Autore:
_wayward.
Titolo:
L'Emblema della Farfalla ~
Fandom:
Originale » Fantasy.
Rating:
Giallo.
Genere:
Long fic [1/15].
Personaggi/Pairing:
Il Nateh'n, Thomas, Bartred.
Parole:
~5049.
Avvertimenti:
-
Disclaimer:
Mine ©.
Note:
[0] … And the Gods Laughed – F. Brown, 1943.
♦ Un grazie di
cu[...]ore a Sammy, grazie al quale questo racconto non si chiama Pan
di Stelle.
1) Per il prompt "pietra" dei magici Faràs
su COW–T3 #maridichallenge
2) Non so a quanti possa effettivamente interessare, ma, dal momento che l'intero universo che fa da sfondo a questa storia è veramente vasto, ho creato un livejournal con lo scopo di raccogliere tutto il materiale che si accumula di capitolo in capitolo. Su the_emblem potrete trovare curiosità, aggiornamenti, un glossario con tanto di vocabolario e quan'altro mi venga in mente.
Introduzione:
«Ti piacerebbe racimolare un po' di
denaro?»
Due ore
dopo, Lucky era ancora vivo ed il Nateh'n si stava incamminando verso
un'enorme, grandiosa avventura.
~
L'Emblema della Farfalla
Capitolo
I ~ E gli dei risero [0]
In
principio erano bestie senza coscienza di essere stati creati e senza
desiderio di scoprirne la ragione.
L'unico
scopo di una vita era conquistare territori, mangiare quanto
più
possibile, bere per ubriacarsi e sopravvivere agli inverni lottando
contro le razze priorie.
Sovrani
di ogni sesso ed origine erano sorpassati dal tempo e dalle ere: non
vi era dinastia a governare il regno ma solo la legge del
più forte.
Quando
la Regina si presentò al mondo, le carestie divoravano i
campi ed il
peccato corrodeva gli animi degli uomini privi di volontà.
Ella
non era altri che la figlia d'un pastore eppure custodiva nella sua
memoria la luce della Stella dell'Ovest dalla quale ogni anima nasce
e cade sulla terra e sapeva, ancor prima di essere Regina, di dover
intervenire per riportare la verità al cospetto del mondo.
Combattendo
per la liberazione dai Traditori del Cielo, si dimostrò
degna
d'onore ed unì, sotto il vessillo della Luce, popoli di
qualsiasi
razza.
Quando
perfino il re morente, abbagliato dalla sua grazia, abdicò
in suo
favore, Ella adottò l'Erede Bambino e le terre dei contadini
si
colmarono di frutti, le cisterne si riempirono di dolce rugiada e
perfino la magia, dimenticata a causa dell'egoismo umano,
tornò a
scorrere potente fra le vene degli Eletti.
Il
giorno dell'Incoronazione, la Regina rinunciò al proprio
nome e si
fece chiamare Thempsa, ovvero farfalla di luce, perché era
così
che, nei suoi sogni, la Stella dell'Ovest, la più lucente
fra gli
astri, l'aveva riconosciuta.
Thempsa,
la Regina – che unificò il regno e per esso si
sacrificò, morendo
nell'ultima battaglia contro gli stessi Traditori che non erano
riusciti a vederne la luce.
Il
suo corpo, martoriato dai colpi nemici, venne bruciato e le sue
ceneri sparse nel vento, sopra il mare tempestoso che dimostrava,
attraverso tuoni e tempeste, il lutto della natura nell'aver perso
Colei che, più pura, aveva camminato sul suo suolo.
Le
leggende narrano, poi, che da una nuvola, emerso un tiepido raggio di
sole, uno sciame di farfalle volò fino al Reggente ed
all'Erede
Bambino, portando con sé il rosso mantello della Regina,
perso in
battaglia e finalmente ritornato all'erede al trono. Il sangue di
Thempsa, prova della sua sofferenza e passione, aveva lasciato inciso
sopra le cuciture quello che sarebbe diventato il simbolo della
dinastia.
Lasciato
cadere ai piedi del bimbo, era il segno della bontà della
Stella
dell'Ovest che, come dono d'amore alle proprie creature, lanciava,
nelle tenebre della morte, un grido di speranza al mondo.
«A
ricordare la speranza di un popolo senza guida, che la Stella
dell'Ovest ha riportato a casa» questo venne
ricamato sul
mantello con lettere d'oro fuso, dall'orafo più famoso del
regno,
poiché erano state le parole pronunciate dalla Regina prima
dell'inizio della sua ultima battaglia.
Nessuno,
in futuro, avrebbe mai dovuto dimenticare il sacrifico di Colei che
aveva amato il suo popolo più di se stessa e che era stata
in grado,
sola, di mostrare al mondo la luce della Stella.
