Questa storia appartiene
all'autrice americana JJ, aka themostrandomfandom, che mi ha
gentilmente concesso di tradurla ( qui
l'autorizzazione)
Qui il link della storia originale:
http://www.fanfiction.net/s/7922642/1/The_Knife_Throwers_Daughter
Nota della traduttrice: ho deciso di tradurre questa
storia
perchè è una delle migliori long brittana in cui
mi sono
imbattuta. E mi sono imbattuta in molte fic. Quindi volevo
condividerla, in traduzione, perchè ne vale decisamente la
pena.
La storia parte un po' lentamente, ma quando parte la spropositata
lunghezza dei capitoli non è mai sufficiente. Chiudo qui con
la
nota e vi lascio al primo capitolo, quindi buona lettura!
CAPITOLO I : PANE E CIRCHI
Sabato 25 giugno, 1898:
Tekamah, Nebraska
La verità è che Santana non ha mai visto il
circo, ma
Puck insiste che ormai la verità non conta più.
Questo è quello che aveva riferito a Santana quando
l’aveva segnata in una pensione a Manhattan due settimane
prima
sotto il suo cognome e quello che le aveva ricordato quando lui e
Santana si erano finalmente incontrati di nuovo alla stazione di Omaha
questa mattina.
Adesso Santana ripete a se stessa le parole di Puck come un mantra
mentre ripassa il piano nella sua mente: non importa se non
è
una famosa indovina Europea e se non sa nulla della danza col fuoco.
Non importa se lei e Puck non sono veramente sposati. Nulla importa
eccetto fare buona impressione sui datori di lavoro di Puck ed entrare
a far parte del libro paga. Santana è così in
debito con
Puck; anche se lavorasse per mesi, potrebbe non essere mai in grado di
ripagarlo.
La campagna fuori dalla finestra si estende bassa e piatta, anche se
ricca di arbusti. Il cielo del Nebraska sembra più grande di
quello di New York, quel tipo di blu la cui tinta e colore non
potrebbero essere mai replicati sulla stoffa o sulla ruvida tela e le
facciate degli edifici. La vastezza della terra e l’aria in
qualche modo fanno sentire Santana in trappola - come se chiunque
potesse vederla e non avesse alcun luogo in cui nascondersi. La consola
un po’ il fatto che per adesso può osservare il
paesaggio
scorrere attraverso il sicuro riquadro della finestra del suo
scompartimento.
Se Puck vede Santana agitarsi continuamente, non dice nulla al
riguardo. Invece, crolla nel posto affianco a lei e abbassa
l’orlo del suo cappello per coprirsi gli occhi
così
può dormire. Appoggia il suo palmo aperto sulla gamba di
Santana, il suo tocco caldo e pesante. In prima classe, qualcuno
potrebbe scandalizzarsi di fronte alla sua audacia, ma in questo vagone
sul retro, nessuno dà molta attenzione alla sua azione.
Anche
Santana vorrebbe dormire, ma qualcosa la agita nel profondo, nervoso
come un uccellino, il suo battito del cuore purpureo vicino alla cruda
superficie rosa.
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Il loro treno raggiunge Tekamah appena dopo mezzogiorno. Un conducente
del circo li incontra al binario e sistema i loro bagagli nel retro del
suo carro prima di aiutare sia Puck che Santana a salire con lui sulla
panca.
Proprio come Santana aveva sospettato sul treno, il cielo sembra
immenso e tutto si estende aperto in un modo preoccupante, adesso che
lei stessa si trova all’aperto sotto il bagliore del
pomeriggio.
Tranne la stazione stessa e un paio di edifici lungo la strada
principale di Tekamah che oscurano la visione, Santana può
vedere in tutte le direzioni, quasi fino all’orizzonte. Il
sole
batte forte, riscaldando le sue gambe sotto il cotone della gonna, come
argilla in una fornace, e la terra emana il caldo, piatto odore di
terra cotta e rame.
Da parte sua, il conducente ignora entrambi, concentrandosi invece
sulla guida dei muli attraverso un tratto d’erba fino a
quando
non trovano la strada, indirizzandoli verso la città
distante
circa mezzo miglio dalla stazione. Puck si copre di nuovo gli occhi con
il bordo del suo cappello, non curandosi di Santana o del percorso
accidentato. Con il chiacchiericcio della stazione che muore in
lontananza e solo i cigolii del carro e lo scalpiccio degli zoccoli che
riempiono il silenzio, Santana si sente all’improvviso
disperatamente, impossibilmente sola.
Sorpassano altri carretti lungo la strada, insieme ad un uomo a
cavallo, che rivolge a Santana uno sguardo malevolo quando i loro occhi
si incrociano. Anche dopo aver trascorso del tempo alla pensione,
Santana non è ancora abituata a tutte quelle regole non
dette di
cui non era a conoscenza fino a che si era ritrovata da sola. Sebbene
adesso avesse imparato le regole al meglio – scrupolosamente,
per
evitare punizioni – non riesce ancora a caprine il senso.
Il conducente le lancia un sorrisetto; dev’essere
perché sembra sorpresa.
Tekamah ha una larga strada principale in terra battuta in linea con
edifici di legno e mattoni. Santana riconosce dei negozi, un barbiere,
e una chiesa. In qualche modo, Santana si era aspettata che il Nebraska
assomigliasse alla landa selvaggia di un romanzo di Cooper, ma trova il
luogo allo stesso tempo noiosamente ben tenuto e sorprendentemente
sprovvisto di alberi.
Piccoli gruppetti di persone, nessuna delle quali assomiglia per nulla
a Santana, passeggiano a due e a tre lungo la strada. Mentre Santana
fissa la massa, ritrova lo sguardo fisso di altre persone nei suoi
occhi. Tenta di non indugiare con lo sguardo e invece si concentra su
dove il cocchiere sta conducendo il carro: attraversata la fine della
strada principale, oltre le case, oltre un piccolo cimitero fiorito di
slavate croci bianche in decomposizione, verso un piccolo, rado
boschetto di alberi situati appena fuori città.
Risalendo la strada, Santana sente il suo cuore fremere nel petto.
Vede il circo per la prima volta nella sua vita.
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Il carro arriva a fermarsi appena fuori un anello di bianche tende di
tela, una piccola città itinerante che sorge dalla pianura.
Nel
cuore di questa città è situato un magnifico
tendone da
circo dal tetto a strisce blu, dozzine di tende più piccole
tutt’attorno, ogni tenda fissata al suolo grazie a corde e
pali.
Molteplici cartelloni contrassegnano i bordi dell’area delle
tende, dipinti in orribili tonalità multicolori, annunciando
gli
acrobati, la donna barbuta, e la “famosa Malibran di
Siviglia,
che può frantumare il cristallo solamente grazie al chiaro
tono
della sua voce” del Circus & Menagerie de J.P. Adams
&
Son.
Carovane, riccamente decorate e disadorne, fiancheggiano varie tende,
che sventolano piene di movimento e schioccano con un suono distante,
gettando lunghe ombre meridiane, smilze, sulla terra piatta. La pallida
tela delle tende inghiotte la luce del sole e la riflette di ritorno
più luminosa sull’area circostante, dando
l’illusione di un circo celestiale circondato da
un’aura di
luce bianca.
Santana non ha mai visto nulla di così meraviglioso o strano
prima d’ora.
Puck sobbalza nel momento in cui il carro si ferma e sposta lo sguardo
da Santana al conducente, intontito e disorientato, stiracchiandosi per
risvegliarsi dal suo pisolino. Sorride a Santana.
“Benvenuta al circo, coccinella” dice, la sua voce
impastata dal sonno.
È la prima volta che ha veramente parlato a Santana dopo
Omaha.
Puck si prende un momento solamente per sorriderle e svegliarsi mentre
lei risponde al suo sguardo.
È bello, presume Santana, un po’ troppo scuro di
carnagione per il suo bene, ma molto meno di lei, con un sorriso ebete
quando è veramente felice o altrimenti un sorriso diabolico.
Quando Santana aveva incontrato Puck la prima volta, camminava con una
forte andatura claudicante, che colpiva maggiormente la gamba sinistra,
ma dopo due mesi, grazie alle cure di suo padre, non porta
più
alcun segno della sua vecchia lesione.
Puck conosce il proprio fascino – ma Santana no. Lui pensa di
piacere a Santana più di quanto sia in realtà
oppure non
gli importa di piacere a Santana; in sostanza, Santana non
può
dire come sia lui e non sa quale opzione potrebbe risultare peggio per
lei, nello schema delle cose.
Il conducente scende dal carro e dà al mulo più
vicino a
lui una pacca di riconoscimento sul posteriore prima di procedere verso
il fondo del carro, da cui tira fuori la sacca di Puck e la borsa da
viaggio di Santana. Lancia a Puck uno sguardo interrogativo e Puck lo
trascura, indicando al conducente di mettere a terra le borse. Mentre
il cocchiere si trascina per staccare i muli e portarli via,
probabilmente verso una stalla o un pascolo che Santana non
può
neancora vedere, Puck fissa i suoi occhi su Santana, osservandola
attentamente come un artista che contempla il suo ritratto non ancora
completato. La sua attenzione rende nervosa Santana.
“Che c’è?” dice; la sua voce
suona tagliente nelle sue stesse orecchie.
Raramente intende attaccarlo verbalmente, ma in un modo o
nell’altro purtroppo finisce per farlo comunque. In questo
momento lo assale perché non si sente a suo agio, essendo
finalmente giunta a destinazione e anche perché non le piace
il
modo con cui Puck continui a fissarla come se fosse l’ultimo
bicchiere di limonata della città in un giorno afoso.
Considera
di chiedergli scusa, ma non lo fa. Puck non sembra badare al suo tono,
comunque.
Si infila la lingua tra i denti, e dice, “Prima di entrare,
che ne dici di sistemarti un po’?”
“Sistemarmi?” Santa ripete, non essendo troppo
sicura di quello che Puck vuole dirle.
“Già,” afferma Puck. “Prima di
tutto, non puoi
tenere questo“ – senza chiedere, alza le braccia
verso
l’alto e toglie il cappello di Santana, strappandoglielo dal
capo, e poi lo getta a terra affianco alla sua borsa –
“e
dovresti portare i capelli sciolti. Sembrerai più
esotica.” Tenta di afferrare una delle forcine che tenevano
lo
chignon al suo posto, ma Santana scaccia via la sua mano, irritata,
prima di potersi fermare.
“Mi dispiace. Cosa stai facendo?” chiede Santana,
del tutto non dispiaciuta.
Puck ritira la sua mano e fa una smorfia . “Ahi!”
esclama,
fingendo troppo dolore, data la debolezza del colpo.
“Coccinella!
Nessuna donna gitana va in giro con i capelli legati in quel modo! Vuoi
convincere il sig. Adams o no? Questo è il circo! Devi
mostrare
un po’ di teatralità!”
Santana ripensa per un minuto a quello che le ha detto, tenendosi a un
braccio di distanza da lui. Non sa cosa Puck intende esattamente con
teatralità, ma di certo sa che la gente del circo possiede
una
reputazione ignobile, da quello che le aveva detto suo padre quando
aveva assunto Puck come suo giardiniere.
Lentamente, Santana porta le mani sul capo e, con grazia e molta
più dignità di quanta Puck le avrebbe offerto,
sfila le
forcine dallo chignon, lasciandolo cadere, e poi infila le forcine nei
capelli dietro l’orecchio, nascondendoli alla vista,
abbastanza
indignata mentre lo fa. Immediatamente, percepisce calore sul collo, le
sue ciocche nere che assorbono la luce del sole. Scuote la testa fino a
quando i suoi capelli sono lisci e si passa le dita fra quelli,
rimuovendo i nodi.
Puck fissa Santana con bramosia, facendole desiderare di essere
invisibile.
“Molto meglio” Puck afferma.
