A Jakefan
verso la metà di febbraio che tende pericolosamente alla
fine, tantissimi auguri!
Primo violino – Il Maestro
“Provai
tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si mozzò il
respiro.
Fui svegliato da questa violenta sensazione e presi all'istante il mio
violino, nella speranza di ritrovare una parte della musica che avevo
appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi è, in
verità, il migliore che abbia mai scritto, ma è
talmente
al di sotto di quello che m'aveva così emozionato che avrei
spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se mi
fosse stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava.”
La notte in cui Alain decise di creare un violino per Aro, fu la stessa
notte in cui il diavolo apparve in sogno a Tartini, suonando il suo
Trillo.
Tartini, però, dovette inventare che l’aveva
sentita in un sogno. O forse non dovette nemmeno inventarlo.
“Giuseppe, oggi
desidero venire a casa tua”
Alain non era dentro la casa del compositore, quella notte, ma sulla
piazza su cui si affacciavano le finestre. Aveva appena trovato la sua
cena, una deliziosa biondina che si era attardata per le strade dopo il
coprifuoco.
- Allora, dove mi porti?
- Perché non sulla luna? O all’inferno, da come ti
sento
ardere… - Alain aveva sussurrato le ultime parole contro il
collo della ragazza, quando dalla finestra aperta un violino aveva
cominciato a suonare.
“Come
mai siete qui?”
“Sono il vostro umile servitore, per oggi.
C’è qualsiasi cosa che posso fare per
voi?”
“Prendete, questo è il mio violino, suonate
qualche bella
aria.”
Alain aveva provato solo un’altra volta quella sensazione, la
prima volta che si era risvegliato da vampiro e aveva seguito la sua
prima scia di sangue umano. Il mondo si era annullato, esistevano solo
l’odore e la sete. Quella musica placò anche la
sete, o
meglio, ne risvegliò una a cui la ragazza tra le sue braccia
non
poteva più rispondere. Alain si era sciolto dall'abbraccio e
avvicinato alla finestra,
la ragazza lo aveva mandato al diavolo (senza sapere quanto fosse
azzeccato come augurio) e lo aveva
lasciato solo, in piedi sotto la finestra illuminata, ad ascoltare.
Non era solamente la tecnica, era come se il suonatore avesse capito
tutto del violino al primo tocco: quando le corde erano a un soffio
dallo stridere, le accarezzava e le riportava come al passo,
accarezzate dalla criniera dell'archetto. Il violino era stato domato e
sapeva di essere stato domato; aveva aspettato il suo vero padrone da
quando era un albero nel bosco.
Le mani di Alain cominciarono a muoversi, a disegnare i contorni del
violino. Poteva sentire le corde sotto i polpastrelli,
l’archetto
che le avrebbe accarezzate, i contorni della cassa armonica.
Era così leggero da essere un prolungamento del
braccio,
uno
strumento creato solamente per permettere alle mani di dare una forma
alla musica, perché anche il mondo la potesse conoscere.
Decise che il suonatore doveva avere uno dei suoi violini, e che se lo
avesse rifiutato non avrebbe più avuto alcun senso
costruirne
altri, perché nessuno avrebbe mai suonato così.
Tra la fine della musica e il riapparire degli altri suoni della
strada, passò il tempo in cui si spense la luce alla
finestra e
un uomo ammantato di nero aprì il portone di ingresso.
L’ombra gli toccò la spalla con lo stesso tocco
perfetto
da cui era uscita la sonata.
- Chi cercavi?
Tartini aveva frequentato catechismo con più attenzione del
vampiro: arrivato il momento di scegliere un nome per la sua
composizione, non aveva esitato un minuto a riconoscere il Nemico
celato dai modi evangelici. Alain no, o forse sì ma sotto
quel
portone, con la musica nelle orecchie e la mano sulla spalla,
desiderava solamente sentire di nuovo una cosa così bella.
- Maestro, dove abiti?
Sorrise, come la mezzaluna in cielo.
- Vieni e vedrai.
Andò dunque e vide dove abitava e
quella notte si fermò presso di lui. Erano circa le dieci di
sera.