Quando
l'Erede Bambino divenne re, affidò il mantello alle cure
della
sontuosa Cattedrale in cui aveva vissuto – costruita per
volere
della Regina – e gli Eletti lo riposero al centro della
costruzione, spiegato contro le vetrate in modo che, ogni giorno, il
sole appena sorto avrebbe illuminato e fatto brillare le sue parole
dorate.
Nessuno
avrebbe mai dovuto dimenticare.
***
I
capelli rossicci si sporcarono di fango quando appoggiò
l'orecchio
al terreno.
Sotto
il cinguettio degli uccelli ed il fruscio del vento fra gli alberi,
si fece strada prepotente il rumore di zoccoli contro la strada
battuta e quello più attutito di due ruote che seguivano i
cavalli.
«Stanno
arrivando» mormorò, scrutando le ombre dei rami
che si stagliavano
come artigli di fronte a lui.
L'uomo
robusto poco più indietro si accarezzò la barba
scura e si limitò
a osservare il filo spesso agganciato a due tronchi opposti.
«Sei
sicuro che funzionerà?» chiese d'un tratto con
voce bassa che
nascose malamente l'incertezza.
L'altro
posizionò una fiaschetta piena di liquido denso proprio ai
lati di
un piccolo arbusto ed alzò le spalle.
«Bartr» lo chiamò,
scostando una ciocca di capelli impolverati dalla fronte.
«quante
volte ha funzionato?»
«Non
le ho contate» sbuffò Bartr per poi dargli le
spalle.
«Nemmeno
io» ammise questo. Il primo raggio di sole della giornata
andò a
colpire proprio il vetro della fiaschetta e lui si affrettò
a
nasconderla meglio. «Quante volte non ha funzionato,
allora?»
chiese comunque, dopo un paio di minuti di silenzio.
«Mai,
Nateh'n.»
Evidentemente
soddisfatto, l'altro estrasse una fionda dalla cinta e
scavalcò una
fila di cespugli. «Bene. Quindi ci sono davvero poche
probabilità
che questa sia la prima volta in cui non funzioni»
Bartr
aprì la bocca per ribattere ma la richiuse subito dopo,
spostò il
peso del corpo da un piede all'altro e poi scompigliò con
una mano i
propri capelli, stringendosi il mantello attorno alle braccia
muscolose.
Il
Nateh'n gli scoccò uno sguardo impettito. «Hai
intenzione di dirmi
cosa ti turba, Bartr, o preferisci farti investire dal nostro
prossimo bottino?»
«Ecco»
esclamò quest'ultimo senza smettere di guardare preoccupato
il
sentiero. «è proprio questo presunto bottino che
mi preoccupa. Non
ho proprio ben capito per quale motivo abbiamo deciso di fidarci di
Lucky.»
«Lucky»
nel pronunciare quel nome l'altra figura venne scossa da un fremito
ed i suoi occhi si fecero più scuri. «un giorno
ucciderò quello
stronzo, Bartr. Ma per ora mi deve un favore – oh, un grosso
favore, dal momento che ho rischiato di farmi ammazzare per
recuperare quella maledetta gallina senza nemmeno ricavarne un uovo
–
e, sì, ci fidiamo delle sue informazioni perché
ho controllato che
siano vere.»
Bartr
sbatté le palpebre.
«Carrozza
partita stamani all'alba» continuò l'altro.
«Carica. Tre guardie
più il cocchiere ed un passeggero. Probabilmente uno
spocchioso
nobile che parte per assistere ai funerali del re portandosi appresso
i cambi d'abito più eleganti e, se saremo fortunati, ci
sarà una
moglie altrettanto spocchiosa con il collo ricoperto di
gioielli.»
«Forse»
ammise Bartr.
«Esattamente.
E la faccia incredula di Lucky quando gli negherò la sua
parte e lo
appenderò alla porta della taverna legato per le caviglie
sarà la
nostra ricompensa. Un'ottima ricompensa paragonata ai rischi
che-»
Un
fruscio fra gli alberi lo fece zittire immediatamente e Bartr
scattò
verso il nascondiglio che si era precedentemente costruito. Il rumore
degli zoccoli contro il terreno si faceva sempre più forte
e,
impugnata la fionda, il Nateh'n fece cenno al compagno di stare in
silenzio ed appiattirsi contro i cespugli.
Quando
il cavallo della prima guardia entrò nella sua visuale,
piccole
pietre iridescenti furono caricate sulla fionda, pronte per essere
scagliate e la carrozza, seguita dalle altre due guardie, fu ben
preso a pochi metri da loro.
Il
Nateh'n puntò lo sguardo sulle zampe anteriori del primo
cavallo
che, senza saperlo, si stava avvicinando al filo teso da Bartr.
Ancora
un passo...
Un
raggio di sole colpì il cavaliere negli occhi e la prima
pietra
colpì con un piccolo schiocco la fronte del cocchiere,
esattamente
pochi istanti prima che lo zoccolo del cavallo rompesse il filo,
facendo esplodere la fiaschetta in una nebbia verdastra di fumo e
veleno.
