Autore:
_wayward.
Titolo:
It cannot be written, only lived ~
Fandom:
RPF Storico.
Rating:
Verde.
Genere:
One–shot.
Personaggi/Pairing:
accenni di Oscar Wilde/Alfred "Bosie" Douglas, Nellie
Melba, OMC.
Parole:
~1441.
Avvertimenti:
pre–pre–pre–slash, amnesia (?).
Disclaimer:
Tutto © mio. E, ehm, della storia.
Note:
1) Scritta sul prompt “guanti” dei magici
Faràs su COW–T3
#maridichallenge
2)
Il titolo riprende una citazione di Oscar Wilde ("Life
cannot be written; life can only be lived").
3)
Fatto storico rilevante #1: nell'ultimo periodo della sua vita, ormai
in disgrazia, Oscar Wilde si presentava come Sebastian Melmoth.
Controllate la sua biografia qui
per maggiori informazioni.
4) Fatto storico rilevante #2: si basa
su un espisodio secondo il quale, a Napoli, Wilde avrebbe tentato di
rapinare la cantante lirica Nellie
Melba, proprio pronunciando le stesse parole che ho usato.
5)
Se non sapete chi sia Bosie, be', SAPETELO. (Oppure guardatevi Wilde
e godetevi un giovanissimo Jude Law che fa le cosacce con Stephen
Fry. ;D)
Introduzione:
Qualcuno una volta gli aveva detto, si ricorda
improvvisamente,
che tutta l'arte è piuttosto inutile.
Sebastian
Melmoth chiude gli occhi e si chiede, allora, se una vita senz'arte
non sia ancora peggio.
~
It cannot be written, only lived
«...
e sto per fare qualcosa di terribile. Sto per chiederle dei
soldi.»
La
voce è un sussurro ma rimbomba nel suo petto, nelle orecchie
pulsa
il battito del proprio cuore e l'urlo della donna lo colpisce come
uno schiaffo in pieno volto.
Non
c'è nessuno, in quel vicolo laterale, mentre lei si sfila la
borsetta dalla spalla e gliela lancia addosso, iniziando a scappare.
Sebastian
non fa nemmeno in tempo ad aprire la bocca: lei è
già sparito oltre
la nebbia del mattino che avvolge la strada.
Si
accorge del guanto solo dopo aver mosso il primo passo.
È
rosso, di velluto, lungo abbastanza da coprire il braccio di una dama
fin sopra al suo gomito – ma ovviamente è troppo
stretto perché
le sue possano infilarcisi dentro.
Sebastian
si ricorda, vagamente, di aver avuto un amico al quale sarebbe
piaciuto, così se lo lega intorno al polso e, stringendo la
borsa al
petto, riprende a camminare.
*
Nonostante
la fame, cerca di masticare lentamente. Ingoia piccoli pezzi di pane
alla volta, tenendo in bocca la mollica il più a lungo
possibile –
le sue narici sono piene del profumo delle paste appena sfornate ma i
soldi nella borsetta della donna gli sono bastati a malapena per
quattro pagnotte calde.
Ha
appoggiato il guanto morbido nello spazio vuoto della panchina su cui
è seduto.
La
gente che passa gli lancia le occhiate più strane ma lui non
ci dà
peso e non lascia che questi gli rovinino il pasto, povero, forse
l'unico prima di chissà quanto.
Quando
nemmeno l'ultimo morso calma la sua fame, Sebastian si lascia cadere
contro lo schienale freddo, chiude gli occhi e la mano gli cade ad
accarezzare il guanto.
Lo
sfiora con la punta dei polpastrelli mentre immagini confuse si
raggruppano nella sua mente e Sebastian le lascia scorrere
perché
sono l'unica cosa che gli rimane e sa di non poterle nemmeno vendere
per racimolare qualche soldo in più di quelli che
già non ha.
C'è
un giovane, appoggiato contro lo stipite del suo inconscio, con i
capelli chiari e gli occhi blu, che Sebastian a volte è
quasi sicuro
di aver conosciuto – salvo poi dirsi che probabilmente
è solo un
sogno dai contorni sfumati. Spesso, quando chiude gli occhi, il
ragazzo gli parla, sussurrandogli parole che lui non capisce, o
forse, semplicemente, non riesce a sentire; a volte lo stesso giovane
è nudo, steso sopra un letto di seta pieno di cuscini su cui
Sebastian morirebbe più che volentieri, con le gambe aperte
ed un
sorriso furbo sulle labbra rosa, in attesa di qualcuno che lui non
può mai vedere. Lo sente, Sebastian, sente i suoi movimenti
fuori
dalla scena, la sua voce calda e sicura che attraversa l'aria ma,
nascosto dietro le quinte, la sua figura non sale mai sul palco.
È
costretto a riscuotersi da quel piacevole torpore quando un uomo si
siede accanto a lui.
Il
nuovo arrivato non è piacevole alla vista come non lo
è per il suo
naso: le rughe sul suo volto sono profonde cicatrici causate dal
tempo e porta con sé una puzza di pesce che si impone
sull'aroma
della panetteria lì accanto. Quando gli sorride, un ghigno,
più che
altro, Sebastian nota che gli mancano due denti inferiori mentre
tutti gli altri sono marci o spaccati, all'interno di una bocca che
ricorda quasi fedelmente un campo di battaglia.
Rabbrividisce,
stringendo il guanto nella mano, nel rendersi conto che questo
è quello che diventerà lui stesso in un futuro
nemmeno troppo
lontano.
Senza
esserne del tutto consapevole, Sebastian ricorda un tempo in cui
avrebbe dato qualsiasi cosa, persino la sua anima, per non finire
come quest'uomo.
