01. Capitolo 01: Danny Messer
Titolo della storia: Confessions from
a hospital room
Fandom:
CSI: NY
Personaggi:
Un po' tutti
Rating:
Giallo
Genere:
Angst, introspettivo, spirituale
Avvertimenti:
Potrebbe esserci un po' di OOC sparso. È che certi personaggi sono così
ermetici... (come se questa fosse una spiegazione plausibile)
Set In Time:
Inizio stagione otto. Dopo Indelible, ma prima di Officer
Down
Disclaimer:
Onestamente, come fanno ad essere miei i personaggi? Non mi appartiene
nulla, se non la storia in sé. Ma questo non basta per farmi guadargnare
dei soldi. Né ora, né mai.
Nota:
La fan fiction che vi apprestate a leggere non ha una trama tipicamente
collegabile a CSI: NY. Niente casi da risolvere, prove da raccogliere,
interrogatori, inseguimenti vari. Nulla. È una fiction immobile, in cui succede
ben poco. Quello che volevo provare a fare (fallendo?) era uno studio dei
personaggi, una semplice analisi dei loro pensieri quando messi di fronte ad un
particolare avvenimento.
Va detto, che la
fiction trae una grandissima ispirazione dall'episodio Near Death (sì,
proprio quello in cui sparano a Mac). Spero che per gli appassionati della serie
la mia fiction non sia troppo un insulto.
Buona
lettura.
Capitolo
01: Danny Messer
Danny: "You
know what? You should mind your own business"
Flack: "You're
my friend, Danny. Make it my business"
Episodio
04x13: All In The Family
Se c'era una cosa
che Danny odiava - e sempre avrebbe odiato - erano gli ospedali. E non era
nemmeno una cosa direttamente connessa al suo lavoro. Sette anni, sì, avevo
sette anni quando sono stato portato per la prima volta al pronto soccorso. Papà
ce l'aveva detto di non arrampicarci su quell'albero, ma Louie...
Louie, suo fratello maggiore, era sempre stato, allo stesso tempo, una buona
ed una cattiva influenza. Il piccolo Danny aveva sempre cercato di imitarlo in
tutto. E così, quando gli aveva suggerito che papà sbagliava, che l'albero,
seppure malandato, era sicuro, Danny si era arrampicato senza indugio. Ed ho
duvuto portare uno scomodissimo gesso per otto settimane... oltre ad avere
problemi a sedermi per una settimana intera. Ma le sculacciate di suo padre
non gli avevano fatto troppo male; era stato più doloroso vedere suo fratello
mentre veniva punito col divieto di uscire per un mese intero. Non sono
mai stato bravo a proteggere gli altri, a non fare la spia; sono sempre
stato debole, bisognoso di sostegno. E questo è il risultato.
Il risultato era quello
di dover visitare l'ennesimo ospedale, camminando lento, cercando dentro di sé una
forza che non credeva di avere. Non dopo tutti quegli anni e non dopo tutto
quello che era successo. Ma fatti forza, Daniel, hai già fallito con lui una volta, deluderlo
di nuovo non è nemmeno lontanamente concepibile. Nel 2006 era stato fin troppo
facile prendere la scusa di dare un passaggio a Lindsay ed andarsene; il dolore
di quanto accaduto a Louie era ancora troppo recente. Se anche qualcuno avesse
trovato il suo comportamento errato - e, sicuramente, Mac dall'alto della
sua statura morale mi ha bollato come un codardo - non gli era stato detto
nulla. Ma, hai mai chiesto a lui cosa
ne ha pensato? No, come sempre
hai dato per scontato che saresti stato perdonato, che avrebbe dovuto capirti,
che la situazione era drammatica e stavi male. Tu capisci, non lui. Tu stavi
male, tu soffrivi. Un po' egocentrico, non trovi?
Ed era probabilente vero, ma, durante gli anni, Danny sapeva
di aver raggiunto un livello di maturità maggiore - e Lucy era la prima persona da
ringraziare per questo - e quindi, era certo che non si sarebbe tirato indietro ancora,
anche se, magari sarebbe stato più facile. Sarebbe stato esattamente nel posto in cui
ci si aspettava che lui fosse. Anche se avrebbe continuato a detestare
gli ospedali. Così, spinse piano la porta ed entrò nella stanza asettica ed
impersonale. Senza indugi, rivolse la sua attenzione alla persona che occupava l'unico letto e si
avvicinò. Si sedette esausto sulla sedia ed osservò il viso inerme del suo
migliore amico. Potrei illudermi che tu sia solo addormentato, distrutto
dopo il turno dei turni e che, tra poco, ti sveglierai e farai una battuta sarcastica sul
fatto che mi hai trovato qui a guardarti dormire, ma non lo farò. Sarebbe come
scappare da quello che ti è successo, sarebbe come fingere che stia andando tutto
bene; che, tra le prove raccolte dalla scena, non ci sia il tuo DNA. Ed io non
lo voglio fare. Mi vedi, Flack? Sono diventato grande. Guardami.