Un
cavallo si impennò sulle zampe posteriori, disarcionando il
cavaliere già intontito a causa della trappola mentre la
carrozza,
senza più guida, sterzava bruscamente verso sinistra,
ribaltandosi
su se stessa.
I
due assalitori approfittarono del trambusto per colpire anche le
ultime due guardie e le osservarono cadere, impotenti, in un sonno
profondo.
Bartr
strinse l'elsa della spada che spuntava da sotto il mantello e si
fece largo nel fumo fuoriuscito dalla fiaschetta di veleno.
«Nateh'n?»
«Sono
qui» la voce del Nateh'n indicava che questi era a pochi
passi da
lui, ancora immerso nel fitto vapore verde. «La carrozza si
è
ribaltata, vado a controllare che siano tutti dormienti.»
Una
fiala vuota attraversò la sua visuale e Bartr
riuscì a prenderla al
volo per un soffio.
«Aspetta
il mio segnale» stava dicendo l'altro. «per
risucchiare la
trappola.»
L'uomo
robusto annuì con un grugnito e tagliò le funi
che tenevano i
cavalli, ancora in preda al panico, incatenati alla carrozza.
Attirato dallo sbuffo d'aria calda poco sopra la sua spalla,
intravide l'esemplare più vicino a lui rimpicciolirsi fino a
raggiungere le dimensioni di una grossa lucertola e sparire in un
bagliore bluastro dopo aver svolazzato intorno al suo braccio,
così
come gli altri svædiphan. Quelli delle guardie, evidentemente
privi
di costrizioni magiche, erano scomparsi nel momento in cui i loro
cavalieri erano caduti a terra e Bartr li immaginò
ricomparire nelle
proprie scatole di metallo prima del tempo stabilito per il ricambio:
avrebbero causato non poche perplessità ai loro stallieri.
«Svædiphan
al posto di semplici cavalli» mormorò all'ombra
chiara che si
muoveva poco lontano da lui. «Dovremo allontanarci in fretta,
una
volta finito.»
Le
uniche risposte furono i passi del Nateh'n che si avvicinavano e lo
scricchiolio di una porta, ma, proprio quando era pronto a far
scattare all'indietro il tappo della fiala, un fendente
tagliò
l'aria ed il rumore di qualcosa di pesante che cade a terra
rimbombò
nel silenzio degli alberi.
«Maledizione»
nella nebbia, la voce del compagno risultò ancora
più preoccupata.
«Bartr, apri il- ah» un altro tonfo contro il
metallo.
Bartr
fece scattare la molla della fiala ed il tappo, dalla forza che ci
mise, cadde a terra mentre lui si allontanava e la nebbia si diradava
velocemente, risucchiata dalla fialetta incantata.
«Nateh'n..?»
sguainò la spada giusto in tempo per parare un colpo diretto
alla
propria gola.
Davanti
a lui, con una mano stretta alla base del collo e l'altra all'elsa
della lama con cui aveva appena cercato di ucciderlo, un giovane uomo
dai vestiti eleganti ed i capelli chiarissimi lo fissava con
un'espressione estremamente concentrata.
«Non
c'è bisogno di usare la spada» esclamò
Bartr, indietreggiando
ancora. «Lasciatela cadere e non vi faremo del
male.»
«Dovrei
restare senza difese davanti a dei briganti?» Il giovane
strinse
maggiormente la mano vicino al collo e tentò un nuovo
affondo.
«Combattete. Se volete rubare qualcosa deprederete il mio
cadavere.»
«Non
abbiamo intenzione di uccidere nessuno» ribatté
Bartr prima di far
saettare gli occhi in cerca del compagno.
Il
giovane soffocò un'imprecazione. «Avete
già ucciso le guardie ed
il cocchiere! Come potete-» si fermò solo quando
sentì il metallo
freddo del coltello del Nateh'n premergli contro la gola e Bartr fu
rapido a fargli cadere di mano la spada con un fendente non troppo
vicino alla mano da tagliarlo ma abbastanza da costringerlo a mollare
la presa.
«Non
abbiamo ucciso nessuno, razza di bambino impertinente»
sussurrò il
Nateh'n alla sua nuca. «stanno solo dormendo.»
Il
giovane spalancò gli occhi.
«Anche
voi dovreste essere addormentato come loro, eppure non lo
siete.»
Il
Nateh'n afferrò i polsi del giovane e glieli
portò dietro la
schiena, pronto a legarli insieme, lasciando senza protezione il
ciondolo a forma di goccia che pendeva dal suo collo.
Bartr
inclinò la testa. «Opale,» disse,
portando una mano a sfiorarlo.
«deve essere incantato»
«Niente
di nuovo, no?» sbottò il giovane, strattonando le
braccia senza
successo. «Anche voi dovete averne una.»
Il
Nateh'n ghignò e strinse di più il nodo che stava
ultimando, prima
di strappargli il ciondolo dal collo per infilarlo in una tasca della
casacca verde. «Non in oro massiccio, bambino» e
quest'ultimo si
divincolò ancora. «Beh, direi che abbiamo finito.
