Obvious, isn't it? di Mahiv (/viewuser.php?uid=108064)
Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
i do
Sherlock sbuffò -per la quindicesima volta nel
giro di pochi
minuti, le aveva contate in mancanza di altri metodi per tenere la
mente occupata-, e a causa del freddo il suo fiato si
condensò in una
piccola nuvoletta di fumo.
Aveva bisogno di ragionare, di pensare,
ma in quel momento non poteva fare nessuna di quelle cose (a sentire
John, malate) che aiutavano la sua mente ad oliare gli ingranaggi.
Non aveva con sè sigarette, o droghe, di alcun tipo.
Non aveva una pistola a portata di mano -e pur avendola non l'avrebbe
usata, persino lui conveniva che sarebbe stato inopportuno sparare
contro le pareti di quell'edificio...forse-.
Lestrade era all'interno della sala celata dietro la porta accanto al
quale lui si era accasciato, e probabilmente aveva il cellulare spento
(quell'incompetente), perciò non avrebbe potuto fornirgli
alcun
caso che sbrogliasse la matassa che in quel momento era la sua mente.
E John...beh, anche John era in quella sala, e dato che si ritrovava in
quello stato soprattutto perchè non era convinto di volerlo
raggiungere, lui non avrebbe potuto essere di alcun aiuto.
Sbuffò, di nuovo.
Stava per prendere in considerazione l'idea di costruire un
analizzatore di particelle in quel corridoio (andiamo, quanto difficile
avrebbe potuto essere?) quando sentì i cardini della porta
smuoversi, e, per un attimo, il chiacchericcio da cui cercava di
isolarsi farsi più intenso.
Anche se a occhi chiusi, non gli bastarono che un paio di secondi per
capire chi avesse interrotto la sua solitudine, e lo ignorò
volutamente.
«Mio caro fratello.»
Era troppo chiedere di essere lasciato a se stesso? Almeno quel giorno?
«Non posso credere che riuscirai ad essere in ritardo per il
tuo stesso matrimonio.»
Un altro sbuffo, il diciassettesimo, e Sherlock si decise ad aprire gli
occhi.
Mycroft lo scrutava con un malcelato sorriso divertito, in un
certamente costosissimo completo scuro, con la mano destra che vagava
ininterrottamente dalla sua posizione abbandonata su un fianco, alla
tasca della giacca.
Ti manca l'ombrello,
Mycroft? Gli scappò un ghigno.
«Il povero dottore crede che tu stia avendo dei ripensamenti.
Devo supporre che abbia ragione, Sherlock?» Ghigno che se ne
andò veloce com'era apparso.
Il consulting detective evitò lo sguardo del fratello,
sbuffando -diciotto-,
e serrò la mascella.
«Ho solo bisogno di un momento.» Disse fra i denti.
Questo non fece che aumentare il livello di divertimento dell'altro.
«Un momento?»
Per quanto Mycroft volesse suonare genuinamente scettico, o confuso,
Sherlock potè chiaramente leggere dentro quelle due parole.
"Un momento, fratello? Le sposine emozionate hanno bisogno di un momento."
«Sì.»
Mycroft si concesse una breve quanto fastidiosa risata,
prima di tornare serio e fare un cenno col capo al fratello minore.
"Va avanti."
Sherlock lo guardò con aria risentita. Tutto
qui? Sarebbe dovuto essere lui
l'aiuto divino mandato a soccorrerlo?
Dopo tutto quello che faceva per quella città, era quasi un
insulto. Non che credesse in divinità superiori, o karma, o
altre cose, ma gli sembrava comunque ingiusto.
Sbuffò.
«D'accordo, Mycroft. Ora ti farò una domanda, e tu
devi rispondere sinceramente.»
L'interpellato sollevò le sopracciglia, ma non
commentò.
Sapeva quanto costasse all'orgoglio del fratello chiedere il suo aiuto,
e non gli sembrava il momento adatto per rinfacciarglielo.
Magari in futuro.
«Credi che sposarsi
sia la cosa giusta?»
Mycroft non parlò, capendo che l'altro non aveva ancora
finito.
«Voglio dire, abbiamo già visto quanto posso
metterlo in pericolo.»
Il maggiore sorrise bonariamente, vedendo il fratello minore realmente
preoccupato.
«Sì, eppure John è ancora al tuo
fianco.»
Sherlock lo guardó incerto, prima di sbuffare -venti- e misurare
il corridoio con passi svelti e determinati.
«E la prossima volta? Se la prossima volta non fossi in grado
di proteggerlo?»
Mycroft scosse lentamente la testa.
