Damsel
In
Distress
Loki
era seduto a terra, immobile, statuario. Non fosse stato per
i capelli e il cappotto viola scuro che Frigga gli aveva comprato la
settimana prima – e che lui indossava solo perché
gliel’aveva
preso la mamma, non perché gli piacessero i colori da
femmina, come
invece insinuava Fandral – avrebbe potuto confondersi con la
neve
senza alcuna difficoltà.
Tony
tentò di stabilire quanti metri li separassero. Non
più di
cinque, secondo la sua creatività, ben più vivace
della sua
incapacità di valutare le distanze.
Cinque
metri in cui avrebbe potuto rischiare la vita.
Provò
a richiamare la sua attenzione con dei cenni, rimanendo
appartato dietro il cespuglio che fungeva da rifugio, ma il ragazzino
non sembrava accorgersene, perciò Tony si arrese e si
preparò a
correre.
«Ehi,
dove vai…?» stava chiedendo Bruce, sorpreso,
mentre lui
si alzava in piedi e sfrecciava via, testa incassata tra le spalle e
braccia sopra di essa nel tentativo di proteggersi da eventuali
proiettili.
Fu
con un certo compiacimento che raggiunse Loki senza essersi
preso neppure una palla di neve – naturalmente ritenne che
fosse
stato merito della sua intelligenza, ma la verità era che
gli altri
erano troppo impegnati a farsi guerra da due cespugli posti
l’uno
di fronte all’altro per prestare attenzione a chi disertava.
«Che
fai, principessa?» si informò con l’aria
di un veterano
di guerra, accovacciandosi sulle ginocchia sia per arrivare alla
stessa altezza del suo interlocutore che per difendersi dai colpi.
Fu
allora che si rese conto che Loki tremava e si sforzava di
scacciare le lacrime.
E
andò in panico.
Il
ragazzino alzò gli occhi rossi su di lui, ma non
osò parlare,
per timore di tradirsi e scoppiare a piangere, ma Tony non ebbe
bisogno di chiedere quando si accorse che Loki sembrava molto
più
grasso del solito e che frammenti candidi chiazzavano
l’interno del
suo colletto. «Chi è stato?»
domandò, la voce all’improvviso
più bassa e minacciosa.
Esisteva
un’unica persona al mondo con il diritto di tormentare
Loki e quella persona era Anthony Edward Stark, che per inciso era
lui.
Il
suo interlocutore si sfregò gli occhi fino a lasciarsi un
segno rosso sulle guance e tirò su col naso.
«Thor. Ha barato»
mugugnò alla fine, con la mano ancora premuta a nascondergli
lo
sguardo.
Thor
era uno dei migliori amici di Tony dacché avevano
all’incirca tre anni, ma Tony voleva che Loki diventasse il
suo
fidanzato dacché avevano all’incirca due anni e
mezzo. Tentennò,
turbato, ma fu sufficiente un tremore più forte degli altri
perché
prendesse la sua decisione, si alzasse in piedi e si incamminasse a
grandi passi minacciosi verso il cespuglio della squadra avversaria.
«Ehi!»
chiamò, dopo aver raccolto una quantità di neve
sufficiente a stendere anche il suo robusto amico. «Ehi,
Barbie!»
Thor
non esitò ad accogliere la provocazione, ma non tenne in
conto le munizioni dell’altro.
Il
dardo lo centrò con più forza di quanto Tony
stesso si fosse
prefigurato e Thor atterrò di schiena sulla neve con un
gemito.
A
Loki brillavano gli occhi mentre si sfilava la carta di cui
aveva imbottito il cappotto e si avvicinava con tutt’altra
andatura
rispetto a quella di chi sia congelato fino alle ossa e umiliato dal
fratello maggiore. Compiaciuto, si chinò, facendo perno
sulle
ginocchia con le mani, e strizzò l’occhio allo
sconfitto
disorientato. «Vittoria».
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