Bartr!» urlò
rivolto al compagno che stava perquisendo la carrozza.
«Prendi
quello che c'è e passami la fiala: lo leghiamo, gli facciamo
annusare un po' di veleno e ce ne andiamo in tutta
tranquillità.»
«Aspettate,
avete intenzione di lasciarmi qui?» sussurrò il
giovane.
«Esattamente.
Dove ho messo la corda più lunga... ah, ecco. Adesso...
ouch, e
smettetela di muovervi» il Nateh'n lo trascinò di
peso fino
all'albero più vicino e fece passare la corda intorno al
tronco e
fra i polsi legati del giovane.
«Siete
dei vigliacchi!» urlò quest'ultimo, senza dargli
la soddisfazione
di stare fermo. «Come- come potete fare questo? È
un lavoro da
codardi che hanno paura di affrontare chiunque in un combattimento
serio e siete- siete-»
«Non
c'è bisogno che vi sforziate, davvero»
continuò il Nateh'n.
Gli
occhi del giovane saettarono lungo tutta la sua figura, dagli stivali
sporchi di fango al mantello scuro che gli si adagiava leggero sulle
spalle, e si spalancarono all'improvviso nel momento in cui si
posarono sulle sue orecchie, malamente nascoste dai capelli ricci.
«Come...»
sussurrò. «Come potete fare questo ai vostri
antenati che
combatterono al fianco della Regina?»
Bartr,
che nel frattempo aveva recuperato i cavalli dalla radura in cui li
avevano lasciati, lanciò al compagno un sacco pieno di
monete
recuperate dalle cinture delle guardie e sospirò nel sentire
le
parole del giovane – sembrava talmente sconvolto che gli
scappò
addirittura una risatina.
«Non
di nuovo la storia degli elfi che galoppano verso la luce, vi
prego...» imprecò il Nateh'n, sbattendosi una mano
sulla fronte per
scostarsi i capelli. «Bartr, allontaniamoci prima che decida
di
venire meno alla promessa di non uccidere nessuno.»
Quest'ultimo
ridacchiò di nuovo e salì in sella al proprio
cavallo.
«Dov'è
il vostro tanto decantato onore?» urlò ancora il
giovane, con un
ultimo, disperato, tentativo.
«L'onore
di quest'elfo-» tentò di rispondere il Nateh'n ma
l'altro lo
interruppe di nuovo.
«La
vostra razza è conosciuta in tutto il regno per questo e voi
vi
abbassate ad assalire carrozze di passaggio?»
«Bartr,
passami quella maledetta fiala» con uno svolazzo del
mantello,
l'elfo tornò sui propri passi e si accostò al
giovane.
«Non
potete lasciarmi qui» disse questo, con lo stesso tono di
voce che
avrebbe usato una madre per ammonire i propri figli.
«Invece
posso» il Nateh'n ghignò. «E vi
dirò di più; dal momento che la
vostra voce mi da sui nervi, ora cadrete in un sonno
profondo.»
«Andiamo,
Nateh'n, lascialo qui a urlare e sbrighiamoci.»
Il
compagno fissò Bartr con un sopracciglio alzato e lo sguardo
truce
cosicché questi si decise a lanciargli la fiala con il
veleno.
«Buonanotte,
'llîas.»
Appena
prima che riuscisse a togliere il tappo, il giovane girò il
capo
verso gli alberi alla sua sinistra.
Il
sibilo della freccia, totalmente inaspettato, lo colse talmente di
sorpresa che lasciò cadere il veleno per terra.
«Bartr!»
I
due cavalli si impennarono e diedero voce ad un nitrito all'unisono,
per poi galoppare disordinatamente verso il fitto del bosco; l'elfo
vide con la coda dell'occhio il compagno stringersi il braccio e si
concentrò sui dardi infuocati che, come dal nulla, avevano
iniziato
a riversarsi contro l'intera zona.
«Maledetto
Lucky!» urlò, più a se stesso che a
qualcuno in particolare.
Tirando
a terra Bartr appena in tempo per evitare che un'altra freccia lo
colpisse, il Nateh'n si accorse di altri zoccoli contro il terreno
–
talmente vicini che capì solo in quel momento che erano
stati
avvolti nella stoffa per evitare di farsi sentire a grandi distanze
–
e l'altra carrozza entrò nella loro visuale appena un
istante dopo.
Spinse
l'altro dietro gli arbusti che avevano fatto da scudo visivo alla
loro trappola, schivando una seria pressoché infinita di
dardi che
ormai si erano conficcati persino nei corpi inerti delle guardie
addormentate. L'urlo del giovane ancora legato lo costrinse a
voltarsi in direzione della carovana.
Una
nuvola di fuoco e polvere si alzava dalle braccia dell'uomo in piedi
vicino al cocchiere e gli occhi del Nateh'n si assottigliarono mentre
la bocca si curvava in una smorfia a causa del peso di Bartr.
