“O yasumi nasai”
o.- preface
Da quel
balcone si vedeva tutta la città di New York.
Si
potevano ammirare o detestare in silenzio: le sue luci intermittenti, i clacson
delle macchine che si rincorrevano nel traffico, le voci degli abitanti che si
mischiavano confondendosi le une con l’altre… e la musica, che si alzava prepotente
da una vetrina chissà dove….
E da lì, si
poteva controllare sempre in un solo batter di ciglia, tutto quell’inferno nero
o apprezzare con un sorriso, quei pochi angeli che sembravano viverci dentro.
Si accese
la sigaretta con gesti lenti e un attimo dopo, la luce rossa brillò
nell’oscurità della notte. L’odore del fumo si alzò, prima di sparire
trasportato dal vento della sera.
Lontani
ma vicini, degli occhi marroni guardavano il disfarsi di quella nuvola grigia e
poi pigri scendevano a inquadrare quelle labbra troppo pallide e dalla quale
usciva quel vapore.
Da quando,
lui avesse incominciato a fumare, questo non se lo ricordava. Meglio dire che, non
poteva saperlo dato che in fondo parecchie cose erano cambiate rispetto a
qualche anno fa.
L’odore
della nicotina gli solleticò il naso e svogliato girò di scatto la fronte, rivolgendo
le sue iridi scure quasi nere per l’assenza di luce, allo spettacolo che dava
quel balcone.
Avrebbe
dovuto iniziare per primo il discorso, questo lo sapeva. Non si aspettava di
certo, che lui rompesse quei rumori che costituivano la grande mela, di notte.
Non se lo
immaginava, eppure, molte cose erano cambiate da allora avrebbe dovuto conoscere
e mettere in conto, anche quello.
-Perché
sei qui?-
Assottigliò
gli occhi.
Quella
domanda bastò per indebolire la sua mente, già atrofizzata dal lungo viaggio in
taxi che aveva affrontato e inoltre… quelle parole avevano un doppio
significato e lui era davvero troppo stanco, per decifrare il tutto.
-Perché
il passato ti insegue sempre.-
Caspita,
non aveva voglia di fare il filosofo… eppure le labbra si erano mosse da sole.
Sorrise impercettibilmente e per questo non osservò quelle iridi taglienti
andare a cercare la sua figura, per fulminarlo.
-Il
passato non né ha facce, né nomi. Il passato è come una nuvola di fumo, è come
la mia sigaretta.- Parlò lentamente l’altro, come a voler raggruppare i
pensieri che gli vorticavano in quella sera oscura.- Prima o poi la fiamma che
divora il tabacco, si spegne e ti accorgi che è stato proprio il passato per
primo a voler chiudere con te. E da questo capisco, che mi stai prendendo per
il culo, Taichi Yagami.-
Buttò la
sigaretta per terra, senza tanti indugi, quando ancora la stecca poteva
riservare altre boccate mortali di nicotina.
Il moro
non rispose subito, ma riportò di nuovo i suoi occhi scuri sul fumatore.
-Eppure a
me basta dirti un nome, per farti capire, che il passato non ha chiuso con te e
che tu, non hai chiuso con il passato.-
-Un
nome?- Lo schernì l’altro mostrando il suo volto per intero e non il profilo,
come aveva fatto fino ad allora.
-Già.-
Taichi
abbassò gli occhi che si andarono a perdere in un punto impreciso di quella
città.
-Sora.-
In quegli
occhi azzurri un barlume di speranza, sfavillò. Il sorriso che poco prima
serpeggiava sulle sue labbra, si dissolse come neve al sole.
-È la
storia più vecchia del mondo.-
Taichi
non si scompose per quel muto cambiamento sul volto dell’Ishida. Stavolta
toccava a lui sorridere continuando a parlare.
-L’amico
che si innamora dell’unica persona al mondo, della quale proprio non si doveva
innamorare.-
Matt
sbuffò, lasciando che la luce del soggiorno giocasse con i riflessi dei suoi
capelli.
-Ma lei è
innamorata dell’altro, quello bello, quello famoso, quello stronzo.-
Il biondo
sorrise, ridandogli di nuovo il profilo da guardare: inutile per cogliere le
varie sfumature che passavano inattese in quegli occhi color ghiaccio.
-Che poi
come è che siamo diventati amici, io e te?-
Taichi
respirò forte prima di rispondersi da solo. E come altre volte, l’unica
risposta plausibile che trovò era quella di un sonoro ma rassicurante: -Bho.- senza
capo né coda.