Non avrebbe mai creduto di riuscire a vivere abbastanza per poter
vedere il fratello così schiacciato da dei
sentimenti, ed in qualche strano modo, se ne sentì
compiaciuto.
«John è un soldato, Sherlock. Sono sicuro che
sarà più che capace di proteggere se
stesso.»
L'altro, al suono di quelle parole, bloccó la sua marcia e
giró sui tacchi di 360º, guardando Mycroft come se
avesse appena affermato la cosa più assurda che lui avesse
mai sentito.
«Oh, certamente, come l'ultima volta. Quella in cui mi sono
dovuto buttare
da un tetto per salvarlo.» Sherlock
abbassó la voce, nel pronunciare quella frase, come se
temesse che sentirla riecheggiare per il corridoio lo costringesse a
ricordare quei tre anni.
«Ma Moriarty non è più un pericolo, ne'
per te, ne' per lui.
E sono abbastanza sicuro che non ci sarà nessun altro pronto
ad eguagliarlo.»
Quel pensiero non sembró far calmare il fratello, ma, se
possibile, fece aumentare esponenzialmente il volume della sua voce.
«Ce ne saranno comunque altri! È già
abbastanza pericoloso così, Mycroft! Lo espongo
già abbastanza facendolo venire con me durante i casi! Un
matrimonio sarebbe come un enorme manifesto che urla "Hey, John Watson
è il mio punto debole, perché non venite a
prenderlo?"» Snoccioló i suoi pensieri tutti d'un
fiato ed in modo angosciato.
Mycroft si chiese come fosse riuscito quel dottore a fare..beh,
qualunque cosa avesse fatto al fratello, mentre aspettava che finisse
di gesticolare, per poi avvicinarglisi, e porgergli la mano.
«Sherlock, sei stato tu stesso a chiederglielo.»
Il Consultive Detective inarcó un sopracciglio, non
comprendendo le intenzioni dell'altro, finché, pochi istanti
dopo, i suoi occhi si illuminarono, e le sue dita si impossessarono
avidamente della sigaretta, facendosela accendere con altrettanta
impazienza.
«Sì, beh...non ci ho pensato.»
Sherlock tornó a poggiarsi con la schiena contro il muro,
chiudendo gli occhi ed inspirando con ingordigia.
«Ripensandoci, è quasi un bene che John mi abbia
costretto a sceglierti come testimone.» Soffió,
sentendosi già più rilassato.
Mycroft ridacchió.
«Lieto che una sigaretta te lo faccia pensare.»
«Anche se è light.»
«Era un discorso privo di senso.»
Sherlock si lasciò scappare il soffio di una risata, la
prima della giornata, se non si conta il ridacchiare nervoso che lo
aveva colto da appena sveglio.
«Sherlock.»
L'interpellato aprì a malavoglia gli occhi, per poi puntare
lo guardo in quello serio del Governo Britannico.
«Tu vuoi
sposare John?» Chiese Mycroft, con il tono complice ma severo
con cui si chiede ad un bambino se sia stato lui a rompere il vaso
preferito della mamma.
In risposta, Sherlock non esitò nemmeno un istante.
«Sì.»
Il maggiore cercò di sopprimere il sorrisetto consapevole
che si faceva strada sul suo volto, fallendo miseramente.
«Capisco.» Fece un passo indietro, come a voler
dire 'ora me ne posso andare, il mio lavoro qui è finito', e
Sherlock incontrò nuovamente i suoi occhi.
Occhi che, forse per la prima volta, erano leggermente increspati agli
angoli.
Mycroft era sinceramente felice.
O forse divertito.
«Dannazione.» Mormorò Sherlock, ma non
riuscì a fare a meno di ricambiare il sorriso.
Superato in astuzia da suo fratello. Avrebbe dovuto vergognarsi.
«Perchè stai facendo attendere la tua 'Blushing
bride', allora?» [1]
Il detective scosse la testa, l'accenno di una risata sulle sue labbra.
«Non ero sicuro. Ora lo sono. Beh, quasi.» Disse,
corrugando le sopracciglia.
«Dì a John che sto arrivando.»
Mycroft sospirò, fingendosi -forse- esasperato, mentre
rientrava nella sala.
«Tu cerca di sbrigarti, per la salute del povero
John.»
Sherlock aspettò che il fratello se ne fosse andato, e
reclinò nuovamente la testa fino a poggiarla contro il muro,
accompagnando il movimento con uno sbuffo di fumo.
Le preoccupazioni non lo avevano ancora abbandonato, temeva ancora che
il suo proporre a John il matrimonio fosse stato qualcosa di
assolutamente sconsiderato.