«È
un bel guanto» esclama ad un tratto con un accento che lui
non
riesce ad inquadrare, indicando la sua mano con un cenno della testa.
Sebastian
annuisce lentamente.
«Scommetto
che deve tenere caldo se lo indossi» aggiunge senza smettere
di
ghignare.
«Non
lo so» risponde con un sussurro lui. Vorrebbe aggiungere che
è
troppo stretto per lui ma non vuole aprire la bocca di nuovo
perché
ogni volta che parla il vento del mattino scende ad accarezzargli la
gola, raspandola come l'aratro colpisce la terra fertile. Tranne per
il fatto che dalla sua gola non crescerà nulla –
non più, almeno,
gli risponde la voce del giovane, nascosta da qualche parte sotto la
fronte o vicino al cuore.
L'uomo,
in ogni caso, pare capire lo stesso: il suo ghigno si allarga ancora
di più.
«Potesti
darlo a me.»
Sebastian
si volta ad osservare il cielo. «Lo sto conservando per un
amico»
mente, o forse non troppo.
Sta
in silenzio, l'uomo, e lui capisce che sta aspettando inizi a
raccontare. Stai tranquillo,
vorrebbe rassicurarlo Sebastian, c'è gente che
aspetta da molto
più tempo, eppure, sotto il cielo talmente azzurro
da ferirgli
gli occhi e con il guanto che si poggia dolcemente sopra il palmo
della sua mano, le parole gli escono senza che lui debba sforzarsi.
«Era
famoso» inizia, e la gola secca e arida continua a bruciare
ma
Sebastian non si ferma. «La gente applaudiva a tutto quello
che
diceva, viveva nel lusso più sfrenato ma non si
accontentava. Voleva
sempre di più. Cercava qualcosa di cui non era sicuro
dell'esistenza, penso, ma intanto continuava a parlare – la
gente
continuava ad acclamarlo. Per guadagnare incideva i propri pensieri
sulla carta, rendeva vive le storie che gli si annidavano sotto la
fronte.»
Il
barbone accanto a lui tossisce ma Sebastian non si ferma.
«Aveva
davvero tutto. Il Genio, un pubblico, dei critici, chi lo ispirava.
Una moglie devota, dei figli, una vasta cerchia di amici. Non c'era
niente che gli mancasse, non agli occhi degli altri.»
«E
poi cosa gli è successo?»
Sebastian
sente la propria bocca storcersi in una smorfia, la risata del
ragazzo gli riempie le orecchie malate. «Ha trovato quel che
cercava.»
L'uomo
sta in silenzio e Sebastian chiude gli occhi, anche se percepisce
chiaramente il suo sguardo insistente.
La
stoffa del guanto, sotto il suo tocco sgraziato, crea piccole pieghe
asimmetriche.
Sempre
senza parlare, l'altro estrae dalla tasca un mucchio di monete
sporche ed il suo sguardo ci cade sopra solo quando le sente
tintinnare.
Solo
in quel momento si accorge che la mano del vecchio è tutta
accartocciata su se stessa, più sottile di tre dita e
Sebastian
pensa che sì, probabilmente a lui potrebbe perfino entrare,
quel
maledetto guanto.
Le
monete sono poche, però – basterebbero forse per
un'altra pagnotta
e null'altro.
Il
pugno dell'uomo si appoggia sulla sua coscia ed mattino è
gelido
nelle sue vene ma Sebastian non se ne rende conto: c'è un
giovane,
da qualche parte in mezzo ai suoi pensieri, che richiede le sue
attenzioni.
Una
manciata di minuti dopo, la pagnotta è calda e non gli
riempie lo
stomaco.
Il
vecchio è sparito non appena Sebastian gli ha ceduto il
guanto,
talmente in fretta che ora non è più sicuro che
non sia stato altro
che un'allucinazione. Sbatte le palpebre un paio di volte,
stringendosi le braccia contro il petto, e poi smette di pensarci
perché ha perso da tempo la capacità di vedere
quella linea rosso
sangue che distingue ciò che è reale da
ciò che non lo è.
Una
donna di mezza età appena uscita dal teatro gli rivolge
un'occhiata
di disgusto quando lui si sdraia sulla panchina.
Qualcuno
una volta gli aveva detto, si ricorda improvvisamente, che tutta
l'arte è piuttosto inutile.
Sebastian
chiude gli occhi e si chiede, allora, se una vita senz'arte non sia
ancora peggio.
*
La
vede appena tre giorni dopo e ci mette un po' a riconoscerla.
Sebastian
sa di averla già vista, ne è quasi sicuro, solo,
come succede
spesso, non si ricorda dove. Forse in un dipinto del museo, forse
mentre recitava all'opera – ma non è davvero
importante.
Non
è vestita particolarmente bene, però si trascina
dietro una grande
borsa e la scia di profumo alle pesche che si dirama dai suoi capelli
gli fa venire l'acquolina in bocca.
Quando
lei esce dal locale e si incammina lungo la strada buia, Sebastian la
segue per un pezzo e, una volta raggiunta, le posa un braccio sulla
spalla.
Lei
si volta, stupita ma non allarmata ed un lampo le balena negli occhi.
Forse
l'ha riconosciuto, pensa Sebastian, forse lei sa chi è,
forse
potrebbe chiederglielo e lei glielo spiegherebbe.
Sebastian
apre la bocca e la donna solleva un angolo della sua in una timida
imitazione di un vero sorriso. Sta quasi per chiederglielo,
Sebastian, quando la voce del giovane ricomincia a ridere e allora
non può fare altro che ripetere ciò che fa
sempre.
Richiude
la bocca e lascia che il suo braccio gli cada lungo il fianco.
«Sono
Oscar Wilde» dice senza inflessione. «E sto per
fare una cosa
terribile.»
~
|