“Qualcos’altro?” gli risponde, sembrando
molto
più ardita di quanto si senta in realtà. Senza il
cappello a proteggerle gli occhi, Santana deve guardare Puck.
Probabilmente pensa che lo stia fulminando con lo sguardo;
probabilmente è vero, almeno un po’.
“No, a meno che tu abbia una sfera di cristallo a portata di
mano” Puck scrolla le spalle, saltando giù dal
carro, gli
stivali che atterrano pesantemente sulla terra, prima di porgere una
mano a Santana per aiutare anche lei a scendere. Puck recupera la sua
sacca e la borsa da viaggio e il cappello prima di gettare un altro
sguardo verso Santana. “Su,” dice
“E’ ora che
tu ti unisca al circo, coccinella.”
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Puck guida Santana all’interno del campo, la sua mano sulla
spalla di lei, segnalandole le svolte . La fa passare attraverso
l’ombra pervinca tra le tende e i più chiari
sprazzi di
sole sugli erbosi tratti aperti, facendola voltare quando necessario.
Per quanto Santana frema sotto il suo tocco, è comunque
segretamente grata che non la faccia seguire di nuovo dietro di lui
come aveva fatto questa mattina alla stazione di Omaha.
Santana si aspetta di vedere la sua prima persona del circo, ma trova
che il campo sia stranamente vuoto; si chiede dove alloggino tutti i
clown e gli acrobati ma poi si odia per farsi una domanda talmente
stupida, anche solo nella sua testa. Percepisce dei deboli suoni umani
provenire da qualche parte, ma non riesce a vedere nessuno attorno alle
tende. Non dovrebbero esserci più persone al circo?
Prima che Santana possa domandare a Puck dove esattamente si trovavano
gli altri artisti circensi, raggiungono una certa tenta, più
grande delle altre che la circondavano, ma molto più piccola
del
tendone, e Puck le fa cenno di fermarsi.
“Bene,” afferma a voce bassa. “Ti ricordi
il piano?
Fai parlare me con il sig. Adams. Probabilmente ti chiederà
una
dimostrazione. Tutto quello che devi fare è leggergli il
palmo e
bofonchiare qualche frase senza senso e ti assumerà,
semplice.
Ti ho già spiegato il numero di danza col fuoco sul treno,
quindi non devi preoccupartene. Un gioco da ragazzi. Ti
mostrerò
i passi magari più tardi, o domani. Come minimo ti
prenderà come cuoca o sarta, dato che sei anche mia moglie
adesso, ma, con un po’ di fortuna sarai una circense
– in
quel modo, guadagnerai di più al giorno di paga. Devi solo
fargli vedere quello che tua nonna ti ha insegnato, capito
coccinella?”
“Mia nonna non mi ha mai insegnato a leggere le
mani”, Santana gli ricorda.
“Beh, il sig. Adams non ha bisogno di saperlo, o no?
È
come ti ho detto prima: leggere i palmi non è veramente
predire
il futuro – si tratta di dire alla gente quello che vogliono
sentirsi dire. E comunque, anche se non sei una chiromante, sai leggere i
tarocchi. Metti su una bella messinscena e siamo apposto.”
Puck le dà un’ultima occhiata, sistemando qualche
capello
svolazzante in cima alla testa e lisciando le pieghe invisibili sulla
sua manica prima che lei si sposti in là, per evitare il suo
tocco. Le sorride, stavolta non ebete e nemmeno diabolico, ma solamente
d’incoraggiamento.
“Andrà bene” le promette. Senza
aspettare che lei
risponda, si volta verso la tenda, scosta i lembi e infila la sua testa
all’interno. “Sig. Adams?” chiama.
“Ho portato
qualcuno che la vuole vedere!”
Santana non sente alcuna risposta, ma la prima cosa che succede
è che Puck la prende per il polso e la fa passare comunque
oltre
la tenda.
Una volta che gli occhi di Santana si sono abituati al cambiamento
improvviso dal chiarore esterno alla luce soffusa al chiuso,
è
sorpresa di trovare la tenda arredata come un salotto, composto da un
divano appoggiato contro la parete laterale, un tavolo centrale, varie
comode sedie, e un grazioso tappeto orientale, tessuto di aranci
bruciati, verdi, rossi smaltati, posto sopra l’erba.
Una foschia di fumo pepato, vagamente floreale rimane sospesa nella
tenda, pungendo gli occhi di Santana e riempiendole le narici e la
gola. Il fumo avvolge le due figure che si trovano nella tenda oltre a
Puck e Santana – una di loro seduta sul divano contro il
muro,
l’altra al tavolo centrale, la sua gamba destra accavallata
sulla
sinistra. Entrambi gli uomini paiono considerevolmente più
vecchi di Puck e fumano delle pipe in terracotta, prendendo gli ultimi
tiri mentre Puck e Santana si avvicinano a loro.
L’uomo al tavolo si alza, spegnendo la sua pipa e lasciandola
dietro, e fa un passo in avanti attraversando il fumo.
“Noah” lo saluta, afferrando Puck per il braccio,
dandogli
un colpetto sulla spalla. “Sembra che tu sia guarito
bene.”
Puck sorride il suo sorriso ebete. “Si, signore. Nessun segno
di bruciature o altro,” scherza Puck.
L’uomo ridacchia e gli dà un altro colpo sulla
schiena.
“Bene, bene! Così ho sentito che hai una moglie
adesso.
Devo ammettere, non ho mai pensato di vedere il giorno in cui ti
saresti sistemato, brutta canaglia! Su, fammi conoscere la povera
ragazza.”
L’uomo sorride in maniera benevola, spostando la sua
attenzione
verso Santana, aspettando che Puck facesse le introduzioni. Nel
frattempo l’altro uomo si era alzato dal divano con un
grugnito e
unito al gruppo.
Santana può solo supporre che l’uomo che ha
chiamato Puck
una canaglia sia il sig. Adams, considerando che è il tipo
meglio vestito nella tenda: indossa un cappotto verde su misura sopra
un fantastico gilet di satin, un plastron color albicocca al collo e
una paglietta sul capo. Anche nella luce soffusa della tenda, si
presenta una figura chiara e vivida, come un ritratto di Monet.
Anche se è più basso di Puck, ha un portamento
che lo fa
sembrare imponente, quasi leonino. Ha i capelli scuri e un viso lungo,
con delle sopracciglia severe e una barba ben rifinita e dei baffi che
incorniciano la sua piccola bocca sorridente. Quando parla, la sua voce
rimbomba come se fosse amplificata da un megafono. La sua corporatura
è massiccia e il solido portamento fa venire in mente a
Santana
i lottatori della greco-romana che era solita vedere abbozzati nelle
pubblicità dei cataloghi sportivi di suo padre.
L’altro uomo – quello che deve ancora parlare
– non
è nient’altro se non tarchiato e, se Santana deve
essere
onesta, ripugnante. Indossa solo una maglia senza una giacca a coprire
il suo ventre sporgente, le sue maniche arrotolate strettamente ai
gomiti. Sudore giallognolo macchia la sua maglia all’altezza
delle ascelle, come anche sotto il collo. Non ha una cravatta, ma
indossa una piccola bombetta nera che fa sembrare la sua testa ancora
più piccola di quanto sia in realtà.
Non appena giunge a due piedi di distanza da Santana, può
anche
sentire il suo odore, il lezzo di pelle sudata, fumo della pipa, e una
scarsa igiene attorno a lui. Ha degli occhi piccoli e brillanti, un
naso schiacciato e porta i suoi capelli scuri tagliati corti. I segni
dell’acne sfregiano il suo volto e la sua pelle sembra sudata
e
appiccicaticcia, anche da distante. Aggrotta le sopracciglia a Santana,
come se lei lo impressionasse poco come lui impressiona lei.
“Sig. Adams” Puck dice all’uomo con il
cappotto verde, “vorrei presentarle Santana
Puckerman.”
Santana può solo rabbrividire al suono del cognome di Puck
al
posto del suo. Rimane sospeso nell’aria, totalmente inadatto,
come il cappotto di sua nonna quando Santana l’aveva
indossato
come costume da bambina.
Lopez, urla nella sua mente, digrignando i denti. Lopez, Lopez, Lopez.
Deve avere un’espressione inacidita perché il sig.
Adams sembra divertito.
“Santana” dice, tastando il suo nome sulla lingua
come un
nuovo sapore. “Santana. Il nome
suona…spagnolo.”
Puck annuisce. “Sì. Proviene dalla migliore
compagnia
gitana spagnola. La sua famiglia ha vissuto fuori Madrid per -
”
Il sig. Adams lo interrompe. “Possiamo fare Roma,
invece?” chiede, grattandosi il mento.
Santana trattiene un sospiro, sorpresa dai modi bruschi
dell’uomo.
Accerchia Santana insieme all’altro uomo. Entrambi la
squadrano
come dei banditori d’asta valuterebbero un cavallo prima di
metterlo sul mercato. Santana si sente straordinariamente a disagio,
più di quanto le sia mai successo in tutta la sua vita
prima.
Non sa che cosa stanno cercando – qualche sorta di difetto o
rivelazione del suo scarso valore – ma sente improvvisamente
come
se tutto fosse sbagliato in lei e che lei sia troppo o non abbastanza
in ogni modo possibile.
La schiena si irrigidisce e tiene la testa alta, sebbene i suoi occhi
guizzano dal retro della tenda al terreno e guardino in ogni direzione
eccetto verso il sig. Adams. I pugni si accartocciano sui fianchi e lei
soffoca un respiro nel petto. Il sig. Adams e l’altro uomo
non la
fissano allo stesso modo di Puck – non
c’è brama nei
loro occhi – ma in qualche modo la fanno sentire comunque
inquieta.
“Roma?” chiede Puck, confuso.
“Sì” annuisce il sig. Adams.
“È che,
con la guerra, la Spagna è piuttosto fuori moda al momento.
Non
possiamo schiarire la sua improbabile carnagione, ma possiamo almeno
darle una nazionalità un po’ più
appropriata, non
diresti? Lei non ha un accento, vero?”
Sembra che il sig. Adams non si stia più rivolgendo a Puck;
i
suoi occhi sono fissati sul volto di Santana, in attesa di una risposta.
Santana sussulta sotto la sua attenzione, non sapendo come rispondere.
A dire il vero, è ancora sbigottita dal fatto che qualcuno
possa
semplicemente assegnarle una nuova etnia, come se fosse così
semplice. Se l’etnia fosse anche in più piccola
parte
variabile, Santana se ne sarebbe scelta un’altra due
settimane
prima, subito dopo il funerale. In primo luogo non è nemmeno
spagnola – quella è una balla che Puck si
è
inventato per far colpo sul sig. Adams - e di sicuro non è
nemmeno italiana.
“No” riesce a farfugliare Santana.
Il sig. Adams annuisce, la sua fronte aggrottata. “Beh, puoi
fingerne uno?”
“Mi scusi?” Santana chiede, senza capire se il sig.
Adams
preferisca che lei abbia un accento oppure no. Il suo intero corpo
è un fascio di nervi. Sente il suo battito accelerare sul
collo
e si morde un labbro. “Non riesco a capire.”
“Nessuno vuole una chiromante nata in America,” il
sig.
Adams afferma francamente. La scruta un secondo in più, poi
ripete con molta calma, “Puoi fingere un accento
sì o
no?”
Santana cerca la risposta dentro di sé, domandandosi se ne
è in grado. Non ha mai finto una cosa del genere prima
d’ora. Pensa a sua nonna, al suono smussato delle sue t e le
sue
vocali aperte, e annuisce lentamente.
“Sì, penso di sì,” risponde,
imitando
l’accento di sua nonna, aggiungendo coloriture nelle sue
parole
che non ha mai usato prima parlando inglese.
Ai suoi stessi orecchi, è una misera imitazione dello
splendida,
fluente parlata di sua nonna, ma il suo tentativo sembra aver comunque
soddisfatto il sig. Adams.
