Autore:
_wayward.
Titolo:
La forza inaspettata delle figure retoriche ~
Fandom:
Originale » Romantico.
Rating:
Giallo.
Genere:
One–shot.
Personaggi/Pairing:
Cas/Atlanta, altri.
Parole:
~3869.
Avvertimenti:
pre–slash.
Disclaimer:
Tutto © mio, qualsiasi riferimento a compagni di classe e/o
professori realmente esistenti è puramente casuale. Forse.
Note:
1) Scritta sul prompt “freddo” dei magici
Faràs su COW–T3
#maridichallenge
2)
La frase in francese a metà significa, letteralmente:
"Così
come non è facile nascondere il fuoco, non è
altrettanto facile
nascondere l'amore" ed è stata attribuita a Madeleine De
Scudery.
Introduzione:
N.
Cassella, soprannominato Cas, e G. Bellaria, chiamato Atlanta per
motivi a noi tutt'ora imperscrutabili.
Una gita a Parigi, un
numero considerevole di birre ed una discussione sulla grammatica
italiana.
~
La forza inaspettata delle figure retoriche
È
ottobre e Parigi risplende – in quel suo freddo vento
autunnale che
fa alzare le gonne e volare via i cappelli – anche negli
occhi di
un liceale italiano in gita con la scuola.
Tre
giorni, bella merda, praticamente si passa più tempo in
pullman e
aereo che in città; però qualsiasi scusa
è buona per saltare ore
scolastiche, soprattutto quelle della Crozzi, che ultimamente sembra
più fuori che mai.
Tenta
di osservare la Tour Eiffel – che, cavolo, non è
così ben
visibile da qualsiasi punto di Parigi come nei film – quando
un
braccio gli gira attorno alle spalle e lo tira lontano dalla finestra
dell'albergo a due stelle, l'unico che si sono potuti permettere
nonostante l'esorbitante cifra richiesta dalla scuola.
«Allora
Atlanta, ti piace l'aria di Parigi?» gli urla qualcuno nelle
orecchie – un qualcuno che riconosce fin troppo bene dal
timbro
della voce e dalla stretta soffocante.
Atlanta
scoppia a ridere e annuisce, spingendo Cas lontano, senza ottenere
tuttavia grossi risultati.
In
quel momento Giovanni esce dalla doccia e si butta sul letto urtando
Luca che sta trafficando con il cellulare.
«Oh,
ragazzi, ma le avete viste quelle fighe quando stavamo passando
vicino alla metropolitana?»
«Miiinchia!»
Luca solleva la testa di scatto con un ghigno ben poco casto.
«Ce
n'era una che aveva due tette così!»
«Cavoli,
prima di domani io me la voglio fare almeno una francesina»
esclama
Cas, dando un pugno sulla spalla ad Atlanta per enfatizzare la frase.
«Almeno
una? Ma sentilo, il dongiovanni!» sbotta lui,
diventando di
quella tonalità bordeaux che da sempre lo caratterizza.
«Sei un
porco»
Cas
ghigna e stanno tutti ridendo quando, pochi secondi dopo, un altro
ragazzo entra nella stanza.
«Bella,
chi è il porco qui? Che si sente tutto quello che dite,
dalla nostra
stanza...» chiede Massi, dando quasi la porta in faccia a
Giovanni
che nel frattempo si era alzato per mettersi i pantaloni.
«No,
comunque Cas non si fa proprio nessuna francesina, che già
c'è la
biondina di prima che mi ha chiesto se hai la ragazza»
«Bionda?
Quale?» chiede Cas, interessato.
«Vedi
te, quella che ti sei lavorato per tutta la mattina durante la visita
alla chiesa»
«Ah
sì, la Meri, anche quella...»
È
tutto un gioco di sguardi e gesti fra questi diciassettenni allegri.
Felici,
senza pensieri.
«Davvero,
che poi tu ti fai sempre le primine che non si capisce manco
perché...»
«Guarda
che se vai avanti così fra un po' ti arrestano per
pedofilia!»
Risate
senza fine, una battuta dietro l'altra.
«E
Giovanni, che l'anno scorso è andato con le due primine?!»
sottolinea Cas facendo le virgolette con le mani.