Violoncello –
L’amante
- Che cos’è questa? “Borgogna al
vitello”?
Corinna non entrava nelle stanze, Corinna si faceva incorniciare dalle
porte, come un’opera d’arte troppo bella per
accontentarsi
di una sola rappresentazione. Contro la tappezzeria scura della parete
alle sue spalle, nuda, a parte le parigine (una si era arricciata sotto
il ginocchio, l’altra avvolgeva la coscia), bianca e con il
viso
soffuso dal biondo dei suoi capelli, una bottiglia di vetro scuro in
mano. Costruire il suo violoncello era stato facile come gettarsi tra
le sue braccia.
- Appartiene alla mia infante.
- La tua… - Corinna scoppiò a ridere e
tornò verso
il letto a baldacchino con la bottiglia in una mano e due coppe da
champagne nell’altra.
Alain si tirò a sedere sul letto e appoggiò la
testa sul
cuscino, in modo che i capelli formassero una corona studiatamente
scompigliata sul bianco immacolato.
- La mia infante, Céline. E portare una bottiglia di sangue
sopra le mie lenzuola pulite sarebbe proprio da lei. No, grazie, quegli
intrugli sono orribili.
Corinna aveva riempito le due coppe e gliene stava porgendo una. Al
rifiuto, ne appoggiò una sul tavolino accanto alla bottiglia.
- Sarebbe “molto da lei” bere uno accanto
all’altra, nudi, nel tuo letto?
- Non adombrare i tuoi bellissimi occhi con la gelosia, mia diletta. Ho
deciso di tenerla con me come un ricco benefattore che decidesse di
crescere un’orfanella, cosa che lei è.
L’ho trovata
in un circo.
- Questa te la stai inventando. Bleah, avevi ragione, ha un sapore
orribile. – Corinna appoggiò il bicchiere ancora
pieno sul
comodino, poi cominciò a giocare con i capelli di Alain.
- Il tuo dubbio è uno stiletto nel mio cuore innamorato, mia
diletta.
- Raccontami come vi siete conosciuti, allora. Le storie con i circhi
sono sempre interessanti. – Corinna, a pancia in
giù sul
materasso, puntò i gomiti sul letto e appoggiò le
guance
alle mani, come una bambina che aspetta la favola della buona notte.
Alain si schiarì la voce.
- È accaduto sei mesi orsono. Alle porte di Parigi una
compagnia
di circensi e zingari aveva piantato un tendone colorato. Il giorno
stesso hanno fatto sfilare pagliacci, giocolieri e fiere per le strade
della città. Decisi di seguire la scia di coriandoli fino al
tendone. Al campo, mi accolse la musica di un organetto di Barberia.
- Ti prego, dimmi che il suonatore aveva in spalla una scimmia, e che
la scimmia batteva dei piccoli cembali.
- Proprio così, mia diletta. Ma non è quella la
scimmietta che ho adottato. La mia era poco oltre, ai piedi del tendone
colorato, seduta su una seggiolina di paglia pitturata di blu. Era una
ragazzina magra e coperta dei vestiti che gli altri circensi le avevano
donato…
-…impietositi dal suo essere così poverina,
immagino. Non
vorrai privare la nostra figura tragica di un paio di scarpe bucate e
di una giacca troppo grande per il suo corpicino smunto. Raccontami
come le sue dita intirizzite sbucavano dai guanti, di come nonostante
tutto suonasse.
- E così era, mia vampira dal cuore di ghiaccio. Aveva un
violino in braccio, e lo suonava con gli occhi aperti e rivolti al
cielo.
- Adesso mi dirai che era cieca.
- Proprio così: vedeva solo la musica.
Celine gli arruffò i capelli. – Che bugiardo.
- Lo giuro sulla mia arte! “Vi prego di farmi la
carità,
buon signore, di dire a questa povera creatura il vostro
nome”
disse, timida, appena mi avvicinai, “poiché i miei
occhi
non possono vedere.”
- Ti ha detto davvero così?
- Queste parole precise.
- Non manca che il cattivo. Il tirannico direttore del circo abusava
della bambina e non le voleva permettere di lasciare la compagnia?