“Molto bene,” dice onestamente. “Tanto la
gente di
campagna non si accorgerà nemmeno della differenza tra
italiano
e spagnolo. Suoni esotica. Puoi passare.”
Passare.
La parola colpisce Santana molto più di quanto dovrebbe, ma
dopo
due settimane alla pensione nel distretto di Tenderloin, arriva a
toccare qualcosa dentro Santana che non sapeva nemmeno esistesse prima
della morte di suo padre. Pensare a suo padre ancora agita Santana; da
un lato, si sente grata e affezionata a lui, specialmente adesso che sa
come l’aveva protetta mentre era vivo, ma,
dall’altro lato,
prova un piccolo, insignificante rancore nei suoi confronti per non
averla avvertita della sua condizione prima di morire – per
non
averle rivelato che esisteva un mondo oltre i confini del silenzioso
giardino del suo cottage isolato.
Dalla sua morte, Santana ha imparato una sfilza di nuove parole, e
anche velocemente: bastarda,
mulatta, negra, meticcia, non può passare.
Quelle parole sono rimbombate nelle sue orecchie dal funerale. Fanno
parte delle regole che Santana sembra non capire mai bene.
“Adesso,” ricomincia a parlare il sig. Adams,
ignorando il
suo sobbalzo, sempre che l’abbia visto. Si rivolge di nuovo a
Puck. “Avevi detto che è esperta nelle arti della
chiromanzia e cartomanzia, o no, Noah?”
“Sì, signore.” Puck risponde velocemente.
Una risata di scherno interrompe la conversazione, e, per la prima
volta in un minuto intero, Santana si ricorda della presenza
dell’uomo tarchiato, che inizia a parlare: “La
nostra
vecchia indovina era solo uno spreco di spazio,” dice con
cattiveria, il suo volto chiazzato e gonfio come un pomodoro maturo.
“Non riusciva nemmeno a distinguere la mano destra dalla
sinistra, figuriamoci leggere i palmi!”
Il sig. Adams fa un sorrisetto. “Beh, il sig. Puckerman mi
assicura che sua moglie sia davvero dotata, Ken. Potremmo benissimo
concederle un’audizione.”
Il cuore le sobbalza nel petto. Puck lampeggia uno sguardo verso di lei
oltre la spalla del sig. Adams: non
mandare tutto all’aria.
“Hai le carte a portata di mano?” Adams le chiede,
il suo
sorriso leggermente sollevato all’angolo della bocca.
Santana scuote velocemente la testa:
no.
“Allora la lettura di un palmo, invece?” Le
suggerisce, porgendo la sua mano come un dono per Santana.
Santana esita per un secondo, combattuta tra l’imperativo di
prendere la sua mano e ogni istinto che le sta dicendo che attraversare
quel confine sarebbe una cattiva idea. Fa parte delle regole che
persone come Santana non dovrebbero toccare persone come il sig. Adams,
ma è anche una regola che quando una persona come il sig.
Adams
dà degli ordini, una persona come Santana dovrebbe obbedire
e
velocemente. Santana sente il petto in fiamme, il suo intero corpo un
fascio di nervi. Tutti attendono, osservando.
Muoviti,
Santana ordina a se stessa.
Muoviti,
e sobbalza, le sue mani che afferrano il palmo offerto dal sig. Adams
un momento prima che i suoi pensieri ne siano al corrente.
Santana deglutisce.
Mentre tiene la mano del sig. Adams nella sua, Santana non
può
nemmeno immaginare cosa c’è da leggere in un
palmo. Quello
del sig. Adams è piatto e pallido, senza peli e non
interessante
nella sua topografia. Delle linee lo attraversano come fiumi abbozzati
con una matita su una mappa e, nonostante Santana sappia che leggere i
palmi in qualche modo comprenda estrapolare significati da quelle
linee, non ha la più pallida idea di quali siano i
significati.
Puck ha detto a Santana di raccontare al sig. Adams quello che voleva
sentirsi dire – il problema è che Santana non
conosce il
sig. Adams abbastanza bene da sapere che cosa sia.
Tutto quello che Puck le ha menzionato sul suo riguardo è
che
è l’uomo che possiede il circo e ha pagato il
conto per
l’operazione di Puck dopo che lui stesso si era ferito sul
lavoro. Dallo sciocco modo da scolaretto innamorato con cui lui parla
del sig. Adams, Santana può dire che Puck lo stimi molto
voglia
compiacerlo.
Santana suppone che possa iniziare da lì.
“Lei è un uomo molto rispettato,” gli
dice col suo
falso accento. “Nei moment di difficoltà, i suoi
dipendenti le chiedono…aiuto.”
Santana alza gli occhi verso la sua faccia, per vedere la sua reazione.
Lo vede tenere ancora lo stesso sorrisetto divertito, impassibile. Lei
non sa come interpretare la sua espressione. Al sig. Adams almeno piace
quello che gli sta dicendo?
Il fatto è che il suo sorrisetto non è come
quello di
Puck – non è diabolico o maleducato. Non
è nemmeno
il suo sorriso intero; lo sa dal fatto che prima ha riso a Puck e tutta
la sua faccia si era trasformata in un’enorme, sorriso
gioioso, i
suoi occhi che quasi scomparivano dietro alle sue guance sollevate.
Semmai, il sorrisetto sembra celare il suo vero sorriso, quasi dovesse
trattenere la sua allegria cosicché le persone di rango
inferiore lo prendano sul serio. Santana ha l’impressione che
il
sig. Adams riderebbe tutto il tempo, se potesse.
Così Santana tira a indovinare.
“Ha una passione nascosta” dice lentamente, attenta
nel
caso in cui sconvolga il sig. Adams. Quando non dice nulla, lei
continua. “Ha grandi responsabilità e deve
trattenere una
buona parte di sé dai suoi impiegati.” Ci pensa su
un
momento, chiedendosi cosa potrebbe costringerlo a celarsi, dato che
ipotizza che sia così. “Ha avuto esperienze quando
le
persone… l’hanno fraintesa. Lei non vuole che
queste
esperienze si ripetano.”
“È sufficiente” il sig. Adams la
interrompe
all’improvviso, ritirando la sua mano lontana dalla stretta
di
Santana. Lei si agita, terrorizzata di aver detto qualcosa di
sbagliato. Sposta lo sguardo dal suo palmo e scopre che il suo
sorrisetto è scomparso, rimpiazzato da
un’espressione
indecifrabile.
“Signore?” chiede Puck, suonando nervoso tanto
quanto si sente Santana.
“Lei è dotata” dice il sig. Adams.
“Un’astuta lettrice delle persone devo dire
– anche
se dovrà imparare a guardare di più nel palmo dei
clienti
e di meno nei suoi occhi se vuole convincerli della sua
abilità.
Inoltre, deve dire tu
sarai
più spesso. Parla del presente come se fosse il futuro,
Santana.” Le fa un cenno d’approvazione con la
testa.
“Allora è assunta?” Puck deduce.
Il sig. Adams annuisce, il sorrisetto di nuovo sul suo volto.
“Sì,” dice. “La sua carnagione
non rispecchia
troppo quella del resto dei gitani, ma lei è bellissima, a
modo
suo, e sufficientemente talentuosa. Penso che
fingerà
bene.” Cammina indietro verso il tavolo, dando di spalle sia
a
Puck che a Santana. “La chiameremo Madame Rossetti e la
promuoveremo come una gitana proveniente da Roma. Farò
iniziare
i ragazzi a lavorare per il suo tendone. L’avranno preparato
per
lei entro quando raggiungeremo Worthington. Adesso, Noah dice che sai
leggere i tarocchi,” il sig. Adams si riferisce direttamente
a
Santana. “È così?”
Per un secondo, Santana pensa di mentirgli. Dopotutto, lo aveva
già impressionato a sufficienza come lettrice di palmi,
perché dovrebbe impressionarlo anche con la lettura dei
tarocchi? Potrebbe dire al sig. Adams che Puck si è
sbagliato e
non sa nulla riguardo i tarocchi.
Sarebbe molto più sicuro in quel modo.
“Non si può avere un indovina che non legge le
carte,
coccinella,” Puck borbotta oltre la spalla del sig. Adams,
fissando Santana come se stesse tentando di convincerla a dire la
risposta esatta con i suoi occhi.
“Sì” Santana balbetta.
“Bene” dice il sig. Adams, il suo sorriso pieno di
nuovo
sul volto, i suoi occhi che affondano dietro le sue guance.
“Bene. Vedremo cosa possiamo fare per trovarti un mazzo,
allora.
Ken!”
Ken sobbalza da dove aveva appena ripreso posto sul divano, subito
sull’attenti. “Signore?”
“Porta la nostra nuova chiromante a vedere una ragazza per il
costume, va bene? Penso che la signora Schuester oggi sia occupata a
provare i costumi per le cavallerizze, se non mi sbaglio, quindi forse
è meglio che consegni Santana a Ma, ok?”
“Sì, signore.”
Ken fa un cenno a Santana di seguirlo fuori dalla tenta. Invia uno
sguardo implorante a Puck, agitata al pensiero di separarsi da lui in
quanto è l’unica persona del campo che conosce
oltre
solamente ad un nome, ma lui non sembra accorgersi della sua
preoccupazione. Invece, Puck mostra il suo sorrisetto diabolico a
Santana, recuperando i bagagli dal terreno.
“Ti troverò più tardi,
coccinella” borbotta, dandole un colpetto sulla spalla mentre
esce dalla tenda.
Ken annuisce, impaziente, e fa di nuovo cenno a Santana di seguirlo.
Non riescono a compiere due passi prima che il sig. Adams li chiami.
“Signora Puckerman?” tuona la sua voce.
“Benvenuta al circo!”
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Passare dall’oscurità della tenda al chiaro
luccichio dello spazio aperto acceca temporaneamente Santana.
Quando i suoi occhi si abituano alla luce, trova Ken a sogghignare.
“Sei fortunata che sia una giornata calma, signora”
dice
aspramente, “altrimenti non avrei tempo di fare questo per
te.”
“Una giornata calma?” Santana ripete, non del tutto
sicura su che cosa voglia dire Ken.
“Una giornata calma,” suona impaziente, come
Santana fosse
in qualche modo ignorante per non conoscere il termine. Santana sente
il suo stomaco attorcigliarsi. Si ritrova a detestare Ken sempre di
più ogni minuto che passa. “La maggior parte dei
sabati,
non diamo spettacolo. Usiamo il tempo per riprendere il lavoro in giro
per il campo. Sei abituata al lavoro, vero? Spero di sì,
perché non ho tempo per gli incapaci. Gestisco questo posto
abbastanza duramente che potrei buttarti subito fuori, hai capito? Non
mi importa quanto Noah Puckerman pensi che tu sia carina: tu sei in
bilico con me, e se viene fuori che non mi piaci, ne farò
parola
con il Sig. Adams e il Sig. Fabray e ti metterò in segnale
d’arresto in men che non si dica, capito, zingara?”
Santana non ha idea di che cosa significhi mettere in segnale
d’arresto, ma il modo con cui Ken sputa la parola dalla
bocca,
come se fosse sozza, le fa intuire che probabilmente è
sgradevole, qualsiasi cosa sia. Non vuole disturbare nessuno al suo
primo giorno, così annuisce, e velocemente.
Ken la squadra di nuovo; sembra apprezzare il suo silenzio e la sua
deferenza. “Okay,” dice serratamente
“Adesso ti
porterò da Ma Jones. Ti sistemerà.”
Senza attender la risposta di Santana, Ken le dà le spalle e
inizia a camminare attraverso le tende. Santana si affretta dietro di
lui, non del tutto sicura se Ken nutre una speciale antipatia nei suoi
confronti o più semplicemente disprezza chiunque incontri
allo
stesso modo.