«Vabbè,
quella era l'eccezione. Che poi l'altra era venuta con me solo
perché
tu non c'eri più stato»
Botta
e risposta che più semplici non esistono.
«Ah,
è vero»
Ammissione,
perdono, risate.
Atlanta
ride con tutti gli altri, come sempre. Ogni tanto interviene, fa una
battuta, dà uno spintone, una pacca sulla spalla e il gruppo
gli
viene dietro.
È
tutto come gli altri giorni, non ha nulla di diverso quella sera.
Ma
forse è perché sono a Parigi, perché
sono due giorni che non tocca
un libro e i professori non possono dirgli niente per questo, Atlanta
si sente euforico.
Euforico
e felice.
Non
la felicità frivola e superficiale che ostenta solitamente,
questa
felicità gli parte dalla pancia.
Ha
il mondo fra le mani ma non pesa e non può nemmeno romperlo
perché
assomiglia più che altro ad un palloncino; un palloncino che
non
esplode.
Cas
non lo ha mollato un secondo, per tutta la serata.
È
ancora sera, ma stavolta il gruppo dei ragazzi in gita, seguiti dai
professori, si riversa in strada.
La
cena è stata lunga e sostanziosa e ora non vedono l'ora di
andarsene
in giro per la città illuminata tranquilli, senza dover
forzatamente
prestare attenzione a musei, chiese e bizzarre strutture
architettoniche.
Giovanni
adocchia due ragazze con le minigonne vicino ad un negozio e gli
lancia degli sguardi davvero provocanti ma poi passa oltre e
raggiunge gli amici.
Massi
gli si affianca e gli dà una pacca sulla schiena.
«Che
gesto eroico rinunciare a due francesine»
Giovanni
annuisce e finge di tirare su con il naso, afflitto.
«Davvero,
Gio', è da questo che si capisce la vera
amicizia!» esclama Luca,
unendosi a Massi nelle condoglianze.
«Allora
ragazzi, che vogliamo fare?» interviene Cas, continuando a
camminare
lungo la via pedonale, seguendo la massa di studenti italiani.
«Boh,
quelli di quinta dicono se vogliamo unirci» dice Lobi,
comparendo da
dietro la schiena di Massi.
«Se,
se, tu vorresti unirti a chi dico io di quinta,
neh?» insinua
qualcuno, a piena ragione visto che Lobi, con il suo annetto in
più
di tutti loro, è dal primo giorno della gita che ci prova
spudoratamente con la secchiona gambe lunghe dell'altra classe.
Lui
intanto sorride e scuote le spalle.
«Io
ci ho provato» sospira.
«Comunque
i prof ci danno un paio d'ore e hanno detto niente droga e niente
alcol...»
«Allora
non ci resta un granché: discoteca!» declama
Massi, saltando.
«...
né discoteche»
«Eccheccazzo!»
Tutti
scoppiano a ridere alla smorfia di Massi, che ci teneva davvero ad
entrare in una discoteca parigina almeno una volta, e anche Atlanta
si lascia scappare un “che sfigato” riuscendo per
un attimo a
sfuggire alla morsa di Cas che da quando sono usciti dall'albergo
cammina aggrappato a lui.
«Dài,
forza! Siamo a Parigi, il modo di divertirci lo troviamo lo
stesso»
Luca batte le mani per tirare su il morale a tutti, nonostante Massi
sia ancora deluso.
Ma
anche la sua delusione sparisce quando, all'orizzonte –
accolto dal
gruppo come fosse l'elfo domestico che compare dal nulla per salvare
Harry e compagnia dalle segrete di casa Malfoy nell'ultimo film di
Harry Potter – compare una sala giochi.
Ci
entrano quasi tutti, tranne quelli di quinta, andati a sbronzarsi
chissà dove, ed è la prima, e probabilmente
ultima volta in vita
sua che Atlanta vede la Sbazzini, la prof di mezz'età che ha
la
capacità da far addormentare tutti i propri alunni durante
le sue
ore, imprecare contro un flipper.
Massi
va a cambiare i soldi di tutti in gettoni, ormai è abituato
a
comprare da mangiare per tutti i compagni quando, all'intervallo,
è
l'unico che scende alle macchinette, e torna con le tasche che
trasbordano.