Non ci aveva riflettuto, quel giorno.
Gli era scivolato dalle labbra, quasi senza che se ne rendesse conto.
Forse nemmeno credeva di averlo detto ad alta voce.
Ma gli sembrò perfetto.
Sherlock annuì frettolosamente, prima di calpestare la
sigaretta e approfittare del momento di sicurezza per fare la sua
entrata in quella maledetta stanza.
Camminò velocemente, incurante del fatto che la maggior
parte dei presenti (ancora in piedi e intenti a chiacchierare con i
conoscenti) si zittisse mano a mano che lui procedeva.
Passò accanto ad un Mike Stamford tutto eccitato che si
dondolava sulla propria sedia, sorridente, come a dire "Sono stato io!
È merito mio!", e Sherlock pensò che,
effettivamente, aveva un grosso debito con quell'uomo.
Il Consulting Detective prese il suo posto accanto a John, che, dopo un
sospiro di sollievo, gli lanciò un'occhiata interrogativa.
Lui si limitò a esibirsi in un perfetto sorriso di scuse, e
potè giurare di aver sentito Mycroft ridacchiare al suo
fianco.
Gli invitati presero posto, e la cerimonia iniziò.
Cerimonia di cui Sherlock Holmes non ascoltò una sola
parola, troppo occupato a sbirciare le reazioni del dottore con la coda
dell'occhio.
Non si preoccupò di prestare attenzione nemmeno quando vide
le labbra di John muoversi per dire qualcosa, pur mantenendo quel
sorriso che fece mancare un battito al cuore dell'investigatore.
John era raggiante,
quel giorno. E lui si ritrovò a pensare che
quell'espressione gli donasse come nessun'altra.
Sherlock notò anche che John indossava il completo grigio
scuro che Lestrade, come suo testimone, gli aveva consigliato, e che i
suoi capelli biondo cenere non erano corti e regolari come era solito
portarli, ma erano lasciati un po' più lunghi, sbarazzini,
questa volta sotto consiglio di Harriet.
Sogghignò, non potendo evitare di raffigurarsi un John
Watson in preda al panico, che per l'indecisione di come presentarsi al
suo stesso matrimonio accettava qualunque consiglio gli venisse
propinato.
Ringraziò mentalmente che il dottore avesse chiesto aiuto
alle persone giuste. Non avrebbe saputo dire che cosa avrebbe fatto di
lui Mrs Hudson.
Era così concentrato in quei piccoli dettagli che non si
accorse dell'improvviso e assoluto silenzio tutto intorno a lui.
«Sherlock?»
Bisbigliò John, tentando di ottenere la sua attenzione.
Il detective sbattè le palpebre un paio di volte,
riscuotendosi dai suoi pensieri.
«Scusa, mi sono distratto.» Disse tranquillamente.
John scosse leggermente la testa, ma non riuscì ad evitare
di sorridere, scambiando un'occhiata esasperata con il DI al suo fianco.
«Vuoi tu, Sherlock Holmes, prendere come tuo legittimo sposo
il qui presente John Watson?» Gli ripetè, forse in
modo leggermente scocciato, l'uomo di fronte a lui.
Sherlock sorrise, se ne rese conto, di quel sorriso che aveva visto
solo pochi attimi prima sul volto di John.
«Credo sia fin troppo ovvio.»
E potè avvertire
entrambi i testimoni alzare gli occhi al cielo.
NdA
Perciò....eccomi qui.
Avevo questa fic nei meandri del cervello da mesi e mesi, e oggi mi
sono decisa a partorirla. Non so dire se ho fatto bene, però.
Mi piaceva l'idea di Sherlock un po' preso dal panico e di Mycroft che
per una volta fa sinceramente il fratello maggiore.
Vi ringrazio infinitamente se avete avuto l'ardire di leggere questa
mia creatura :]
[1] Il
termine 'Blushing bride' mi sembrava perfetto da far usare a Mycroft
mentre cerca di prendere ingiro John, ma sfortunatamente non ho trovato
modo di tradurlo in maniera decente.
E' un termine che veniva usato in passato per indicare la sposa durante
il matrimonio, poichè tutti i presenti sapevano cosa lei e
il marito avrebbero fatto durante la loro prima notte di nozze, ed
essendo la sposa tradizionalmente vergine, i risolini e le occhiate che
gli invitati le davano, sapendo che dopo quella notte lei non lo
sarebbe più stata, la facevano imbarazzare e arrossire. Mi
piaceva l'idea di Mycroft che scherza sullo stato d'animo di John, che
sicuramente è anche un po' imbarazzato e agitato.
|
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1626436 |