Per essere un uomo che cammina ondeggiando lungo la strada, Ken si
muove certamente veloce; Santana deve correre con un’andatura
moderata per tenersi al passo mentre la guida attraverso il labirinto
di tende e carri, verso una qualche sconosciuta destinazione.
Svoltando tra due tende più piccole, Santana individua i
primi
circensi: un uomo alto e slanciato e una donna più bassa.
Cinesi. Fissano Santana come se non avessero mai visto nulla come lei
prima d’ora, il che è probabilmente divertente,
dato che
non ha mai visto nessuno come loro nemmeno lei, al di fuori dei libri.
I loro occhi sembrano profondi, quasi neri e Santana non riesce a
leggerli. Si chiede quali siano le regole per qualcuno come lei di
guardar gente come loro e loro rispondere al suo sguardo.
L’uomo
allunga una pentola di caffè malconcia in acciaio
inossidabile,
versando del caffè nella tazzina d’alluminio che
tiene in
mano, ma nessuno di loro due distoglie lo sguardo da Santana. Anche se
indossano dei vestiti di strada – lo stesso tipo di vestiti
di
strada che uno potrebbe vedere lungo i marciapiedi di New York
–
sembrano comunque strani, come se venissero dalla luna e non
dall’altra parte del mondo. Tuttavia, Santana non
può fare
altro che sentirsi lei strana in questa situazione, e non loro.
Ken guida velocemente Santana oltre i due e senza alcuna introduzione;
lancia uno sguardo oltre la spalla una volta superati i circensi,
più domande nella sua mente di quante ne possa contare, e
vede
l’uomo borbottare qualcosa alla donna, tenendo lo sguardo
fisso
su di lei.
Dopo solo un altro paio di svolte e un ritmo veloce, Ken si ferma
davanti a una tenda ancora più grande di quella in cui
Santana
ha incontrato il sig. Adams, situata proprio oltre il tendone. Un
cartello di legno a lettere maiuscole è affisso sopra
l’architrave della porta: CAMERINI FEMMINILI.
Ken si schiarisce la gola.
“Dovrai andare avanti da sola… da qui…
adesso,” dice con evidente disagio, come se fosse privo di
tatto
menzionare il fatto che lui, essendo un uomo, non dovrebbe vagare
liberamente nella tenda dei camerini femminili – come in
qualche
modo menzionare le regole fosse sbagliato .
“D’accordo” Santana dice, aspettando
ulteriori istruzioni.
Ken dà un’altra occhiata al cartello sopra la
porta e
arrossisce veramente. All’improvviso, Santana si ritrova a
disprezzarlo meno di prima; è tempestoso, ma ovviamente
anche un
imbranato. Suo padre avrebbe definito Ken un idiota, se
l’avesse
mai incontrato.
(Santana sarebbe d’accordo.)
“Trova Ma Jones” le dice. “Dille che il
sig. Adams ti
ha assunto come chiromante e ha bisogno di acconciarti come una
zingara.”
Ken tace e Santana pensa che potrebbe ricominciare a parlare, ma non lo
fa. Si leva la bombetta e la stropiccia tra le mani, i suoi piccoli
occhi che spostano nervosamente lo sguardo da Santana alla porta. Apre
la bocca, poi la richiude.
“Dovrei…?” Santana indica la porta,
sporgendosi
verso di essa, e Ken annuisce. Santana si allontana da Ken, contenta di
liberarsi della sua compagnia. Scosta la tela della porta della tenda
ed entra senza altre parole.
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(Santana non può fare a meno di sentirsi un po’
come uno
dei protagonisti di Poe, spuntando dalle porte senza sapere che cosa ci
sia dietro.)
Trova che la tenda dei camerini sia meno soffocante
all’interno
del salotto del sig. Adams, forse perché si trova sotto la
lunga
ombra del tendone da circo invece che direttamente sotto la luce del
sole o forse perché è più grande ed
estesa
dell’interno della tenda del sig. Adams in generale.
Cumuli di vestiti e varie casse ingombrano l’interno della
tenda,
e partizioni incorniciate dividono la stanza in stalli di fortuna per
cambiarsi. Un paio di specchi verticali sono messi a casaccio negli
spazi aperti, gettando strani riflessi qui e lì.
C’è sicuramente più gente del circo in
questa tenda
di quanta ne abbia vista oggi Santana in un luogo solo.
Un’intera
compagnia di giovani ragazze smilze più o meno
dell’età di Santana – la metà
delle quali
vestite in graziosi abiti da cavallerizze rossi dai colletti neri,
sottili cilindri, e guanti bianchi, e l’altra metà
in
biancheria intima, mutande e corsetti in mostra in modo che tutti
vedano – chiacchierano in una coda che conduce a due donne
più anziane dall’aspetto sconvolto, una di loro
vestita
come le altre in un abito da equitazione, l’altra che indossa
un
grembiule da lavoro, seduta su uno sgabello e prendendo veloci,
frenetiche misurazioni delle ragazze che si trovavano di fronte a lei
nella coda. Varie giovani sarte le attorniano, chiamando le ragazze che
finiscono la fila e orlando i loro costumi secondo i segni che la donna
più anziana ha lasciato sulle loro gonne.
A prima vista, lo scenario appare alquanto caotico, ma quando Santana
si avvicina, capisce che in realtà è un sistema
ben
organizzato, con tutte le donne che si muovono come gli ingranaggi di
un orologio.
Avvicinatasi a qualche passo di distanza, Santana sente per caso la
donna più anziana nel costume da cavallerizza sbraitare
istruzioni alle ragazze in coda in una lingua che Santana non
comprende. Le sue parole suonano aspre e continua ad agitare un
frustino nella direzione delle ragazze, molte delle quali arretrano il
più lontano possibile da lei, spaventate come delle scolare
che
si sono comportate male di fronte a un’insegnante severa.
La donna col grembiule urla allo stesso modo degli ordini nel bel mezzo
del baccano, anche se nel suo caso alle giovani sarte collocate ai suoi
lati. Grida misure e critica le loro cuciture – in inglese,
per
questo Santana lo capisce.
Sembra che sia alla testa di questa operazione.
Santana raccoglie coraggio e arriva proprio dietro la donna.
“Mi
scusi, signora?” dice, faticando per farsi sentire sopra
tutto il
brusio. “Ma Jones? Il sig. Adams mi ha mandato da
lei.”
La donna distoglie lo sguardo dal suo lavoro, offesa, e guarda Santana
in modo talmente truce che Santana quasi cade all’indietro.
“Mi scusi?” ripete, veleno nelle sue parole che
Santana si
era scarsamente aspettata di sentire. “Ti sembro Ma Jones io?
Che
cosa stai pensando?”
Tutto quello a cui Santana può pensare è che la
donna ha
gli occhi più inquietanti che abbia mai visto. Santana non
ha
mai incontrato una persona arrabbiata prima d’ora, ma ha
letto di
queste in Doyle e non può fare a meno di cogliere che se
qualcuno avesse degli occhi arrabbiati, sarebbe dovuta essere questa
donna, che sembra di non ricordarsi come battere le ciglia. Santana non
può fare a meno di sentire che la donna la odia
già.
Lei è di piccola statura, bianca, e, tranne per i
suoi
occhi inquietanti, carina. Ha dei tratti delicati e porta i suoi
capelli color miele in uno chignon. Appare ben tenuta e
perfino
un po’ truccata. Santana può solo supporre che a
chiunque
assomigli Ma Jones, non assomiglia di sicuro a questa donna.
“Mi dispiace, signora,” Santana balbetta.
“Ken mi ha
appena detto di trovare Ma Jones così potevo avere il mio
costume. Ho pensato che forse – ”
“Beh, non sono Ma,” la donna le risponde
incollerita, come
se non potesse esistere nulla di più offensivo
dell’ingenuo errore di Santana. “Sono Theresa
Schuester, la
moglie del direttore del circo e la capo sarta qui intorno.
Normalmente, sarei io a prepararti il costume, ma come puoi ben vedere
sono molto occupata al momento, quindi Ma dovrà occuparsi di
te.”
Sebbene Theresa abbia una voce dolce e le sue parole suonino melliflue,
c’è anche un’innegabile cattiveria in
quello che
dice, molto di più che se stesse per urlare. Nelle ultime
due
settimane, Santana ha sentito molte persone parlarle con
superiorità, ma non è ancora abituata al modo in
cui
ciò la ferisca ogni volta che lo fanno. Non è un
idiota;
in questo caso, semplicemente non era stata abbastanza giudiziosa,
pensando che Theresa fosse Ma.
(Prima di oggi, Santana non hai mai avuto nessuno che la odiasse, ma
adesso sembra che ogni nuova persona che incontra la odi sempre un
po’ di più della precedente.
All’improvviso le manca
Puck, non perché ci tenga a lui, ma perché lei
gli piace.
O almeno gli piacciono parti de lei.)
(Forse Puck potrebbe accompagnarla da Ma Jones.)
“Sai per caso dove posso trovarla?” Santana le
chiede,
sperando che Theresa le indichi la via senza altra cattiveria.
Theresa la schernisce. “Beh, non è che adesso
posso
interrompere il mio lavoro, o no?” sibila, ritornando la sua
attenzione alla ragazza tremante di fronte a lei vestita da
cavallerizza. Theresa scruta la gonna della ragazza – un
pochino
troppo lunga – e schizza una veloce, dura linea su di essa.
L’altra donna al lato di Theresa che tiene in mano il
frustino
sbraita qualcosa alla ragazza tremante e questa si affretta verso una
delle giovani sarte, che la stava già aspettando, ago e
forbici
in mano. Theresa scuote la testa, irritata. “Ho ancora dodici
misurazioni da prendere prima di cena, quindi dovrai aspettare fino a
quando avrò finito prima di portarti da Ma.”
Prima che Santana possa dire altro, qualcuno scosta le tende ed entra
nella stanza. Santana si volta per vedere una robusta, giovane donna
con la pelle ancora più scura di quella di Santana marciare
dentro la stanza, un cipiglio sul suo volto.
La ragazza ha un volto tondeggiante e morbido come un frutto maturo,
con dei graziosi occhi scuri e labbra imbronciate, i suoi capelli
racchiusi in treccine sulla sua testa. Si sposta con la determinazione
di una locomotiva e la composta indignazione signorile di un
maresciallo, tenendo le sue gonne tirate sopra le caviglie in una mano
e un cucchiaio di legno da cucina, brandito come un fioretto,
nell’altra.
Santana non ha mai visto una persona così magnifica in vita
sua.
“Theresa!” la giovane donna tuona, a mo’
di saluto.
“Come posso fare in modo che la cena sia pronta se
metà
della mia cucina è qui a rammendare punti per te? Siete
tutti
impazziti?”
Tutti nella tenda si fermano, rendendosi piccoli. Perfino la donna col
frustino e Theresa indietreggiano.
“Ma,” Theresa incespica tra le parole, i suoi occhi
dilatati e spaventati. “Ti stavo giusto cercando –
”
“Proprio come un fulmine mi stavi cercando, Theresa
Schuester!” dice Ma, interrompendola bruscamente, agitandole
il
cucchiaio di legno davanti alla faccia. “Ti sei nascosta da
me
tutto il giorno perché sapevi che avevo qualcosa da ridire
sul
tuo prendere tutte le mie ragazze!”
Le giovani sarte che affiancano Theresa rabbrividiscono e distolgono lo
sguardo e le ragazze in coda si raccolgono tutte insieme, rimanendo il
più lontano possibile da Ma.
Di per sé, Santana non sa proprio cosa fare o come
comportarsi.
In parte vorrebbe scoppiare a ridere perché gode di come Ma
Jones spaventi Theresa Schuester, ma Santana non vuole però
fare
nulla per finire sulla sua lista nera, vedendo come tutti sembrino
essere così remissivi nei suoi confronti.
