Minerva
odiava momenti come quello – il silenzio di allievi
impegnati, le
teste chine sui compiti in classe, nient'altro da fare se non
vigilare su una disciplina che nella sua aula non era mai in
discussione e tanto, troppo tempo per pensare. E da qualche giorno a
quella parte c'era stato un solo pensiero a monopolizzare il suo
tempo, a riempirle la testa di voci e ricordi e il cuore di una
pesantezza che non sapeva come avrebbe fatto a sopportare. Parole
gentili, una voce affettuosa e in qualche modo piena di premura,
«
Quest'amicizia, Minerva... Non devi darle più peso di quanto
abbia.
Siamo amici, certo, ma è cominciata con la scuola, non darle
così
tanto peso. Non devi soffrirne. In fondo io sono soltanto un vecchio
mago amante della solitudine, e tu una strega tanto più
giovane...
Non posso darti ciò che vorresti, Minerva. »
In
verità, ne era uscita alla grande. Non si era tolta
quell'espressione un po' derisoria dal viso neppure per un istante, e
il suo sorriso non aveva ceduto neppure di una virgola sotto quel
colpo. Aveva continuato a sorridere, anzi, aveva addirittura riso,
alla fine: « Non so di cosa tu stia parlando, onestamente.
Non mi
pare d'averti chiesto nulla, forse perché non voglio
nulla; ho già tutto quello che mi serve, Albus, e se devo
essere
sincera trovo questo discorso abbastanza superfluo. »
Che fosse benedetto il cielo,
pur con
tutta la sua genialità Silente restava un uomo e come tale
aveva
creduto senza la minima difficoltà alle sue parole. Lei
sapeva
recitare abbastanza bene da ingannarlo, e d'altro canto lui, era
chiaro come il sole, non aspettava altro che di essere rassicurato,
anche se ciò avesse voluto dire bersi come oro colato una
delle più
grandi menzogne della storia.
Era uscita per certi versi
soddisfatta
da quell'incontro, Minerva, perché ancora una volta il suo
segreto
era rimasto al sicuro – era durata poco. Il tempo di
ripensare a
quello scambio di parole misurato e prudente, al modo in cui dopo la
sua impeccabile rassicurazione tutto fosse tornato come prima,
sciolto, sereno, confidenziale, così palesemente in
contrasto a ciò
che era stato detto e ribadito da entrambi solo qualche minuto prima.
E mano a mano che i giorni erano passati, le cose non avevano fatto
che peggiorare. Rapidi ed improvvisi abbracci di saluto, strette di
mano che si protraevano ben oltre l'opportuna durata, sguardi che
attraversavano stanze e saloni in totale, incoerente divario con il
contenuto di quella conversazione irreale... E a tutto questo,
Minerva aggiungeva emicranie. Crisi d'insonnia. Violenti quanto
inaccettabili scoppi di pianto.
Restarsene immobile e in
silenzio in
classe era il modo peggiore di combattere quei demoni che, per loro
stessa natura, nel silenzio e nell'immobilità prolificavano
e
mettevano radici. Guardò l'orologio. Ancora una lunghissima
ora.
Lasciò che il suo sguardo andasse alla deriva oltre la porta
aperta
sul corridoio – per vanità più che per
necessità amava lasciare
la porta aperta durante i compiti in classe, a dimostrazione della
propria capacità di mantenere la disciplina più
ferrea facendo uso
di una sola occhiata.
Ma nello specchio della
porta,
inaspettato, aveva fatto capolino il volto di Silente. Un'espressione
buffa, mirata probabilmente a farle allentare la tensione che, al
contrario, doveva essere scolpita nel suo viso. Minerva sorrise e
scosse la testa in silenzio, un gesto di rimprovero, sì, ma
divertito, una sottolineatura dell'indiscutibile verità
–
quell'uomo non sarebbe mai cambiato.
Quello scambio muto che
avrebbe lasciato
con tanto d'occhi più di uno studente se solo fosse stato
possibile,
durante un compito di Trasfigurazione, alzare la testa, si protrasse
per qualche minuto, divertendo moltissimo il Preside – cosa
che
peraltro era chiara come il sole – e mettendo la sua Vice in
uno
stato di sempre crescente perplessità. Finché
Albus Silente non
aveva fatto un cenno con la mano, domandandole di fatto di
raggiungerlo. Minerva scosse di nuovo la testa, questa volta con
decisione, e allargò le mani ad indicare i suoi studenti.