- Diciamo che il tirannico direttore del circo ha accettato di buon
grado la mia proposta, quando gli ho detto il prezzo che ero disposto a
spendere.
- Ah, mondo corrotto! Come si può dare un prezzo
all’arte?
– Corinna si portò languidamente una mano alla
fronte. -
L’artista è costretto a consumare i suoi occhi e
le sue
mani per un tozzo di pane. Dimmi, Alain, se si può vivere e
morire per un tozzo di pane.
- Ho finalmente smosso il tuo cuore, mia diletta?
- Tanto che ora sono in pena. Hai preso con te la dolce bambina per
coprirla di vestiti e regali? Solo un’anima nera non lo
avrebbe
fatto.
- Siamo andati dai migliori sarti di Parigi, e dovevi vedere il suo
visino quando le ho comprato il suo primo pacchetto di praline al
cioccolato. Mi ha abbracciato e, con voce commossa, mi ha detto:
“Non sento nulla sulla vostra schiena.”
“Come mai mi
dici questo, piccina?” le risposi, stupito. “Ero
sicura di
trovare delle grandi ali bianche, perché voi non potete
essere
che un angelo.”
- Questa, e non dirmi di no, te la sei inventata.
- E ha anche aggiunto che non poteva vedermi, però la mia
immagine le arrivava soffusa di luce dorata.
- Non ti è venuto un brivido, nel sapere che un animo
così puro stava per essere contaminato dal tuo veleno?
Angelo,
sì, ma angelo della morte, oh crudele Alain! E poi dimmi,
che
accadde?
- Poi, le regalai un violino. – Alain distolse gli occhi da
Corinna, perché gli era apparsa Céline sulla
poltrona
vicino al fuoco, la stessa su cui era seduta quando le aveva messo in
braccio, per la prima volta, la custodia nera. – Lo
accarezzò come si farebbe con un bimbo, o meglio, con un
gatto:
sotto il suo archetto, il violino fa le fusa.
- A me non hai mai detto una cosa del genere.
- Perché tu, quando suoni, lo fai come se accarezzassi un
amante.
Secondo violino – La
bambina
- Questo sarà tutto tutto tutto mio?- Céline
accarezzò la corteccia dell’abete più
vicino, ci
appoggiò guancia e orecchio e rimase qualche minuto in
ascolto,
a occhi aperti.
Alain con fare più pratico bussava sui tronchi, saggiava la
durezza della corteccia e l’età
dell’albero. –
Quello che stai toccando è troppo giovane, ne devi scegliere
uno
con il tronco più grosso.
- Peccato, aveva una bella aura e una voce dolce.
- Forse era una voce bianca.
- Non importa. Meglio quello, Alain? – Céline
corse verso
un albero più grosso. Gli enormi stivali di pelliccia che
aveva
voluto mettere a tutti i costi sprofondavano solo qualche centimetro
nella neve fresca, mentre la sciarpa rossa e la mantella a frange
svolazzavano dietro di lei. Céline amava i vestiti
invernali,
tanto che una signora che li aveva incrociati, in paese, le aveva detto
con fare complice: “Anche io sono molto
freddolosa,” ed era
toccato ad Alain spiegare perché la sua bambina si fosse
messa a
ridere.
- Hai già cominciato a pensare a un nome, scimmietta?
–
Alain la rincorse quando, scartato il secondo abete, ne aveva preso un
terzo di mira.
- Oh no! Non ti hanno mai detto che per decidere il nome di qualsiasi
cosa devi guardarla prima in faccia? Questo per me suona solo cose
tristi. – e Céline svolazzò verso
l’albero
seguente.
Alain guardò il tronco scartato, e gli parve davvero che
avesse
qualcosa di malinconico tra i volteggi della corteccia. –
Peccato, perché il legno mi pare di ottima
qualità.
Potremmo portarlo a casa lo stesso, lo chiamiamo Vio
l’Addolorato. E tu non allontanarti troppo dai cavalli!
Céline non gli risposte, era occupata ad auscultare un altro
tronco, sempre di un abete troppo giovane. Uguale chiama uguale
pensò Alain, guardandola ferma nei suoi quattordici anni.