Santana si trova a voler piacere molto a Ma Jones, anche se non riesce
a capire perché – forse perché nessuno
ha gradito
Santana di oggi o forse perché Ma Jones impressiona molto
Santana.
(Forse perché Santana si rende conto che Ma Jones
è come lei, quasi. )
“Sai benissimo che devo preparare questi costumi prima di
arrivare a Worthington,” Theresa si imbroncia.
“E tu sai benissimo che se nessuno mi aiuta a pelare le
patate e
a impastare il pane, nessuno mangerà stasera, nemmeno il tuo
corpo scheletrico!” Ma risponde a tono, incrociando le
braccia
sul petto.
Per un secondo, Theresa è senza parole; sembra molto
piccola,
seduta sul suo sgabello con Ma Jones che torreggia su di lei. La sua
bocca rimane aperta e distoglie lo sguardo da Ma, prima senza meta, poi
fissandosi su Santana. Un’idea sembra farsi strada nella sua
mente.
“Beh,” dice Theresa, “prima che tu possa
fare altro,
il sig. Adams ha un compito urgente per te: devi aiutare –
,” si interrompe, rendendosi conto di non aver mai chiesto il
nome a Santana.
“Santana,” Santana le fornisce.
“ – Santana
a trovare un costume. Il sig. Adams l’ha appena assunta come
– ”
“Chiromante.”
“ – come chiromante
e ha bisogno di un costume prima che noi arriviamo a
Worthington.”
Theresa fa un sorrisetto a Ma Jones, soddisfatta di quel piccolo potere
che aveva appena riguadagnato su di lei. Da parte sua, Ma Jones sembra
solamente irritata. Ma dà un’occhiata a Santana.
“Il sig. Adams ti ha assunto?” ripete, incredula.
La guarda
dall’alto in basso, sembrando del tutto indifferente.
È la
seconda volta di oggi che Santana si chiede che cosa vuole vedere la
gente quando la scruta.
“Sì” risponde, essendo incerta sul
chiamare Ma Jones signora
oppure no; le regole si offuscano un po’ in questa
circostanza.
Ma sospira, chiaramente appesantita. “Va bene,”
dice,
guardando Santana come se fosse una stanza sudicia che
necessita
di essere pulita prima che la compagnia arrivi per i giochi da salotto.
“Vieni con me.”
Ma abbassa il suo cucchiaio di legno e guida Santana lontana da
Theresa, la donna con il frustino, e la fila di ragazze vestite da
cavallerizze, oltre le giovani sarte e attraverso un labirinto di
tramezzi di stanze fino a una pila di casse da viaggio arrangiate a
casaccio, in vari stati di apertura.
Guarda Santana, studiandola.
“Una zingara?” ripete.
“Sì…signora” risponde
Santana, non molto sicura sull’etichetta.
Ma emette un suono derisorio ma non dice nulla a Santana. Invece,
inizia a frugare tra le casse da viaggio, aprendole e ispezionando
tessuti con motivi a rombi e cinture di pelle, esaminando ogni capo di
vestiario estratto prima di proseguire, evidentemente insoddisfatta da
quello che ha trovato. Mentre Ma continua a cercare, Santana sta dietro
di lei, incerta su cosa fare o come aiutare Ma, sentendosi fuori posto
come le è accaduto per tutta la giornata. Ma Jones cade
sulle
ginocchia e borbotta tra sé e sé. Alla fine tira
fuori
dalla cassa una camicetta bianca con ampie maniche e apparentemente la
ritiene appropriata, poggiandola sul braccio per tenerla lì
per
dopo.
“Dove abbiamo messo quella gonna?” dice a se
stessa,
osservando il mucchio di bauli con il labbro inferiore tra i denti.
Santana dà un’occhiata ai bauli ancora non
controllati
– circa metà di una dozzina in tutto – e
sussulta,
domandandosi se avrebbero dovuto guardare in tutti quelli per la gonna
mancante. Alcune delle casse hanno delle etichette a lato : MEDIEVALE,
OCCIDENTALE, ATTREZZI DEI CLOWN & VARIO, COLLARI PER LE TIGRI
ECC., WESTERN, EUROPEO.
“Che ne dice di quello?” le suggerisce, indicandole
il baule EUROPEO.
Ma Jones sposta lo sguardo da Santana al baule, irritata con Santana
per averle suggerito di cercare e irritata con la cassa per il solo
motivo di esistere.
“Ascolta,” le dice seccamente, il suo sguardo che
ricade su
Santana. “È meglio che ti ingoi tutta la
sfacciataggine
che ti sei portata con te da dovunque tu venga, ragazza, hai capito?
Puoi pure urlare contro a loro, ma per me sei solo un’altra
bocca
da sfamare e qualcosa che mi distrae dal lavoro che ho da fare. Tu non
sei migliore di nessuno. Una volta che ti ho dato questo
costume,
è meglio se mi stai lontana, signorina, perché
non ho
tempo per le sciocchezze. Tutti qui sono lo stesso per me, quindi
risparmiamelo perché non voglio sentire nulla al riguardo.
Capito?”
Santana non capisce per niente – non capisce
perché tutti
al circo sembrano così ostili o che cosa in lei fa in modo
che
ogni persona che incontra sembra disprezzarla da subito; di sicuro non
capisce tutte le regole invisibili del mondo e non capisce nulla di
quello che le ha appena detto Ma Jones. La fissa, ammutolita. Incapace
di pensare a qualsiasi cosa, annuisce.
Alla faccia di riuscire a piacere a Ma Jones.
Nonostante la sua predica, Ma si dirige verso il baule etichettato
EUROPEO e prontamente lo apre, seguendo il consiglio di Santana, e
fruga fra i contenuti della cassa fino a quando sembra trovare qualcosa
che le piace. Annuisce con approvazione.
“Dovrai stringerla” dice, presentandole una lunga
gonna a
strati variopinta, uno strato blu, un altro rosso, e poi rosa, marrone,
un altro grigio ardesia, e tutti quelli a fiori, con piccoli motivi a
mosaico.
Gli occhi di Santana si dilatano. Può solo immaginare cosa
direbbe sua nonna sull’indossare un motivo così
teatrale.
Ma Jones passa a Santana la gonna; finisce pesantemente tra le sue
braccia. La gonna ha probabilmente venti iarde di stoffa attaccata,
tutta arrotolata sotto gli strati e piccoli bordi. Ma Jones si china
verso il baule ed estrae diversi luminosi foulard di seta, colorati di
rossi accesi e viola, insieme ad alcuni braccialetti tintinnanti, una
cintura di pelle, e un braccialetto costituito da monetine di metallo,
passandoli tutti a Santana uno alla volta.
“Sai cucire, vero?” le chiede Ma.
Ancora una volta, Santana annuisce, schiacciata dal peso del suo nuovo
costume. Vogliono veramente che lei indossi dei vestiti così
vistosi quando si esibisce col circo?
“Bene” Ma dice bruscamente. “Adesso
andiamo a cercare
un kit da cucito per te e poi torno dalle mie ragazze della cucina,
così posso spedirti via e preparare a voi tutti scemi la
cena.”
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Santana scopre che il kit da cucito che Ma Jones le ha fornito contiene
solamente un rocchetto di filo nero, un paio di forbici, qualche
spillo, e un unico ago d’acciaio. Le fornisce
l’attrezzatura, ponendola sopra il costume nelle braccia di
Santana, e poi la spedisce fuori dalla tenda dei camerini, ordinandole
di “starsene alla larga fino all’ora di
cena.”
Santana, ovviamente, non sa che cosa costituirebbe starsene
“in
mezzo” a questo punto; non ha idea di dove si trova e non
può girare per il campo e non riesce a trovare il coraggio
di
chiedere delle indicazioni a qualcuno della gente del circo che sta
girovagando intorno alla tenda dei camerini.
Qualsiasi cosa Santana si era aspettata dal circo, certamente non
è questa.
Dopo essersi guadagnata qualche sguardo truce per starsene in mezzo
alla strada, Santana inizia la ricerca di un luogo per cucire,
sfrecciando tra varie persone – tutte vestite in borghese
–
mentre trova la strada per uscire dalla zona della tenda. Non sapendo
dove altro andare, torna indietro nella direzione del carro che
l’aveva portata nel campo, usando la bandiera che sventola
sopra
il grande tendone come suo punto di riferimento per spostarsi.
Senza Puck o Ken a guidarla, Santana stabilisce la sua andatura,
assimilando tutto lo spettacolo che non aveva avuto
l’occasione
di vedere prima.
Vede latte di tabacco vuote e perle colorate sparse nell’erba
ed
ampie assi e secchi appoggiati lungo varie strutture. Incontra persone
di tutti i tipi, che variano da due bambini biondi che ridono ad una
cavalletta appena catturata, saltellando in passi di danza, fino a
uomini che trasportano carriole riempite di enormi quantità
di
fieno da una parte all’altra del campo. I suoi occhi colgono
qualsiasi cosa in movimento e tutto sembra affascinante, dai rumorosi
suoni spenti che sente in lontananza fino al modo in cui il sole del
Nebraska sembra rimanere sospeso nel bel mezzo del cielo, anche se
mezzogiorno è già passato da molto.
Come passa loro davanti, Santana sfiora le sue dita contro la tela di
alcune tende, familiarizzandosi al loro tocco. Si accorge che alcune
delle tende hanno numeri o iniziali dipinte sulle tende. Senza un
contesto, quei segni hanno un significato più sconosciuto
dei
geroglifici egiziani per Santana.
Adesso che si trova nel cuore del circo, Santana si rende conto che il
campo sembra essere diviso in due sezioni principali, una piena di
tende più piccole – dove Santana pensa che la
gente del
circo si sistemi per la notte – e un’altra dove
sono
situate il tendone e le tende secondarie, con la tenda del sig. Adams e
quella dei camerini tra di esse. I manifesti isolano la zona
residenziale del campo da quella degli affari, anche se Santana non
è sicura se è fatto per proteggere la privacy
degli
artisti o per impedire al pubblico di interagire con loro al di fuori
dello spettacolo.
Santana supera i primi fenomeni da baraccone mentre cammina: due
signore, entrambe enormi, una più alta della maggior parte
di
uomini che Santana abbia incontrato in vita sua, con ampie spalle come
rami di un albero, e l’altra rotonda come una sfera, con
morbida,
bianca pelle, chiara sotto la luce del sole. Santana tenta di non
fissare le due donne, sebbene la interessino, ma in qualche modo i suoi
occhi sono attratti come magneti da loro; non riesce a distogliere lo
sguardo, non importa quanto duramente ci provi.
Le donne invece, non sembrano nemmeno accorgersi di Santana; passano
oltre come se lei fosse invisibile, così vicino che Santana
strappa un pezzo della loro conversazione.
“ – ma ho un fratello che conta su
questo,” dice la donna più alta.
“Beh, se l’investitore si presenta però
- ,” risponde la donna più rotonda.
Santana impiega un secondo a muoversi di nuovo anche dopo che
l’hanno sorpassata.
(In breve, Santana si sente solo un paio di occhi in questo mondo, che
guardano tutto affrettarsi davanti a lei. Ha parlato così
poco
di oggi e nulla è veramente contato. Vede tutto,
però.
Vede più di quanto possa analizzare.)
Ad un certo punto, Santana si ritrova di nuovo al carro. Mettendosi
sulla punta dei piedi, Santana sistema il suo kit da cucito e il
costume sulla panca prima di usare la cassa del conducente per salire
sopra.
Adesso che non ha più da portare in giro il suo costume,
può dargli un occhiata. Mentre scorre le sue mani sulla
gonna,
Santana scopre che ha vari sottili strati di sottogonna; sa
già
che peserà un quintale una volta indossata.