Per
la prima mano i ragazzi provano la maggior parte dei giochi.
Atlanta
passa praticamente tutti quelli con le pistole e Cas lo segue a
ruota, battendolo in quasi ognuno di questi.
Ad
un certo punto, per scherzare, lo sfida ad una partita sul
ballarò
francese e Atlanta infine accetta, nonostante i vari borbottii e
ritrosie.
Scelgono
una canzone che conoscono bene, l'apoteosi della banalità: waka
waka, e iniziano a dimenarsi – «Certo che
ballare è tutta
un'altra cosa!» esclama Massi, ridendo di loro –
sui quadrati
colorati.
In
breve anche gli altri si ritrovano a circondare la pista e ad
incoraggiarli nella loro sfida.
Ridono
tutti ora, anche la Sbazzini ride e scuote la testa e probabilmente
alla fine è riuscita a vincere, a quel flipper.
Quando
la canzone finisce e i risultati dalla partita compaiono sul
tabellone ormai l'ilarità è generale, tutti
urlano e li incitano a
fare un altro giro.
Atlanta,
più rosso che mai, i risultati nemmeno li vede: viene
travolto da
uno dei virili abbracci di Cas, che gli stritola le spalle e gli
sussurra direttamente nell'orecchio destro «Che bravi,
eh?».
Il
mondo palloncino nelle sue mani inizia a volare, Atlanta lo sente
perfettamente, e lo porta in alto con lui.
Un
paio d'ore, un numero impressionante di gettoni e quattro birre dopo,
gli studenti vengono radunati dai professori e riportati in albergo
come un gregge di pecore.
No,
forse il paragone con le pecore non è proprio corretto.
Quando
finalmente tutti i ragazzi e le ragazze sono chiusi nelle camere
giuste i professori si ritirano nelle loro stanze, pur consapevoli
del fatto che, fra non meno di venti minuti, gli alunni si saranno
già mischiati a loro piacere.
Infatti
è mezzanotte e venticinque minuti quando Atlanta, Cas, Luca
e
Giovanni sentono bussare alla porta.
Ne
entrano Massi, Lobi e Andrea, che alla sala giochi si era appartato
con la Marta di terza.
«Bella,
neh, si festeggia?» sussurra Massi tirando fuori le birre
dalle
tasche.
«Certo
che le tue tasche sono infinite» nota Giovanni, alzando lo
sguardo
dal cellulare – messaggia con una francese molto butch
vestita
di borchie da capo a piedi con cui ha fatto amicizia nella sala
giochi.
Iniziano
così a dividersi quelle poche birre portate da Massi, prima
ridendo
in silenzio, poi alzando progressivamente il volume.
Ad
un certo punto escono in terrazza.
La
terrazza è piccola è stretta ma loro se la fanno
bastare, si
siedono per terra a scherzare, con la strada statale vuota sotto e il
cielo poco stellato sopra di loro.
Solo
la luna si vede brillare, tutto il resto è avvolto da smog
francese,
eppure, quando Atlanta alza lo sguardo, pensa che è una
notte
splendida.
Alle
due e quaranta, quando Giovanni deglutisce l'ultimo sorso di birra
rimasto, la situazione è leggermente diversa.
Lui
si sta praticamente addormentando con il cellulare in mano e un
sorriso ebete – e un po' da fattone – sulla faccia,
Lobi ormai è
entrato e uscito dalla stanza almeno una decina di volte e, quando
è
rientrato per l'undicesima, aveva un succhiotto decisamente in vista
sul collo e un alone di profumo da donna quasi nauseante.
Andrea
si è chiuso in bagno, o a vomitare o a tirarsi una sega
pensando
alla Marta: gli effetti dell'alcol su di lui sono fin troppo
evidenti.
Massi
e Luca sono spaparanzati sul letto semi addormentati – con in
mano
ognuno una sigaretta che probabilmente non finiranno di fumare
–
mentre Atlanta a Cas sono gli unici ancora in terrazza.
Giovanni
sente il cellulare vibrare, per l'ultima volta quella sera, e si
addormenta con le parole della francese che gli tirano un sorriso.
Comme
il n'est pas aisé de cacher le feu,
il
n'est pas facile de cacher l'amour.