Avrebbe potuto aspettare, la ragazza era in ottima salute e felice
della sua vita dopo il circo. La verità era che non vedeva
l’ora di sentirla suonare con i sensi amplificati dalla
trasformazione.
Alain stava per ripagare con un violino straordinario i centimetri che
non sarebbe cresciuta, la faccia paffutella, ancora un po’
infantile, e le curve acerbe.
- Non so quale decidere! – Céline si
buttò nella
neve ai piedi dell’ultimo abete, sbuffando. Alain la prese
per la
collottola (la sciarpa rossa) e la rialzò da terra.
- Una donna in val di Fiemme, che parlava con i santi, mi ha detto che
tutte le cose di legno si ricordano della pianta da cui vengono. Gli
alberi che diventano strumenti non muoiono mai. Vogliamo provare?
– Alain tolse una custodia da sotto il mantello. –
Anche il
legno di questo violino viene da qui, l’ho costruito con un
tronco che aveva viaggiato via fiume fino a Venezia, secoli fa. Prova a
suonare, se ha dei figli gli risponderanno.
Céline prese in mano il violino, lo accarezzò
lungo tutto
il bordo, pizzicò le corde e infine lo appoggiò
sulla
spalla, contro la sciarpa rossa.
I Capricci di Paganini fecero alzare in volo alcuni passeri da un
abete: dai rami più sottili la neve cadde sul cappello di
Céline, che se la scrollò di dosso a ritmo con
una scala.
I passeri si posarono su un altro abete, poco lontano, liberando altri
rametti dal loro cappello bianco. Céline aveva seguito il
loro
volo; finito di suonare, si avvicinò all’abete e
appoggiò, come aveva fatto con quelli precedenti, guancia e
orecchio sulla corteccia. A differenza di prima chiuse gli occhi per
ascoltare meglio. L’abete era sempre un po’ troppo
giovane
rispetto a quelli che di solito usavano i liutai, ma non
così
tanto quanto i due precedenti. Céline aveva appoggiato anche
i
palmi contro la corteccia, sempre a occhi chiusi. Alain si
avvicinò senza far rumore e appoggiò anche il suo
palmo
all’albero: la vibrazione della musica risuonava ancora nella
scorza.
- Ha risposto davvero, Alain!
- Che cosa ti ha detto, scimmietta?
- Ha voglia di correre e di vedere posti nuovi, è invidioso
del
fratello maggiore che ha girato l’Europa, e vuole andare a
cavallo. Gli ho promesso che saranno i cavalli a portarci a casa,
stanotte.
Alain fece un mezzo sorriso a Céline e tastò di
nuovo il
tronco: non della larghezza ottimale, ma al tatto e al profumo era un
buon legno. Anche la risonanza era perfetta. Alain appoggiò
i
polpastrelli alle vene del legno e vide il violino costruirsi nella sua
testa. Un violino appena più piccolo del normale, nervosetto
e
frenetico, con molto fiato e poca pazienza.
Uguale chiama uguale. Ah, che bambina! – E che nome hai visto
guardandolo in faccia?
Céline aprì gli occhi e sorrise: -
Éponine.
La musica nottura (delle strade
di Volterra)
- Sono tutti
parenti, maître
Aro. Si stanno già parlando anche se sono ancora dentro le
custodie, lo posso sentire.
- Davvero, piccina? Affascinante.
Mentre passeggiavano per la Volterra notturna, Aro stava discorrendo
con il suo secondo violino, Céline. Corinna guardava la
ragazzina spiegare come il violoncello fosse il padre,
perché
era il più grosso.
- Ha sempre questa logica da Barbapapà la tua protetta? La
adoro. - commentò Corinna con voce estasiata.
La ragazzina si era guadagnata anche la benevolenza di Aro, soprattutto
da quando aveva esclamato: - Hai mai visto un'aura più
regale,
Alain?
Aro aveva sfoderato il suo sorriso da stregatto e la conversazione con
Céline era proseguita sulla falsariga del "dimmi ancora
quanto
sono affascinante, anche se lo so mi fa piacere sentirlo".