Scopre anche che la camicetta che Ma le ha dato non ha nemmeno
l’imbottitura per le spalle al suo interno – il che
significa che è come il genere di maglia che indosserebbe la
ragazza di un saloon. Rabbrividisce al solo pensiero di quello che sua
nonna direbbe se sapesse che Santana ha addirittura solamente
considerato di indossare un capo d’abbigliamento
così
indecoroso, ma sa di non avere scelta. Come dice Puck, il circo
è pura teatralità.
Sebbene a Santana non sia mai piaciuto cucire – troppo
tedioso e
ripetitivo – sua nonna si era accertata che fosse ben
istruita in
quell’arte, al punto tale che, dopo anni di pratica, Santana
possiede una mano abile e delle cuciture strette.
Una cosa ch non possiede Santana, però, è
l’essere
in grado di stabilire misurazioni precise senza un metro a nastro.
Dal momento che Ma non ha dato a Santana un metro, lei stessa si
ritrova a giudicare a occhio le modifiche – un lavoro reso
quasi
impossibile dal fatto che Santana non può nemmeno vedere la
gonna su una modella, ma deve osservarla mentre giace su una panchina.
Tiene la gonna sui suoi fianchi e nota che è un
po’ troppo
lunga per lei, ma oltre a quello, non c’è molto
che possa
fare. Certamente, sua nonna si ritirerebbe di fronte a tale ipotesi,
ma, di nuovo, sua nonna non è qui.
Santana inizia ad appuntare il bordo della gonna, sperando di non
rovinare il suo primo costume da circo per quando finisce di lavorarci.
Fare l’orlo della gonna è un lavoro lungo e
tedioso,
peggiorato dalla fame che attanaglia il suo stomaco. Santana non ha
ancora mangiato da quando la sera prima aveva cenato in una pensione di
Omaha, e tra l’implacabile calore e il fatto che non aveva
voluto
fare colazione o pranzare oggi, le gira la testa, come se fosse ubriaca
sotto la luce del sole pomeridiano.
Ma Jones aveva menzionato la preparazione della cena, ma Santana non ha
idea di quando vedrà il prossimo pasto. La sua mano trema e
deve
continuare a sbrogliare le cuciture e rifarle perche le linee non sono
diritte e la filettatura non ha intenzione di rimanere tesa. Non riesce
a tenere traccia del tempo senza un orologio da controllare, ma nota
finalmente che il sole si sta muovendo dal centro del cielo verso
l’orizzonte, arrivando a colpire il lato sinistro del suo
volto.
Strizza gli occhi, stordita e seccata.
(Inizia quasi a piangere quando si taglia con le forbici destrorse che
riesce a malapena ad usare perché è mancina.)
Per la maggior parte del tempo, poche persone passano da dove Santana
è seduta sul carro, ma poi una mezza dozzina di uomini di
colore
passeggiano nei dintorni più tardi, con borse di attrezzi
sulla
spalle, e la guardano in modo duro, come se non avesse il diritto di
appollaiarsi sul carro. Troppo stanca per muoversi e oltretutto
irritata con tutta la sua scarsa fortuna, Santana osa guardarli in modo
truce, come se gli sfidasse a toglierla di peso dalla panca se non
dovrebbe sul serio sedersi lì.
(In un altro giorno, Santana farebbe più attenzione alle
regole,
ma mentre il pomeriggio sbiadisce, non gliene frega nulla. Le regole
sono un po’ grigie in questa situazione, comunque.)
Per un po’, il sole diventa più luminoso, ma poi
l’aria inizia a rinfrescarsi. L’ombra di una tenda
vicina
si allunga fino al carro, ed offre un po’ di sollievo a
Santana,
che può sentire la sua pelle irrigidirsi sotto il sole
rovente.
Santana si sente assetata e al limite del collasso. I suoi pensieri
cominciano a nuotare nella sua mente come girini in una pozza fangosa.
La sua mano trema mentre mette gli ultimi punti sull’orlo, lo
stomaco dolente dalla fame.
Una voce la scaraventa fuori dal suo semi-delirio.
“Ehi, coccinella! Eccoti!” Puck chiama, saltellando
attraverso il prato, qualcosa che Santana non riesce a vedere nascosto
tra le mani, un sorrisetto maligno sulla sua faccia. “Ti ho
portato un regalo, direttamente dal sig. Adams,” dice
gioiosamente, rivelando l’oggetto misterioso: un mazzo di
carte.
Tarocchi.
Improvvisamente, Santana si sente indisposta a causa di molto
più del calore e della fame. Puck balza sulla panca al
fianco di
Santana, attento a non sedere sulla sua gonna, e le porge il mazzo di
tarocchi per esaminarlo.
È un mazzo francese, splendidamente illustrato in verdi
lussureggianti, ori giocosi, rossi amaranto, e blu luminosi, i
personaggi sulle carte tutti belli ed espressivi. Santana volta la
prima carta, il Matto, vestito da giullare ed in movimento, e anche la
seconda, gli Amanti, nudi mentre si stringono le mani sotto un angelo
estatico. Il mazzo è tutto in disordine.
“Queste andranno abbastanza bene?” chiede Puck,
alzando un sopracciglio.
Una ventata di terrore sferza Santana. “Certo”
risponde, preoccupata per il fatto che funzioneranno troppo bene.
Puck fa cadere lo sguardo sulla gonna sul grembo di Santana.
“È carina” dice poveramente, facendo
scorrere le sue
dita sopra il tessuto, come se non potesse fare a meno di toccare il
motivo della gonna.
(Ogni tanto Puck le fa venire in mente un ragazzino. Si ritrova ad
apprezzarlo di più quando è così.)
Santana lo deride. “Non è più carino
adesso che ho rovinato l’orlo.”
“Beh, perché l’avresti fatto?”
Puck chiede
seriamente, facendo una smorfia. Senza aspettare una risposta,
picchietta la coscia di Santana e si alza dalla panca.
“Andiamo,
coccinella,” dice. “Riportiamo il tuo kit da cucito
dove
stava e sistemiamoci prima di cena. Che ne dici?”
Santana non dice nulla; invece, inizia a stipare la sua attrezzatura da
cucito presa in prestito dentro la piccola sacca ornata di perline da
cui li aveva estratti e ripiega il suo nuovo costume, desiderosa di
cenare il prima possibile. Puck si offre di portare i vestiti e Santana
lo lascia fare, drappeggiando la sua nuova gonna, la camicetta e i
foulard all’altezza del gomito.
Francamente, Santana sa che il suo lavoro di cucito sembra terribile
– sua nonna l’avrebbe schiaffeggiata dietro
l’orecchio per aver cucito così
approssimativamente, se
fosse lì a vederli – ma Santana non si preoccupa
di
sistemarlo, e di sicuro non adesso che la luce si è
affievolita
nel cielo e tutto sembra allungato e spento.
Proprio come aveva fatto nel primo pomeriggio, Puck salta dal vagone
fino a terra, poi porge la mano a Santana per aiutare anche lei a
scendere. Lei appoggia un palmo sulla spalla di Puck e salta,
atterrando con un hop sull’erba. Puck tiene il costume di
Santana
e lei la piccola borsa mentre lui l’accompagna verso la tenda
dei
camerini.
Nelle ore dall’ultima volta che Santana aveva attraversato il
campo, le ombre tra le tende sono diventate alte e ora sfoggiano
profonde, fresche ombre. Puck aggancia insieme il braccio libero suo e
di Santana mentre camminano, e, per una volta, a Santana non dispiace
la sua audacia, apprezzando il modo in cui la guida, usando
più
la sua forza che quella di Santana, come un rimorchiatore che riporta
la barca al porto.
Sono a metà strada verso i camerini quando un duro, chiaro
suono
squilla nell’aria, spaventando Santana e immobilizzandola. I
suoi
occhi si dilatano e il cuore le balza nel petto, veloce come quello di
un coniglio alla ricerca di un nascondiglio nel campo.
“Che cos’era quello?” chiede sobbalzando.
Puck le risponde con una risata. “Quello è solo il
nostro
grande, noioso elefante,” dice chiaramente, come se fosse
usuale
sentire rumori di elefanti nella pianure del Nebraska o in qualunque
luogo al di fuori dell’Africa, a dire il vero. “Si
starà probabilmente chiedendo dov’è la
cena,
proprio come noi.”
Forse è perché si sente già intontita,
ma Santana
non riesce nemmeno ad annuire in risposta. Il battito del suo cuore
martella nelle orecchie. Deve sembrare provata.
“Tutto ok, coccinella?” chiede Puck, soffocando
una risata.
Santana soffoca la sua paura. “Sì,”
risponde
affannosamente. “Mi ha solamente spaventato, tutto qui. Non
me
l’aspettavo.”
“Beh, quello è un tuo problema, qui,”
Puck dice deliberatamente.
Dopo aver restituito il kit da cucito ad una delle giovani sarte nella
tenda, Santana segue Puck verso la zona residenziale, dove a un certo
punto si ferma davanti ad una delle piccole strutture di tela.
“Casa dolce casa,” dice con il suo sorriso ebete,
sollevando le braccia per mostrarla a Santana, come se la visione
potesse impressionarla.
Dall’esterno, la tenda pare essere un pochino più
bassa di
Puck stesso e circa otto piedi di lunghezza, quattro piedi di
larghezza. È una tenda con un tetto spiovente e quattro
angoli,
costituita da tela in cima e stoffa più resistente ai lati,
tutta bianca, con dei paletti che la fissano al suolo.
Puck non perde tempo a mostrare l’interno a Santana,
abbassandosi mentre entra, Santana che lo segue subito dietro di lui.
Senza nemmeno aspettare che Santana inizi a sentirsi a proprio agio,
Puck chiede, “Cosa ne pensi, coccinella?”
orgoglioso come
se le avesse appena fatto visitare uno spettacolare castello europeo.
Onestamente, Santana non pensa anche ci sia molto da dire riguardo
l’interno di questa tenda. È piccola e soffocante,
la tela
in cima ancora impregnata del calore del sole pomeridiano, anche con la
luce del giorno che man mano si affievolisce.
Un basso, piccolo lettino – niente di più di una
branda di
stoffa distesa sulla nuda cornice lignea di un letto –
è
in linea con un muro. Uno sgabello di quercia sta in un angolo vicino
alla sacca di Puck, un materassino arrotolato, il cappello e la borsa
da viaggio di Santana, e un set da bagno di acciaio inossidabile, che
comprende una bacinella, sopra una cassa vuota per le verdure
rovesciata.
Tranne per un intaglio finito a metà della testa di un
aquila
che giace affianco ad un coltello seghettato sopra lo sgabello, il
becco urlante e gli occhi furiosi che emergono da una rozza, non
completata maniglia in noce, trucioli e abiti di seconda mano che
punteggiano il suolo attorno alle gambe dello sgabello, nulla in
particolare si distingue come proprietà di Puck. Un paio di
ragni vagano lungo i muri della tenda e il soffitto.
(Puck drappeggia il costume di Santana sopra il lettino, come se
mettesse a letto una principessa.)
“È carino,” risponde in breve Santana,
sia
perché non ha altro da dire sia perché si sente
incredibilmente stanca e affamata, a tal punto che riesce a malapena a
parlare.
Per qualche motivo, a Santana non era passato per la mente il fatto che
lei e Puck avrebbero condiviso una tenda fino ad adesso. Ha senso,
suppone, considerando che il sig. Adams crede che siano sposati, ma il
fatto è che loro non sono veramente sposati.
(La nonna di Santana inizierebbe a pregare ogni santo nella Letania de los Santos
se sapesse della sistemazione di Puck e Santana per dormire.)
(C’è un solo lettino.)
Puck confonde la forzatura delle sue parole con impazienza, ignaro
della sua preoccupazione di dividere una tenda con lui.
“Possiamo
avviarci verso la mensa, se vuoi,” le propone poveramente.
“La campana non è ancora suonata, ma magari
potremmo
aiutare Ma a mescolare la pentola fino a quando il pasto è
pronto.”
