il
minimo sforzo!
Eh eh…
Meno male che tra le sue tante virtù, è
contemplata anche un’enorme dose di pazienza!
E per stare con me, ce ne vuole davvero tanta…
Solo quello che ha dovuto passare per
“corteggiarmi” come si deve e confessarmi finalmente quello che
provava per me, meriterebbe un encomio ufficiale.
Tutti i suoi tentativi, i suoi piani, gli appuntamenti di
nascosto, i pedinamenti degli altri colleghi… Mi ha raccontato tutto,
già. E’ successo poco tempo fa, un giorno, dopo avermi
letteralmente strappato via dalle grinfie di Shiratori
e i suoi insistenti quanto fastidiosi inviti a cena.
Era la prima volta che lo vedevo reagire con tanta fermezza.
E anche un po’ di rabbia, nonostante non abbia poi voluto ammetterlo. Eh,
la gelosia…
Takagi non è possessivo,
non è uno di quegli uomini che “marcano il territorio” e ti
portano in giro come se fossi un trofeo da mostrare. Anche perché, a
dire il vero, starmi vicino continua tutt’ora a
causargli non pochi problemi con i colleghi… primo tra tutti, Stiratori,
appunto.
Giuro, non avevo idea di essere tanto popolare… non me
ne ero mai accorta.
Yumi dice che devo avere qualche
serio problema agli occhi. Ogni tanto mi chiedo anch’io come possa essere un bravo detective, senza rendermi poi conto di
avere mezza prefettura che mi fila dietro?!
Ma ormai non ha più importanza: spiacente, signori,
ma “il posto è già
stato assegnato”…
Ho scelto lui. Perché mi piace da morire.
Anche quando sbaglia, quando combina qualche guaio e Megure
lo sgrida, o quando subisce le angherie e le battute cattive di Stiratori.
Che strana cosa…
Un uomo come lui, a prima vista non ha nulla da offrire a
una donna. È sostanzialmente insicuro, pasticcione, timido, a volte
infantile. Non ha una posizione prestigiosa o un grado molto alto nella
gerarchia della Polizia, e non si può certo dire che sia fisicamente
molto forte o particolarmente bello…
Tremendamente carino, questo sì.
Ma nonostante tutto questo.. non
so… ha qualcosa di… diverso dagli altri e… profondamente
buono… un certo, non so…
Lasciamo perdere. Ha ragione Yumi.
Sono proprio cotta! E si vede.
Non appena il mio cervello si degna di ritornare al mondo
reale, me lo ritrovo davanti, che mi guarda dalla sua scrivania, sorridendo. Ma
da quanto è tornato??? Non l’ho sentito
nemmeno arrivare…
“Meno male! Cominciavo a preoccuparmi: te ne stavi
lì immobile da prima che arrivassi…”
Ecco, appunto. Questa volta è bastato solo il
pensiero di lui, per farmi perdere completamente la testa e la concentrazione!
“Scusa… mi ero incantata… cioè,
pensavo!”
Lo vedo che ride. Dovrei arrabbiarmi e chiedergli cosa ci
trova, di tanto divertente, ma non posso fare a meno di sorridergli a mia
volta. Mi piace proprio..
Non ride più, ora. Forse si è accorto che il
mio sguardo è cambiato…
Arrossisco, lo sento, ma non voglio distogliere lo sguardo:
certe volte bisogna proprio incoraggiarlo…
Dai, baciami stupido!
Come se mi leggesse nel pensiero, arrossisce anche lui. O
forse anche lui sta pensando… mi
sta pensando? Mi piacerebbe sapere come mi vede, cosa vede di me, se anche i miei difetti ai suoi occhi spariscono,
diventando anzi piccoli particolari curiosi che mi rendono unica.
Non so perché, ma ogni tanto sento davvero il bisogno di essere unica, per Takagi…
unica e sua.
Che pensi a me, solo a me, che guardi me, che sogni di me,
che anche lui si incanti con lo sguardo perso nel vuoto, a ricordarmi
quando non sono nei paraggi.
Ma è egoista da parte mia, volere una cosa del
genere. Soprattutto dopo le pene che gli ho fatto passare, seppur
involontariamente.
Mi piace tutto di lui: i suoi capelli castani, morbidi e
sempre un po’ disordinati, come se si fosse appena alzato dal letto, gli
occhi dolci, il sorriso gentile…
Ha le mani grandi. Mi piace sentirmele addosso, quelle mani,
quando mi accarezza i capelli o il viso, quando mi abbraccia, quando…
… ehm…
Sato, è meglio finirla qui,
prima che ti legga davvero in faccia
quello che stai pensando!!!