«L'opale,
sbrigatevi!» urlò il giovane e l'elfo, impegnato
nel cercare di
tenere sollevato Bartr, nemmeno gli diede retta.
«Slegatemi
e passatemelo!»
«Smettetela,
non avete capito che-» sbottò mentre il rumore
della carrozza in
avvicinamento e lo scoppiettio del fuoco nella nuvola che sempre
più
si addensava sopra di loro coprivano la sua stessa voce.
«Slegatemi.»
L'ordine,
tanto sicuro quanto disperato, lo costrinse a capitolare e con un
solo fendente del coltello tagliò le corde che tenevano il
giovane
stretto all'albero mentre l'altra mano, senza nemmeno rendersene
conto, si era infilata nella propria tasca ed ora stava lanciando al
ragazzo quel suo dannato ciondolo.
Si
risolse tutto in pochi secondi.
La
carrozza deviò per non andare a sbattere contro quella
precedentemente ribaltata; il mago, con un sorriso ben poco
rassicurante appena visibile sotto il cappuccio rosso sangue, si
voltò verso di loro nell'esatto momento in cui li superava
ed una
bolla azzurra li circondò di luce appena prima che la
tempesta di
fuoco si abbattesse sulle loro teste.
Un
inferno di scoppi di fuoco ed i fumi dell'incendio avvolsero l'intera
zona ma nemmeno una fiammella riuscì a penetrare l'illusione
di
stare galleggiando in mezzo alla luce e, senza volere dedicarsi al
pensiero della propria sopravvivenza, il Nateh'n spostò
l'attenzione
sulla ferita di Bartr.
Quando
il sangue smise di uscire copiosamente e lui riuscì a
medicarla,
l'incendio si stava spegnendo e la bolla era sul punto di
dissolversi.
Il
giovane era ancora in piedi davanti a loro, con i palmi rivolti verso
l'alto ed il ciondolo, completamente dorato, sospeso sopra questi.
***
Aprì
gli occhi, richiamato dalla luce soffusa intorno a lui e si
tirò a
sedere di scatto.
C'era
un fuoco, poco lontano – non uno di quelli lanciati dal mago,
notò,
tranquillizzandosi – e non era legato al tronco di un albero.
Girò
la testa per cercare una qualche traccia dei due banditi e
notò che
uno di loro, l'uomo muscoloso che pareva ricordare si chiamasse
Bartr, giaceva sotto un paio di coperte dall'altra parte del fuoco.
«Ben
svegliato, llîas»
esclamò una voce ironica poco dietro di lui e, girandosi,
vide
l'elfo dai capelli rossicci che scrutava attentamente il cielo con
espressione impassibile.
Si
stupì nel vedere le prime stelle brillare sopra di loro,
pensando
che il suo ultimo ricordo risaliva a quella mattina, quando, dopo
aver placato l'incendio, era probabilmente svenuto per lo sforzo.
«Thomas»
disse nel momento in cui il silenzio si fece troppo denso per essere
sopportato.
L'elfo
inclinò un sopracciglio e tornò a fissare gli
astri. «Thomas,
l'impertinente che non sa tenere la bocca chiusa ma, al contempo, ha
un utile aggeggino che placa una tempesta di fuoco evocata e salva la
vita ai briganti che volevano derubarlo. Il nome non suona molto bene
con quello che segue, vi devo avvertire.»
Thomas
abbassò il capo e si appoggiò le mani sulle
gambe.
«A
proposito, l'ho riposto nella vostra tasca. Anche se dubito che possa
servirvi ancora»
Frugò
dove gli era stato detto di cercare e ne tirò fuori l'opale
che, pur
essendo ancora attaccato alla catenella dorata, era ormai
completamente annerito. Thomas scacciò i pensieri che si
stavano
affollando nella sua mente, ripose il ciondolo nel sacchetto che
teneva appeso alla cintura e si decise ad interrompere il fastidioso
silenzio che si era venuto a creare.
«Voi?»
chiese infatti e l'elfo, indicato il compagno addormentato, disse
semplicemente: «Bartred. Bartr è più
veloce».
«E
voi?» ripeté allora il giovane, corrucciando le
sopracciglia.
«Non
avete certo bisogno di saperlo.»
«Se
l'ho chiesto significa che avrei piacere nel sentire il nome di colui
al quale ho salvato la vita»
L'elfo
sbuffò. «Solo perché eravamo nel raggio
d'azione della vostra
sfera magica non vuol dire che io sia in debito con voi.»
«Allora
perché non sono legato?» domandò Thomas
alzando leggermente la
voce.
«Ero
troppo stanco per farlo. Ho dovuto trascinarvi lontano dalla zona
bruciata per quasi tutto il pomeriggio» si
giustificò l'elfo, senza
cambiare espressione né distogliere lo sguardo dal cielo.