Santana pizzica il ponte del naso, percependo un mal di testa scoppiare
lì e ai lati del cranio.
“Tutto ok, coccinella?” chiede Puck delicatamente.
Fino ad oggi, Santana non ha mai trascorso così tanto tempo
all’aperto nella sua vita. Si sente allo stesso tempo
più
calda, più esausta, e più sporca di quanto si sia
mai
sentita prima. Sembra che tutti eccetto Puck la odino in questo posto e
non riesce proprio a capire perché. Non è sicura
se
preferirebbe dormire o mangiare, ma sa che se non fa o l’una
o
l’altra il prima possibile, probabilmente
collasserà sul
posto.
“È stata una lunga giornata” Santana
risponde onestamente.
Puck le offre un’espressione comprensiva. “Ti
sentirai
meglio una volta che avrai mangiato qualcosa” le promette.
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Mentre Puck e Santana si dirigono verso la mensa, Puck coglie
l’opportunità per aggiornare Santana su chi
è chi
al circo.
“Di sicuro conosci il sig. Adams adesso,” dice,
sorridendo
come un figlio orgoglioso che menziona il padre famoso. “E
Ken
– è il capomastro qui, responsabile di tutti i
sovrintendenti. Abbaia spesso, ma raramente morde. È
spaventato
dagli elefanti e non parlerebbe a una graziosa signora nemmeno se il
suo lavoro dipendesse da quello.”
Santana ride, contenta che qualcun altro sembri condividere i suoi
pensieri riguardo Ken. “È diventato rosso come un
peperone
quando mi ha lasciato alla tenda dei camerini.” concorda con
lui.
Puck fa un sorrisetto e annuisce, sfiorando l’orlo del suo
cappello quando lui e Santana sorpassano la stessa coppia cinese che
Santana aveva visto prima.
“E loro chi sono?” bisbiglia Santana, non appena
lei e Puck escono dalla loro portata d’orecchio.
“Loro?” dice Puck. “Quelli sono i Chang,
Dragoni
Volanti di Pechino.” Abbassa la sua voce e porta la bocca
vicina
all’orecchio di Santana, cosicché può
parlarle
senza che qualcuno possa sentire. “Nessuno sa se sono
fratello e
sorella o moglie e marito. Non parlano un briciolo di inglese e per lo
più se ne stanno per i fatti loro.”
Santana non può fare a meno di ridacchiare a quanto Puck
suoni serio.
Puck si raddrizza. “Tu hai incontrato Ma Jones, giusto?
Perché è la persona più importate
dell’intero maledetto campo.”
“Davvero?”
Puck annuisce solennemente, “ Già. È
più
importante di Will, il direttore di circo, Ken, e tutti i
sovrintendenti messi insieme.”
“Perché?”
“Perché è la responsabile del
cibo,” Puck dice impassibile e Santana sorride.
“Beh, di certo quello la rende importante,” ammette
Santana.
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Alla fine risulta che Santana e Puck non sono gli unici membri della
compagnia che si sono presentati presto per la cena; un grande numero
di persone di ogni età e misura vagano per la mensa
– che
è in realtà solo uno spazio aperto nel mezzo di
un anello
di tende e non una vera e propria mensa.
Al centro della zona è situato un focolare fumante con ampie
e
profonde casseruole di ghisa circondato da molteplici panche basse e
sgabelli. Un tavolo lungo affianca quello che Santana presume debba
essere il carro dove servono i pasti e una tettoia di stoffa blu
è posta sopra il tavolo, grazie a pali verticali.
Sei o sette ragazze, la maggior parte con la pelle più scura
di
Santana – alcune le stesse sarte che Santana ha trovato prima
ai
camerini – si precipitano attorno al fuoco e al tavolo,
mescolando vari piatti, impastando il pane, e rimuovendo radici di
verdure con dei coltellini.
In mezzo a loro si trova Ma Jones, le mani sui fianchi, dirigendo il
suo staff come un generale farebbe con le sue truppe, inviando questa
ragazza a correre lì e un’altra là,
urlando ai
bambini che tentano di ficcare le dita nelle teglie scoperte di
allontanarsi dal tavolo e dando una strigliata agli uomini raccolti
attorno al focolare per bighellonare senza offrire il loro aiuto a
nessuno.
(Sembra esasperata, ma anche stranamente in pace – come se si
sentisse esattamente al proprio posto nel centro di quel momento
frenetico.)
Il sole ha iniziato veramente a tramontare adesso, gettando un bagliore
di un arancione ardente sulla pianura. In qualche modo,
l’imbrunire affievolisce il caos della mensa, ammortizzando
il
rumore e il movimento generale.
Per un momento, Santana si dimentica di respirare; vedere
così
tante persone svolgere così tanti lavori in un unico luogo
fa
ritornare quel senso di solitudine dentro di lei. In
quell’istante, le sembra evidente che non fa parte del loro
ritmo
di lavoro; anche se circondata dalla folla, lei è
interamente,
indicibilmente sola.
(È un circo al riposo alla sera. Non può fare a
meno di guardare, assorbendo il tutto, affascinata.)
“Puck!” una voce chiama nel bel mezzo del brusio.
Santana si volta per vedere un giovane uomo più o meno
dell’età sua e di Puck emergere dalla folla,
agitando la
sua mano a mo’ di saluto e sorridendo. Hai i
capelli biondi
e una larga bocca, con un sorriso sghembo sul volto. È
più alto di Puck e di corporatura massiccia, con le spalle
larghe e un portamento giocoso. Un altro ragazzo inciampa dietro di
lui, alto con i capelli scuri, un’andatura trascinata e
un’espressione stordita sul volto. Entrambi i ragazzi hanno
la
pelle chiara, molto più di Puck.
“Sam!Finn!” Puck esclama, attirandoli entrambi a
turno in
un ruvido e goffo abbraccio. Colpisce Sam – il ragazzo biondo
– duramente sulla schiena.
“Sei tornato!” afferma Finn, dando un pugno a Puck
sul
braccio in una strana imitazione della violenza di Puck con Sam. Il suo
pugno sembra goffo e la sua espressione intontita permanente.
(Santana non capirà mai perché i ragazzi si
colpiscano
per dirsi ciao o mi piaci, come se i pugni valessero il doppio dei
complimenti. )
“Certo che sì,” dice Puck scaltramente,
sorridendo
malevolmente. “E non sono di certo peggiorato!Sono pronto per
rivincere il mio denaro contro voi zucconi.” Punta un dito
d’avvertimento contro i due. “Giochiamo a Euchre
sul treno
domani?”
“Certamente” Sam risponde.
“Bene,” Puck dice fermamente, togliendosi il
cappello, piegandolo e mettendolo sotto la sua cintura in vita.
“E questa chi è?” chiede Sam,
accorgendosi di Santana per la prima volta. Le sorride gentilmente.
“Ci stavo arrivando” dice Puck. “Non
affrettatemi.” Sistema la cintura attorno al cappello, lingua
tra
i denti, poi si raddrizza. “Sam, Finn, vorrei introdurvi mia
moglie, Santana.”
“Tua moglie?” farfuglia Finn.
“Sì, deficiente,” dice Puck aspramente,
colpendo
Finn sul braccio con più forza di quando Finn l’ha
colpito
un momento fa. Finn sobbalza, sofferente. “Mia
moglie”
ripete Puck in un tono minaccioso. Restringe lo sguardo, sfidando
silenziosamente i suoi amici a dire qualcosa del suo nuovo stato
coniugale.
“L’hai incontrata a New York?” chiede
Sam, sbalordito.
“Proprio così” dice Puck. “Suo
padre era il
medico che ha sistemato la mia gamba dopo l’incidente. Mi ha
assunto come giardiniere mentre guarivo e cosa posso dire? Santana ed
io ci siamo innamorati nel suo giardino.” Puck sorride da
ebete,
come se quello che ha appena detto fosse vero.
Santana sente qualcosa stringersi dentro di lei. Digrigna i denti,
sapendo che questa è la menzogna su cui lei e Puck avevano
concordato prima che lui l’avesse segnata alla pensione nel
distretto di Tenderloin. Devono fingere di essere sposati
così
si può prendere cura di lei, così la gente la
tratterà correttamente, così ha un luogo dove
stare.
“Lieto di conoscerti, Santana” dice Sam
cordialmente, porgendole una mano.
Finn semplicemente la guarda.
“Puck,” borbotta, “Lei
è…”
Prima che Finn possa dire la parola che tutti stanno pensando, Puck
colpisce di nuovo Finn, e duramente. “Stai zitto,”
gli dice
digrignando i denti. “È quello che sono io
– una
gitana,” ringhia, come se dire la menzogna con sufficiente
convinzione la trasformasse in verità.
(Puck è ebreo, non un gitano – e Santana non
è nemmeno quello.)
Gli occhi di Santana cadono al suolo, poi di nuovo verso Sam. Stringe
la mano che gli aveva offerto. “Lieta di
conoscerti”
biascica.
È allora che la campana suona.
Adesso, il cielo è diventato viola sui bordi, ammaccato come
una
pesca caduta. Una folla accerchia il focolare, alcuni prendendo posto
sulle panche e gli sgabelli, altri stando dietro alla zona per sedersi.
Piccoli moscerini ronzano nell’aria, vendendo allo scoperto
per
la notte. La confusione di prima si acquieta quando un uomo biondo fa
un passo avanti, stando di fronte al focolare, la tettoia blu dietro di
lui. Per un momento, Santana si chiede se farà un discorso.
“Quello è il papà di Sam, il sig.
Evans,” le
bisbiglia Puck nell’orecchio, rispondendo una domanda che
Santana
non ha posto. “È il capo dei clown, ma dice la
–
”
La frase di Puck si estingue quando il sig. Evans si schiarisce la
voce. Si toglie il cappello, tenendolo all’altezza della
vita. Al
segnale, circa metà delle persone si levano i cappelli, poi
piegano le loro teste e incrociano le loro mani davanti a loro, ma il
resto della compagnia guarda da un’altra parte,
improvvisamente
interessata nel tramonto del sole o con lo sguardo fisso sul cibo che
Ma ha sparso sul tavolo.
Con una voce roca, il sig. Evans inizia a pregare: “O
Signore,
benedici in questo giorno il nostro pane e il nostro pasto.
Garantiscici il perdono, perdona le nostre mancanze, offrici la forza,
e lasciaci vivere sempre al tuo servizio. Benedici i nostri viaggi
futuri e preservaci da danni e pericoli. Sorveglia i nostri animali, le
tende, e i nostri figli, come hai fatto con quelli d’Israele,
persi nelle terre selvagge. Dacci speranza anche nelle nostre
differenze. Aiutaci nel perdono. In nome di Dio, amen.”
Mentre il sig. Evans prega, Santana non riesce a fare a meno di
guardare la compagnia, alcuni in armonia con la cadenza della sua voce,
altri ignorandolo attivamente. Fino ad oggi, Santana non ha mai visto
nessuno rifiutarsi di partecipare ad una preghiera.
Quando conclude la sua preghiera, metà della compagnia che
aveva
i loro occhi chiusi e le teste piegate mormorano amen insieme a lui;
altre persone semplicemente borbottano e iniziano a muoversi. Santana
si chiede se forse dovrebbe offenderla il fatto che non tutte le
persone di circo pregano, ma in un certo modo si trova invece
segretamente affascinata.
(Non avrebbe mai potuto dirlo a sua nonna, ma Santana non riesce a
immaginarsi Dio, nemmeno in quei momenti tra la veglia e il sogno.)
Con la preghiera terminata, la compagnia riprende vita, con Ma Jones e
le sue ragazze che recuperano le casseruole di ghisa dal carbone e le
trasferiscono, fumanti, sul piano del tavolo, e tutti gli altri
iniziano a formare una fila che arriva fino al tavolo. Le ragazze di Ma
distribuiscono piatti di metallo alla gente che viene dalla fila, e poi
servono mestoli pieni di cibo che Santana può percepire, ma
non
vedere nei loro piatti.