Danny si
appoggiò allo schienale, chiudendo gli occhi con un lunghissimo sospiro. Non era
quello che si era aspettato dalla promozione a Sergente.
***
Il motivo per
cui Danny e l'agente Cooper avevano preso la chiamata era stato semplicemente la
vicinanza alla scena. La radio aveva gracchiato informando le unità disponibili
che la vittima di un'aggressione giaceva all'angolo di un vicolo non troppo distante
da dove si trovavano loro. Danny era stanco, ma voleva dare il buon esempio:
non era una dei suoi nuovi compiti, forse? Aveva risposto alla Centrale
comunicando la posizione e confermando che sarebbero andati a vedere. Non
avevano parlato di un cadavere, ma Messer si trovò quasi a sperarlo. Non per il
poveretto, ovviamente, ma almeno avrebbe potuto chiamare la sua vecchia squadra
ed avrebbe potuto scambiare due parole con sua moglie. E se questo faceva di lui
un mostro, bene, avrebbe accettato le accuse senza fiatare.
Dopo aver parcheggiato la volante con maestria,
Lauren stava già scendendo per visionare la scena. Danny la seguì, decidendo che
l'avrebbe lasciata gestire la situazione, dandole solo qualche piccolo
suggerimento in caso di necessità. Attraversò
con malcelato fastidio il piccolo capannello di curiosi e si apprestò a guardare
la vittima. E tutto ciò che aveva imparato sparì dalla sua
testa. Senza pensare, si inginocchiò vicino al corpo del suo
amico e gli toccò un braccio: "Don...". Il polso era debole ed aritmico, la
pelle del viso coperta da un sottilissimo strato di sudore, i capelli intrisi
dal sangue che fuoriusciva copioso da una ferita sulla fronte e gli occhi semichiusi. Danny strappò
con forza lo sguardo da Flack e cercò la collega. La giovane lo
stava guardando confusa e quasi orripilata: ovvio, lei non conosceva Flack, le pareva soltanto che
il suo Sergente avesse deciso di infrangere una serie di regole,
così, senza alcuna motivazione logica. "L'ambulanza! Dove sono i paramedici?", gettò una breve occhiata
a Don, come per assicurarsi di non averlo disturbato con le sue urla. La Cooper
non si era ancora mossa e Danny valutò quante eternità preziose stessero perdendo,
quanta era la vita dell'amico che stava andando sprecata nella
speranza che Lauren si muovesse. "Cooper, adesso! Muoviti! E poi chiama Taylor della Scientifica
e digli che si tratta di Flack", la guardò con serietà, usando un tono
di voce che non lasciava spazio ad interpretazioni. Certo che
lei avrebbe fatto quanto ordinatogli tornò a concentrarsi su Don. Lui non si
era mosso e non aveva nemmeno mostrato di capire cosa stesse succedendo.
Danny appoggiò entrambe le mani sulla ferita che aveva sul torace e premette con tutte
le forze possibili. Il contatto con il sangue ancora caldo gli provocò le vertigini,
ma riuscì a non muoversi. "Stai tranquillo", sussurrò, "Ci sono qui io, adesso",
e si domandò quando mai questo dettaglio avesse migliorato la situazione.
***
Riaprì gli occhi e si guardò intorno: nella stanza non c'era
nessuno a parte loro due. E persino il reparto sembrava deserto. In modo
guardingo - anche se sapeva di non stare facendo nulla di male - si chinò verso
l'amico, appoggiando le mani sul materasso. "Hey... il tuo chirurgo dice che
potresti sentire, cioè, non ne era sicuro, e forse lo ha detto
solo per darci qualche speranza, non lo so... comunque all'inizio ho
pensato fosse una stronzata, ma, sai, trovo confortante potere parlarti ed
immaginare che mi ascolti", si guardò di nuovo intorno, "... so che staresti
pensando 'Ecco, tra tutti quelli che potevo trovarmi qui, mi tocca
Messer...