Mi sento le guance paonazze e i suoi occhi incollati
addosso, mentre abbasso lo sguardo e mi alzo di scatto.
Mi fa una delle sue stupende espressioni disorientate,
quando lo afferro per un braccio e lo trascino quasi, per il corridoio deserto.
Scusami, Takagi: è che a
volte mi stanco di aspettare una tua mossa…
Mi piaci talmente tanto che non riesco a starti lontana,
neppure col pensiero. Mi rimani addosso e ti porto con me, ovunque vada.
Scommetto che se te lo dicessi, rideresti di me. O forse mi risponderesti che
senti la stessa cosa… Ah, sarebbe bello, vero?
Io ho bisogno di quest’uomo. E mentre chiudo la porta
dello sgabuzzino alle sue spalle e mi appoggio a lui, mi cresce dentro questo
qualcosa che mi spinge a lasciarmi andare.
“M-Miwako…?”
Meno male che nel buio della stanza non può vedere le
mie guance paonazze: sentirlo pronunciare il mio nome con tanta dolcezza,
è una sensazione a cui devo ancora abituarmi.
“Shh…”
Cerco il suo viso nel buio, la sua bocca.
Il bacio galeotto nello sgabuzzino delle scope. Non è
molto originale, ma ha sempre il suo fascino, no?
“Se ci trovano qui…” protesta senza troppa
convinzione, non appena la sua bocca non è più occupata con la
mia. Non lo lascio finire.
Eccole, le sue mani, che mi accarezzano, scivolando su e
giù lungo la mia schiena, si impigliano tra i miei capelli e mi fanno venire
i brividi. Non posso impedire a un sospiro di sfuggirmi, soffocato tra le
nostre labbra.
Le sue mani su di me, la sua bocca lungo il mio collo, le
braccia ora ferme e tese che mi sorreggono… Come posso stare lontana da
lui?
Quanta volontà mi servirà, dopo, per staccarmi
da quest’uomo e riaprire quella porta?
Mi sto persino dimenticando di respirare…
Allontano il mio viso dal suo, per riprendere fiato, e sento
il suo respiro affannoso contro la guancia.
Deglutisce. Quando mi riavvicino mi blocca, appoggiando
gentilmente due dita sulle mie labbra.
“Miwa… ehm… io
non credo di… insomma, mi riesce molto, molto difficile trattenermi… qui con te, ora…”
Spero che il buio nasconda il ghigno malefico che mi si sta
dipingendo in viso!
Inutile nasconderlo: mi piace stuzzicarlo. Vedere che non
sono l’unica a perdere il controllo.
Ci pensa un rumore di passi dal corridoio, a riportarmi alla
realtà.
Un’ultima volta. Lo voglio baciare un’ultima
volta. A lungo.
Vedi, Wataru? Vedi cosa mi fai? La mia capacità di ragionare sembra sciogliersi
come neve tra le tue mani grandi e tiepide. Perché? Me lo sai dire, tu?
Mi sai dire perché nulla diventa più
importante che scivolare pigramente tra le tue braccia? Lo sai perché
ogni minuto, ogni secondo, ti aspetto, ti cerco, ti voglio?
Solo per me, tutto per me.
Che sia…
… amore?
Mi spaventa, l’amore. Perché come la paura,
cambia le dimensioni delle cose, ingigantisce le sensazioni e annulla il
pensiero, ridimensiona tutto, come se il mondo intorno fosse visto attraverso
uno specchio rotto. Fa perdere l’orientamento, l’equilibrio, la
lucidità.
Riapro la porta un po’ disorientata.
Potrebbe essere. Che io…
La sua mano mi tira indietro, verso il suo petto, in un
impeto che raramente gli appartiene.
“Guardami.”
Anche nel buio, riesco a vedere il suo viso cambiare,
abbandonare per un momento l’insicurezza, il ragazzo, e lasciare spazio
all’uomo che non sa di essere.
“Lo sai… vero?”
Lo so, Wataru. Lo so, anche se mi
fa paura ammetterlo.
Ma è così, non posso cambiare le cose. Non
posso cambiare il fatto che ti amo, e che tu ami me.
A volte mi chiedo perché voglio complicare le cose a
tutti i costi, quando sono così deliziosamente semplici…
Lo so, anche se entrambi non riusciamo a dircelo a parole,
con quelle parole esatte.
Fa nulla. Ci vorrà tempo, ma ci arriveremo. Insieme.
Intanto te le sussurro in un altro bacio, piano, che tu le possa sentire<=
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invece che udire.
“Anch’io.” sussurro
appena, prima di scappare via.
Non da te, ma dalla grandezza di questo sentimento, che
nella sua bellezza, spaventa ancora un po’.
Ma guardatela…
No, dico sul serio: guardatela.