Thomas
lasciò scorrere un paio di minuti durante i quali
individuò la
propria spada in un angolo dell'accampamento improvvisato, insieme ad
un paio di borse e le redini sciolte dei due cavalli che dovevano
essere scappati durante il trambusto, poi soffiò contro il
fuoco per
far alzare le ceneri calde e disse: «È Nateh'n,
no?»
Per
la prima volta l'altro scoppiò in una fragorosa risata e
puntò gli
occhi su di lui, lasciandogli notare il verde quasi trasparente
dell'iride.
Solo
quando Thomas alzò un sopracciglio questi si decise a
spiegargli il
perché di quello scoppio improvviso di ilarità.
«Nateh'n non è il
mio nome.»
Il
giovane continuò a fissarlo.
«È
elfico» si
limitò a spiegare, tornando ad alzare la testa.
«significa “colui
che viene dalla terra di Nath [1]”.»
«Non
c'è da stupirsi» sussurrò allora
Thomas, stringendosi nella cotta
di maglia rifinita in argento quando la brezza primaverile lo colse
in pieno petto. «che uno come voi venga da quel
posto.»
L'elfo
sorrise di nuovo. «Non vengo da Nath.»
«Allora
per quale motivo vi fate chiamare in questo modo?»
sbottò il
giovane.
«Non
mi faccio chiamare in nessun modo. Bartr mi chiama Nateh'n
perché è
lì che ci siamo incontrati.»
«E
allora» sbuffò Thomas. «come vi dovrei
chiamare?»
«Non
chiamatemi.»
Abbassando
il capo, il giovane scosse la testa un paio di volte e decise di
lasciar cadere l'argomento. «Quanto distiamo da Alenea [2]
?»
«A
piedi è un po' più di mezza giornata di viaggio,
all'incirca» fu
la riposta precisa del brigante.
Il
profumo di fiori che caratterizzava la città e la vista
dell'imponente Cattedrale, il giardino interno illuminato dai raggi
del sole e da quelli delle stelle, si insinuarono prepotentemente
nella mente di Thomas e si ritrovò a mordersi il labbro
inferiore.
«Sulla seconda carrozza» esclamò ad un
tratto, portando una mano a
stringere il ciondolo d'opale attraverso la stoffa della sacca.
«c'era il mio maestro, lui... potrebbe essere in pericolo.
Devo
avvisare le guardie e tornare – esitò per una
frazione di secondo
– a casa.»
«Nessuno
vi trattiene» fece allora l'elfo, per nulla interessato alla
sorte
del suo mentore, ma l'altro alzò comunque il volto, stupito
dal
fatto che non avrebbe cercato di venderlo al mercato nero come
schiavo o ucciderlo per mettere all'asta i suoi organi.
«Davvero?»
Il
crepitio del fuoco riempì l'aria per un paio di secondi ed
il rumore
lontano di campane che battevano fra loro gli strinse lo stomaco in
una morsa che si rifiutò di comprendere.
«Se
riuscite ad entrare in città, siete libero di
restarvi» rispose
infine il Nateh'n.
«Che
significa?»
«Esattamente
quello che ho detto» si alzò improvvisamente dal
giaciglio sul
quale era seduto e, afferrato un sacchetto nero, lo tirò in
grembo a
Thomas. «Le porte sono chiuse e le guardie non lasciano
entrare
nessuno.»
L'altro
spalancò gli occhi fissi sulle bacche presenti nel
sacchetto. «Cos-
perché?»
«È
quello che ho intenzione di scoprire, 'llîas.
Ho uno sfortunato impostore da impiccare e non sarà certo un
manipolo di esaltati in divisa a fermarmi» e rise nel vedere
l'espressione infastidita del nobile.
«È
un insulto?» chiese sempre quest'ultimo, dopo una lunga pausa.
Fu
il turno del Nateh'n di alzare un sopracciglio.
«“Hìas”.
Anche prima mi avete chiamato così.»
«È
'llîas,
non hìas» e storse il naso. «Significa bambino
viziato
e siete libero
di giudicare voi se sia un insulto o la verità.»
Thomas
fece per ribattere ma un basso lamento del proprio stomaco lo
convinse ad assaggiare invece un paio di noci – pur senza
riuscire
a togliersi la convinzione che fossero avvelenate – e quando
il
Nateh'n si accucciò al fianco di Bartr, controllando la
ferita al
braccio e borbottando fra sé una serie di imprecazioni
sconnesse
contro un certo “Lucky”, capì che la
conversazione era finita.
Le
stelle della sera prima avevano lasciato il posto ad un'alba
nuvolosa, proprio sopra la sua testa.
«Continuo
a non capire perché dobbiamo legarlo.»
«Se
mi costringi a spiegartelo di nuovo giuro che lego anche te,
Bartr.»