Silente insisté. E
Minerva tornò a
rifiutare.
« Solo un istante,
» sillabò Silente
senza parlare, accompagnando il labiale con i gesti.
« No, »
fu la replica, ferma ed
altrettanto muta della strega. Poi, con suo grande orrore, Silente
varcò la soglia.
« Vi prego di non
interrompervi, ma ho
bisogno della professoressa McGranitt per qualche istante. Gradirei
che non credeste di poter trarre vantaggio dalla sua assenza,
poiché
ci fermeremo solo qui fuori. Vorrebbe essere così gentile da
dedicarmi un attimo del suo tempo, professoressa? »
Minerva lo seguì
senza fiatare,
lanciando a destra e a manca occhiate di minaccia a rinforzo delle
allegre parole del Preside. Era insolitamente sulle spine. Non si
ricordava a memoria d'uomo che l'avesse convocata nel pieno di una
lezione, nemmeno nei momenti di peggior crisi. Che ora lo facesse, e
sprizzando buonumore, la preoccupava oltre misura.
« Sentiamo, avanti,
» esordì brusca,
più che ansiosa di tornare alla confortevole sicurezza della
propria
cattedra. L'allergia a tutto ciò che fosse in apparenza
privo di
ragione era parte di lei da troppo tempo perché non
contribuisse ad
alimentare il disagio che provava di fronte a quel comportamento
insolito.
« Ci
vorrà solo un secondo. » Un
secondo che parve dilatarsi all'infinito nelle percezioni di Minerva,
quando la mano del Preside cercò la sua per intrecciarvi le
dita. «
Non ci vuole molto, ad ammettere di essermi comportato da stupido.
»
« Da stupido? Non
mi risulta... »
« Sì,
invece. L'altro giorno. » Senza
rendersene del tutto conto Minerva finì per appoggiarsi al
muro,
sopraffatta da quelle parole e dalla lieve carezza del pollice di
Silente sulla pelle. Non poteva essere vero. Doveva essersi
addormentata in classe – ebbe un moto di panico al pensiero
di cosa
avrebbero detto di lei colleghi e studenti. « L'altro giorno,
sai.
Quando io facevo un mucchio di discorsi privi di qualsiasi
consistenza e tu non facevi che continuare a sorridere come se non ti
sfiorassero neppure. »
« Albus, per
favore. Non c'è bisogno
di... »
« Di rivangare?
Sono d'accordo. Ma c'è
bisogno che faccia una cosa. »
E si piegò su di
lei, lentamente, per
darle il tempo, se avesse voluto, di sottrarsi, ma non accadde,
perché Minerva era ancora troppo convinta di essere in un
sogno per
poter desiderare di allontanarsi da quel bacio. Fu quando le sue
labbra catturarono le sue, invece, che si rese conto, di soprassalto,
che non era uno scherzo della sua immaginazione. Silente l'aveva
fatta uscire per baciarla, per baciarla in mezzo ad un corridoio come
avrebbero fatto due studenti sfuggiti alla lezione, e lei si
scoprì
di colpo troppo felice per poterci credere.
« Cosa significa?
»
« Ho sbagliato
tutto, Minerva. Non è
vero che non posso darti ciò che desideri. Al contrario.
Voglio
poterti dare tutto ciò che meriti... »
« Ma hai detto...
»
« Ho sbagliato.
Pensavo di proteggerti,
di proteggere me da... Non sono bravo in queste cose, Minerva.
Pensavo che non fosse giusto coinvolgerti con un uomo come me, ma...
»
« Non capisco cosa
sia cambiato, Albus,
» insisté. Non era pronta a soffrire quanto
avrebbe sofferto se
quello non fosse stato che un momento di temporanea confusione.
« Vorrei potertelo
dire, davvero, ma
non lo so neppure io. Quando stamattina ti sei alzata dal tavolo in
Sala Grande e sei passata fra i tavoli radunando i tuoi ragazzi
–
be' non so cosa sia successo, è stato come un fulmine. Sei
tutto ciò
che di importante c'è nella mia vita. Non mi basta sederti
accanto,
ho bisogno di averti con me. »
Le mani della strega gli
sfiorarono le
guance coperte di barba. Era commossa, ora, commossa come forse non
era mai stata in tutta la sua vita, e fu lei questa volta a cercare
il suo bacio.
« Finché
avrò respiro, Albus. Te lo prometto.»
|