Atlanta
si sente stanco, pesante e completamente ubriaco.
Pesante
probabilmente perché Cas ormai ha abbandonato la testa sulla
sua
spalla da un po'.
Anche
lui è ubriaco e ha gli occhi chiusi, però non
dorme; Atlanta lo sa
un po' perché il suo respiro non è ancora
regolare come quello di
un addormentato ma soprattutto perché ogni due minuti si
ostina a
portare la lattina di birra alla bocca, anche se questa è
completamente vuota.
Ad
un certo punto Cas si solleva velocemente, sbatte le palpebre con
un'espressione contrita, guarda all'interno della lattina e, capendo
finalmente che non contiene più alcun liquido, la scaglia
poco
lontano.
Atlanta
lo guarda e sorride, è ancora bordeaux, anche se di meno e
questa
volta la colpa è veramente della birra.
Poi
Cas si lascia di nuovo cadere all'indietro, si sistema meglio sulla
sua spalla e gli passa un braccio dietro la schiena in un mezzo
abbraccio.
Mezzo,
sì,
ma ad Atlanta, che diventa
ancora più rosso nel pensarlo, sembra il più
intimo che abbiano mai
avuto.
Quando
Cas parla sente il suo fiato sul collo.
«Che
bella notte» gli dice.
Atlanta
si limita ad acconsentire e chiude gli occhi.
Improvvisamente
gli sembra tutto così ovattato che immagina di essere in una
barca,
a galleggiare sulle onde...
Sicuramente
è la birra, però Atlanta ha proprio la sensazione
di essere
cullato.
«Mi
piaci...» è solo un sussurro e la testa dell'altro
si appoggia
sopra la sua.
«…
cosa?» chiede Atlanta.
«Mi
piace il rumore di queste stelle» afferma Cas.
L'altro
si ferma un attimo in silenzio e ascolta ma, per quanto tenda
l'orecchio, non riesce a sentire nulla.
Deve
essere la birra.
Ci
riprova, chiude gli occhi e si concentra sul rumore delle stelle ma
è
il silenzio totale.
Alla
fine si arrende.
«Non
c'è»
«Cosa?»
«Rumore.
Queste stelle non fanno rumore, Cas»
C'è
silenzio da parte dell'altro per una manciata di secondi, infine
arriva un debole “oh” in risposta.
«In
realtà» insiste Atlanta. «nemmeno altre
stelle
fanno rumore. Le stelle in generale
non fanno rumore»
Silenzio.
«...er...a
u...a...fo...a» sussurra Cas infine.
«Eh?»
«Cosa?»
«Cos'hai
detto?»
«Ah»
Cas si schiarisce la voce e nel farlo Atlanta lo sente ancora
più
vicino al suo collo.
«Anafora»
«Che?»
questa volta ha capito benissimo, solo che gli sfugge il significato
della parola.
«Anafora»
ripete Cas. «Quella lì, la figura retorica. Era
un'anafora»
Atlanta
ha ancora gli occhi chiusi ma li riapre e corruga la fronte; non
è
mai stato un genio in letteratura, comunque.
«Non
mi pare un'anafora» dice, dopo un lungo percorso mentale
sulle vie
della retorica.
«È
un'anafora» insiste Cas.
«No,
invece»
«Ti
dico di sì»
Le
voci si alzano progressivamente, fino a tornare al loro solito
livello, e ora tutti e due i ragazzi hanno gli occhi aperti, anche se
non si sono mossi un millimetro dalla comoda posizione.
«Sono
quasi sicuro che non sia un'anafora» continua Atlanta.
«E
io sono sicurissimo che lo sia»
Atlanta
tace.
«È
un'anafora, quella lì, che dici le cose di sensi
diversi»
«Lo
so che cos'è» interviene Atlanta. «solo
che non si chiama anafora»
«Eh
sì invece» Cas improvvisamente si tira su e si
mette seduto accanto
a lui, per poi farlo spostare e passargli il braccio dietro le spalle
così da poter appoggiare la testa vicinissima alla sua.
Atlanta
non sa perché ma sente chiaramente le guance imporporarsi
come al
loro solito e, per mascherarlo, continua quella disputa sulla figura
retorica.