Lo sguardo assente, la matita tra le labbra, la brezza
mattutina che entra placida dalla finestra e le scompiglia dolcemente i
capelli…
Dopo un mese, stento ancora a credere che quello splendore
sia reale.
E che sia anche la mia ragazza.
…
He he… ha
ha HA HA HA!!!
Ah-ehm…
Su, Takagi, un po’ di
contegno!
…
Ma è così… così…
Bella.
Non è solo questo. Miwako
è… come faccio a spiegarlo, se nemmeno io riesco ancora a trovare
una definizione che le renda giustizia?!
E’ una poliziotta eccezionale, un’amica generosa
e premurosa, una donna bellissima e profonda… senza sapere di esserlo,
tra l’altro.
E’ determinata e passionale in tutto quello che fa.
Sì, in tutto.
Che si tratti di acciuffare un fuggitivo o di baciarmi in
macchina, prima di entrare nella “gabbia dei leoni”, come da
qualche settimana ha cominciato a chiamare il Quartier
Generale della polizia Metropolitana di Tokyo.
Non si è accorta del mio arrivo. Chissà a cosa
sta pensando… o a chi?
Spero tanto di essere io. Non ne sono sempre sicuro…
A dire il vero, la sicurezza è proprio quello che
manca, in questa relazione.
Tecnicamente,
stiamo insieme.
Sì, insomma… mi sono dichiarato. Non è
stato facile. Ho raccolto ogni briciola di coraggio che avevo in corpo per
sussurrare un impercettibile “Mi piaci da morire, da tanto tempo”.
A quanto pare, la cosa era reciproca. Non ho dei
ricordi molto nitidi di quella giornata… a detta di Yumi,
ho perso conoscenza per qualche minuto, ma secondo me
esagera, come suo solito. Vero?
Comunque sia, io e Miwako abbiamo
cominciato a frequentarci. Non che la cosa fosse top secret… anche
perché non è semplice tenere nascosto qualcosa, qui dentro.
Soprattutto se riguarda Sato.
Ormai è passato un mese da allora.
Però… c’è un però.
Io non le ho ancora detto “ti amo”, né
lei lo ha detto a me.
Voglio dire, le ho detto di essere “innamorato=
8221;
di lei… ma non è la stessa cosa. Diciamo
che è un po’ troppo sottinteso, per i miei gusti…
Mi sembra che una volta lei mi abbia chiamato Amore … ma
non ne sono così sicuro! Lo ha appena sussurrato, nel bel mezzo di una
frase ordinaria, del tipo “amore, sono un po’ in ritardo per dei
rapporti da consegnare” o qualcosa del genere. Ma quando ho cercato di
farglielo ripetere, ha cambiato repentinamente argomento…
Che fatica: sì, stare con Miwako
Sato è faticoso, tenere in piedi una qualsiasi
relazione lo è.
Ma lei… lei è… semplicemente lei.
Stupenda.
Con quegli occhi, quelle labbra, quelle mani… e quella
sua fragilità, che solo i miei occhi sanno vedere.
Sì, perché se c’è una cosa che la
rende davvero unica, davvero mia…
è questo suo lato più insicuro, nascosto a tutti tranne che a me.
Come un dono, esclusivamente per me. Un dono di cui non so ancora se essere
degno…
Dietro la facciata di super poliziotta e donna tutta
d’un pezzo, si nascondono dei ricordi dolorosi e delle insicurezze che da
sola non è ancora stata in grado di guarire. Vederla piangere, vederla
finalmente lasciar intravedere questo suo essere occulto, è stato come
assistere all’apertura di una porta rimasta troppo a lungo sigillata.
E’ come se mi fosse stata donata la chiave della sua corazza.
E’ così, Miwako
è forte, a volte penso lo sia anche più di me, ma quando la
sorprendo negli attimi di ozio, nelle piccole cose, nei gesti più
naturali, si apre come un fiore, lasciando intravedere le
creatura delicata che è in realtà.
Come ora. Ora che si perde dietro un pensiero. Ora che mi
guarda stupita, come se fosse tornata da un lungo viaggio, da un altro pianeta.
Forse arriva davvero da un’altra galassia,
perché nulla mi sembra così bello sulla Terra, quanto lo è
lei… così bella e mia.
“Meno male! Cominciavo a preoccuparmi: te ne stavi
lì immobile da prima che arrivassi…”
“Scusa… mi ero incantata… cioè,
pensavo!”
Cosa farebbe se la baciassi? Qui, ora.
La solleverei tra le mie braccia, come fanno i principi
azzurri che si rispettano, la guarderei negli occhi…
Cosa farebbe, cosa direbbe se le sussurrassi piano “Ti
amo”?