-Se non
sbaglio però, ora sta con te, no?-
Taichi
chiuse una mano a pugno e con l’altra si tenne alla ringhiera in ferro. -Non
sempre quello che una persona fa, rispecchia quello che desidera veramente.-
Yamato
sbuffò di nuovo, cercando nella sua tasca il pacchetto di sigarette rosso.
-Sciocchezze.-
Liquidò perentorio come se si trattassero di baggianate, mentre quella amico
mio era la vita e la pura e semplice verità.
-Lei
vuole te.-
Tre
parole che significavano un nuovo respiro, un nuovo battito, una nuova storia.
Punto e
daccapo. Ecco il significato di quelle tre parole.
-Non dire
str****te. Io non ci torno a Tokyo!! Troppo tardi.-
-Certo
ora vieni a dirmi, che preferisci marcire in questa stupida città!-
Yamato si
voltò furioso. –Chi ti credi di essere per dare lezioni a me, Taichi
Yagami?-
-Ero il
tuo migliore amico a Tokyo! Sono io che ti ho accolto in casa mia senza
chiederti nulla, lasciando che tu suonassi il mio stupido pianoforte…! Sono io,
- Si battè una mano sul petto.- che come un emerito stolto, ti ho presentato a
quella creatura meravigliosa!! E sono sempre stato io a spingerti, per comporre
quel cd, che odio, ma che non posso fare a meno di ascoltare 24 ore al giorno!
Ed io che odio la musica classica!-
Lo sfogo
così improvviso gli fece girare la testa e Tai si ritrovò a boccheggiare mente,
Yamato gli dava sonoramente le spalle.
-Sto con
un'altra qui.-
Il moro
rimase in silenzio, costernato.
-Cosa?-
Matt
entrò a passi lenti nella sala del suo appartamento lì, a New York.
Si accese
un’altra sigaretta come per non pensare.
-È qui,
che devo ricominciare a cercare mio fratello Takeru. Non vuoi proprio capirlo,
che solo diventando famoso lo posso ritrovare? Non me ne importa niente del
resto. Io non ci torno a Tokyo. E non mi importa niente di quello che stai
cercando di dirmi. Dovessi anche bruciarmi le dita su quel maledetto
pianoforte, a furia di suonare, io non ci torno a Tokyo. Perché si deve
scegliere, alla fine. Mettiti il cuore in pace Tai, dovresti essere contento.
Lei ha scelto te, io ho scelto l’altra, tu sei l’unico che ancora non si
rassegna o che fa ancora finta di non voler scegliere. Mettitelo bene in testa,
in quella zucca vuota che ti ritrovi, che io da qui: non me ne vado; che oramai
abbiamo tutti e tre fatto delle scelte. Che tutti e tre in un modo o nell’altro,
oramai, stiamo vivendo.-
Taichi
entrò nella casa, sconvolto e silente per quel monologo. Matt aveva da sempre
la capacità di lasciato senza fiato in corpo.
-Bravo.- Gli
disse dopo una lunga pausa. E Yamato si sedè solo allora, come se aspettasse
quella sua entrata, per prendere posto davanti al suo strumento, come nei migliori film di
serie c.
-Bravo,
non c’è che dire. Ammuffisci, lì con il tuo piano, tra le braccia di un’altra
donna. Menti a me, a lei e a te stesso, ubriacati di gloria… convinciti che
devi restare qui per scopi onorevoli.- Lo guardò sornione. -Ti auguro di essere
felice senza amore, Ishida Yamato.-
La mano
del concertista si mosse leggera sui tasti bianchi e neri. Un mi-fa-sol risuonò
nell’aria, stonando con le parole aspre che erano appena rimbalzate tra quei
muri bianchi.
Il moro
si mosse veloce, intontito da quelle poche note che invece suonarono come una
condanna nel suo cuore. Andò a posare la sua mano sulla maniglia di quella
porta blindata, aprendo l’uscio.
-Taichi.-
La voce
del biondo gli arrivò in pieno, come il vento freddo di quella maledetta città.
Rimase in silenzio, immobile ma fragile come una statua di cera.
-Ti, ha
mandato lei qui?-
Il
castano girò la sua fronte alta verso l’amico. Sorrise, amaro e deciso.
-No, lei
non sa che sono qui.-
Quello
bastò per far ricadere inermi le dita del pianista sulla tastiera.
I rumori
della strada impregnarono di nuovo quelle pareti.
E Matt si
prese il viso tra le mani, il respiro scioccamente tremava… e gli occhi
balenavano confusi da una parte all’altra di quella stanza di lusso.
Taichi se ne era già andato.
***