«Non
è piuttosto un ossimoro?» chiede, dando un colpo
di tosse.
«Ma
che ossimoro e ossimoro, quello è un'altra cosa»
«E
cosa?»
Cas
sbuffa spazientito e fa un gesto con la mano come per scacciare via
una mosca.
Atlanta,
invece, si lascia scappare un sorriso: sa benissimo che Cas non ha la
minima idea di cosa sia un ossimoro – in effetti nemmeno lui
ce
l'ha, ma questi sono dettagli, si dice.
«È
un'altra cosa» afferma infine l'altro. «questa ti
dico che è
un'anafora»
Poi
entrambi commettono un errore.
Si
voltano, tutti e due, nello stesso momento, e i loro sguardi si
trovano incatenati l'uno all'altro come, direbbe la loro
professoressa di filosofia, l'eraclitismo e l'eleatismo nei fisici
pluralisti, come Socrate e Alcibiade o come gli atomi di Democrito,
in costante movimento ma sempre attratti fra loro al fine di
costituire la materia.
Più
probabilmente – e questo è quello che pensa invece
Atlanta – c'è
qualcosa, nella birra che si è appena scolato, che fa
brillare in un
modo tanto... curioso gli occhi di Cas che non riesce a smettere di
guardarli.
E
anche per Cas deve essere la stessa cosa, visto che iniziano a
passare i secondi ma nessuno dei due accenna a girare la testa.
«È
un'anafora» la voce di Cas, non si sa come, è
tornata ad essere
poco più di un soffio. «È come se dico mi
piace guardare
il tuo profumo»
«O
che mi piace ascoltare la tua pelle,
o, non so, vedere il tuo sapore»
Le
guance di Atlanta tornano ad essere bordeaux e lui, che si sente come
se un batterista gli stesse suonando un ritmo fin troppo veloce nel
torace, si chiede come faccia Cas a dire quelle cose con una faccia
tanto da stupido quanto da innamorato in quel
modo.
Infine
Cas si sposta.
Ma
non si sposta più lontano, si sposta più vicino e
Atlanta va nel
panico quando sente il suo respiro sulla bocca.
“Non
lo farà”, “E' troppo da gay”,
“No, dài, è uno scherzo”,
“Deve essere la birra”, “È
sicuramente la birra”, “Non lo
sta facendo”, “Quella col cazzo che era
un'anafora!” pensa,
praticamente in simultanea, quando Cas lo bacia.
E
c'è poco da fare, perché Atlanta vorrebbe che
fosse soltanto uno
sfregamento di labbra, chessò, uno scontro fra elettroni,
un'interrogazione di quelle che durano cinque minuti perché
fai
scena muta e il professore, pietoso, ti manda a posto.
Invece
no, assomiglia di più a quando il professore, tutt'altro che
pietoso, capisce che non hai studiato ma se ne frega e, anzi!, ci
impiega un'ora in più a lasciarti andare, stravolto e
strisciante
verso il tuo banco, sconfitto ancora una volta da quel giudice
scolastico che, questa volta, non si è accontentato di farti
pescare
un numero inferiore al quattro da infilare nel registro ma ti ha
adoperato come capro espiatorio per avvisare altri studenti allergici
allo studio casalingo della loro prossima fine.
Poi,
la batteria, il silenzio e il rumore delle stelle, finisce ed
è il
peso di una testa sulle gambe che avverte Atlanta che Cas si
è
addormentato.
Scorrono
via manciate di secondi.
Solo
dopo un paio di minuti Atlanta si lascia andare, appoggia il capo al
muro, chiude gli occhi e tira un sospiro.
Di
sollievo, di rassegnazione o di stanchezza, non lo sa nemmeno lui.
Si
addormenta in poco tempo, complice la birra e un Morfeo motorizzato,
con un abbozzo di sorriso sulle labbra e un dubbio che gli preme
nella zona fra un orecchio e l'altro e che, nonostante il suo
grande
interesse per la
letteratura, non riguarda alcuna figura retorica.
Il
mattino dopo è un devasto totale.
Atlanta
si risveglia completamente sdraiato sul balcone alle urla dei suoi
compagni di classe e si tira a sedere ancora assonnato per cercare di
capire cose sta succedendo.