Due
voci parlavano, sovrapponendosi l'una sull'altra e Thomas
aprì gli
occhi di scatto quando le riconobbe: ricci capelli rossi caddero
improvvisamente davanti alla sua visuale e si rese conto solo a causa
della pressione esercitata sui propri polsi delle corde che lo
legavano. Di nuovo.
«Ecco
fatto» stava mormorando contro il suo orecchio, stringendogli
le
mani dietro la schiena, il bandito elfo a cui aveva salvato la pelle
il giorno prima e che, evidentemente, non era così
riconoscente come
avrebbe dovuto essere.
Thomas
arrossì e tentò inutilmente di scostarsi, finendo
sdraiato sulla
spalla e con la braccia che gli dolevano. «Perché-
oh, ancora?»
«Oh,
ben svegliato» sorrise il Nateh'n da sopra di lui, gli stessi
abiti
logori del giorno prima e gli occhi verdi ancora più
brillanti,
nella luce mattutina.
Proprio
mentre stava per rispondere, due braccia robuste lo afferrarono per
le spalle e lo misero a sedere per terra, vicino ai rimasugli del
fuoco.
«Mi
dispiace, Thomas» disse Bartr, assicurandosi che non cadesse
di
nuovo, e lui diresse tutta la propria ira contro l'elfo.
«Avevate
detto che ero libero!»
«Lo
siete» ribatté quest'ultimo prima di posarsi una
mano al centro del
petto. «tecnicamente. In pratica, fino a quando resterete qui
da
solo con Bartr-punta-di-freccia... diciamo che le corde sono solo
un'assicurazione, d'accordo?»
Thomas
arricciò il naso. «Punta di freccia?»
«Già,
godetevi pure la compagnia dell'omone che ha paura di togliersi uno
spillo dal braccio mentre sbrigo i miei affari.»
La
pacca che colpì l'elfo sulla schiena fece sobbalzare anche
il
ragazzo.
«Non
ho paura» stava dicendo Bartr. «Solo, tu non sei
certo il miglior
medico che abbia mai conosciuto, Nateh'n.»
«Oh,
certo» quest'ultimo si allontanò di un paio di
passi e si gettò il
lungo mantello che aveva indossato anche il giorno prima sulle
spalle. «però non aspettarti che scavi una fossa
per il tuo
cadavere, quando la ferita farà infezione e morirai
dissanguato.»
«Non-»
«Va
bene» esclamò Thomas, interrompendo sul nascere la
battuta di
Bartr. «se il problema è il pericolo contro Bartr,
perché non mi
portate con voi?»
«Portarvi
con me?» l'elfo scoppiò a ridere. «Sto
andando in città, 'llîas,
e non è proprio il caso di avere un moccioso pronto a
vendermi alle
guardie in qualunque momento al seguito. Ho già qualche...
conto in
sospeso, con loro.»
«Non
venderei nessuno alle guardie» sbottò Thomas, le
sopracciglia
inarcate verso l'alto.
Bartr
si sedette poco vicino a lui e l'elfo sembrò sinceramente
stupito
per una frazione di secondo.
«Lasciate
piuttosto che ci parli» continuò il giovane.
«Le convincerò a
lasciarci entrare.»
«Non
ci riuscireste, credetemi» ribatté il Nateh'n,
riprendendo l'aria
divertita di poco prima. «Hanno chiuso fuori perfino la
baronessina
Cleomòth. Oh, avresti dovuto vedere la sua faccia, Bartr,
era rossa
come un freylin [3]
impazzito al pensiero dell'affronto che stava subendo e- ehm,
lasciamo perdere» si riscosse da quel pensiero divertente
solo
all'ennesima occhiataccia del giovane.
«Se i
cancelli sono chiusi come
dite» ribatté quest'ultimo. «non riuscirete certo ad entrare nemmeno da solo.»
Il
Nateh'n alzò le spalle e scrutò il cielo nuvoloso
senza dar peso
alle sue parole; solo un paio di minuti dopo sembrò
accorgersi che
stava ancora aspettando una sua risposta.
«I
cancelli non sono l'unico ingresso della città»
gli disse,
alternando gli occhi fra la sua figura legata sul giaciglio e le nubi
sopra di loro.
Thomas
trattenne l'ennesimo sbuffo.
«E,
fra l'altro, credetemi» sorrise di nuovo l'elfo, prima di
chinarsi a
raccogliere una manciata di terra e polvere da sistemare nella tasca
interna della casacca. «non vorreste sapere dove sono situati
gli
altri.»
***
Le
ruote della carrozza continuavano a girare velocemente sul terreno
sassoso, producendo un acuto stridio, unico suono nella valle
deserta.
«Maestro»
sussurrò una voce flebile alla figura assopita dell'uomo.
Ingombranti vestiti costosi lo avvolgevano completamente e sulla
fronte, sotto i corti capelli scuri e fra le rughe dettate dal tempo,
il cerchio dorato simbolo degli Eletti brillava alla luce dell'alba.