Per i primi minuti tutti i nervi di Alain erano rimasti tesi, pronti a
fermare in tempo qualsiasi gaffe di Céline, poi Aro aveva
chiamato una delle sue guardie e detto di portare nella stanza Acquadolce.
Alain aveva preso in mano lo Stradivari con la stessa reverenza con cui
il sacerdote, alla benedizione, eleva l'ostia consacrata.
- Guardati, sembri un bambino a cui hanno dato
da pascolare dei
dinosauri. - lo aveva preso il giro Céline.
- Lo suona, qualche volta?
- Spesso.
- Non avete bisogno di un umile liutaio nella guardia?
-
Perorerei la tua causa con tutta la mia grazia, mio caro, ma temo che
il mio amante francese, non tu, l'altro, sarebbe privato delle sue
visite a Volterra e avrebbe ulteriore conferma che la non-vita porta
solo tristezza e disperazione. Crudele Alain, vedo nei tuoi occhi la
soddisfazione al pensiero di recidere il suo stelo, così
fragile!
La vernice, brunita dal tempo, mostrava dei punti
più
chiari dove il pollice scivolava, sul manico, e dove la guancia si
appoggiava. Quasi rimpiangeva che Aro avesse lasciato Acquadolce a
palazzo e portato con sé il violino che Alain gli aveva
costruito, dopo il loro primo incontro. Come
nella sua prima visita
a Volterra, aveva chiaro che lo Stradivari si metteva semplicemente
al servizio di Aro, mentre il suo violino era come una scala con il
penultimo scalino scricchiolante. Per fortuna il talento di Aro era
come un piede leggero che sapeva dove calpestare per non far rumore.
- Alain, amico mio, - Aro si voltò verso di loro - la tua
adorabile bambina è talmente piena di vita! Mi ricorda la
mia
bella sorella, sempre piena di cose da raccontare. - Aro diede un
buffetto amichevole a Céline. - E il potere dell'aura! Non
dimenticherò facilmente il "soffuso di luce come gli angeli
del
Mantegna". Ma stiamo tergiversando, perché non diamo inizio
alla… come si dice al giorno d'oggi? Jam session!
Erano arrivati nel parco cittadino. Il cancello che custodiva la
vecchia acropoli etrusca era stato lasciato aperto, le antiche rovine
illuminate. Aro si appollaiò sul muro del tempio, nella
stessa
posizione ammiccante che dovevano avere le ieròdule.
Céline si mise ai suoi piedi, Corinna puntò il
violoncello sull'erba. Alain, unico spettatore di un concerto a cui non
si poteva dare un prezzo, si sedette su una panchina messa per i
turisti che visitavano le rovine.
Forse era Céline ad averlo suggestionato, ma i suoi
strumenti pareva proprio che si fossero ritrovati.
La tana di
Otto
Buonsalve! Questa storia era stata promessa a Jakefan per
il suo
compleanno. Arrivo un poì in ritardo, spero che ti sia
piaciuta!
Come al solito mi complico la vita e scrivo di cose di cui non sono
ferrata. Non suono il violino e non ne costruisco, per questo sono
rimasta abbastanza vaga sulla terminologia. Tutte le informazioni
supplementari vengono da Wikipedia, da siti di liutai e dal sito della
val di Fiemme, dove si trova il bosco dei violini.
Céline e Alain sono stati inventati per questa
storia qua.
Corinna è Corin
della guardia dei volturi secondo Dragana. L'amante di
francese, non quello di Parigi, l'altro, lo trovate a questo
indirizzo.
Cronologicamente, i tre pezzi di questa storia sono precedenti alle
vicende di Edward e Céline con le cattedrali.
Link ai pezzi musicali che ho citato:
- il
trillo del diavolo
- i
capricci di Paganini
- Only
the horses (no, non è per violino)
- La
musica notturna delle strade di Madrid
So che sembrerà una osservazione idiota, ma la musica
classica è bella!
Grazie alle mie sempre più sexy assistenti, Dragana
e Vannagio,
per il betaggio in diretta.
E grazie a tutti!
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