Solo
allora si rende conto di quanto gli fanno male la schiena e il
ginocchio destro e si promette mentalmente che no, mai più
dormirà
sulla terrazza di un hotel francese.
E
nemmeno di uno italiano, aggiunge, sentendo un inquietante
scricchiolio provenire dal fondo schiena.
Giovanni
è in accappatoio che impreca contro il proprio cellulare
(probabilmente la sveglia non ha suonato, pensa Atlanta, e quasi ride
al pensiero che quella sveglia è proprio quella che suona
più
volte, in classe), di Luca si sente solo la voce proveniente dal
bagno, voce distorta dal rumore di uno spazzolino elettrico e Lobi,
invece, è perfettamente vestito e lavato, ma addormentato
con la
testa su un comodino.
Lui
però si sveglia veramente solo quando Cas, sveglio e
pimpante, entra
nella stanza chiudendosi dietro la porta non prima di lasciar
intravedere Massi, nel corridoio, con una faccia da funerale.
«Allora
ragazzi, pronti a far colazione?» urla praticamente, con un
sorriso.
Lobi
sussulta e tira su la testa, ancora addormentato.
«Sì,
va bene mamma» biascica, facendo scoppiare a ridere tutti gli
altri.
«Ehi,
'tlanta!» lo chiama, infine Cas. «Ti conviene
cambiarti in fretta
che i prof sono già incazzati che quelli di quinta sono
tutti ancora
mezzi ubriachi e non hanno voglia di aspettare»
Atlanta
annuisce, si alza e inizia a cambiarsi, mentre Giovanni, Luca e Cas
discutono sulla sbornia di quelli di quinta.
«Chi
è che è andato a ubriacarsi, di
quinta?»
«Tutti,
direi» ride Cas in risposta.
«Bella,
però sono anche stupidi, potevano farlo più
“discretamente”
no?» fa Luca.
«Seh,
come noi, dài» interviene Giovanni.
«Sì,
sì, proprio come noi»
La
frase, non si sa perché, provoca l'ironia generale e
Atlanta,
terminato di rivestirsi, esprime la sua perplessità ad alta
voce.
«Perché,
che è successo?»
Cas
lo raggiunge, gli da uno spintone e gli passa il braccio sulle
spalle.
«Aha,
vuoi sapere che è successo mentre tu facevi il bello
addormentato
sul terrazzo?» gli chiede, indicandogli un sacchetto
contenente le
lattine di birra vuote, ai piedi del letto di Giovanni.
Atlanta
ride e scuote la testa.
«Me
lo dici o no?»
«Eh,
te lo dico, te lo dico, anzi. Fattelo raccontare da 'sti
sfigati»
sembra arrabbiato dall'espressione, ma in realtà il tono
è
decisamente divertito.
Alla
fine è Luca che prende la parola e inizia a raccontare,
gesticolando
e spalancando gli occhi come suo solito.
«In
pratica sai che ieri avevamo messo la sveglia, no? Beh, non
è
suonata»
«Che
poi secondo me invece è suonata e non l'abbiamo
sentita» interviene
Cas.
«Sì,
probabile» risata generale.
«Beh,
comunque non ci siamo svegliati e abbiamo continuato a dormire. Solo
che i prof a un certo punto han visto che non scendevamo e sono
venuti a chiamarci.»
«Alla
fine mi son svegliato io con le urla della Crozzi che ci chiamava in
continuazione e niente, le ho risposto che eravamo svegli eccetera
eccetera e pensavo che se ne andasse! Invece no, a un certo punto
stavo svegliando Massi e sento il rumore della porta che gira e,
insomma, è entrata e ci ha trovato tutti che dormivamo,
tranne me,
chiaro, Gio' sul letto, Massi e Lobi per terra e te e Cas fuori in
balcone, con le lattine di birra dappertutto e due sigarette sul
tappeto... Cioè, è diventata bianca, ho pensato
che stesse per
svenire!»
«Minchia»
si lascia scappare Atlanta.
«Mih,
davvero» commentano gli altri.
«E
no, vabbè, poi s'è ripresa, ha guardato meglio e
ha visto che-»
«Che
non eravamo morti di overdose!» esclama Cas, scoppiando a
ridere.