«Maestro»
mormorò ancora la creaturina umanoide che, da un angolo
della
carrozza, non osava avvicinarglisi ulteriormente ed i suoi occhi,
grandi e brillanti come mele mature, saettarono, scattanti, lungo
tutto il corpo del padrone. «Maestro, è appena
sorto il sole e
l'Eletto con la veste rossa ha detto di assicurarmi che foste
sveglio.»
Un
profondo sospiro si levò dall'uomo, ancora appoggiato allo
schienale
in pelle.
«Maestro»
squittì di nuovo la vocetta.
«Sono
sveglio, Nessa» esalò il Maestro e la sua voce
profonda fece
tremare la creatura di sollievo.
«Sia
ringraziata la Luce dell'Ovest che sta accompagnando il nostro
tragitto» pregò velocemente questa, prima di
porgere al Maestro una
ciotola d'acqua fredda.
Rifiutando
con un gesto lento l'acqua, il Maestro si perse ad osservare la
distesa di sabbia che scorreva velocemente oltre il vetro.
«La Luce
dell'Ovest...»
«La
ringrazierò di nuovo quando saremo arrivati a Cremysta [4]
, Maestro» fece Nessa, portandosi la ciotola d'acqua al petto
fasciato.
Un
raggio di sole entrò nell'abitacolo e si rifletté
contro l'anello
argentato che, appoggiato in grembo all'uomo, costringeva uniti i
lembi di un'ampia pergamena scura arrotolata su se stessa. Gli occhi
del Maestro, sopra le marcate occhiaie che ne caratterizzavano il
volto, si abbassarono, improvvisamente incupiti.
«La
Luce dell'Ovest» sussurrò nuovamente,
più rivolto a se stesso che
ad altri.
Nessa
inclinò il capo contro la spalla sinistra, indecisa se
intervenire o
limitarsi al silenzio, ma il Maestro non le diede il tempo di
decidere.
«Forse
non ce ne sarà bisogno.»
Quando,
il mattino dopo, la carrozza si sarebbe fermata con ultimo scossone
di fronte alle mura in pietra di Onalĩa,
la creatura sarebbe ancora stata impegnata a riflettere sul
significato di quella frase.
~
Glossario:
[1]
“Perfino i
bambini sanno minacciare, qui.
La
birra profuma di
erba fresca ma ha lo stesso sapore dell'acqua piovana e quando ti
scorre nella gola la vista ti si annebbia non tanto per l'ebbrezza
quanto per il suo pessimo gusto.
Sono
già stato
derubato tre volte, da quando sono arrivato – perfino dal
proprietario della locanda in cui alloggio che, quando ho scoperto il
furto, ha indicato come scusa la “forza
dell'abitudine” – e la
scorsa settimana ho incontrato una donna elegante, nella taverna
della Città Superiore, con lunghi capelli lucenti, occhi da
cerbiatta ed uno stemma regale al dito. Ha continuato a sorridermi
per tutta la serata e, dopo essere finiti abbracciati l'uno all'altra
sul retro della taverna, ha preteso di essere pagata! Quando,
allibito per la cifra da lei richiesta, mi sono rifiutato da darle
quei soldi, mi ha colpito alla testa ed è fuggita
assicurandosi di
prelevare diverse monete dalle mie tasche. Ed era una nobildonna,
capite? [...]
Dicono
che a Nath
siano tutti ladri, eppure nessuno specifica mai che le loro vittime
sono solo ed unicamente gli stranieri.”
Tratto
da “Annotazioni
di un furfante truffato”,
di Tarson
Ja'Toundh.
[2]
“[...] e quando i suoi occhi si riempiranno della luce della
Cattedrale e le sue narici del profumo dei fiori che circondano
Alenea,
solo allora il viandante capirà di essere finalmente a
casa.”
Cantico
della Luce dell'Ovest,
settantaduesimo verso.
[3]
“Sono poche le armi che possono fermare un freylin.
Con le tre fila di corna sotto il mento e gli zoccoli, pesanti, che
battono sul terreno, solo pochi forestieri possono vantarsi –
o
ringraziare la Stella – nel raccontare di lui e della sua
pelle
rossa, rilucente sotto il cocente sole del deserto, mentre si
avvicina in corsa pronto a caricare la sua preda.”
Dal
quindicesimo
volume del catalogo “Survive or Surrender”
di Saciv
Saamoi, avventuriero del deserto.
[4]
“Se la vista
di Alenea riesce ad evocare il profumo dei fiori di lavanda e delle
violette, l'unico odore che caratterizza Cremysta
è quello
dei soldi.
Non
c'è famiglia
che non abbia almeno un membro mercante di mestiere e, da quando il
tredicesimo re ha deciso di eleggere la città capitale e la
gioventù
della nobiltà dell'Impero vi si è trasferita di
massa, risulta
impossibile ignorare, camminando per le strade, le urla degli
acquirenti che contrattano su qualsiasi prezzo.”
L'Enciclopedia
del Buon Mercante, Ihnes Llepoiska.
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