'.
O mi piacerebbe immaginare che tu lo stessi pensando, che è un po' la stessa
cosa. Perché, per me, la tua testa è sempre piena di battute divertenti a mio
discapito, perché questo è il modo che usi per farmi ascoltare da te.
Non so bene
cosa dirti, non sono bravo in queste cose, e poi sono un uomo e mio padre mi
ha insegnato che gli uomini veri non sono sentimentali e non devono mostrare
le emozioni in pubblico. Mai. Penso che anche tuo padre ti abbia insegnato
qualcosa del genere, vero? E quindi mi sento come una scolaretta timida ed
imbarazzata mentre sto qui a parlarti e continuo a verificare che nessuno entri
perché ho paura di quello che potrebbero pensare gli altri. E sbaglio, perché tu,
adesso, hai bisogno di conforto e di sapere che non sei da solo. Sai? Sto
guardando la tua mano, così inerme e senza forza, e vorrei stringerla, vorrei
fartelo capire che ti sono vicino davvero e che devi lottare, ma..."
***
"Basta piangere!", la voce dura di suo padre risuonò
nella stanza, "Era solo una stupida mazza da baseball. E se si è rotta è stata
solo colpa tua, perché non sai occuparti delle tue cose... E tu...", l'uomo si
rivolse all'altro ragazzino presente, "... togli quel braccio dalle sue spalle. Sarai mica una
checca?"
***
"Ricordo Mac, i
giorni dopo l'esplosione. Una mattina sono arrivato in ospedale e lui
sonnecchiava su una sedia accanto al tuo letto. Cioè, sonnecchiava come può
sonnecchiare Mac Taylor, sai cosa intendo... comunque... ti stava stringendo la
mano. Non forte, ma con dolcezza quasi. Mi è tornato in mente mio padre ed il
suo assoluto ribrezzo verso i contatti fisici tra uomini, ed il modo offensivo
in cui diceva checca, come se
si trattasse dell'insulto peggiore che si potesse dire a qualcuno, un modo breve
per dire debole uomo senza spina dorsale. La verità è che,
guardando Mac, ho visto tutto, tranne che un uomo debole o debosciato. L'ho un
po' invidiato, a te posso confidarlo. Io non sarò mai come lui. E, maledetto me,
sono qui seduto a parlare di me stesso, a pensare a me stesso, come ho
sempre fatto e sempre farò. E tu... tu mi stai ascoltando, forse, come hai
sempre fatto e sempre...", Danny deglutì, nervoso. Sospirò e lasciò passare
qualche secondo. Il silenzio intervallato dai BIP ritmici dei macchinari avrebbe
potuto farlo impazzire, "Volevo scusarmi, solo questo. Qualche volta avrai
sicuramente pensato che per te non ci fossi, ma non l'ho fatto apposta. Non che
questo migliori le cose, obiettivamente. Ma volevo chiederti scusa soprattutto
per non esserci stato la notte dell'esplosione. So che se potessi obiettare mi
diresti che tanto eri incosciente e non era necessaria la mia presenza, ma...
avevo paura. Dopo Louie ed Aiden e... sembrano sterili scuse, vero? Perché anche
adesso ho paura, parecchia, ma sono qui lo stesso. E non me ne frega nulla di
quello che ha detto il dottore; io so che ce la farai, io so che non mi lascerai
qui senza i tuoi consigli. Lo so. Così come sapevo che mio fratello sbagliava ad
immischiarsi con i Tanglewoods anche se non gliel'ho mai
detto, perché ero un codardo. Ma sono davvero cresciuto, adesso, come ti ho già
detto. Quando hai un figlio non puoi fare altro ed è un desiderio - avere dei
figli - che vorrei esprimere per te. E quindi...", senza esitazione, Danny
afferrò la mano dell'amico e la tenne stretta, "... non me ne frega cosa
penseranno gli altri, non me ne frega chi potrà vederci. Io sono qui, con e per
te, e non me ne andrò stavolta. Starò qui e quando ti sveglierai ti racconterò
tutte le ultime notizie sportive dei tue Rangers, ok?"
Nessuno rispose
e la vove di Danny cadde nel vuoto. Ma la stanza sembrò
approvare.
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NdA: Non c'è nulla
di meglio che prendere il proprio personaggio preferito e metterlo in coma.
Così, giusto per...
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