“Vieni,” dice Puck, agguantando la manica di
Santana e
facendole cenno di unirsi a lui nella coda. “Andiamo a
prendere
qualcosa per calmare quel tuo mal di testa, coccinella.”
Si affrettano a mettersi in coda, finendo in mezzo ad un uomo di mezza
età e Finn. L’aria ha un odore vivo con aromi
gustosi e
aria del focolare. A questo punto, Santana si sente così
affamata che potrebbe mangiare veramente qualsiasi cosa, ma la cena di
Ma sembra avere un odore delizioso.
Alla fine, la cena di Ma è veramente deliziosa.
Il pasto consiste di patate e prosciutto stagionato in salsa, stufato
fino a diventare morbido nelle casseruola di ghisa sui carboni ardenti,
e biscotti caldi con burro e marmellata. Santana e Puck si siedono
sull’erba per mangiare, attorniati da altra gente seduta, una
foresta di pantaloni e gonne che ondeggiano attorno a loro nel
tramonto. Moscerini e falene ronzano intorno alle loro teste, come il
chiacchiericcio della gente del circo.
Ogni tanto, qualcuno passa dal loro punto e saluta Puck e Puck la
introduce alla persona come sua moglie. Ad uno ad uno, le conoscenze di
Puck la squadrano come se avesse fatto loro qualcosa di male.
Fa
del suo meglio per rimanere educata, ma sente qualcosa indurirsi dentro
di lei, che inizia ad opporsi. Si concentra sul godersi il pasto, ma
non può fare altro se non domandarsi quale regola non detta
stia
infrangendo per suscitare tale repulsione.
Una volta che Santana ha finito la cena, Puck la guida sul lato
più lontano del carro, dove incontrano due ragazze addette a
servire che siedono vicino ad una tinozza d’acciaio riempita
di
acqua e bolle di sapone. Santana si chiede da dove venga la tinozza, ma
non si permette di porre a Puck la domanda. Ringrazia le ragazze per
aver preso il suo piatto e la fissano, labbra serrate sui loro volti.
“Andiamo, coccinella” dice Puck. “Non
vorrai perdertela.”
“Perdere cosa?” chiede Santana.
“La danza,” sorride Puck, guidando Santana di nuovo
verso
il fuoco, che adesso divampa in una tinta completamente arancione.
Come previsto, Santana individua diversi uomini in abiti spiegazzati
che tirano fuori gli strumenti da astucci di cuoio: violini, chitarre,
un banjo, un tamburello, strumenti a percussione, e un autoharp
emergono dai loro portatori mentre i membri della band prendono posto
attorno al focolare, abbastanza vicini da cogliere il bagliore
così possono vedere i loro strumenti. Proprio allora, un
carro
trainato da un alto cavallo accorre dietro il fuoco. Nel retro del
carro si trova un armonio verticale insieme ad un uomo barbuto dai
capelli arruffati che siede alla panca. I membri della band spostano i
loro sgabelli più vicini al carro.
“Ad un'altra buona settimana!” una voce chiama e
Santana si
volte per vedere Ken alzare un bicchiere di latta alla compagnia
riunita, sfiorando la sua bombetta in segno di saluto.
Un paio di persone esultano in risposta.
Santana osserva sbalordita mentre la festa prende vita attorno a lei,
la compagnia che entra in azione per togliere di mezzo le panche e gli
sgabelli inutilizzati, sposta indietro il tavolo della cena, e prepara
lo spazio attorno al falò. Ascolta la band accordare i loro
strumenti, archetti che stridono sulle corde fino a quando non trovano
le note giuste da cogliere, dita che cercano arpeggi sulle chitarre
strimpellanti, l’armonio che borbotta mentre
l’occhialuto
capo della band aziona le sue canne con l’aria.
“Vuoi ballare, coccinella?”
Santana balza, essendosi temporaneamente dimenticata di Puck fino a
quando le ha rivolto la parola.
La verità è che Santana non ha mai ballato con
nessuno
prima d’ora. Una parte di lei desidera così tanto
ballare
che l’intensità del desiderio quasi la spaventa
–
come se fosse così profondo e dolce che Santana non
può
pensarci completamente o altrimenti verrebbe inghiottita – ma
l’altra parte di Santana ha paura, per timore che possa
sembrare
una sciocca o infrangere delle regole senza saperlo. Rabbrividisce, poi
si calma.
“No, grazie” farfuglia.
(Santana nasconde il suo desiderio come la foto di un amante segreto
nel pendaglio del suo cuore.)
“Va bene” dice Puck. “Sono troppo stanco
per poter
ballare veramente. Sarà comunque divertente
guardare.”
Suona rassegnato.
Come l’uomo all’armonio alza la mano al resto della
band,
dandogli il segnale di iniziare, Santana sente un fremito. I violini
suonano un’alta, gioiosa nota iniziale, chiara e vivace anche
contro il tramonto, e membri della compagnia entrano in pista, alcuni
in coppia, altri a gruppetti di tre o di quattro. Al tre, la band
attacca con un leggero, motivo ballabile, dolce e fatto per passi e
piroette. Santana tocca col pollice il tessuto stampato della sua
gonna, tutta contenta dentro di sè per una sorta di
eccitazione
che non riesce a localizzare, così tanto che non riesce a
parlare.
Santana deve sorridere senza accorgersene – ogni tanto si
dimentica di fare attenzione alle sue espressioni quando in
realtà dovrebbe – perché Puck si
avvicina a lei e
ammicca. “C’è una danza come questa
praticamente
quasi tutte le giornate calme, se per caso cambi idea,” dice
di
proposito.
Degli uomini fanno piroettare le loro graziose signore, che girano
sotto la luce del falò. La compagnia ride e batte le mani a
suon
di musica e anche Santana ride, anche se non è proprio
sicura a
che cosa. Nonostante la lunghezza della giornata e la misera
accoglienza dei suoi nuovi colleghi, Santana si sente felice, presa
dalla gioia della musica e del momento, le stelle che fanno la loro
prima lampeggiante apparizione nel plumbeo firmamento.
“Sicura che non vuoi ballare, coccinella?” chiede
Puck
sopra il frastuono della musica, sorridendole come se conoscesse tutti
i suoi segreti e gli piacessero tutti.
“No, no” rifiuta Santana, distogliendo lo sguardo,
prima che il suo sorriso possa dire a Puck il contrario.
Il suo sguardo evita il falò, guardando verso
l’altro lato del cerchio formato attorno alla pista da ballo.
È allora che li vede: occhi blu che la fissano di ritorno.
Gli occhi sbattono quando Santana li incontra – sono graziosi
e
felini, quel tipo di blu la cui tinta e colore non potrebbero essere
mai replicati – e Santana trattiene il respiro.
(Pensa che è perché è sorpresa.)
Gli occhi appartengono a una ragazza circa
dell’età di Santana.
Per un secondo, Santana non riesce a distogliere lo sguardo.
Osserva la pelle baciata dal sole della ragazza, le lentiggini che
punteggiano il naso e le nude spalle, il leggiadro arco del suo collo,
i capelli scompigliati dal vento, un esile vestito blu cobalto, e il
modo in cui le sue labbra rosee si separano come i petali aperti di un
fiore, tutto d’un colpo, come una persona che ammirerebbe per
la
prima volta un dipinto di Homer.
Santana non fa altro che chiedersi per quanto tempo la ragazza
l’ha guardata. Senza sapere perché, Santana vuole
all’improvviso parlare con lei più di ogni altra
cosa, la
quale la affascina più di chiunque altro Santana abbia
incontrato oggi, o forse in tutta la sua vita, a dire il vero.
“Non fare caso a lei.”
Santana sussulta, strappata da una trance. Per la seconda volta in
dieci minuti, si è dimenticata della presenza di Puck vicino
a
lei.
“Cosa?” gli farfuglia in risposta.
“Quella è solo la figlia del lanciatore di
coltelli,” dice Puck, scuotendo le spalle. “Lei e
suo
papà sono solamente gente stramba. Non intende farti del
male
fissandoti, comunque, sono sicuro.”
“Certo,” Santana annuisce velocemente, ritornando
lo
sguardo verso la ragazza per assegnare questo nuovo appellativo alla
sua faccia.
Ma la ragazza non c’è più.
Confusa, Santana, scruta la folla e poi la pista da ballo. La figlia
del lanciatore di coltelli non è da nessuna parte. La
ragazza
è scomparsa così velocemente che Santana quasi si
domanda
se forse non se l’è appena immaginata, ma Puck ha
appena
riconosciuto la sua esistenza.
“Sicura che non vuoi ballare?” le chiede di nuovo
Puck.
Santana può solo scuotere la testa, distratta.
(Si sente allo stesso modo di quando a volte si sveglia da un sogno:
come se dovesse ricordarsi qualcosa che non riesce ad afferrare del
tutto.)
“Va bene” dice ancora Puck, divertito dalla sua
leggera risposta.
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Alle dieci e mezza, la danza si dissolve, i musicisti che rimettono in
ordine i loro strumenti, la compagnia che si dirada per raggiungere i
loro luoghi per dormire. Quando Puck conduce Santana alla loro tenda,
lei sente di stare già sognando, come se si fosse
addormentata
ore prima e tutto questo fosse solo un sogno. Le stelle sono appese
nello sconfinato cielo indaco e un brillante quarto di luna illumina la
pianura dall’alto. Le sue ossa e suoi occhi sono stanchi,
come
ogni suo pensiero nella testa. Pensa di non essere mai stata sveglia
per così tante ore di file in vita sua.
Da parte sua, Puck rispetta la sua sonnolenza, rimanendo silenzioso
mentre guida Santana attraverso la zona residenziale del campo, una
mano premuta sulla sua schiena, conducendola lungo la fila di tende.
Quando raggiungono la loro tenda, Puck scosta i lembi per Santana,
accennandole un silenzioso
Dopo di te e Santana barcolla all’interno,
trovando lo spazio meravigliosamente scuro e tranquillo.
“Sei stata brava oggi, coccinella,” dice Puck con
una voce
roca e prima che Santana possa accorgersi di cosa sta succedendo, si
sporge verso di lei e appoggia il suo indice sotto il mento,
sollevandole il volto per baciarla. Le sue labbra premono
maldestramente sulla sua bocca nell’oscurità, la
sua pelle
riscaldata dai residui del calore del sole pomeridiano anche ore dopo
il tramonto, ispida e ruvida contro il volto di Santana. Il bacio
è veloce e brusco – le labbra di Santana si
sentono
schiacciate, più che altro – così tanto
che lei e
Puck non scambiano nemmeno un respiro l’uno con
l’altra.
Questo era il primo bacio di Santana.
Accade e poi è finito. In seguito Santana può a
malapena percepirne il fantasma.
“Tu prendi il letto,” le dice Puck.
“Userò il
mio materassino. Dobbiamo prendere un treno presto domani. Verso il
Minnesota. Ti sveglierò quando è ora di
andare.”
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Mentre Santana rimane immobile, l’oscurità
profonda e
tranquilla intorno a lei, la notte che risuona del ronzio degli insetti
e i rumori ovattati di voci distanti e il fruscio della terra, si
chiede se un primo bacio non dovrebbe durare più a lungo.
Pensa ai tarocchi e cucchiai di legno e l’indolenzimento
nelle sue dita per aver cucito il nuovo orlo.
Per lo più, però, pensa ad occhi blu che la
fissano da
oltre il falò e del sobbalzo nel petto che sente ogni volta
che
pensa a come la figlia del lanciatore di coltelli l’aveva
guardata. I suoi pensieri navigano sempre più lontani nel
mare
della sua mente, la sua gola che diventa densa e il suo respiro che
rallenta.
(La figlia del lanciatore di coltelli la guida, danzando, nei suoi
sogni.)
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