No. E’ meglio di no. Riderebbe di me. In effetti, sarei ridicolo.
E questo, non potrei sopportarlo, come se non facessi
già abbastanza brutte figure davanti a lei.
E adesso?
Adesso perché mi guarda così?
Ti prego, Miwako, non farlo…
Come diavolo faccio a non sciogliermi, davanti a quegli occhi, a quel sorriso
sornione, a quel rossore ormai diffuso fin sul tuo collo?
E’ una strana felicità, quella che mi riempie quando sto con lei: una felicità che ha paura
che il momento ideale possa finire, che si tratti tutto di un sogno.
Lo so, sono pessimista. Ma mi hanno insegnato a non dare mai
nulla per scontato. Nemmeno l’amore.
Sì, penso che potrei dirti “ti amo”.
Sarebbe un bel momento, ora. Ma tu ti stai alzando, ti stai avvicinando in
fretta. Mi afferri e mi trascini via, senza lasciarmi fiatare.
Ma che…!?
…
Ma questo non è… lo sgabuzzino degli
inservienti???
…
Com’è che ho la sensazione di cacciarmi in un
grosso, grossissimo guaio?
“M-Miwako…?”
“Shh…”
La porta dietro di me si chiude, come le tue labbra sulle
mie. E all’improvviso, il buio diventa più confortevole. Sembri
più piccola, tra le mie mani, come quei fiori che rilasciano il loro
profumo solo se si riscaldano i petali tra i palmi tiepidi.
“Se ci trovano qui…”
Non mi dai tregua. E non posso fare altro che arrendermi. Mi
arrendo a te, come sempre, alla tua pelle morbida, ai tuoi baci, al tuo corpo
contro il mio, alle tue dita che mi toccano e mi accarezzano la nuca,
lentamente.
E’ un calore che sale da dentro, così familiare
e conosciuto. Una sensazione già vissuta.
E’ così, tutte le volte che ti bacio: il tempo
si dissolve, lo spazio perde i suoi naturali confini, le dimensioni delle cose
si dilatano e deformano, tutti i miei sensi si intensificano.
Ehm…
… anche troppo…
Vedi? E’ una piccola controindicazione della tua
vicinanza. D’altra parte sono un uomo, non una macchina! Un uomo fatto di
carne, pensieri più o meno leciti, desideri…
“Miwa… ehm… io
non credo di… insomma, mi riesce molto, molto difficile trattenermi… qui con te, ora…”
I miei occhi abituati all’oscurità intravedono
il suo sorriso malizioso nella penombra.
MI STA FACENDO IMPAZZIRE APPOSTA?!?!?
Calmo. Devo stare calmo.
Takagi. Stai. Calmo.
Sarebbe bello, cedere all’istinto è sempre
bello. Ma ricordati dove sei, chi sei e che conseguenze ne potrebbero
derivare…
Quasi a ribadire il concetto, dei passi risuonano al di
là della porta.
Ecco, Miwako, lasci perdere. Mi
grazi con un ultimo bacio e ritorni con i piedi per terra.
Qui, ora, ci starebbe bene un bel “Ti amo”, dal
sapore dolce ma deciso, leggermente rassegnato e consolatorio.
Ma non esce. Non vuole uscire.
Ho paura di affrettare le cose, ho paura di aver frainteso
tutto, di aver sbagliato tutto.
Ma dirtelo senza parole, non mi basta più.
Vorrei sentire queste due parole uscire dalle tue labbra, e
come un bacio posarsi su di me.
Inondarmi.
Ma lo si come sono. So aspettare,
so sperare. Forse troppo.
Forse è ora di smettere di pensare e agire.
Così, mentre do silenziosamente ragione alla parte
coraggiosa di me che pensavo di non avere, trovo il modo di afferrare la tua
mano, di tirarti ancora nel buio di questo stanzino, prima che lo spiraglio di
luce dal corridoio si infiltri, impiccione, dalla porta che stavi aprendo.
“Guardami.” ti dico.
E tu mi guardi, senza dire nulla. Perché forse lo hai
già capito, e forse anche tu stavi aspettando che un momento così
arrivasse.
“Lo sai… vero?”
Lo sai, che ti amo più della mia stesa vita, vero?
Lo sai, anche se per ora non trovo la forza per dirtelo
senza sentirmi ridicolo?
E’ un bacio, la tua risposta. Ma è lungo,
è tenero, è… è lui. E’ un sì.
“Anch’io.” bisbigli
nel mio orecchio, prima di scivolare via, oltre la porta.
Ma sono sicuro che la sfumatura scarlatta sulle tue guance e
le mie, non è il risultato di un gioco di luci del tramonto…