«Anche!
E che non erano tante birre e mi ha intimato di svegliare tutti, fare
un sacchetto con le lattine da buttare senza far vedere ai professori
e di essere giù per le nove e un quarto»
C'è
un momento di silenzio in cui tutti tirano un sospiro e si sente il
respiro regolare di Lobi che dorme, ma dura poco: nemmeno un minuto
dopo tutti stanno ridendo a crepapelle delle loro disavventure e le
ire, lo spavento e la sbornia sono ricordi ormai lontani.
Cas
spinge Atlanta sul letto e gli si siede praticamente sopra, ignorando
le lamentele per la schiena e il ginocchio dolorante.
E
mentre stanno scendendo le scale per raggiungere il salone dove
faranno colazione, nel momento in cui Cas gli si appende al braccio
trascinandolo verso due sedie vicine, Atlanta si lascia scappare un
altro sospiro.
Di
sollievo o delusione.
Delusione
e sollievo.
Non
è cambiato nulla.
Viaggio
di ritorno.
Sono
stati tre giorni massacranti, alla fine, ma ben vissuti.
Tutti
i ragazzi sono stati felici di quella gita – forse i
professori un
po' meno – e ora si ritrovano distrutti ma soddisfatti, in un
pullman piuttosto comodo, a dormicchiare sognando il momento in cui
potranno finalmente riposarsi nel calduccio dei loro letti.
Alcuni.
Altri
invece, recidivi, sfruttano la loro unica occasione per vincere sui
loro giudici aguzzini: le partite a carte del viaggio.
«Allora,
me lo butti quel due che faccio la napola?»
Atlanta
ghigna e posa sul tavolo da gioco improvvisato un cinque.
«Manco
per sogno»
Stanno
giocando a scopa, lui, Elena, Lobi e il professore di lettere,
Cespuglioni, che, nonostante tutto, si trova in netta
difficoltà.
Accanto a loro gli altri compagni di classe formano una specie di
cerchio – anche se la Crozzi cerca di farli sedere
continuamente
perché “non si può stare in piedi
mentre il pullman viaggia” –
innescando un tifo sfegatato per l'uno o per l'altro.
Anche
Cas è lì vicino che sbircia fra le mani del
professore tentando
inutilmente di suggerirgli quali carte invece buttare.
«Ah,
questa no!» esclama ad un tratto Elena, guardando impotente
il prof.
rubare il suo due di quadri.
«No,
prof!» commenta Giovanni, solidale. «Ho visto da
qui il rumore
delle sue speranze frantumarsi»
Tutti
scoppiano a ridere mentre una Crozzi perplessa sussurra:
«Visto...
il rumore..?»
Giovanni
annuisce pavoneggiandosi e si rivolge a Cespuglioni.
«Sì,
certo, prof, ha visto che bravo ad usare quest'ossimoro?»
Anche
il professore ride e scuote la testa.
«Non
è un ossimoro» interviene ad un tratto Atlanta,
stizzito, gettando
sul tavolo il sette bello perché impossibilitato a fare
altro. «E'
un'anafora»
Giovanni
alza le spalle e da una botta sulla schiena a Luca, vicino a lui.
«E
vabbè, quel che l'è» commenta, ridendo.
Poi
Atlanta alza lo sguardo dalle carte e si accorge di un altro sguardo,
piantato nei propri occhi.
È
Cas che gli ammicca sorridente per una manciata di secondi, prima di
tornare a sbirciare le carte di Cespuglioni.
Uno
sguardo complice, si trova a pensare Atlanta e nel momento in cui lo
pensa diventa un poco rosso ma nessuno ci fa caso, con tutte le volte
che diventa bordeaux.
Ha
delle pessime carte, pensa anche, ma, senza nemmeno saperne il
motivo, si ritrova a sorridere pure lui.
Nello
stesso momento anche Cespuglioni sorride – per forza, il
sette
bello è ancora sul tavolo, è il suo turno e lui
ha un asso – e
alza gli occhi al cielo, prima di affrettarsi a vincere quella
partita, pregando Petrarca affinché perdoni i suoi alunni,
quella
massa di capre sorridenti e ignoranti, che non sanno nemmeno
distinguere una sinestesia.
~
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